E’ il sistema usato dagli australiani per eleggere la Camera dei Deputati e dagli irlandesi per eleggere il presidente della repubblica. E’ un maggioritario, ma all’elettore si chiede di mettere in ordine di preferenza i diversi candidati. Evita la dipendenza dalle alleanze pre-elettorali. Aiuta l’emergere di due blocchi, anche se non necessariamente di due partiti. Favorisce i partiti maggiori e quelli geograficamente concentrati. Dunque, in questa legislatura, e forse solo in questa, è una riforma che si può fare.
La recente presentazione al Consiglio dei ministri di un’ipotesi di cambiamento della legge elettorale per le Europee ha riaperto il dibattito sulle riforme elettorali. La proposta ha evidenziato la volontà di Pdl e Lega di limitare il ruolo dei partiti minori, con il sostegno abbastanza esplicito del Partito democratico. Quali sono le implicazioni per le possibilità di riforma elettorale del Parlamento nazionale?
L’OCCASIONE DEL REFERENDUM
In Italia la presenza determinante di piccoli partiti nelle coalizioni di governo ha sempre impedito una riforma in senso maggioritario. Tale condizione è fortuitamente assente nellattuale legislatura. Pdl e Lega da soli hanno 333 seggi alla Camera (maggioranza 315) e 172 al Senato (maggioranza 161). Possono quindi tranquillamente ignorare gli alleati minori, come l’Mpa di Raffaele Lombardo, che è probabile si oppongano al maggioritario.
Nella scorsa legislatura la principale proposta di riforma fu quella di Stefano Ceccanti e Salvatore Vassallo, che puntava a un sistema proporzionale corretto da una dimensione ridotta dei collegi. (1) Era una buona proposta, dati i vincoli politici esistenti allora. Ma la situazione è cambiata radicalmente. Partito democratico e Popolo delle libertà hanno un ovvio interesse a un sistema maggioritario. La Lega Nord è, a livello nazionale, un piccolo partito, ma il suo consenso è geograficamente concentrato. Tende quindi anchessa a essere favorita da un sistema maggioritario.
La questione entrerà nellagenda politica quando si avvicinerà il referendum previsto per la primavera dell’anno prossimo. La coalizione al governo può decidere di boicottare il referendum e mantenere il sistema attuale, ma vi sono un paio di ragioni che dovrebbero convincere anche i più restii a sfruttare l’occasione per migliorare la legge attuale. Da un lato, è evidente che la diversità dei sistemi elettorali di Camera e Senato rischia di creare seri problemi di governabilità. Tutti gli indizi portano a ritenere che tale diversità non sia il risultato di scelte consapevoli, ma semplicemente del modo caotico e frettoloso in cui fu approvata la riforma del 2005. Il referendum può essere una buona scusa per eliminare il problema, uniformando i sistemi elettorali dei due rami del Parlamento. D’altro canto, la legge attuale, nonostante il fortunoso risultato delle elezioni del 2008, mantiene intatti gli incentivi alla creazione di nuovi partitini e alla formazione di coalizioni eterogenee e rissose. Perché non cogliere l’occasione per consolidare mediante la riforma del sistema elettorale la semplificazione del quadro politico? Gli interessi del paese e quelli delle principali forze politiche che siedono in Parlamento sembrano allineati.
QUALE MAGGIORITARIO?
La vera domanda è: quale maggioritario? Il termine maggioritario significa semplicemente che ogni circoscrizione elettorale elegge un singolo rappresentante. Ci sono tanti modi per eleggerlo. Il maggioritario all’inglese, in cui il primo arrivato prende il seggio anche se ha una percentuale minuscola dei voti, funziona bene con due partiti, ma è altrimenti pessimo. L’Italia ha un sistema multipartitico che probabilmente durerà un bel pezzo. Questo sconsiglia il sistema inglese, che veniva invece usato per la parte maggioritaria ai tempi del Mattarellum.
Il sistema detto del voto alternativo, utilizzato ad esempio per la camera dei deputati australiana o per eleggere il presidente in Irlanda, è a mio avviso nettamente superiore. Come funziona? Fornirò qui una spiegazione molto breve attraverso un semplice esempio, suggerendo al lettore che vuole maggiori dettagli la consultazione di questa voce di wikipedia.
