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LA CRISI FINANZIARIA EUROPEA: UN INVITO AD AGIRE

Pubblichiamo, insieme con altri siti internazionali consorziati con noi, un appello alle autorità politiche dei paesi europei e della UE perchè fronteggino la crisi finanziaria che sta contagiando pericolosamente il continente con misure tempestive, adeguate e trasparenti. Sono promotori di questo appello alcuni economisti europei che invitano tutti i colleghi economisti che lo condividono ad aderirvi inviando una e-mail all’indirizzo appelloeconomisti@lavoce.info dichiarando la volontà di sottoscriverlo e indicando la propria affiliazione professionale.

LA CRISI BANCARIA IN EUROPA: UN APPELLO ALL’AZIONE

L’Europa è nel mezzo di una crisi senza precedenti. Tutti gli europei sanno che cosa accadde quando nei bui anni Trenta i mercati finanziari smisero di funzionare. Non è esagerato dire che potrebbe accadere di nuovo se i governi non intervengono. Non stiamo dicendo che accadrà, ma è fondamentale sapere qual è la posta in gioco.
Si dissolve la fiducia nei mercati e c’è il rischio che la paura si diffonda ancora di più. Le turbolenze nei mercati finanziari devono essere fermate perché causano gravissimi danni all’economia reale. Sono a rischio i risparmi di centinaia di milioni di europei. Se la turbolenza darà luogo a una paralisi del mercato del credito, un gran numero di posti di lavoro e di imprese verrà distrutto. Un ulteriore indebolimento dell’economia reale metterebbe a rischio un numero ancora maggiore di prestiti e si creerebbe un circolo vizioso di caduta dei prezzi delle attività, deterioramento della capacità di ripagare i debiti e diminuzione dei flussi di credito.
Gli interventi dei politici statunitensi sono positivi, ma non sono sufficienti. Anche all’Europa si richiede un’azione politica decisa.

ESTERNALITA’ POLITICHE: LE AZIONI A LIVELLO EUROPEO PER INTEGRARE GLI INTERVENTI DEI SINGOLI STATI

Le autorità degli Stati Uniti hanno imparato la scorsa settimana che salvare una banca alla volta non serve: una crisi di sistema richiede una risposta di sistema.
In Europa, il salvataggio di una banca per volta significa uno sforzo di salvataggio intrapreso da un singolo paese, nonostante gli importanti effetti che questo ha sugli stati vicini, oppure un coordinamento improvvisato all’ultimo minuto con un accordo sulla distribuzione dei costi. Fino a oggi risposte nazionali e sforzi cooperativi ad hoc sono stati utili. Tuttavia, l’interdipendenza tra le banche europee è troppo profonda e diffusa perché la risposta nazionale o il coordinamento caso per caso possano essere sufficienti. Ogni intervento di un singolo Stato e ogni intervento cooperativo tra un ristretto numero di nazioni può avere effetti imprevedibili sugli altri paesi europei. È fondamentale che le autorità nazionali si incontrino e coordinino le loro risposte, delineando soluzioni valide per tutta l’Europa se necessario.
Ora, mentre la situazione appare ancora gestibile, è il momento di agire. Gli avvenimenti della scorsa settimana negli Stati Uniti dimostrano che le crisi finanziarie non si sviluppano in modo regolare e prevedibile. Un fatto inaspettato può innescare fallimenti a catena e un panico che diventa sempre più difficile controllare.

SOLUZIONI

Molte soluzioni possono comporre una risposta adeguata. Negli Stati Uniti, in questo momento la crisi si affronta riportando liquidità nei mercati monetari e del credito e creando le condizioni per una ripresa delle assicurazioni sui mutui primari e su altre attività illiquide ma sufficientemente omogenee e trasparenti. In Europa il problema principale è l’elevata leva finanziaria delle grandi banche che operano a livello internazionale. Per questo, il contributo dell’Europa deve incentrarsi sulla ricapitalizzazione del settore bancario, attraverso l’iniezione di fondi pubblici o attraverso la conversione obbligatoria del debito in capitale azionario. Deve essere fatto a livello europeo (per esempio, attraverso la Banca europea per gli investimenti). L’approccio attuale, con il salvataggio di un istituto dopo l’altro utilizzando fondi nazionali, porterà solo a una balcanizzazione del settore bancario europeo. Per prevenire in futuro crisi di questa natura, è necessaria anche una regolamentazione a livello europeo dei mercati finanziari e delle istituzioni bancarie europee.
Il problema non è la mancanza di idee su come risolvere la crisi. Il problema è la mancanza di volontà politica.
Se i capi di Stato e di governo europei non si riuniscono subito per affrontare in modo deciso la crisi prima che sfugga al controllo, finiranno per trovarsi ad azzuffarsi su quel poco che rimarrà dopo il disastro.

Testo inglese disponisbile su www.voxeu.com

Alberto Alesina, Harvard University
Richard Baldwin, Graduate Institute, Geneva
Tito Boeri, Università Bocconi, Milano
Willem Buiter, London School of Economics

Francesco Giavazzi, Università Bocconi, Milano
Daniel Gros, Centre for European Policy Studies

Stefano Micossi, Assonime
Guido Tabellini, Università Bocconi
, Milano
Charles Wyplosz, Graduate Institute, Geneva

Klaus F. Zimmermann
, Bonn University

Niels Westergaard-Nielsen, University of Aarhus, IZA

Sottoscrivono:

Viral Acharya, London Business School
Rui Albuquerque, Boston University
Amedeo Amato, Università di Genova
Matteo Arena, Marquette Univesity
Marco Arnone, Università Cattolica, Milano
Guido Ascari, Università di Pavia
Pier Francesco Asso, Università di Palermo
Ciro Avitabile, Università Federico II, Napoli
Rym Ayadi, Centre For European Policy Studies
Giorgio Barba Navaretti, Università Statale, Milano
Lluís Barbé, Universitat Autònoma de Barcelona
Olivier Bargain, University College Dublin
Thomas Beissinger, University of Hohenheim and IZA, Bonn
Ansgar Belke, University of Duisburg-Essen
Luca Beltrametti, Università di Genova
Sergio Beraldo, Università Federico II, Napoli
Giuseppe Bertola, Università di Torino
Hanna Binz-Hottenrott, K.U.Leuven, Centre for European Economic Research
Peter Birch Sorensen, University of Copenhagen
René Böheim, Johannes Kepler University Linz
Andrea Boitani, Università Cattolica, Milano
Guido Bolliger, Olympia Capital Management
Pierluigi Bologna, Financial Attaché, Embassy of Italy, Washington D.C.
Maurizio Bovi, ISAE
Sergio Briguglio, ENEA
Agar Brugiavini, Università di Venezia
Marius Brülhart, University of Lausanne
Ferran Brunet, Universitat Autònoma de Barcelona
Michael Burda, Humboldt University Berlin
Rolf Caesar, University of Hohenheim
Lars Calmfors, Institute for International Economic Studies, Stockholm University
Wendy Carlin, University College London
Carlo Carraro, Università di Venezia, FEEM
Dieter Cassel, Mercator School of Management, University of Duisburg-Essen
Lorenzo Cassi, Université Paris 1 – Panthéon Sorbonne
Micael Castanheira, ECARES
Maurizio Catino, Università Bicocca, Milano
Alberto Cavaliere, Università di Pavia
Matteo Cervellati, Università di Bologna
Riccardo Cesari, Università di Bologna
Giovanni Cespa, Queen Mary University of London
Edouard Challe, Ecole Polytechnique
Eric Chaney, Chief Economist, AXA
Chia-Ying Chang, Victoria University of Wellington
Daniele Checchi, Università Statale, Milano
Natalie Chen, University of Warwick
Bruno Chiarini, Università di Napoli
Barry Chiswick, University of Illinois at Chicago and IZA
Francesco Cinnirella, Ifo Institute for Economic Research, Munich.
Innocenzo Cipolletta, Università di Trento
Bart Cockx, Ghent University and Universit頣atholique de Louvain
Irwin Collier, Freie Universität Berlin
Massimo G. Colombo, Politecnico di Milano
Jonathan Conning, Hunter College and The Graduate Center, CUNY
Isabella Consigliere, Università di Genova
Gurdgiev Constantin, Trinity College, Dublin (Adjunct) & NCB Stockbrokers
Maurizio Conti, Università di Genova
Bruno Contini, Università di Torino
Fabrizio Coricelli, Università di Siena
Diego Corrado, Università Bocconi, Milano
Alberto Cottica, Ministero dello Sviluppo Economico
Tony Curzon Price, openDemocracy.net
Astrid Dannenberg, ZEW
Jean-Pierre Danthine, University of Lausanne and Swiss Finance Institute
Francesco Daveri, Università di Parma
Giuseppe De Arcangelis  Sapienza Università di Roma
Paul De Grauwe, Katholieke Universiteit Leuven
Guillermo de la Dehesa, CEPR Chairman
Daniela Del Boca, Università di Torino
Jacques Delpa, Conseil d’Analyse Economique, Paris
Ennio De Simone, Università degli Studi del Sannio
Mathias Dewatripont, Ecares, Universite libre de Bruxelles, CEPR
Stefania Di Bono, Università di Pisa
Marco Di Marco, Italian National Statistical Institute
Ingolf Dittmann, Erasmus Universiteit Rotterdam
Sabien Dobbelaere, Vrije Universiteit Amsterdam
Juan J. Dolado, Universidad Carlos IIII
Gregory Duncan, University of California-Berkeley
Federico Eisler, Merrill Lynch
Schlicht Ekkehart, University of Munich
Thomas Elsaesser, University of Amsterdam
Michael Emerson, CEPS
Gil Epstein, Bar-Ilan University
Federico Etro, Università Bicocca, Milano
Natalia Fabra, Universitad Carlos III de Madrid, CEPR
Stefano Fassina, già Economist, Internatinal Monetary Fund
Carlo Favero, Università Bocconi, Milano
Jacques Fayette, Università di Lione
Ernst Fehr, Institute for Empirical Research in Economics, University of Zurich
Antonio J Fernos, Interamerican University of Puerto Rico
Francesco Ferrante, Università di Cassino
Stefano Ficco, Europe Economics, London
Riccardo Fiorentini, Università di Verona
Harry Flam, IIES, Stockholm University
Elsa Fornero, Università di Torino
Cecilia Frale, CEPS
Marco Francesconi, University of Essex
Joseph Francois, CEPR and Johannes Kepler University of Linz
Vincenzo Galasso, Università Bocconi, Milano
Marzio Galeotti, Università Statale, Milano
Gillian Garcia, IMF, retired
PierGiorgio Gawronski, già OECD e UNCTAD
Mariassunta Giannetti, Stockholm School of Economics
Marc Giannoni, Columbia University
Mario Gilli, Università Bicocca, Milano
Ignacio Vicente Gonzalez, Ministry of Commerce Spain, Trade Economist
Marek Góra, Warsaw School of Economics
Luciano Greco, Università di Padova
Reijer Groenveld, Abn Amro
Volker Grossmann, University of Fribourg
Karl-Dieter Grüske, University of ERlangen-Nürnberg
Maria Cecilia Guerra, Università di Modena e Reggio Emilia
Luigi Guiso, European University Institute, Firenze
Sergei Guriev, New Economic School
Thorvaldur Gylfason, University of Iceland
Hendrik Hakenes, University of Hannover
Laszalò Halpern, IEHAS Hungary
Joop Hartog, Universiteit van Asterdam
John Hassler, IIES, Stockholm University, Sweden
Peter Havlik, The Vienna Institute for International Economic Studies
Moshe Hazan, Hebrew University and CEPR
Burkhard Heer, Università di Bolzano
Andrew Henley, Swansea University, UK
Almas Heshmati, Seoul National University
Steffen Hoernig, Universidade Nova de Lisboa
Peter Holmes, University of Sussex
Patrick Honohan, Trinity College Dublin
Oliver Hossfeld, Handelshochschule Leipzig
Jochen Hundsdoerfer, Freie Universität Berlin
Jennifer Hunt, McGill University
Andrea Ichino, Università di Bologna
Gregorio Impavido, IMF
Daniela Iorio, universitat autonoma de barcelona
Marc Ivaldi, Toulouse School of Economics
David Jaeger, City University of New York
Tullio Jappelli, Università Federico II, Napoli
Olivier Jeanne, Johns Hopkins University
Alain Jousten, University of Liege
Pramod (Raja) Junankar, University of Western Sydney and IZA, Bonn
Stepan Jurajda, CERGE-EI
Louka Katseli, University of Athens-State MP Pasok
Wolfgang Keller, University of Colorado, NBER and CEPR
Georg Kirchsteiger, ECARES, Univerite Libre de Bruxelles
Anders Klevmarken, Uppsala University
Stefan Klößner, Saarland University
Robert Kollmann, ECARES, Université Libre de Bruxelles and Universit預aris XI
Per Kongshøj Madsen, Aalborg University, Centre for Labour Market Research
Jozef Konings, Catholic University of Leuven
Giovanna Labartino, Università Bocconi, Milano
Mario Lackner, JKU Linz
Michael Landesmann, Vienna Institute for International Economic Studies, Johannes Kepler University Linz
Philip Lane, Trinity College Dublin and CEPR
Valentino Larcinese, LSE, Londra
Gabriella La Rocca, Università di Roma3
Mariangela Lavanga, University of Amsterdam
Marco Leonardi, Università Statale, Milano
Riku Leppanen, European Commission
Shi Li , Beijing Normal University
Nuno Limao, University of Maryland
Stefania Lionetti, University of Lugano
Claudia Löhnig, Anhalt University of Applied Sciences, Bernburg
Félix López, EOI Business School, Madrid
Marco Lossani, Università Cattolica di Milano
Alfredo Macchiati, Ferrovie dello Stato
Diane Macunovich, University of Redlands, California
Enrico Marelli, Università di Brescia
Giuseppe Marotta, Università di Modena e Reggio Emilia
Luis B. Marques, Johns Hopkins University – SAIS
Philippe Martin, Paris School of Economics
Antonio Massarutto, Università di Udine
Christopher Meissner, University of California, Davis
Jacques Melitz, Heriot-Watt University
Mario Menegatti, Università di Parma
Luciano Messori, Northeastern University di Boston
Raoul Minetti, Michigan State University
Patrick Minford, Cardiff University
Charlotte Moeser, Humboldt University
Tommaso Monacelli, Università Bocconi, Milano
Aldo Montesano, Università Bocconi, Milano
Franco Mosconi, Università di Parma
John Muellbauer, Nuffield College, University of Oxford
Gilberto Muraro, Università di Padova
Tommaso Nannicini, Università Bocconi, Milano
Piero Nasuelli, Università di Bologna
Peter Neary, University of Oxford and CEPR
Alberto Niccoli, Università Politecnica delle Marche, Ancona
Alexander Nuetzenadel, University Frankfurt (Oder)
Luca Nunziata, Università di Padova
Peter O. Oberender, University of Bayreuth (Germany)
Paurice Obstfeld, University of California, Berkeley
Marco Onado, Università Bocconi, Milano
Kevin O’Rourke, Trinity College Dublin
Jorge Padilla, LECG
Marco Pagano, Università Federico II, Napoli
Fausto Panunzi, Università Bocconi, Milano
Karl-Heinz Paqué, Otto von Guericke University Magdeburg, Germany
Jose Luis Martinez Parra, Universitat Autonoma de Barcelona
Daniele Paserman, Boston University
Antonio Pasini, Università di Siena
Giacomo Pasini, Utrecht University and Netspar
Andreas Peichl, IZA Bonn
Loriana Pelizzon, Università di Venezia
Michele Pellizzari, Università Bocconi, Milano
Eugenio Peluso, Università di Verona
Luca Pensieroso, Université catholique de Louvain
Dario Perkins, ABN AMRO
Enrico Perotti, University of Amsterdam
Avinash Persaud, Intelligence Capital Limited
Alessandro Petretto, Università di Firenze
Thomas Philippon, New York University and Paris School of Economics
Mariacristina Piva, Università Cattolica, Piacenza
Nuria Rodriguez Planas, Universitat Autònoma de Barcelona, IZA, FEDEA
Michele Polo, Università Bocconi
Pedro Portugal, Universidade Nova de Lisboa
Jean-Christophe Poutineau, Université de Rennes 1
Alberto Franco Pozzolo, Università degli Studi del Molise
Luigi Prosperetti, Università Statale di Milano
Josef Puhani, Ludwigshafen University of Applied Sciences
Patrick Puhani, Leibniz Universität Hannover
Marco Raberto, Reykjavik University
Giorgio Ragazzi Università di Bergamo
Xavi Ramos, Universitat Autonoma de Barcelona
Raul Ramos, AQR-IREA, University of Barcelona
Fabio Ranchetti, Università di Pisa
Attila Ratfai, Central European University
Morten Ravn, European University Institute
Assaf Razin Razin, Tel Aviv University
Alessandro Rigoni, Fondazione Nord Est
Ulf Rinne, IZA
Frédéric Robert-Nicoud, LSE
Gianpaolo Rossini, Università di Bologna
Ralph Rotte, RWTH Aachen University
Riccardo Rovelli, Università di Bologna
Giovanni Russo, Università di Trieste
Albert Saiz, The Wharton School – University of Pennsylvania
Enrico Santarelli, Università di Bologna

