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INTERNET DI STATO? NO, GRAZIE

Qual è il ruolo pubblico nello sviluppo delle reti di telecomunicazione? Molte iniziative oggi reclamate a gran voce e promosse da enti locali violano in parte o del tutto gli assunti di un intervento rispettoso del mercato. Allo Stato spetta il compito di definire le regole, sostenere la domanda dei soggetti deboli o delle pubbliche amministrazioni ed eventualmente co-investire nelle società che possono favorire la crescita del settore. Con una separazione strutturale tra gestori di rete, fornitori di servizi di accesso Ip e fornitori di servizi applicativi.

L’accesso a servizi avanzati su Internet, sia da fisso che in mobilità, e lo sviluppo di infrastrutture telematiche avanzate, sono una priorità strategica di ogni moderna società: non c’è sviluppo sociale, economico e culturale in assenza di un sistema di telecomunicazioni digitali efficiente e pervasivo che garantisca un servizio universale a cittadini e imprese. D’altro canto, il volume degli investimenti richiesto per sviluppare queste infrastrutture è molto significativo. Secondo numerose analisi, non appare sostenibile dagli operatori telefonici nel quadro economico e normativo attuale: la domanda esistente di servizi di telecomunicazione, specie nelle aree didigital divide, e la loro remunerazione non consentirebbero un adeguato ritorno degli investimenti necessari allo sviluppo della banda larga e delle reti di nuova generazione (Ngn). Ma la mancanza di banda larga è uno dei fattori che frenano lo sviluppo stesso della domanda. Siamo quindi di fronte a una sorta di stallo e sono sempre più numerose le voci che richiedono un intervento pubblico che sblocchi la situazione.

RISPETTO DEL MERCATO

Il problema non è solo del nostro paese. In nazioni come la Germania e gli Stati Uniti si preme per rafforzare e sovvenzionare, magari in modo indiretto, monopoli e oligopoli esistenti, senza una reale apertura del mercato. A Singapore e in altri paesi asiatici, lo Stato ha partecipato direttamente allo sviluppo delle Ngn. Anche in Italia si invoca l’intervento diretto di Stato ed enti locali a supporto del potenziamento delle reti di telecomunicazione e della banda larga. A livello nazionale, il caso più noto è quello delle reti di nuova generazione in fibra (Ngn). A livello locale, si dice che i comuni dovrebbero sostenere e addirittura gestire in prima persona lo sviluppo delle reti wifi cittadine. A livello regionale, esistono reti pubbliche non solo a servizio delle pubbliche amministrazioni, ma che svolgono anche un vero e proprio servizio di connettività per il territorio, come nel caso della Rete regionale toscana. Altro esempio è la provincia di Trento che ha creato una propria infrastruttura in fibra ottica, posando oltre 700 chilometri. di cavi e circa 80 nodi di rete: obiettivo dichiarato è permettere l’accesso “al mondo di internet e di beneficiare dei servizi innovativi offerti dalla rete a tutti i trentini, da qualsiasi area del Trentino, garantendo a tutti uguale accesso alle opportunità offerte dalla società dell’informazione”.
Analizzando le diverse situazioni, nascono una serie di domande. Queste tipologie di investimenti pubblici sono realmente utili per la crescita del territorio? Sono coerenti con una strategia complessiva di sviluppo del mercato oppure costituiscono una indebita ingerenza in servizi di natura privata? È giusto prevedere, e incrementare, interventi pubblici di questo tipo, magari arrivando a finanziare lo sviluppo complessivo delle Ngn?
Un intervento pubblico rispettoso del mercato dovrebbe basarsi su una serie di principi di carattere generale:

1.         il pubblico non deve sviluppare né gestire infrastrutture in competizione con un operatore privato.
2.         deve favorire lo sviluppo della concorrenza, gestendo in modo appropriato le situazioni di monopolio naturale, come l’ultimo miglio in fibra o, in prospettiva, le stesse antenne del radiomobile. (1)
3.         non deve fare scelte tecnologiche e normative che possano limitare, condizionare o ostacolare lo sviluppo complessivo del mercato.
4.         deve intervenire per rendere possibile l’uso delle tecnologie e dei servizi di Internet da parte di soggetti economicamente o socialmente deboli.
5.         deve garantire che questi servizi trovino il modo di diffondersi e qualificarsi in tutto il territorio nazionale.

