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NAUFRAGIO AL GIRO DI DOHA

Il negoziato del Doha Round è fallito non sulla questione dell’apertura “tout court” dei mercati agricoli dei paesi in via di sviluppo alle produzioni dei paesi industrializzati, né sulla riduzione dei sussidi agricoli europei ed americani. Il vero motivo del contendere era una la revisione del cosiddetto “meccanismo di salvaguardia speciale” per l’agricoltura. Vediamo di cosa si tratta e di chi è l’effettiva responsabilità di questo insuccesso del WTO. A cominciare dalle lobby dei produttori agricoli nei maggiori paesi industrializzati e nei principali paesi emergenti.

La maratona negoziale del Doha Round a Ginevra è fallita dopo molti giorni (e molte notti) di colloqui incessanti tra i rappresentanti dei 153 paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, World Trade Organization (WTO). Eppure si potrebbe dire che non è andata malissimo. Su 20 punti all’ordine del giorno, i negoziatori hanno trovato l’accordo sui primi 18. Si sono incagliati sul diciannovesimo e non hanno mai affrontato il ventesimo. Purtroppo, però, nei negoziati del WTO vale una regola aurea: non si raggiunge un accordo su nulla se non si raggiunge un accordo su tutto. L’accordo sul 90 per cento delle questioni non è stato quindi sufficiente.

LA SCOMODA EREDITÀ DELL’URUGUAY ROUND

Che cosa riguardava questo fatale diciannovesimo punto? Non riguardava, come scritto e detto ripetutamente, l’apertura tout court dei mercati agricoli dei paesi in via di sviluppo alle produzioni dei paesi industrializzati. Non riguardava la riduzione dei sussidi agricoli europei ed americani. Riguardava, invece, una questione più delimitata, la revisione del cosiddetto “meccanismo di salvaguardia speciale” per agricoltura. Questo meccanismo è un’eredità del precedente Uruguay Round da cui nacque il WTO. Tra le altre cose, gli accordi siglati in quel giro di negoziazione imponevano ai paesi firmatari di convertire i loro contingentamenti sui prodotti agricoli in meno dannosi dazi. Per venire incontro ai timori di possibili sconvolgimenti nella fase di transizione, il meccanismo di salvaguardia speciale prevedeva la possibilità per alcuni paesi di alzare unilateralmente i loro dazi in caso di repentino notevole aumento delle loro importazioni agricole. Invece che rifarsi allo spirito transitorio di questo meccanismo e quindi abolirlo, i negoziatori del Doha Round hanno preferito riformarne i criteri di applicazione in termini di definizione di “notevole” aumento delle importazioni. Il risultato è stato lo stallo con gli Stati Uniti a chiedere un revisione verso l’alto della definizione di “notevole aumento” mentre la Cina e soprattutto l’India esigevano una revisione verso il basso.
La ragione del contendere è paradossale per vari motivi, di cui due sono in principali. In primo luogo, lo è per la tempistica. In un momento in cui l’emergenza globale che tutti sembrano sentire è quella degli alti prezzi delle derrate agricole, è difficile comprendere l’urgenza per Cina ed India di salvaguardare i loro mercati dall’invasione di importazioni a basso costo in grado di spiazzare le produzioni locali. (Per lo stesso motivo, peraltro, è difficile capire l’attuale sensibilità dei paesi industrializzati alle urla di dolore dei loro produttori agricoli). In secondo luogo, lo è per la sostanza. I negoziati del WTO non sono sui dazi effettivamente applicati dai paesi ma sui “tetti” al di sotto dei quali tali dazi devono rimanere. Attualmente i dazi effettivi sulla stragrande maggioranza dei prodotti nella stragrande maggioranza dei paesi sono ben al di sotto dei “tetti” concordati, lasciando quindi una notevole libertà di alzarli senza necessità di alcun meccanismo di salvaguardia speciale.