Paola Sapienza, Northwestern University
Claudio Sardoni, Università La Sapienza, Rome
Lucio Sarno, University of Warwick
Domenico Scalera, Università del Sannio
Wolfgang Scherf, Justus-Liebig-Universität Gießen
Fabiano Schivardi, Università di Cagliari
Nicole Schneeweis, Johannes Kepler University Linz
Marc Schneider, Free University of Berlin and IZA, Bonn
Laurence Scialom, University of Paris
Alessandro Sciamarelli, European Mortgage Federation

Paul Seabright, Toulouse School of Economics
Battista Severgnini, Humboldt University Berlin
Nicholas Shunda, University of Redlands
Anne Sibert, Birkbeck, University of London
Tapen Sinha, ITAM, Mexico and University of Nottingham, UK
Georges Siotis, Universidad Carlos III Madrid
Marko Skreb, Former Croatian National Bank Governor

Peter Sloane, Swansea University
Francesco Sobbrio, IMT Lucca Institute for Advanced Studies
Eva Soebbeke, University of Goettingen, Germany
Luca Solari, Università Statale, Milano
Lina Song, Nottingham University
Bent Sorensen, University of Houston
Luigi Spaventa, University of Rome
David Stadelmann, Universität Freiburg
Stan Standaert, University of Mons
Erling Steigum, Norwegian School of Management
Uwe Sunde, University of St.Gallen
Alan Sutherland, University of St Andrews
Jan Svejnar, University of Michigan and CERGE-EI
Massimiliano Tani, Macquarie University
Alan Taylor, University of California, Davis
Piero Tedeschi, Università Cattolica di Milano
Stavros Thomadakis, Economics, University of Athens
Cedric Tille, Graduate Institute for International and Development Studies

Patrizio Tirelli, Università Bicocca, Milano
Gianni Toniolo, Duke University e LUISS, Roma

Juan Toro, Instituto de Empresa Business School
Ugo Trivellato, Università di Padova, IZA, CESifo
Leonello Tronti, Università di Roma Tre
Jiong Tu, IZA; McMaster University
Gianfranco Tusset, Università di Padova
Karen Helene Ulltveit-Moe, University of Oslo
Cees van Beers, Delft University of Technology
Harry van Dalen, Tilburg University

Jeroen van den Bergh, Universitat Autonoma de Barcelona, Vrije Universiteit Amsterdam
Rick van der Ploeg, University of Oxford
Rudi Vander Vennet, Ghent University
Bernard van Praag, University of Amsterdam
Reinold van Til, IMF, retired
Carsten Valgreen, Benderly Economics
Francesco Vella, Università di Bologna