IL SOSTEGNO ALLA DOMANDA

Molte iniziative oggi promosse da enti pubblici o reclamate a gran voce da opinion maker e gruppi di pressione violano in parte o completamente questi assunti.
Per esempio, le reti wifi cittadine create da molti comuni sono nei fatti una alternativa alle reti mobili di terza generazione (Umts, Hsdpa, Hspa) oggi disponibili sui telefonini più recenti o sulle “chiavette Usb” proposte da tutti gli operatori di telefonia mobile. Non ha senso che un comune diventi un operatore di servizi di accesso Ip, offerti per di più in modo non chiaro: sono servizi gratuiti? Per chi? Aperti a tutti o solo ad alcuni? È giusto preferire la tecnologia wifi a quelle mobili di terza e quarta generazione? Ha senso investire risorse pubbliche per creare nuove infrastrutture che almeno in parte si sovrappongono a quelle dei privati? Un comune dovrebbe offrire servizi di accesso wifi gratuiti per aree limitate adibite a servizio pubblico, come biblioteche, edifici pubblici, spazi dedicati a servizi comunali, lasciando al mercato il presidio dei servizi di tipo generale. Il problema dell’inclusione di tutte le fasce di cittadini potrebbe essere risolto sovvenzionando, tramite voucher o incentivi, la domanda di servizi di accesso. Più in generale, è indubbio che un’azione sul fronte della domanda può stimolare investimenti infrastrutturali: si pensi per esempio ai servizi avanzati offerti dalle Pa nel campo della sanità.
Peraltro, secondo molti osservatori il sostegno alla domanda non sembrerebbe in grado di risolvere il problema generale del reperimento di tutti gli investimenti per reti di nuova generazione, fisse e mobili, diffuse sul territorio nazionale. In questa situazione di fallimento, almeno parziale, del mercato, la scelta del pubblico non può comunque essere quella di sovvenzionare in modo generico gli operatori esistenti. In primo luogo, si dovrebbe rendere l’accesso Ip un servizio universale e, in secondo luogo, applicare in modo sistematico una separazione strutturale tra gestori di rete, fornitori di servizi di accesso Ip e fornitori di servizi applicativi. In questo modo, chi gestisce una struttura di rete fisica – sia essa una rete in fibra, le antenne del 3G, o le antenne del WiMax – può anche essere partecipato e finanziato dal pubblico, purché poi offra a una molteplicità di attori, in piena concorrenza, la possibilità di sfruttare quell’infrastruttura fisica per proporre servizi all’utenza finale. Tutto ciò in un quadro regolatorio chiaro che garantisca gli attori in gioco e, soprattutto, consumatori e utenza.
In sintesi, una strategia di intervento pubblico dovrebbe basarsi su una serie di passaggi molto semplici: piuttosto che avere un ruolo in prima persona di gestore o operatore, il pubblico dovrebbe preoccuparsi di definire le regole, sostenere la domanda (per esempio, di soggetti deboli e pubbliche amministrazioni) ed eventualmente co-investire in quelle società che possono operare da level-playing field e volano per lo sviluppo del mercato. Altre azioni, come vacatio regolatorie o strutture pubbliche che offrano servizi diretti all’utenza, sono un’indebita ingerenza del pubblico nel mercato e un’occasione per investimenti pubblici improduttivi.

(1) A riprova che si tratta di monopoli naturali, nelle ultime settimane si sono succeduti diversi annunci di accordi tra operatori fissi e mobili volti a condividere fibra, siti o antenne, proprio perché la competizione sulle infrastrutture è sempre meno praticabile.

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15 commenti

  1. habsb

    Sperare sempre e comunque nell’investimento privato è un errore ideologico. Adam Smith riteneva che fosse dovere dello Stato investire in quelle infrastrutture che nessun privato troverebbe profittevoli. Nella fattispecie spetterebbe allo Stato creare un’efficiente e capillare rete in fibra. Mantenerne la proprietà. Affittare poi banda a qualunque operatore privato ne faccia richiesta, operatore che caricherebbe canoni di connessione o servizi pay-per-view, accedendo al gioco virtuoso della libera concorrenza. Se il “tutto statale” corrisponde al modello ferroviario (universale ma deficitario, inefficiente, mal gestito), e il “tutto privato” corrisponde al modello aeronautico (efficiente ma limitato alle sole zone profittevoli), solo il modello misto che ho indicato permette di coniugare l’universalità della proprietà statale (indispensabile per eliminare la frattura numerica) all’efficienza della gestione privata.