IL MECCANISMO DELL’ESCALATION DEI DAZI

I dazi effettivi sarebbero stati anche ampiamente al di sotto dei nuovi “tetti” su cui un accordo all’interno del Doha Round era dato per acquisito. Questa è forse la maggiore perdita generalizzata del fallimento delle negoziazioni: abbassare i “tetti” verso il livello effettivo dei dazi avrebbe ridotto lo spazio di manovra per futuri interventi protezionistici permanenti e quindi non giustificabili nemmeno alla luce della salvaguardia. Per i paesi in via di sviluppo, di cui Cina e India si sentono alfieri, in prospettiva la perdita più consistente sembra originare invece dalla cosiddetta “escalation dei dazi”. Poco pubblicizzato, questo meccanismo implica che dazi crescenti vengono applicati man mano che un prodotto si muove lungo la catena del valore. Per esempio, può essere che il chicco di caffè sia esente da dazi, ma che venga tassato una volta tostato e ancora di più una volta decaffeinato. Questo meccanismo dà ai paesi in via sviluppo un incentivo perverso a esportare la materia prima non lavorata e pertanto a non far progredire la propria economia verso stadi produttivi a maggiore valore aggiunto.           
Cina e India hanno tutta la colpa del fallimento? La risposta è no. La colpa del fallimento (e merito dal loro punto di vista) è attribuibile all’efficacia delle lobby dei produttori agricoli nei maggiori paesi industrializzati e nei maggiori paesi emergenti. A sua volta, la colpa di tale efficacia risiede nel successo del precedente Uruguay Round, che ha tolto dal tavolo molte delle liberalizzazioni che avrebbero stimolato l’appetito delle altre lobby industriali invogliandole a fare da contrappeso agli interessi protezionistici dell’agricoltura. Come maliziosamente suggerito da The Economist (“The Doha round … and round … and round”, 31 luglio 2008), “se i diritti di proprietà intellettuale fossero stati ancora sul tavolo, per esempio, è più difficile immaginare che i paesi ricchi avrebbero permesso ai negoziati di fallire per conto dei loro agricoltori”.  

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UNA MANOVRA SENZA SPERANZA*

  1. stefano monni

    Il fatto rappresentato nell’articolo in esame testimonia ancora una volta di più l’incoerenza di quei Paesi che a parole sono per il libro mercato e per l’applicazione generalizzata delle sue leggi, ma nei fatti poi risultano ostaggi dei diversi gruppi di interesse che, nella maggior parte dei casi, sono contro ogni forma di liberalizzazione ed apertura dei mercati. Nel caso specifico tali gruppi sono i produttori agricoli dei Paesi avanzati, domani sarnno altri gruppi di interesse che sfruttando i propri poteri di influenza sulle scelte politiche bloccheranno ogni tentativo di apertura dei mercati. Gli unici soggetti, al solito, che non hanno alcuna influenza sulle decisioni politiche sono i consumatori che, insieme ai produttori agricoli dei PVS, saranno quelli più danneggiati dal naufragio del Doha Round.

  2. claudio

    …e che dire delle dichiarazioni del nostro ineffabile ministro che si è vantato di aver “salvato la nostra agricoltura” come se i nodi non fossero ormai molto vicini al famoso pettine?

  3. Mauro

    Sulle sovvenzioni all’agricoltura (il negoziato "Doha Round"…) sussidiata, del cui fallimento se ne sta ri-parlando…dal 2003-4 dopo il fallimento di Cancun…per proteggere il 3% della popolazione in ambito rurale (i più benestanti, con politiche distorte!), con 2 sole eccezioni: Nuova Zelanda e Australia, per cui la protezione quasi azzerata ha avuto l’effetto di far crescere produzione e reddito degli agricoltori (ma guarda un po’!). Bisognerebbe dirlo anche alla Fiat che si avvia a bussare…(non basta la C.i.g.s. già in atto a Melfi?).

  4. mat

    Grazie per il suo articolo così efficace. In merito al MSS lei dice: "In un momento in cui l’emergenza globale che tutti sembrano sentire è quella degli alti prezzi delle derrate agricole, è difficile comprendere l’urgenza per Cina ed India di salvaguardare i loro mercati dall’invasione di importazioni a basso costo in grado di spiazzare le produzioni locali". Ho un piccolo commento: io avevo capito dai giornali che nelle intenzioni dei negoziatori di Cina e (soprattutto) India vi fosse l’obiettivo di utilizzo della MSS non per l’agricoltura ma per la manifattura (meccanica, automotive) con chiari intenti di protezione delle proprie infant industries. Resto sostenitore di un approccio di "negoziato a stadi", che partendo dalla dimensione regionale e finisca a Ginevra con un numero di negoziatori limitato (tra i 10 e i 20). Per questo, il WTO si dovrebbe regionalizzare prevedendo fisicamente delle sedi di negoziazione regionali dislocate in diversi continenti. Saluti e ancora grazie.

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