Alessandra Venturini, Università di Torino
Frank Verboven, K.U.Leuven
Xavier Verge, Universitat Autonoma de Barcelona
Frederic Vermeulen, Tilburg University
Marcello Vicarelli, General Electric Real Estate
Jelle Visser, University of Amsterdam
Giampaolo Vitali, Ceris-Cnr, GEI
Marco Vivarelli, Università Cattolica, European Commission
Ferdinand von Siemens, University of Amsterdam
Ernst-Ludwig von Thadden, Universitaet Mannheim
Ulrich Wacker, Thurgau Institute of Economics
Gerhard Wagenhals, University of Hohenheim
Uwe Walz, Goethe University Frankfurt
Guglielmo Weber, Università di Padova

Niels Westergaard-Nielsen, University of Aarhus, IZA
Mika Widgrén, Turku School of Economics
Rudolf Winter-Ebmer, University of Linz, Austria
Nikolaus Wolf, University of Warwick and CEPR
Justin Wolfers, The Wharton School, University of Pennsylvania
Stephen Yeo, CEPR

Josef Zechner, Vienna University of Economics and Business Administratin
Karl Zinn, Technical University Aachen
Aslan Zorlu, University of Amsterdam

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IL COMMENTO DI SUSANNA CAMUSSO, SEGRETARIO CONFEDERALE CGIL, ALL’INTERVENTO DI BOERI E GARIBALDI

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ANATOMIA DI UN SISTEMA

55 commenti

  1. Massimo GIANNINI

    Leggendo la frase "ricapitalizzazione del settore bancario, attraverso l’iniezione di fondi pubblici o attraverso la conversione obbligatoria del debito in capitale azionario" mi viene in mente l’origine della Banca d’Italia…Il fatto è che prima di agire bisognerebbe avere un’idea delle conseguenze e i costi. Se si usano fondi pubblici non si puo’ fare senza accountability (parlamenti nazionali e cittadini) e se si converte forzosamente il debito in capitale azionario bisognerebbe sapere di più sulle conseguenze della nuova compagine azionaria e governance (chi comanda?). L’uso di fondi pubblici rappresenta poi una sorta di partita di giro se i paesi presentano deficit di bilancio da finanziare. Bizzarra l’idea dell’uso della BEI considerati il suo livello di accountability e governance e margini di manovra. Non vorrei che l’approccio a geometria variabile, certamente raffinabile e reso più trasparente, sia in realtà il più adatto sotto regole e controlli certo comuni che evitano appunto la balcanizzazione.

  2. Vince

    Mi dispiace dover dissentire con gli stimati economisti che sostengono quest’appello, che appare come una reazione incoerente e inopportuna (soprattutto per ciò che riguarda il riferimento alle istituzioni dell’UE, come ho avuto modo di commentare più volte). Oggi è il tempo per osservare e analizzare ciò che sta accadendo. Domani sarà il tempo per regole e controlli migliori. Non fatevi prendere dalla paura, spesso infondata. “Le turbolenze dei mercati finanziari” sono normali e addirittura necessarie per correggere i disequilibri che si creano. Ciò è vero sempre: sia quando le correzioni sono in positivo e sia quando lo sono in negativo come ora. I governi si preoccupino delle misure per ammortizzare le conseguenze sociali, come in ogni crisi di mercato. Gli investitori, invece, imparino a stimare i rischi, oppure a non correrli. Con affetto e in buona fede, Vince.

  3. Luciano

    Prima di fare appelli di categoria, che preludono a salvataggi con soldi pubblici, non vi sembra il caso di fare almeno qualche piccola riflessione critica sulle teorie economiche e sull’informazione finanziaria che sono circolate in questi ultimi anni, che sono state quanto meno complici (se non addirittura cause) di questo baratro in cui rischiamo di precipitare. Con i migliori saluti. Luciano

  4. Ivano Urban

    Questa mattina su RaiNews.24 Matteo Colaninno intervistato da Corradino Mineo sulla attuale crisi finanziaria, ha chiuso la sua analisi riportando un commento del Primo Ministro Cinese Wen Jiabao che recitava: “la mano invisibile ha alimentato il mercato adesso ci vuole una mano visibile che detti le regole”. Praticamente ci sta prendendo in giro, e a mio parere con ragione. Negli ultimi 10anni il PIL della Cina è cresciuto mediamente del 13% anno e la loro economia interna invece mediamente del 2,5%, investendo i propri profitti, una massa gigantesca di denaro (si stima 2.000 Mld$, su titoli di stato di molti paesi occidentali che come risulta dai fatti attuali noi non abbiamo saputo spendere al meglio. Da una parte gli abbiamo costruito una economia industriale di cui ne siamo diventato “dipendenti”, e loro al posto di far decollare la loro economia interna hanno preferito ritornarci indietro i soldi acquistando i nostri titoli di stato (dell’intero occidente intendo). Questi adesso sono li a batter cassa e noi a correre per trovare i soldi per pagare i debiti… Lascio a voi la conclusione; mio Nonno in una simile situazione direbbe “becchi e pure bastonati”.

  5. Ivan

    Pienamente d’accordo con quanto avanzato in qesto articolo. Ma che si dia finalmente inizio ad una effettiva politica economica europea "unica", dove l’Europa finalmente acquisisca sul piano mondiale un ruolo chiaro, univoco e d’indirizzo alternativo alle logiche del dollaro ed al potere statunitense di agire senza considerare i vincoli del rapporto con l’estero della propria economia. Il mercato finanziario non va demonizzato: garanzie e capacità di assorbimento del rischio acquisito, un ruolo attivo e più consono dei sistemi di vigilanza che vanno ancor più integrati sul piano internazionale, disclusure informativa dell’attiva degli istituti finaziari: sono queste tre cose che pongono le basi per una corretta evoluzione del mercato. Ma esistono già… Basilea 2 è tutto questo e quindi dov’è il problema? Il problema è nella interferenza continua delle lobby (grandi gruppi bancari con operatività internazionale) nel processo evolutivo della normativa di vigilanza. I problemi di cui oggi si parla erano ben noti al processo evolutivo che ha condotto a Basilea 2, anche se la gestazione regolamnetare è durata 8 anni ed è stata in alcune parti, diciamo così, addolcita.

  6. angelo Palillo

    Da più di trent’anni si sono creati strumenti di finanza virtuale, opzioni sui titoli,sulle materie prime, etc. Tutto è acquistabile, non per investire ma per lucrare sulla differenza. Quanto petrolio è passato realmente di mano per far arrivare il prezzo ad otre 140$? Io penso poco o niente. Allora bisogna riportare il mercato a ragionare su utili, dividendi, valori delle società, prospettive del mercato, sulla domanda di beni o servizi. Regolamentare il mercato è ormai indispensabile. Quale economia può sopravvire vendendo pezzi di carta. Se aboliamo gli squilibri del mercato, gli eccessi del guadagno facile, aboliamo i derivati, le opzioni, le vendite allo scoperto si eviterà il disastro finanziario.