    • La redazione

      Quanto da lei detto è sostanzialmente ciò che viene proposto nell’articolo quando si dice che il pubblico deve investire o coinvestire nelle società che gestiscono monopoli naturali. Tali società dovrebbero poi affittare queste risorse alle aziende che in concorrenza offrono i servizi agli utenti finali.

  2. Antonio Santangelo

    Concordo con le riflessioni dell’autore. Riguardo al NGN l’ipotesi di una società separata, meglio se con operatori privati in aggiunta all’incumbent, e semmai partecipata in parte dallo stato mi pare la soluzione migliore. La trasformazione degli Enti locali in gestori va nel senso inverso alla giusta tendenza (molto avversata) delle utility locali. Che ciascuno faccia il proprio mestiere, senza "walled garden".

  3. Marco Valerio Principato

    Condivido e sottoscrivo appieno l’intero scenario delineato dall’autore. Purtroppo è difficile reprimere la voglia di dire "utopico", sia pure a denti stretti, per tutto ciò che abbiamo visto sino ad oggi. Ma assumere una posizione chiara, ragionata e cristallina come quella qui esposta dovrebbe aiutare l’opinione pubblica a discernere tra quel che sarebbe giusto e saggio fare e le tante "disinvolture" a cui negli anni ci siamo abituati e alle quali non reagiamo più, come quando il telegiornale ci propone gli ormai "abituali" episodi di cronanca nera che dovrebbero (notare il condizionale) farci rabbrividire, provocare sdegno, accendere ribrezzo e vellicare stati d’animo non proprio sereni.

  4. mirco

    Sono d’accordo con l”autore dell’articolo quando sostiene che occorre separare le società proprietarie della rete che devono essere super controllate (a mio avviso in difesa della democrazia vicenda telecom spie docet) dalle aziende che offrono servizi in rete. La mia preoccupazione è comunque un’altra: sembra che per ad esempio avviare il commercio elettronico sia indispensabile dotatre il pubblico di sistemi di accesso sicuri (carta di identità elettronica con impronte digitali) il che mi spaventa perche i diritti di privacy e i diritti inviolabili delle persone (pericolo di utilizzo delle anagrafi per schedature razziali ecc..) non valgono a mio avviso lo sviluppo economico e il vantaggio. Mi piacerebbe che qualcuno su questo sito ne discutesse. Io ad esempio rinuncerei volentieri ai vantaggi della rete pur di non cedere dati biometrici personali. Sono sempre più convinto che pubblico o privato sempre si tratta di grande fratello e che ricordando Orwell, con il grande fratello, i maiali sono sempre più uguali degli altri anche in internet.

  5. Paolo Brera

    Il "pentalogo" sull’intervento pubblico mi sembra lasci molto a desiderare. 1. Il pubblico non deve sviluppare né gestire infrastrutture in competizione con un operatore privato? …Anche se questo fosse un monopolista? 2. Deve favorire lo sviluppo della concorrenza, gestendo in modo appropriato le situazioni di monopolio naturale, come l’ultimo miglio in fibra o, in prospettiva, le stesse antenne del radiomobile. …OK 3. Non deve fare scelte tecnologiche e normative che possano limitare, condizionare o ostacolare lo sviluppo complessivo del mercato? Sciocchezze! Quando fissò la distanza fra i binari delle ferrovie (scartamento), il potere pubblico fece appunto tutto questo. Un errore? 4. Deve intervenire per rendere possibile l’uso delle tecnologie e dei servizi di Internet da parte di soggetti economicamente o socialmente deboli. OK — ma come, senza fare alcuna delle cose "proibite"? 5. Deve garantire che questi servizi trovino il modo di diffondersi e qualificarsi in tutto il territorio nazionale. OK — ma come, senza fare alcuna delle cose "proibite"?

    • La redazione

      1- Come dicevo al punto 2 da lei rimarcato qui sotto, le situazioni di monopolio naturale devono essere gestite in modo appropriato con una separazione funzionale o (meglio) strutturale. In quest’ultimo caso, il pubblico può e in alcuni casi deve divenire un investitore per colmare le lacune del mercato (vedi aree di digital divide), e garantire apertura e accesso alle infrastrutture critiche.

