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RITORNO A BRETTON WOODS *

Il piano Paulson punta a risolvere i problemi di liquidità del solo settore finanziario statunitense. Anche se nel resto del mondo il settore soffre dei problemi esportati dagli Usa. Ma davvero gli investitori non possono fare altro che affidarsi di nuovo alla locomotiva americana? Si potrebbero invece decidere azioni multilaterali, affidate alle istituzioni nate a Bretton Woods, il primo tentativo di governo dell’economia finanziaria globale. Ancora oggi potrebbero agire in fretta e bene, preparando le basi per la nuova architettura finanziaria internazionale.

Con il piano Paulson, il governo americano si è presentato di fronte al Congresso chiedendo di fatto mano libera per agire con tempestività e profusione di mezzi. Ha anche di fatto “commissariato” la stessa Fed, superando di slancio l’ipotesi di un dualismo Paulson-Bernanke.
Lo “stimulus act”, lanciato solo pochi mesi fa dall’amministrazione Bush per circa 150 miliardi di dollari di riduzioni fiscali, impallidisce al confronto dei 700 miliardi di dollari annunciati, destinati, secondo la gran parte degli osservatori, a crescere fino almeno a 1000. Difficile stimare quanto di questa cifra potrà consistere in creazione di moneta. Altrettanto difficile è dire se sarà sufficiente per chiudere con il passato. Tutto ciò mentre il debito pubblico americano sale dal 60 per cento del Pil al 90 per cento circa, per effetto del consolidamento delle passività di Fannie Mae, Freddy Mac e Aig.  

UNA SOLUZIONE AI PROBLEMI DEGLI AMERICANI

La speranza dell’amministrazione Bush era di far assorbire al resto delle economie mondiali la maggior parte delle nuove passività del Tesoro, limitando l’impatto inflazionistico e l’ulteriore aggravamento dei “deficit gemelli”. Il passaggio congressuale nonché i vincoli normativi consentivano tuttavia di intervenire solo a favore del settore finanziario americano. Il pacchetto Paulson dunque, in qualsiasi forma venga approvato dal Congresso, punta a risolvere i problemi di liquidità del settore finanziario residente, problemi che stanno congelando il flusso di credito a sostegno del consumatore americano, trasferendone il conto al Tesoro e al resto del mondo, secondo una miscela tutta da scoprire.
I soldi americani non avranno perciò ricadute sul settore finanziario del resto del mondo, che, peraltro, soffre dei problemi “esportati” dagli Usa. In particolare non verranno meno gli impulsi recessivi legati a una possibile restrizione del credito, come i recentissimi eventi di Fortis, Dexia e Hypo Real Estate lasciano ben capire.
Il consumatore più opulento del mondo vedrebbe ancora una volta tutte le restanti economie correre in soccorso della sua capacità di spesa. D’altronde, il sostegno ai desideri del consumatore americano è stato alla base del disegno di “ownership society” che ha guidato le amministrazioni Bush, condizionando in modo più o meno manifesto gli interventi di politica economica e monetaria attuati dal Tesoro e dalla Fed negli ultimi otto anni. Qualunque sia l’esito della vicenda Paulson, la linea di condotta appare chiara. Sotto la solita minaccia del prendere il “certo”, cioè la ripresa degli acquisti e della competitività americana, per l’“incerto”, l’ampliamento della base delle economie trainanti, il rilancio dell’economia globale avverrebbe, in sostanza, affidando all’eccesso di spesa americana il compito di riequilibrare il surplus di creazione del risparmio mondiale.
E se questa operazione andasse male? Per troppa o troppo poca larghezza di mezzi?
Nel primo caso (il troppo) la spinta inflazionistica sarebbe intensa, forse incontrollabile. Chi pagherebbe? Sicuramente i beni rifugio, tra cui le materie prime, subirebbero incrementi rilevanti di prezzo, esportando impulsi recessivi verso il resto del mondo attraverso la spinta sui costi industriali e l’aumento dei tassi di interesse. La stagflazione sarebbe inevitabile per tutte le economie globalizzate. Il trasferimento di risorse verso i paesi produttori di materie prime porterebbe a una concentrazione eccezionale della ricchezza in poche mani con un mutamento sostanzialmente oligarchico del sistema finanziario internazionale.
Nel secondo caso (il troppo poco) l’economia americana ne sarebbe comunque avvantaggiata in termini relativi, condizionando le politiche di tutti gli altri attori globali in crescita, per prima la Cina, alle prese con gli squilibri esportati dall’economia dominante.
Se si prescinde dagli ultimi eventi, la mossa del governo americano appare acuta, al limite della spregiudicatezza, ma non priva di una forte razionalità di fondo. La subitanea “festa”, così come l’altrettanto repentina caduta, dei mercati sembra aver fatto accettare le proposte dell’amministrazione americana come le uniche possibili, perlomeno le più concrete. È davvero così? Urgenza e gravità delle scelte richiedono di abbandonare altre ipotesi di coordinamento e di governo globale dell’economia? Non vi è altra prospettiva per gli investitori che non affidarsi ancora alla “locomotiva americana”, considerando il suo sistema finanziario come l’unico in grado di reagire con prontezza e coesione di fronte all’urgenza di stabilità ed efficienza finanziaria?