Supponiamo ci siano tre candidati, Bianchi, Gialli e Bruni. All’elettore è richiesto di ordinare numericamente i candidati. Per esempio, un possibile voto sarebbe:
Bianchi 2
Gialli 1
Bruni 3
È leggermente più complicato che mettere una x accanto al candidato preferito e basta, ma non cè ragione per pensare che gli italiani siano meno capaci degli australiani o degli irlandesi. Non è necessario ordinare tutti i candidati, se si desidera si può ordinarne solo una parte; ai candidati non classificati viene automaticamente assegnata l’ultima posizione.
Il vincitore si determina come segue. Innanzitutto, si contano le prime preferenze. Se un candidato raggiunge il 50 per cento allora è dichiarato vincitore. Altrimenti, si elimina il candidato che ha ricevuto il più basso numero di voti e si riassegnano i suoi voti a chi ha ricevuto la seconda preferenza. A questo punto si ricontano i voti e si vede se qualcuno ha più del 50 per cento. Se sì, tale candidato vince. Altrimenti, si ripete la procedura: il candidato con meno voti viene eliminato e i suoi voti riassegnati alla seconda preferenza. Il processo viene ripetuto tante volte quante necessario, eliminando un candidato alla volta.
Nell’esempio qui sopra, immaginiamo che Gialli risulti ultimo nella conta delle prime preferenze. Allora Gialli viene eliminato e il voto del nostro elettore viene automaticamente assegnato a Bianchi. A quel punto restano due soli candidati, Bianchi e Bruni, e necessariamente uno dei due avrà il 50 per cento dei voti validi.
Il voto alternativo evita una delle caratteristiche più indesiderabili del sistema maggioritario all’inglese in presenza di più partiti, la sua dipendenza dalle alleanze pre-elettorali. Favorisce l’emergere di due blocchi elettorali, anche se non necessariamente di due partiti. Favorisce in particolare i partiti maggiori (nel caso italiano Pdl e Pd) e i partiti geograficamente concentrati e in grado di attrarre seconde preferenze (nel caso italiano la Lega).
In Australia tre partiti ottengono normalmente rappresentanza parlamentare: i Laburisti sul lato sinistro e la coalizione tra Liberali e Nationals sul lato destro. I Nationals sono un partito piccolo e geograficamente concentrato; tipicamente, gli elettori Liberali mettono come seconda preferenza i Nationals e viceversa. In tutte le elezioni del dopoguerra si è sempre formata una maggioranza stabile, di un colore o dell’altro.
Altra caratteristica attraente del voto alternativo è che penalizza in modo limitato l’ingresso di nuovi partiti. In un sistema all’inglese gli elettori sono riluttanti a votare nuovi partiti perché temono di sprecare il voto. Con il voto alternativo il problema non si pone. L’elettore può dare la prima preferenza al candidato preferito e la seconda preferenza al candidato più vicino che considera un serio contendente per la vittoria.
Per evitare il problema del voto sprecato si può usare anche il doppio turno. È un sistema comunque soddisfacente, ma con una possibile controindicazione. In Italia è infatti probabile che l’intervallo tra il primo e il secondo turno verrebbe impiegato dai capi dei piccoli partiti per fare campagna pro o contro i candidati del ballottaggio. Questo ne accrescerebbe il potere negoziale, reintroducendo alcuni dei problemi del sistema all’inglese. Con il voto alternativo questi problemi sono meno forti. Ovviamente i partiti possono dare indicazione ai propri elettori sulle seconde o terze preferenze, ma inevitabilmente le campagne elettorali dovranno concentrarsi sulla richiesta di voto al proprio partito. Questo riduce le possibilità dei piccoli partiti di manipolare il risultato elettorale.
Con il voto alternativo Pdl e Lega possono assorbire (almeno come seconde preferenze) buona parte dei voti di Udc e Destra. Un fenomeno simile accadrebbe sul lato sinistro, dove il Pd potrebbe assorbire parte dell’estrema sinistra e dei socialisti. Si tratta perciò di una riforma nel loro interesse. La riforma è quindi possibile. I probabili perdenti (estrema destra, estrema sinistra, Udc, Mpa e socialisti) non sono in posizione di poterla bloccare. Chi ci guadagna (Pdl, Lega e Pd) controlla oggi la maggior parte dei seggi parlamentari. Pdl e Lega possono permettersi di irritare gli alleati minori senza far cadere il governo. È un’occasione storica che, in caso di mantenimento del porcellum, è improbabile si ripresenti in futuro.