      2 e 3- Nel caso delle reti di telecomunicazione, l’equivalente dello scartamento è ormai definito da tempo o comunque risiede in trend e standard definiti a livello internazionale. GSM, UMTS, LTE, TCP/IP, WiFi, WiMax, DVB-H e standard simili (gli equivalenti dello scartamento) non sono di certo decisi dall’amministrazione pubblica italiana.

      4- Tipicamente sostenendo la domanda con interventi come voucher spendibili presso gli operatori privati. Per esempio, se l’obiettivo è avvicinare giovani meno abbienti a internet, il pubblico potrebbe offrire loro un voucher da spendere presso un operatore privato per acquisire una chiavetta USB 3G (e il traffico relativo).

      5- Investendo in infrastrutture laddove il privato non ha la convenienza economica (vedi risposta a Mastantuoni) o stimolando la domanda come dicevo qui sopra.

       

  6. Antonello Mastantuoni

    Mi capita sempre più spesso di avere l’impressione che a proposito di mercato e di libera concorrenza si dicano cose più per abitudine che per motivata convinzione. “Il pubblico non deve sviluppare né gestire infrastrutture in competizione con un operatore privato” sostiene l’autore, e pone l’asserzione in capo a una sua apodittica tabella della legge. Gradirei sapere perché. Una impresa pubblica non necessariamente limita la concorrenza, né necessariamente deve godere di ingiusti vantaggi. Ribaltiamo la questione: perché impedire al pubblico di stare nel mercato se questo può migliorare la concorrenza? (So bene che la mia è una domanda ingenua: mi auguro che una eventuale riposta invece non lo sia)

    • La redazione

      L’articolo dice che il pubblico può intervenire per gestire i fallimenti anche parziali del mercato. Per esempio, vi sono zone di digital divide dove il privato non ha interesse ad investire in infrastrutture avanzate. In questi casi, il pubblico può investire per esempio per posare fibra che può affittare poi agli operatori privati perché offrano i servizi (in concorrenza) agli utenti finali. Situazioni simili si stanno verificando in altri paesi Europei come la Svezia o in realtà locali anche negli Stati Uniti. Ma come gestore dei servizi all’utente finale, il pubblico risulterebbe penalizzante proprio per gli utenti. In primo luogo, tipicamente il pubblico non ha strutture operative efficienti: dovrebbe crearle spesso da zero. Si pensi al caso delle reti in fibra fatte da
      provincie e regioni: chi gestisce per esempio il customer care? Con quali costi? E con quale qualità? Alla fine dovrebbe affidarsi ad un outsourcer e quindi comunque al privato. In secondo luogo, dovrebbe ricrearsi gli accordi commerciali che gli operatori privati già hanno. Per esempio, oggi iniziano ad essere sempre più diffusi accordi di roaming/handover a livello nazionale
      e internazionale per l’accesso IP in mobilità (sia WiFi che 3G). Gli operatori privati hanno già questi accordi che gli eventuali operatori pubblici dovrebbero ricostruirsi. Sono solo due esempi, ma la discussione potrebbe ovviamente essere estesa. Quindi credo in un ruolo importante del pubblico, ma non nell’offerta all’utente finale.

  7. Luca Vivese

    Contro "i 5 comandamenti", sarebbe auspicabile un(‘)Internet a base pubblica e non solo per una lettura di carattere democratico; la rete mi pare un grande moltiplicatore creativo, oltre che economico e imprenditoriale. Che da questo possa derivare un "danno" in termini di "concorrenza" al cartello degli operatori telefonici che utilizzano dorsali ex-pubbliche e pubbliche concessioni. Ovviamente, andrebbe evitato l’obbrobrio della partecipata pubblica che fornisca servizi in concorrenza.