MEGLIO LE SCELTE MULTILATERALI

La risposta di chi scrive è ovviamente in altra direzione. In primo luogo, il tempo guadagnato dalla (inattesa) bocciatura del Congresso avrebbe dovuto essere rapidamente impiegato per agire in un ambiente intrinsecamente multilaterale; urgenza ed esperienza consigliano che le istituzioni disponibili, generate dagli accordi di Bretton Woods, siano ancora preferibili per lo scopo. In secondo luogo, la scelta multilaterale dovrà informare la definizione della nuova architettura finanziaria mondiale, più adatta a governare il futuro post crisi.
Un intervento straordinario appare inevitabile per liberare i bilanci degli operatori dalle poste di più incerta valorizzazione (i “toxic assets”) sul modello di quanto oggi si appresta a fare l’amministrazione americana. Tale azione potrebbe essere affidata all’Fmi, in stretto coordinamento con le banche centrali. In particolare l’Fmi riceverebbe il mandato di “far mercato”, negoziando sul mercato le attività illiquide a prezzi che presentano un adeguato “deep discount” rispetto ai fondamentali, con un’apposita gestione separata. Le risorse sarebbero reperite con creazione di mezzi di pagamento da un lato e collocamento sul mercato di nuove emissioni, ottenute tramite “repackaging” dei titoli così acquisiti, ricalcando il modello operativo dei “Brady Bond”, che a fine anni Ottanta evitarono il collasso del sistema finanziario internazionale esposto verso i paesi emergenti. (1)
L’emissione di “nuova” moneta potrebbe essere infine orientata ad attivare l’economia globale, indirizzandola a favore dei paesi con problemi di equilibrio esterno alimentare, dei grandi progetti qualificanti approvati dalla Banca Mondiale (in particolare nei comparti dell’alimentare, dell’energia e della sostenibilità ambientale) e degli investimenti nelle strozzature di offerta dei paesi meno sviluppati. La domanda mondiale non verrebbe sostenuta solo con una riedizione della “motrice americana”, ma poggerebbe prevalentemente sugli investimenti per il rilancio delle strutture produttive e di offerta. Ciò avrebbe anche un chiaro intento perequativo rispetto allo squilibrio nell’allocazione delle risorse avvenuta negli anni passati. Il necessario riequilibrio della domanda mondiale attraverso il deficit Usa troverebbe una parziale soluzione nella creazione di occasioni di spesa “virtuose” a livello planetario, con una redistribuzione delle opportunità di sviluppo. Infine, le condizioni di liquidità degli attivi degli operatori finanziari internazionali verrebbero ripristinate senza violare il principio di moral hazard, evitando ulteriori tensioni per l’attività di credito e di finanziamento dell’economia reale.
Non vi è da nascondersi che l’azione avrebbe sicuramente portata eccezionale. L’ammontare, a prezzi nominali, delle emissioni “Housing Market-Related” a rischio sono pari a 3250 miliardi di dollari, una cifra ben 10 volte superiore all’intervento di ristrutturazione del debito tramite l’emissione di “Brady Bonds”. Si può stimare che un intervento come quello ipotizzato potrebbe coinvolgere, al netto dei default già avvenuti, non meno di 1700 miliardi di dollari.
Le risorse oggi disponibili presso l’Fmi a fini di governo del sistema finanziario mondiale sono nell’ordine di un decimo. L’intervento, quindi, dovrebbe essere strutturato con il concorso delle maggiori autorità finanziarie mondiali, affidato eventualmente a uno specifico programma.
Quella che viviamo potrebbe essere non l’ultima crisi tradizionale quanto la prima crisi della nuova economia finanziaria globale. I capitali, d’altronde sono ormai multilaterali e ridisegnano il nuovo potere finanziario mondiale. Bretton Woods è stato il primo tentativo di un governo dell’economia finanziaria globale. Quelle istituzioni potrebbero ancora oggi agire in fretta e bene, preparando anche le basi per la nuova architettura finanziaria internazionale. Forse è questo il momento opportuno per cominciare a costruirla, con il caso che diventa necessità e la necessità che, dall’ottimismo della volontà, può venir fatta virtù.

