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L’OMBRA DELLA GRANDE CRISI SUL NEGOZIATO WTO

E’ forte l’impressione che sulla trattativa fra i paesi dell’Organizzazione mondiale del commercio riuniti recentemente a Ginevra, abbia pesato negativamente la crisi economica internazionale, dissolvendo l’interesse verso un accordo di liberalizzazione del regime commerciale. Gli effetti reali di un mancato accordo sono probabilmente molto limitati, ma si è mancata l’occasione di rafforzare il sistema multilaterale che vincola i paesi al rispetto di un insieme di regole.

Sette anni dopo l’inizio dell’attuale ronda negoziale sul commercio internazionale della World Trade Organization (WTO), le trattative hanno subito un ennesimo stop ancora una volta al tavolo dell’agricoltura. Nove giorni di estenuanti negoziazioni nella sede ginevrina del WTO sono naufragate davanti alle differenze di posizione tra India e Cina da un lato e Stati Uniti dall’altro rispetto alle misure speciali di salvaguardia (Special Safeguard Mesures o SSM) dei prodotti agricoli. Tali misure consentono ai paesi di proteggere i propri settori agricoli da sostanziali incrementi delle importazioni attraverso l’imposizione di speciali barriere doganali. Un dato interessante di questo fallimento è che le SSM non rappresentavano uno dei temi più controversi dei negoziati, e nè l’India nè la Cina ne hanno mai fatto uso. Ciò suggerisce che questa tornata negoziale sarebbe probabilmente fallita su qualsiasi altra questione (più controversa), quale i tagli ai sussidi agricoli, le riduzioni delle barriere doganali, l’accesso al mercato per i prodotti tropicali.
Tale dato conferma l’impressione che il (genuino) interesse verso un accordo di liberalizzazione sostanziale del regime commerciale multilaterale si sia velocemente dissolto al cospetto della crisi economica internazionale. I paesi membri del WTO sembrano non percepire più un cospicuo ritorno dalle negoziazioni, mentre appare crescente la paura dei potenziali limiti alla propria sovranità nazionale imposti dagli accordi multilaterali.

GLI EFFETTI DELLE PROPOSTE DUL TAVOLO

In realtà, considerate le proposte sul tavolo negoziale sarebbe difficile non comprendere tale perdita di interesse nel successo delle negoziazioni. La maggior parte delle proposte avanzate durante i colloqui di Ginevra avrebbe avuto un effetto economico molto limitato. Per esempio i tagli effettivi alle tariffe doganali sui prodotti manufatturieri ed agricoli sarebbero stati estremamente ridotti. Ciò è dovuto a una serie di fattori. In primo luogo, alla differenza tra la massima tariffa doganale che ogni stato si impegna a non superare (la cosiddetta bound tariff) e quella effettivamente applicata (applied tariff). Dal momento che i tagli sono operati sulla prima, parecchi settori non subirebbero nessun taglio effettivo. In secondo luogo, le barriere doganali nella maggior parte dei settori in tutti gli stati membri del WTO sono già piuttosto basse.(1) La Banca Mondiale ha calcolato che nei paesi ricchi le tariffe sui prodotti agricoli (che sono i più importanti prodotti da esportazione per la maggior parte dei paesi in via di sviluppo) verrebbero ridotte in media dall’attuale 15% soltanto all’11%, ed in India la media del 59% non verrebbe toccata affatto.(2) E queste cifre non considerano le (lunghe) liste dei cosiddetti prodotti sensibili (che verrebbero esclusi dai tagli tariffari) proposte dai negoziatori a Ginevra. Perfino la proposta considerata più coraggiosa in questi negoziati, quella avanzata dagli Stati Uniti per ridurre il massimale di sussidi ai propri agricoltori dagli attuali 48 miliardi a 14.5 miliardi di dollari annuali, non avrebbe rappresentato un taglio reale, considerato che lo scorso anno il governo Americano ha destinato solo 7 miliardi ai sussidi agricoli.
In particolare, le proposte discusse a Ginevra non avrebbero di fatto generato alcun beneficio per la maggior parte dei paesi in via di sviluppo, compreso il gruppo dei paesi meno sviluppati (Least Developed Countries), che sarebbero dovuti essere i veri beneficiari dell’attuale round negoziale, chiamato proprio round dello “Sviluppo”. Le richieste dei paesi più poveri sono state ufficialmente messe da parte a metà delle negoziazioni, quando si è cercato di trovare una soluzione allo stallo negoziale, restringendo le discussioni ai sette principali paesi (comprendenti solo i maggiori paesi in via di sviluppo Brasile, India e Cina).

LE POSSIBILI IMPLICAZIONI DEL MANCATO ACCORDO

Se gli effetti reali di un mancato accordo a Ginevra sono probabilmente molto limitati, è giustificato il subbuglio internazionale generato dal fallimento delle negoziazioni? In un certo senso sì. L’accordo rappresentava una possibilità di rafforzare (o quanto meno di non indebolire) il sistema multilaterale che vincola i paesi al rispetto di un insieme di regole chiare in favore del commercio internazionale. Tali vincoli ad esempio prevengono possibili tentazioni protezionistiche da parte dei paesi di fronte a contesti economici difficili a livello nazionale ed internazionale. Ne sono un esempio proprio i governi Italiani, la cui attitudine protezionista acuita dall’attuale crisi economica aveva già giocato un ruolo importante nella restrizione delle importazioni di scarpe da Cina e Vietnam nel 2006.(3) 
La sicurezza delle regole internazionali costituisce il principale bene pubblico globale fornito da un’istituzione come il WTO. La preoccupazione è che in tempo di crisi i beni pubblici globali diventino il "bene" di nessuno. Come quest’ultimo mancato accodo sta a dimostrare.

