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UN ANNO ALLA CONSOB

Bilancio dell’attività della Consob nella tradizionale relazione al mercato. E’ stato un anno ricco di interventi destinati a cambiare radicalmente le regole del mercato finanziario. A partire dall’attuazione della Mifid, con un indubbio aumento del grado di tutela degli investitori. Importante nel merito e nel metodo il documento sulle operazioni con parti correlate, soprattutto per la valorizzazione degli amministratori indipendenti. Meno si è fatto sulla formazione di una diffusa cultura finanziaria e sull’annoso problema dell’informazione economica.

Oggi il presidente della Consob tiene la tradizionale relazione al mercato ed è quindi una buona occasione per una verifica di cosa è stato fatto nell’anno trascorso e di quali sono i problemi ancora aperti.

LE REGOLE, LA TUTELA E L’AUTOTUTELA

Non c’è dubbio che questo è stato un anno ricco di importanti interventi destinati a cambiare radicalmente le regole del mercato finanziario.
Emblematica è stata l’attuazione della normativa Mifid con un indubbio aumento del grado di tutela degli investitori, sia sul terreno dell’informazione sia su quello della realizzazione di operazioni adeguate alle proprie capacità: è una normativa che attribuisce importanti responsabilità agli intermediari, in questi giorni notoriamente affaticati a inseguire i clienti per convincerli a fare l’intervista necessaria per ricostruire il loro profilo finanziario. Ed è anche una normativa abbastanza onerosa; compito dell’Autorità di vigilanza dovrà essere quello di seguirne l’applicazione garantendone l’uniformità a tutti gli operatori e soprattutto garantendo parità di trattamento tra tutti i prodotti finanziari.
Lamberto Cardia l’anno scorso diceva, però, che “un buon sistema di regole e una vigilanza efficace possono non essere sufficienti ad assicurare un adeguato livello di protezione del risparmio, se progressivamente non si rafforza anche la capacità di autotutela degli investitori”, e che quindi era necessaria “la formazione di una diffusa cultura finanziaria” che deve diventare una priorità che coinvolga la responsabilità delle istituzioni, delle Autorità di vigilanza e degli operatori di mercato”. La sensazione è che su questo terreno, e cioè un’azione organica e coordinata tra i vari soggetti pubblici e privati, sia stato fatto molto di meno.
Un altro auspicio di Cardia era quello rivolto al Parlamento di uno sforzo normativo di “razionalizzazione che restituisse al Testo unico della finanza quella coerenza sistematica che in parte è andata perduta”. Era la seconda volta che faceva questo auspicio, il timore è che lo ripeta, inutilmente, per la terza volta.

GLI INTERESSI IN CONFLITTO

Nel campo del governo societario, la Consob aveva annunciato una nuova disciplina dei conflitti di interesse per pervenire i rischi di condotte espropriative nei confronti degli azionisti di minoranza. È stata di parola: il documento sulle operazioni con parti correlate, ancora al centro della procedura di consultazione, in realtà rappresenta una profonda innovazione in tutto il diritto societario, soprattutto per la forte valorizzazione del ruolo degli amministratori indipendenti nelle procedure decisionali delle società quotate.
Ma quel documento è importante anche per il metodo: la parte introduttiva contiene una approfondita analisi di impatto della regolamentazione: è la prima volta che si dedica tanto spazio a questo aspetto che, non bisogna dimenticarlo, rappresenta un obbligo per le autorità. Sarebbe importante che divenisse una buona abitudine per tutti gli atti di regolamentazione.
L’anno scorso la relazione Consob richiamava anche i pericoli insiti nei modelli alternativi di amministrazione: soprattutto nel dualistico manca una chiara distinzione tra funzioni gestorie e di controllo e si chiedeva una perfezionamento del quadro normativo in grado di garantire l’adeguata indipendenza del sistema di controllo interno. Nel frattempo, sono intervenute le istruzioni della Banca d’Italia sulla governance bancaria. Istruzioni che potrebbero diventare un utile punto di riferimento per tutte le società quotate.
Infine, si invitava a “una riflessione specifica” sull’annoso problema della dimensione di consigli di amministrazione affollati da troppe presenze che pregiudicano “l’efficacia del comune operare” e deresponsabilizzano i singoli membri. Ha prodotto qualche risultato la riflessione?

L’ULTIMO AUSPICIO

La relazione del 2007 aveva il merito di toccare lo spinoso problema, spesso trascurato, dell’informazione economica: si annunciava che la Consob aveva riconosciuto la Carta dei doveri dell’informazione economica elaborata dal consiglio dell’ordine dei giornalisti “come forma di autoregolamentazione equivalente alle norme sulla correttezza e sulla trasparenza dei conflitti di interesse richiesti dalla direttiva sugli abusi di mercato”. È una forma di autoregolamentazione che detta precisi obblighi di comportamento per i giornalisti e richiede la massima trasparenza negli articoli anche quando si tratta di argomenti che investono la struttura proprietaria della testata, affinché il lettore possa con consapevolezza valutare e capire ciò che legge. Giustamente l’Autorità di vigilanza concludeva dicendo che “è interesse di tutti che produca gli effetti desiderati”. A distanza di un anno, una verifica è necessaria perché tutte le norme di autodisciplina se non accompagnate da un adeguato grado di enforcement rimangono soltanto sul piano delle dichiarazioni di buona volontà, tanto belle quanto inutili.

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IL FABBISOGNO DIMEZZATO: A VOLTE RITORNA

  1. ela

    Da non dimenticare il cambiamento radicale che già la riforma del cod civ 2003 ha apportato al sistema economico sul piano giuridico per ciò che riguarda il Mifid che ci sarebbe da discutere dato che lascia ancora alcuni puntini sospensivi sull’esercizio della consulenza…..quando lo capiranno che ad un intermediario per essere chiaro non basta la sola consulenza accessoria?

  2. Federico Parmeggiani

    Riguardo alle perplessità che da sempre solleva il dualistico mi viene da fare una semplice considerazione. Perchè il dualistico funziona nella sua patria elettiva e qui no? Secondo me è questo è un classico problema di attitudine nella gestione o – per dirla con Roe e Bebchuk – di path dependency. La storia e la tradizione tedesca ha fornito un modello di governance che funziona in Germania, compatibilmente con la morfologia e la tradizione nel management di quel paese, che fa sì che in tale ordinamento le sovrapposizioni tra organi e gli altri problemi altrove riscontrati non si producano. Trapiantare lo stesso modello su sistemi economici e gestionali differenti fa sì che esso o funzioni male o ne esca stravolto: per esempio – è il caso dell’Italia – che sia usato solo perchè consente di sistemare più persone negli organi di vertice. Ciò dimostra ancora una volta che la corporate governance non è una scienza esatta e non si possono applicare modelli gestionali come formule matematiche, attendendosi dei risultati uguali o anche solo analoghi.

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