* I due autori fanno capo rispettivamente a Operazioni Strategiche e Progetti Speciali Intesa Sanpaolo spa e a Università L. Bocconi e Direzione Risk Management Intesa Sanpaolo spa.

(1) Una proposta in questa direzione venne già formulata da Luigi Spaventa con un articolo sul FT dell’11 aprile 2008, “How a new Brady Bond could ease the strain”. Il contenuto dell’articolo è ripreso più estesamente in un saggio pubblicato su Cepr Policy Insight No22 dal titolo “Avoiding Disorderly Deleveraging”, rintracciabile sul sito.

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LA SAPIENZA DEL FAMILISMO

10 commenti

  1. Massimo GIANNINI

    Il ritorno a Bretton Woods e a certi suoi meccanismi é sicuramente suggestivo e interessante. I precedenti non mancano. L’articolo di Spaventa a quanto pare fu completamente ignorato da tutti cosi come altri consigli di altri economisti. Perché e chi sono i responsabili? A qualcuno deve aver fatto comodo che la situazione arrivasse a un punto di non ritorno. Che ora ci si terrorizzi dicendo che si deve agire oppure come fa Bush che lo si fa per l’economia non convince se non c’é dietro una strategia di cambiamento suggerito in questo articolo e meglio in quello di Spaventa. Non vorrei che fosse un’altra guerra come quella al terrorismo combattuta in Iraq. Si combatte ma le armi di distruzioni di massa (come anche gli ABS o altri derivati) non si trovano e non si eliminano e i responsabili scappano via…più ricchi di prima.

  2. Renato Giust

    La TARF è un intervento domestico, e vista la straordinaria accelerazione degli eventi non sarebbe potuto essere altrimenti, ma vista la natura centrale delle istituzioni americane negli equilibri finanziari globali, tutti i paesi ne trarranno beneficio. Inoltre non capisco in che modo si possa sostenere che l’onere del Piano Paulson venga fatto ricadere sulle spalle del resto del mondo, in fin dei conti il prezzo dei Treasury Bonds del Tesoro americano è fissato dal mercato e soprattutto nessuno e’ obbligato ad acquistarli.

  3. El

    I due autori riescono a mettere in evidenza un fatto importante: gli USA impongono o tentano di continuare a imporre le regole del gioco. La posizione di unica superpotenza e di economia decisamente superiore a tutte le altre glielo permette, e da anni esercitano una supremazia e pax americana unilaterale tentando di controllare tutte le risorse. E trattano il dollaro come moneta internazionale, dalla quale gli altri paesi non riescono a sganciarsi. Essendo piu o meno tutti intrappolati. La Cina piu che mai. Dopo aver causato la crisi, screditado definitivamente ogni ideologia di market fundamentalism propagandata come la religione salvifica per decenni, (ovviamente non sono idioti), tentano un aggiustamento scaricando il massimo dei costi sul resto del mondo. Si e gia visto con le presse a tutto vapore, e inflazione sui mercati finanziari e commodities. Esiste di fatto una crisi economica e politica profonda dietro a quella pirotecnica finanziaria, che da tempo era una ponzi finance. Ma le danze sono guidate dagli USA. La soluzione dovrebbe essere poltica e secondo lo spirito di BW, ma quanto conta chi per decenni ha accettato di essere un derivativo US?

  4. Piero Torazza

    Centrata l’osservazione che questa non è la crisi più grave dopo il ’29.. ma la 1° di tipo globale. Ciò che sarebbe bello (cooperazione) è improbabile sia la soluzione adottata (lo scaricabarile). Eppoi l’Fmi è "di fatto" comandato dagli Usa. Ma forse è possibile una lettura più strutturale: questo è l’inizio del passaggio di testimone dalle vecchie economie occidentali (Usa+Europa) a quelle Asiatiche ormai non più solo emergenti. Il medioriente petrolifero vive di rendita ma non è produttivo, nel lungo periodo anche lui declinerà. E’ una questione di mentalità.

  5. luigi zoppoli

    La mia inadeguatezza non mi consente di comprendere sino in fondo tutti i risvolti impliciti dell’articolo né di esprimere un’opinione sulla validità delle misure proposte. Non posso comunque esimermi dall’apprezzare la coerenza logica di tutti i passaggi di cui la proposta consta. Davvero istruttiva lettura.