(1) La media delle tariffe imposte sui beni commerciati internazionalmente ponderata sulla base del valore del bene nell’export globale e’ attualmente del 3.7% (Hoekman, B., W. Martin, A. Mattoo e R. Newfarmer, “The Doha Development Agenda: What’s on the Table”, Trade Note, 22 Luglio 2008, The World Bank.).
(2) Martin, W. e A. Mattoo, “The Doha development agenda : what’s on the table?”, World Bank Policy Research Working Paper, 4672.
(3)Si veda in merito Barba Navaretti, “E la Cina non ci fa più le scarpe”, La Voce 9 Ottobre 2006.

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UNA MANOVRA SENZA SPERANZA*

  1. valentino compagnone

    L’ombra di una grande crisi stile anni ’30 grava sui ogni aspetto della vita del mondo ed è legata ad un senso di impotenza (deficit di governance) di fronte ai grandi problemi del mondo ivi compresi quelli della crescita e non mi pare pertanto che sia stata alla origine della interruzione di un negoziato,complesso come non mai ( i papers del GMFi e dell’ODI -di cui Cali è coautore- lo illustrano benissimo) e contro ogni aspettativa coronato da successo su 18 dei 20 punti fissati da Pascal Lamy ed è inspiegabile che un dettaglio sul quale l’India non ha accettato relativo al SSM sia stato determinante Se l’ombra di una grande crisi e delle lobbies fossero state determinanti il negoziato non avrebbe potuto raccogliere un successo al 90% e tutte le delegazioni non si sarebbero affrettate a dichiarare che il negoziato aveva alla base principi irrinunciabili di interesse generale e che i risultati acquisiti vanno salvaguardati La ragione della interruzione va ricercata in una "fatica da negoziato" che non ha lasciato margine disponibile di elasticità nel valutare il"problema India" ed al difetto di una Autorità mondiale che sia al di sopra dell’SSM all’occorrenza.

  2. Mirco

    Ho provato a pensare al mondo come ad una sola economia chiusa. Se proviamo a fare questo esercizio, ci ritroviamo in una situazione in cui la manodopera costa quasi nulla vi è infatti soprattutto in cina ed in india un esercito di riserva che è disposto a offrire il proprio lavoro al limite del servaggio. Il problema allora non è produrre a costi sempre piu bassi ma è vendere ai consumatori- lavoratori dei paesi ricchi che si trovano espropriatidei propri redditi.( infatti i sindacati dei paesi ricchi non hanno più poterecontrattuale di fronte alla minaccia di trasferimento degli stabilimenti in paesi apiù basso costo di manodopera. Oltre a questo una massa sempre più numerosa di persone del terzo mondo che ha a disposizione ricchezza derivante da questa rivoluzione industriale in atto, pompa sui mercati derrate alimentari provocandone l’aumento dei prezzi. Ormai, nei paesi ricchi, i lavoratori a reddito fisso- consumatori non hanno più risorse per stimolare la domanda le soluzioni sono due: 1) o si dotano i lavoratori -consumetori dei paesi ricchidi ulteriori redditi che stimolino la domanda 2) si cambia modello di sviluppo introducendo in economia l’ecosostenibilità.

  3. Giuseppe Caffo

    Complimenti per l’articolo che induce a riflettere. Forse la causa della crisi del negoziato si può cercare nella contraddizione che si vuole liberalizzare il commercio mondiale attraverso un insieme di regole e vincoli per i paesi aderenti. Credo che i responsabili politici delle politiche economiche e commerciali di molti paesi vogliano le mani libere per sottoscrivere i trattati commerciali di volta in volta ritenuti più convenienti. Forse in un mondo che tende inesorabilmente alla globalizzazione bisognerebbe lasciare libera la Mano Invisibile di svolgere il suo compito. Ci vorrà un po’ di tempo e di pazienza,ma la liberalizzazione dei commerci internazionali conviene a tutti, e ,aiutati e stimolati dagli economisti addetti ai lavori,tutti lo capiranno.

  4. cini antonello

    Ricordo che in passato i comuni avevano in gestione un ente che vendeva prodotti alimentari a prezzi vantaggiosi . Non voglio riproporre tale iniziativa, ma solo richiamare la funzione di calmiere ai prezzi che potrebbe essere svolta qualora i prodotti alimentari potessero essere venduti sfusi. I comuni italiani assieme alle locali camere di commercio hanno una forte ingerenza nei magazzini dei prodotti ortofrutticoli chiamati all’ingrosso. Chiedo se fosse possibile promuovere e realizzare in tali magazzini dei comuni italiani spazi per ospitare delle vendite dei prodotti sfusi. La eliminazione degli imballaggi conseguirebbe due obbiettivi la riduzione dei prezzi dei prodotti ( non credo che un economia in recessione sia possibile aumentare retribuzioni e pensioni) e calo delle immondizie.

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