*Una versione più ampia e dettagliata di questo articolo è stata pubblicata sul blog www.noisefromamerika.org . Ho discusso più a fondo questi temi in un recente manoscritto che può essere scaricato cliccando qui.
(1)Per un’analisi dei suoi possibile effetti si veda su lavoce.info l’articolo di Paolo Balduzzi e Massimo Bordignon.
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Marco Spampinato
Faccio solo un’osservazione avendo letto l’articolo su la voce.info, non approfondimenti. La preferenza plurima, senza priorità, è stata lo strumento di controllo del voto in gran parte d’Italia, sopratutto nel Sud, per molti anni (voto di scambio). Questo è ciò che si studiava nei libri di testo negli anni ’80 e primi anni ’90 nelle facoltà di Scienze Politiche (con documentazioni). La preferenza unica ha ridotto o eliminato le possibilità di controllo del voto da parte dei partiti creando un argine alla deriva clientelare, antimeritocratica e quindi alle iniquità che ciò determina. Non mi pare la peferenza unica abbia fallito da questo punto di vista. Altre sono state le ragioni del maggioritario, legate all’opportunità di garantire semplificazione del quadro politico e governabilità (risultati non del tutto falliti anch’essi, mi sembra). Penso che si dovrebbe prima fare una verifica di efficacia delle riforme fatte, altrimenti non possiamo ambire alla palma d’oro di maggiori riformatori di sistemi elettorali al mondo alla quale peraltro potremmo cominciare ad ambire. Passatemi l’ironia di metà Agosto.
La redazione
Caro Spampinato, la questione che lei solleva del controllo del voto è una importante obiezione al sistema di voto alternativo, o in verità a qualunque sistema che permette un voto articolato, come nel caso di preferenze plurime. Infatti, quando ci sono molti candidati un capocosca può chiedere a un elettore di riportare una particolare sequenza di preferenze; se è improbabile che tale sequenza di preferenze venga prodotta da altri elettori, allora il voto diventa riconoscibile e può pertanto essere controllato.Tuttavia, ci sono due fattori che inducono a pensare che tale problema sarebbe minore. Primo, l’esperienza di praticamente tutti i paesi in cui sono stati attuati sistemi maggioritari, all’inglese o all’australiana, è che il numero di candidati in una data circoscrizione è relativamente ridotto; questo riduce le combinazioni possibili, e quindi le possibilità di controllare il voto. La seconda, e più importante, obiezione è che comunque per essere eletto un candidato ha bisogno di raccogliere metà dei consensi della circoscrizione. Con un sistema proporzionale si può diventare deputato
anche con un consenso relativamente ridotto; comprare e controllare il 5%-10% (o anche meno) dei voti del collegio era solitamente più che sufficiente. Questo vale anche se il rimanente 90% della popolazione sa e capisce che l’uomo politico che compra i voti è un lestofante. Con il voto alternativo ottenere un seggio semplicemente comprando i voti o minacciando diventa molto più complicato, dato che bisogna effettivamente comprare o minacciare il 50% dell’elettorato. Questo non significa che con il voto alternativo non verranno eletti dei lestofanti. Significa però che i lestofanti potranno essere eletti solo con il libero consenso di una buona fetta della popolazione, non solo con la coercizione o la compravendita del voto. Ma a quel punto, c’è ben poco che si può fare: se agli italiani piacciono i lestofanti non c’è sistema elettorale che tenga.
Fabio Lancioni
Articolo interessante per chi, come me, non era al corrente di tale sistema elettorale. Sarebbe stato curioso avere tale metodo alle ultime elezioni, per vedere se molti cittadini del nord avrebbero indicato Lega Nord e, magari, Rifondazione Comunista! (secondo l’ipotesi dalemiana che la Lega sia in realtà una costola del partito comunista italiano…). Una domanda all’autore: nell’articolo cita possibili perdenti e vincitori di un sistema del genere, ma tralascia l’Italia dei Valori; in quale delle due categorie ricadrebbe, secondo lei, il partito di Di Pietro?