  7. Livio

    L’appello è sempre un atto di responsabilità se non usa toni fuori luogo. Questo appello lo ritengo utile e lo condivido in buona parte. Aggiungo che rispetto agli USA il punto debole della crisi europea è la popolazione UE che è a maggior rischio di panico che in sintesi vuol dire ritirare buona parte dei soldi dai conti correnti. Questo sia perchè esiste un clima di fiducia generale molto basso da diversi anni e che si potrebbe dire strutturale. Sia perchè vi è una probabilità molto alta che le comunicazioni che seguiranno al concretizzarsi della crisi saranno confuse, visto la pluralità di nazioni e di politiche, e le azioni molto limitate a causa di leggi e disponibilità finanziarie. Ne volete un esempio? Perchè il premier italiano ieri si è premurato di rassicurare gli italiani che non consentirà a nessun cittadino di perdere i soldi che hanno nelle banche? Nessuno ha ipotizzato qualcosa del genere sino a ieri. Ma dopo questa esternazione molti hanno cominciato a riflettere su tema. Ecco perchè condivido l’esortare all’azione Governi e Ue prima che che la crisi si manifesti completamente. Le discussioni sulle teorie economica sbagliate le riinvierei al dopo crisi.

  8. Marco

    Stimati Professori, voi scrivete che il salvataggio delle banche "deve essere fatto a livello europeo … L’approccio attuale, con il salvataggio di un istituto dopo l’altro utilizzando fondi nazionali, porterà solo a una balcanizzazione del settore bancario europeo". Francamente, non riesco a capire il perché della vostra affermazione.

  9. Agostino De Zulian

    Non concordo un intervento diretto dell’Ente Pubblico nella attuale crisi finanziaria. Potrebbe portare storture al mercato con ulteriori danni. A livello bancario penso che se la necessità di liquidità non possa essere sanata con nuove emissioni obbbligazionarie è giusto la trasformazione del debito in nuove azioni a diluizione del valore delle stesse. Ho sempre ritenuto la crisi attuale SOLO uno spostamento di risorse e capitali dal mondo industrializzato verso altri luoghi con l’impoverimento della prima parte citata del pianeta a favore della seconda. Stati Uniti d’America ed Europa se voglio mantenere gli attuali stand di benessere devono eliminare servizi inutili e produrre a costi competitivi al fine di limitare, senza dazi e senza aiuti pubblici, le importazioni qualunque esse siano nel primario, secondario, terzario e nella ricerca. L’intervento Statale deve essere rivolto alla equa redistribuzione della ricchezza prodotta senza nessun ulteriorie indebitamento, anzi lo Stato deve limitare i debiti pregressi se sono eccessivi. I debiti pubblici a lungo termine sono anch’essi storture del mercato ma anche e soprattutto condizioni di sudditanza di intere Nazioni verso terzi.

  10. giuseppe

    La crisi è finanziaria sui telegiornali e giornali nazionali , la crisi è più reale sui mezzi d’informazione localele perchè è costata e costa tanti posti di lavoro. faremo un piano per salvare le banche europee? beh tra tutte è proprio necessario salvare quelle italiane? riflettiamo: gli americani hanno esagerato con le leve finanziarie ma alla fine si ritroveranno un sitema industriale che ha assorbito le principali innovazioni tecnologiche ed ha le basi solide per guidare lo sviluppo futuro del paese. noi salveremo ex monopoli di stato e banche che prestano solo a chi ha ,in casa, ed all’estero si fanno trascinare dall’innovazione esclusivamente finanziaria più spregiudicata. non vorrei che il nostro benemerito sistema bancocentrico abbia finanziato l’evoluzione economica reale dei nostri partner d’ltre oceano a spese dei lavoratori e risparmiatori (per quei pochi che ancora oggi risparmiano). e spero che qualcuno non voglia paragonare google a l’azienda sponsorizzata ieri sera alla trasmissione di ballarò. con tutta la buona volontà per favore. riflettete…..

  11. elia

    Magari non c’entra molto, però, visto che fra qualche mese i partiti chiederanno voti per il rinnovo del Parlamento Europeo, e visto che la crisi del progetto europeo è palpabile in tutti i campi e solo la politica può metterci mano, il vostro appello – che al di là del merito è un fatto politico – mi fa pensare che i partiti italiani in questi giorni stanno pensando a tutt’altro, Berlusconi forse alla lista di grandi esperti, Casini alle preferenze, Veltroni forse a sperare di esserci ancora dopo il voto, e altri alla soglia di sbarramento. Per l’Europa e per i cittadini europei c’è tempo…

  12. Giovanni

    Egregi Professori, non è che forse sia migliore cosa lasciare libero il mercato finanziario di procedere verso nuovi assetti di aggiustamento ? Forse parlando troppo di rimedi (vedi intervento pubblico nell’economia finanziaria, e regolamentazioni varie) si sta mettendo in crisi, no la finanza, si la crescita dell’economia reale.

  13. Daniele Toscano

    A quando un comunicato degli economisti che dica la verità sulle Banche? Comunque, sì, ora non ci sono alternative ma non salviamo le banche e lasciamo poi lì chi c’era prima. Aiuti sì ma in cambio di un nuovo modello per le banche.

  14. GiovanniCardinali

    La maggior parte di voi fino a poco tempo fa lanciava appelli affinché lo stato rimanesse estraneo ai mercati perché questi si sarebbero regolati da soli, e oggi firmate appelli perché i governi, cioè i cittadini con le loro tasse, intervengano per salvare chi a sprezzo delle regole ha speculato creando bolle finanziarie virtuali che valgono 10 volte il Pil globale. Inoltre il problema non si risolve creando un altro problema. Un debito non si salda con un altro debito più oneroso accollato sulle spalle dei cittadini. Oggi siamo difronte ad una crisi sistemica, ad un qualcosa che va oltre la crisi dei mercati ed il fatto che si sia agito senza regole. Cioè fino a quando non si arriva a comprendere il perché si sia generata la crisi dei subprime è inutile agire con operazioni di salvataggio. Fino a quando non si comprende il perché tutto il nostro sistema è entrato in crisi si continua a perseverare nell’errore. E la ragione è molto semplice:la globalizzazione sta comportando una distribuzione di ricchezza sproporzionata. Ora ne paghiamo gli effetti.