  6. Ale

    I due autori hanno centrato un parallelismo fondamentale: l’economia e la finanza sono ormai fenomeni globali perchè gli effetti di un "sisma" finanziario o economico che si sviluppa in un’area del mondo può contagiare anche le altre aree. E’ necessario quindi che anche le medicine vengano studiate e soprattutto concordate e applicate da tutte le aree in cui il sisma si può estendere. Le banche centrali spesso coordinano i loro interventi per sostenere la liquidità. Le istituzioni sovranazionali che "osservano" l’andamento economico dovrebbero fare altrettanto con l’appoggio dei governi. Il PIL mondiale si aggira sui 54.000 mld di dollari l’anno di cui quasi 14.000 sono degli Stati Uniti. Ma il resto del mondo produce i rimanenti 40.000. Qualcosa deve fare perchè l’interesse che l’economia continui a crescere è anche del resto del mondo, non solo degli Stati Uniti. Certo in questi ultimi anni stiamo assistendo ad una redistribuzione della ricchezza forse senza precedenti. I paesi consumatori di materie prime hanno finanziato i paesi produttori. Ora per coprire il baratro creato dai prodotti finanziari sofisticati (che hanno arricchito sicuramente qualcuno) si pagheranno + tasse o inflazione.

  7. Antonio Aghilar

    Francamente, diciamoci la verità: quanti non sapevano della imminente crisi? Sarebbe stata solo questione di tempo. Certo, non è la crisi in sé che colpisce, quanto piuttosto l’estensione e la profondità della stessa. Comuque sia, qualcuno oltreoceano ha pilotato gli eventi e questo è sicuro. Così come è sicuro che la speculazione sulle piazze finanziarie mondiali continua a fare la sua parte. Bretton Woods: fù anche il luogo in cui si decise l’abbandono del gold standard. Ecco. Io credo che sia ora di riflettere (a lungo e bene) sul futuro delle politiche monetarie. In fondo quello che è successo è banale (e forse per questo ancora più incredibile). La massa dei titoli di debito (derivati o no) in circolazione superava di gran lunga il valore atteso del sottostante. Insomma una bolla da manuale finanziaria. Con un’aggravante: e cioè quella costituita dal fatto che, anche oggi, nonostante tutto, non si parla ancora di un vertice stile Bretton Woods, appunto, sul futuro della politica monetaria e sui compiti e le funzioni delle Banche Centrali le quali, checchè se ne dica, non potevano "non sapere"…

  8. Alex Raffi

    La cosa più preoccupante dal mio punto di vista di piccolo invesitore è che nel caso della crisi attuale sembra che la linea di confine tra i fattori speculativi e i fattori strutturali si sia fatta sempre più sottile. La crisi si sta avvitando su se stessa, e i riferimenti tradizionali a forme di governance valide nel secolo scorso non credo siano più realisticamente sostenibili in un’economia globale come quella attuale. e l’europa si sta dimostrando ancora una volta una “espressione geografica”.

  9. Renzo Pagliari

    La crisi americana deriva da errate scelte legislative, operative, speculative di molti. E’ necessario rimediare/utilizzare positivamente gli errori andando avanti utilizzando il buono del passato e tesaurizzando gli errori. La locomotiva mondiale americana non è più tale. Molti soggetti debbono assumerne il ruolo. L’FMI può operare mediante una banca mondiale costituita da tutti i paesi creditori/debitori, con liquidità limitata al funzionamento ed apporto di riserve auree, oggi inutilizzate. Essa acquista i debiti di stati verso stati e banche e i crediti di stati e banche verso stati, a tassi diversi in funzione del debitore, e li sostituisce per i creditori con proprie obbligazioni fruttifere a tasso basso e uniforme, negoziabili solo tra questi enti con la possibilità per se di recupero coattivo dei debiti non onorati, valorizzando/utilizzando cespiti attuali/potenziali del debitore. Si limitano i danni/rischi dei debiti/crediti eccessivamente elevati dando anche una via al recupero di essi. Precondizione è la denominazione delle obbligazioni in una unità di conto rispetto a cui le valute oscillano. Il dollaro diviene una valuta come le altre. Lo scaricabarile cessa.

  10. GIAN PAOLO TIBERI

    In questi giorni ho letto molti editoriali che segnalano la rischiosità di affrontare questa nuova crisi finanziaria con strumenti vecchi. Poi mi è capitato di rileggere un articolo di Panerai datato 24 ottobre 1987, in cui riportava le parole di un articolo del giorno prima di Repubblica a firma Carlo De Bendetti: "..bastava guardare all’enorme indebitamento accumulato non solo dallo stato americano, ma anche dagli individui e le famiglie per capire che la tragedia era inevitabile..". La memoria corta fa comodo a qualcuno e danneggia molti. chi ci insegnerà ad imparare dai nostri errori?

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