  8. Lorenzo Marzano

    Complimenti per la chiarezza .Rilevo come utente, confrontandomi anche con altri, è che l’incumbent talvolta nel campo dell’ADSL fa il gioco sporco (difficile da dimostrare ). L’intervento un guasto di un concorrente a livello di ultimo miglio (esclusa ritengo fastweb che è autonoma ) presuppone un intervento in centrale dell’incumbent. A mio avviso i time to repair non sono con tecnica FIFO ma punitivi nei riguardi dei concorrenti. A parte un caso personale con TELE2 di 6 giorni ho parlato con una titolare di franchising di profumeria a Orbetello (Infostrada) che dopo 16 giorni attendeva l’intervento Telecom. Ho scritto ad AGCOM tempo fa chiedendo l’attivazione di qualche meccanismo di trasparenza sulle riparazioni senza ricevere alcuna risposta. In conclusione in un mercato asimmetrico (il nome stesso incumbent lo qualifica) forse l’intervento della mano pubblica non sarebbe una bestemmia. In merito agli eccessi di controlli sull’e-commerce verrebbe da dire magari. Acquistare in rete è una libera scelta e non ho ancora visto controlli di sicurezza da grande fratello ma molto scarsi.

  9. Alessio

    La rete nazionale deve essere dello Stato e deve essere mantenuta e aggiornata da una società terza il cui unico azionista è lo Stato. Detto questo, i servizi sulla rete devono offrirli i privati che facendosi concorrenza tenderanno a sviluppare i migliori servizi al minor costo possibile. Ogni privato che decide di entrare nel mercato della fornitura dei servizi dovrà sostenere questa azienda terza che si occupa di gestione/manutenzione tecnica della rete in base alla quota di mercato raggiunta. In questo modo ogni operatore finanzia in proporzione alla propria grandezza lo sviluppo della rete nazionale, che è condizione sine-qua-non per uno sviluppo economico e democratico del paese. Così si crea libero mercato, che è libero se tutti gli attori hanno almeno una rete capillare in egual misura, altrimenti è un mercato fittizio, aperto alle multinazionali e ai primi arrivati, chiuso ai nuovi imprenditori, e quindi alle nuove idee e alle nuove tecnologie. Ma credo sia questo l’obiettivo in realtà: parlare di mercato facendosi belli, ma agire per creare oligopolii.

  10. Gianluca Salvatori

    Da assessore all’innovazione della Provincia autonoma di Trento ho un punto di vista meno granitico sulla questione. Ci sono situazione in cui lo schema esposto nel post purtroppo proprio non funziona. Qui ho provato a spiegare perché.

    • La redazione

      L’assessore Salvatori replica al mio articolo con una affermazione inesatta sulla quale costruisce tutta la sua replica. Dice infatti riferendosi al mio articolo: "Magnifica teoria, quella dell’intervento pubblico che deve limitarsi al ruolo di regolazione e al sostegno della domanda debole tramite sovvenzioni mirate." Non so se sia magnifica, ma certamente non è la mia o non lo è completamente. Nel mio articolo, infatti, si dice che i livelli di intervento sono tre, non due come afferma l’assessore. In particolare propongo: regole, sostegno alla domanda e coinvestimento per la realizzazione di infrastrutture fisiche nelle aree di fallimento parziale del mercato, con separazione strutturale tra gestore della rete fisica e operatore e partecipazione del pubblico nella realizzazione appunto delle infrastrutture fisiche. Forse l’assessore ha letto il titolo dell’articolo (titolo che non ho scritto io e che, come sempre accade, necessariamente tende a sintetizzare in modo estremo il contenuto del pezzo) e ne ha tratto delle conclusioni sue.
      Per quanto riguarda la rete trentina, prendo atto con piacere che la provincia non agisce da operatore, ma solo da gestore delle fibre, date poi in concessione ai privati. La mia "teoria" guarda caso rappresenta bene la situazione della provincia.
      Il punto di discussione semmai è un altro. A me risultava, per quanto ho visto e studiato della vicenda, che la provincia avesse anche un ruolo di gestore. Se così non è, non posso che rallegrarmi per il fatto che la mia "teoria" sia stata adottata con successo dalla amministrazione trentina.

  11. davide

    Riassumo. Alcuni soggetti privati, in poco più di dieci anni, hanno sfruttato la rete di telecomunicazioni, una risorsa pagata con soldi pubblici, fino all’obsolescenza. I privati non sono in grado di sostenere gli investimenti necessari per modernizzare la rete. Qual é la conclusione, si ammette che il leggendario ed onnipotente mercato non ha funzionato per niente? Che Telecom Italia, gestita da privati (o meglio, da predatori),è passata da una posizione leader in europa all’ombra di sé stessa ? No. La conclusione è: collettivizziamo i costi per costruire una rete bella nuova, cosi i privati potranno sfruttarla. Magari con un piccolo sostegno pubblico per chi non può pagare di tasca sua. Geniale.

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