  15. Piero

    Essendo un profano, digiuno di cultura economica, faccio fatica a capire perché, invece di fare le iniezioni alle banche non si sia intervenuti con cure mirate sulle vere vittime di una pandemia finanziaria, cioè con sussidi alle famiglie più povere, insolventi nei confronti degli istituti erogatori di mutui subprime e altri prestiti (ci sono anche le carte di credito revolving); ma capisco che negli USA una politica del genere sarebbe rivoluzionaria e improponibile per un’infinità di ragioni storiche, politiche e strutturali. Mi chiedo se in Europa, dove lo stato sociale non è ancora stato smantellato, un tale capovolgimento di vedute (aiutare i piccoli debitori per salvare i grandi) sia una mera utopia; oltretutto l’assenza di un ministero europeo dell’economia dovrebbe obbligare i singoli stati ad interventi differenziati, possibili solo se diretti a sostenere l’ultimo anello della crisi, cioè i cittadini, dato che i grandi gruppi bancari sono tutti imparentati fra di loro. Chiedo scusa per la mia ingenuità.

  16. mimmo

    Finalmente la sbornia neoliberista è arrivata al capolinea. Regole, forti imposte progressive, ricambio della classe politica, regolamentazione dei fondi e di tutte le entità finanziarie nate negli ultimi venti anni, regolamentazione della pratica delle stock options, una più equa distribuzione del reddito, rilancio e riqualificazione dell’intervento dello stato.

  17. Enzo Lumiella

    Quello che nessuno vuole sottolineare è che è l’economia reale a non andar bene e non potrebbe essere altrimenti. Quando nel 2004 Wells Mandeville pubblicò "Il crollo economico del 2006-2007" nessuno lo prendeva sul serio, così come Eugenio Benetazzo (trader indipendente) con il suo "Duri e Puri". L’immissione di liquidità di 700 miliardi di dollari da parte degli States i di 300-400 miliardi di EUR da parte delle banche europee può dare un pò di sollievo ai mercati, ma l’economia reale andrà dove deve andare. Questa volta non ci sono le condizioni post 29 e sarà ancora più dura. Ci saranno un mucchio di licenziamenti e di frustati in cerca di malpagati lavori. Se avete ancora 2 quattrini teneteli stretti e non spendeteli in sigarette, nell’ultimo modello di autoveicolo, nell’ultimo modello di telefonino. Borsa. Provate a ragionare: un’azienda emette un miliardo di azioni ad un euro ciascuno. Questi "pizzini" vanno da una persona ad un’altra. I più bravi vincono i più asini perdono, il denaro si ridistribuisce. L’azienda col miliardo di euro di ingrandisce… e mai verrà restituito il miliardo iniziale. I pizzini per sempre volano da uno all’altro.

  18. antonio

    L’Italia, nella sua parte consapevole, vive con duplicata angoscia questi momenti. Le riforme che il Governo italiano in carica ha in animo di varare – in particolare il Federalismo fiscale – implicano di per sè spese rilevantissime e periodi di "aggiustamento" economico-finanziario protratti nel tempo. E questo non è certo il momento per realizzare tali progetti faraonici, nè concentrare l’attenzione su questo o quel problema nazionale, d’importanza comunque secondaria e locale, rispetto all’esigenza di primario "impegno condiviso" sovranazionale nello studio e sperimentazione di mezzi internazionali atti ad affrontare l’emergenza economico-finanziaria in questione. Io confido che gli Organismi Internazionali competenti vogliano richiamare l’Italia ad impegnarsi totalmente nella detta opera senza disperdere la propria azione in modi al momento assolutamente impropri e rischiosissimi.

  19. Stefano

    E se cominciassero ad abbassare l’Euribor?

  20. usemlab

    Per quanto appaia la presenza di numerosi nomi accademici a sostegno di questa proposta, si dimostra ancora una volta come non si sia ancora capito molto della portata della crisi, né delle soluzioni al problema. le nostre al sito: http://www.usemlab.com/index.php?option=com_content&task=view&id=291&Itemid=1 del resto il problema parte da errori nella scienza economica ancora insegnata ufficialmente. la lettura di un buon mises potrebbe aiutare tanta gente. L’azione umana sarebbe sufficiente.

  21. Marco

    Non capisco con quale coraggio (o incoscienza) si pretende di salvare con soldi pubblici delle entità come le banche, che speculano coi soldi dei cittadini, prestando denaro (in Italia) a condizioni simil-usurarie. So già la risposta ufficiale. Non parliamo del consorzio di banche che gestiscono il signoraggio, vara radice di gran parte dei mali. Il problema non è salvare la situazione mantenendo il regime pseudo-liberista ma – al contrario – riprendere il controllo delle economie regolamentando severamente. Liberismo economico, mercato che si autoregola… bugie vecchie che son buone per gli imbonitori delle masse disinformate e ridotte a una sudditanza indegna di un’Europa che si definisce democratica.

  22. Giovanni Pizzocchia

    Nel ’29 a creare la crisi contribuì, in maniera determinate, la paura stessa che la crisi si potesse verificare, secondo la teoria di Merton della profezia che si autoavvera. In pratica il panico di tutti che vogliono ritirare le loro azioni, la liquidità ecc., accellera e determina il crack. Succede un pò come nelle fughe da un ambiente chiuso, quando c’è un allarme, reale o fittizio diventa relativo, poichè il panico crea più morti della causa stessa che aveva provocato l’allarme! In pratica bisogna prevenire, creare le vie di fuga "in tempo di pace", non in emergenza, quando è tardi. Esistono le vie di fuga? Sono previste soluzioni, in modo da gestire l’emergenza con razionalità? Non credo che dal 29, dopo novantanni i governi non abbiano fatto tesoro di quell’esperienza. Siamo nella globalizzazione, dovrebbero esserci "delle compensazioni". Ho letto qualcosa a proposito, non sono un economista, ma mi sembra che esistano soluzioni. Bene che vengano adottate, invitando le masse a non far precipitare la situazione.

  23. salvatore forzisi

    Sottoscrivo il piano con una estensione a tutto il sistema finanziario mondiale, data la sinergia fra le borse. Studio Lagonda Salvatore Forzisi

  24. Valerio

    La "meravigliosa" ingegneria finanziaria ha fatto di tutto nell’ultimo decennio per inventarsi una ricchezza fittizia, e questo anche con il contributo di quei professori complici e silenti. Ora si chiede come sempre l’intervento pubblico per metterci una pezza. Siamo di fronte all’ennesimo gioco di potere che vuole la privatizzazione degli utili e la socializzazione del debito. Sono contrario, a questo punto muoia Sansone con tutti i filistei.

  25. Lorenzo

    Ma Giavazzi non diceva fino a 15 giorni fa che il mercato era in grado di salvarsi da solo (vedasi 300 parole "Una vittoria del mercato" ? E che Aig l’avrebbero salvata i privati? Come stanno allora realmente le cose?