La redazione
Caro Lancioni, a prima vista direi che l’IDV rientra tra i perdenti; questo non è particolarmente importante per le possibilità di attuare la riforma,dato che i suoi voti possono essere resi ininfluenti. Ci sono però da fare un paio di considerazioni. La prima è che IDV, pur non essendo territorialmente concentrata come la Lega, ha una forte presenza in Molise, dove alle ultime elezioni è risultato il primo partito del centrosinistra con il 27,68%. In tale regione potrebbe ottenere almeno un seggio per il leader. La seconda è che non sappiamo bene come funzionerebbe il gioco delle seconde preferenze. Possiamo speculare che IDV, per la sua collocazione, potrebbe attrarre seconde preferenze tanto da destra come da sinistra. Non so se questo sarebbe sufficiente a far guadagnare seggi ma sicuramente darebbe al partito visibilità. Ma, come ho detto, queste sono speculazioni senza dati concreti.
Alfonso Salemi
1° problema: i candidati Dovrebbero essere indicati con primarie obbligatorie basate sulle caratteristiche personali (assenza di condanne, livello di cultura espressa, esperienze politiche e professionali, ……) con un opportuno sistema di controllo. 2° problema: sistema delle preferenze Dare la possibilità di indicare, ad esempio, tre preferenze. 3° problema: aggregazione dei partiti Avere due soli gruppi di partiti, ognuno dei quali formato da poche liste, per garantire la diversità di opinioni all’interno del raggruppamento, ma con una rappresentanza unica (un solo gruppo parlamentare).
valerio giannellini
il sistema australiano fu già suggerito da Luigi Einaudi. Troppo grande e liberale quel presidente… Le auguro maggior fortuna.
Giacomo Dorigo
Secondo me indipendentemente da che vengano ripristinate le preferenze o meno, che si usi un sistema proporzionale o maggioritario, si dovrebbe dare la possibilità agli elettori che non si riconoscono in nessuna delle offerte politiche di votare per l’azzeramento della votazione in quel collegio o circoscrizione. Intendo dire che dovrebbe esserci un’opzione neutra tra le varie scelte elettorali che non corrisponda ad alcun partito o candidato e che se scelta dalla maggioranza dei cittadini implica la ripetizione della tornata elettorale a livello locale con nuovi candidati. In questo modo si darebbe un ‘valore legale’ a quelle che oggi sono schede bianche, nulle o astensioni e si ricondurrebbe all’interno del circuito democratico molta anti-politica ‘massimalista’. Chi non si riconosce in alcun partito o candidato potrebbe andare a votare e dire “Nessuno di loro”. I voti NDL sarebbero conteggiati come fossero di un vero candidato e se superassero il 50% l’elezione verrebbe azzerata e ripetuta da zero con nuovi candidati.
La redazione
Caro Dorigo, capisco il senso di frustrazione di fronte a un’offerta politica insoddisfacente, ma credo questo sarebbe un rimedio peggiore del male. Il tipo di meccanismo che lei suggerisce è equivalente alla richiesta di una percentuale minima di voti validi per considerare valida un’elezione. Regole di questo tipo vennero adottate in vari paesi ex socialisti, come Serbia e Russia, nella fase di transizione alla democrazia (per l’esattezza questi paesi mantennero leggi simili in vigore durante il periodo
dittatoriale). Il problema è: cosa succede se gli elettori persistentemente non vanno alle urne? Si creano vuoti di potere pericolosissimi. In Serbia questo accadde nel 2002, quando per due volte di fila gli elettori parteciparono all’elezione presidenziale in misura inferiore al 50% necessario. Alla fine eliminarono il requisito.
Se vogliamo dar voce alla protesta, mi pare molto più ragionevole dare la possibilità agli elettori scontenti di chiedere la convocazione anticipata delle elezioni mediante raccolta di un certo numero di firme. Questo meccanismo è stato usato, per esempio, in California nel 2003, quando il governatore Davis venne destituito in favore di un noto e muscoloso attore.