  26. paolo

    Mi domando dove erano questi signori, quando il perfetto modello che sta nelle loro piccole teste veniva goffamente ed a forza fatto ingoiare a tutto il mondo…un modello, un sogno e come tutti i sogni fatto di nulla. Ora ci dicono cosa dovremmo sopportare per salvare il loro sogno, altrimenti, ci dicono, sarà guerra e sangue e terrore…forse, può darsi, o può darsi di no. In pratica ci puntano una pistola alla tempia, ma forse la pistola è scarica, chissà…forse è solo la paura di abbandonare questo sogno che oramai è un incubo…

  27. Daniel B.

    Una delle soluzioni proposte per uscire dalla crisi è quella di ricapitalizzare le banche europee, magari con l’intervento pubblico. Ma perchè dovrebbero essere i contribuenti a pagare il prezzo della sciaguarata gestione delle leva finanziaria delle banche? In questi anni le banche hanno fatto profitti da capogiro, credo che in primis i soldi per la ricapitalizzazione dovrebbero essere messi da chi in questi anni ha guadagnato dalla bolla che adesso è esplosa.

  28. giuseppe

    Mi spiace contestare il parere di tanti valenti economisti la cui opera sicuramente sarà ricordata nei secoli a venire (in particolare mi riferisco all’ingegner Giavazzi). Ritengo questa proposta immorale, economicamente inefficace e politicamente pericolosissima. Moralmente perchè viene leso il principio per il quale chi sbaglia paga. Economicamente inefficace perchè non si aggredisce il problema legato alla recessione incombente. Ricordo inoltre che permane il silenzio totale sulla quantità di perdite subite dal sistema. Con la permanenza di questa "asimmetria informativa" è inaccettabile qualsiasi intervento dello Stato. Politicamente la manovra può rivelarsi un saccheggio delle finanze pubbliche a danno dei cittadini. Ciò potrebbe portare a gravi sconvolgimenti. Registro infine con soddisfazione che nessun professore della facoltà di economia "R. Goodwin" di Siena ha firmato questo appello.

  29. babel63

    Leggendo l’elenco dei firmatari l’analisi sembra corretta. E invece non lo è. Perchè? Perchè scritta da voi non è credibile. Nei primi anni ’90 avevate, con un processo sommario, giustiziato in quattro e quattr’otto la parola "Stato". Lo Stato era la malattia e la cura era il neoliberismo con la sua famosa "mano invisibile" che autoregola privatizzando anche l’aria. Dopo quindic’anni di propaganda scopriamo che il libero mercato che ci avete venduto non è mai esistito, (1) e che la mano invisibile deve ritornare velocemente visibile. Se un ludopata va al Casinò e perde, ci dobbiamo sentire ancora obbligati a finanziargli le fiches affinche possa continuare a praticare il suo vizietto? (1) Il libero mercato esiste, però solo per chi, come dicono qui in Spagna, non sta "enchufado" (raccomandato). Per voi, per esempio, non esiste il libero mercato….

  30. francesco scacciati

    Sarei anche d’accordo con il contenuto dell’appello ma non lo firmerò. Non voglio che il mio nome stia nello stesso elenco di molti che fino a ieri hanno spiegato, urbi et orbi, che il libero mercato (compreso quello finanziario…) crea sempre da sé l’equilibrio, purché non disturbato da interventi pubblici che ne distorcono l’armonia, che la globalizzazione porta solo vantaggi per tutti, che le variabili monetarie hanno solo effetti nominali e non reali, che è inutile preoccuparsi della disoccupazione involontaria …because there is no such thing (R. Lucas, premio nobel per l’economia nel 1995) e via sproloquiando. Adesso che la barca affonda, come nel ’29 (ma per fortuna i testi di Keynes e della scuola keynesiana sono già scritti per spiegare, con qualche ammodernamento, cosa fare), rieccoli tutti alla “arrivano i nostri” brandendo il vessillo dell’intervento pubblico e spiegando a tutti le meraviglie della regolamentazione. PS: per chi ha voglia di diverstirsi propongo la rilettura de "il liberismo è di sinistra" di Alesina e Giavazzi, ovviamente tra gli estensori del documento in questione.

  31. ernesto scontento

    Sbandate da una parte all’altra, quando siete per il mercato libero e liberista. E siccome non avete la sfera di cristallo a fatti avvenuti vi proclamate parzialmente interventisti. Forse un ripasso di quanto scritto da Keynes e Galbraith farebbe bene a tutti professori compresi.

  32. Marco Solferini

    Citazione dal Film Wall Street, Gordon Gekko interpretato da Michael Douglas: "Il più ricco 1% del paese possiede metà della ricchezza del paese, 5 trilioni di dollari. Un terzo di questi viene dal duro lavoro, 2/3 dai beni ereditati, interessi sugli interessi accumulati da vedove e figli idioti, e dal mio lavoro, la speculazione mobiliare-immobiliare. È una stronzata, c’è il 90% degli americani là fuori che è nullatenente o quasi. Io non creo niente, io posseggo". E’ di questo che stiamo parlando con il c.d. piano di salvataggio americano: difendere l’Establishment, l’oligarchia bancaria che tramite una fitta rete di social network ha gestito con avidità e spregiudicatezza competitiva i prodotti finanziari del sistema finanziario. Un Agamennone accecato dal proprio desiderio grandezza, che ha voluto plasmare con scarsa moderazione il sistema interagendo come una piovra e dilagando come un tumore cellulare. L’appello è giusto, è doveroso, ma chi lo metterà in pratica se solo poco più di un anno fa in Italia leggevamo delle telefonate che i nostri politici facevano ai vari banchieri di turno, prostrandosi al capezzale del Dio denaro entrato a pieno titolo fra il Pantheon degli dei.

  33. luigi zoppoli

    Leggere i commenti talora è una chiave di comprensione dello stato del paese. Non bastando fiscalisti che fanno gli economisti, abbiamo anche commentatori che ritengono di essere tra i pochi eletti ad aver capito beninteso tutto. Proprio come se la crisi ed i rimedi ad essa fossero una partita della nazionale per cui si pretende che le chiacchiere da bar assurgano a dignità accademica. Ha ragione quel giornalista di Repubblica che parla di trionfo della mediocrità e, aggiungo io, della malriposta arroganza. Il guaio è quando i tecnici da sala biliardo di bar di periferia vanno nelle stanze dei bottoni. Luigi Zoppoli

  34. attilio

    Se i richiami all’eccezionalità del momento e alla necessità di una politica economica finalmente unitaria a livello europeo sono del tutto condivisibili, il capitolo delle soluzioni mi pare vago e perfino contraddittorio: l’iniezione di fondi pubblici e la conversione obbligatoria del debito in capitale capitale azionario non sono proprio la stessa cosa, anzi! Soprattutto non si capisce come sia possibile immaginare (e in Italia praticare) che al cittadino-contribuente sia chiesto di indebitarsi per coprire un debito assunto da soggetti (banche, assicurazioni e loro clienti) pienamente identificabili e a fronte del quale gli stessi soggetti hanno già interiorizzanto i connessi dividendi. E poi con quali regole? Con quali uomini? Con quali garanzie di rispetto del mercato? Con quali obiettivi di rientro (o meglio di "ri-uscita")? E soprattutto, con quali risorse? Lo Stato può solo ulteriorrmente indebitarsi per salvare un sistema finanziario inefficiente, pagarne il costo gravando ulteriormente sulle future generazioni e ripianare il debito assunto restituendo gli asset al mercato della finanza. Alla fine della centrifuga chi ci guadagna e chi ci rimette?

  35. Altromedia

    Lo stato deve entrare nel capitale e negli utili di chi ha salvato;è una semplice legge del mercato. Io ti pago e tu mi dai. Non snaturiamo le leggi del mercato con assistenzialismi strani.Incoraggiamo la proposta presso i politici italiani ed europei.

  36. Vince

    Ho già criticato quest’appello. Ora vediamo quali possono essere le soluzioni per affrontare la crisi. Credo che l’impegno preso da Irlanda e Germania di garantire tutti i depositi privati sia coerente e utile. In questo modo si tutelano i risparmiatori e si mantiene costante il loro livello di fiducia. Le banche centrali devono intervenire sui mercati monetari per far fronte alla mancanza di liquidità, ma in coerenza con i propri doveri istituzionali primari (per la BCE, per esempio, controllare prima l’inflazione). Altri interventi governativi non sono giusticati, se non indirizzati alle conseguenze sociali (es. perdita del posto di lavoro, ecc.) dovuti anche alla presumibile recessione da affrontare. Pensare di utilizzare la BEI per aiutare le banche sarebbe un insulto. Il mercato, e solo lui, farà tutto il resto. Le banche più esposte subiranno delle notevoli perdite. Dovranno ricapitalizzarsi. Alcune potrebbero fallire. Una mangerà l’altra. Altri soggetti potrebbero entrare nel settore bancario per colmare il gap e avviare così un sicuro business. Così facendo il settore dovrebbe ripulirsi a sufficienza. Compresa l’epurazione dei manager incompetenti: i veri responsabili.

  37. giannino soncini banca fideuram

    La bce è attenta all’inflazione la quale scende per conto suo visto ilcalo dei consumi ecc. ecc. sarebbe ora che fosse attenta anche alla situazione economica, invece di fare la figura della fannullona. A chi tocca abbassare i tassi?

  38. andrea

    Mi spiace, ma questa volta non sono d’accordo. E’ immorale,oltre che stupido, pensare che quegli stessi banchieri, governati da una assoluta mancanza di etica e di morale, debbano essere salvati. Possiamo pensare di salvare le banche come istituzione,ma non chi le ha governate in una maniera così stupida e arrogante. Si sono dati stipendi e bonus miliardari senza alcuna ragione logica, hanno sempre pensato solo e soltanto ai loro interessi, e a questa gente dovremmo dare ancora credito? No, si abbia il coraggio di attuare prima un repulisti totale: si dia un segnale forte: chi ha sbagliato deve pagare e andare in galera. Si sequestrino i bonus degli ultimi 2 anni e poi allora si chieda ai cittadini di contribuire. Sono sicuro che nessuno di noi si tirerebbe indietro. Ma non capite che nemmeno gli stessi ladri si fidano l’un dell’altro? Ma non vedete che c’è una assoluta diffidenza tra banchieri perchè sanno benissimo con chi hanno a che fare? No prima cambiamo tutti i vertici,processiamo quelli passati e poi potremo chiedere ai cittadini un sacrificio. Basta con questo tipo di capitalismo che dà profitti a pochi quando va bene e socializza le perdite quando va male.

  39. leonardo lucacci

    Leggo con piacere che si propone di "socializzare le perdite", quanto fino a 3 mesi fa si privatizzavano i profitti delle banche. Non so se la soluzione proposta sia giusta, o addirittura se sarà efficace. Dico solo che questo caos ha dimostrato il fallimento della finanza internazionale a discapito dei cittadini e delle aziende: con Basilea 2 che sta completando il lavoro distruttivo! Vorrei inoltre segnalare un sospetto: se vedete i grafici delle principali banche quotate si vede chiaramente che dal 2004/2005 sino al 2008 hanno registrato una curva convessa e i valori di oggi si approssimano a quelli di ieri, come se la bolla non fosse immobiliare, ma una vera e propria bolla del credito! Dove erano gli organismi di controllo? Perchè si è permesso alle banche di performare in modo sospetto piazzando sul mercato prodotti "velenosi" e non premiando quelle che favorivano il risparmio sano e le aziende? Le banche del nostro paese sono come un gregge di pecore, le prime due o tre dettano le strategie e le altre si adeguano.

  40. Dr.Vito Misino

    La finanza assolveva ad una funzione fluidificante dell’economia reale e più strettamente manifatturiera. La deviazione rispetto alla > originaria e la volontà di creare profitti propri (magari a pregiudizio della componente reale dell’economia) ha provocato la crisi in cui ci troviamo. Non poteva più reggere un sistema la cui economia reale cresceva poco se non nulla, mentre si moltplicavano i profitti della cosiddetta economia finanziaria. Si è quindi determinata quella nota forma di alienazione per cui il mezzo (la finanza a sostegno dell’economia reale) si è tramutato in fine. La posta in gioco è quella per cui venendo a mancare la funzione fluidificante degli scambi e degli investimenti assolta dalla componente finanziaria, anche l’economia reale potrebbe subire un pregiudizio gravissimo e la sua cura sarebb e comunque più lunga e onerosa per tutti rispetto ad un sostegno oggi possibile del sistema bancario europeo con una politica che sia coordinata.

  41. Massimiliano Claps

    Mi sembra che in questi giorni arrivino messaggi un po’ confusi, anche nella recente intervista per un quotidiano italiano, il prof. Roubini, che finora ha previsto molto lucidamente i possibili effetti a catena di questa crisi sul mercato del credito, diceva che il problema è ricapitalizzare il sistema, non immettere più liquidità, però poi diceva che la BCE dovrebbe abbassare i tassi per allentare la stretta sul credito. Mi chiedo se le due cose non siano in contraddizione e non si rischi di trovarsi nella stessa trappola della liquidità che si è avuta in Giappone negli anni ’90. In generale concordo con la vostra idea della ricapitalizzazione e soprattutto con la necessità di poche semplici regole che costringano istituti finanziari e altre aziende ad affidarsi un po’ meno alla leva del debito. Purtroppo ancora una volta, l’impasse di questi giorni dimostra che l’Europa è a metà del guado, la politica monetaria è comune, ma quando si vanno a toccare elementi rilevanti quali le politiche fiscali e di regolamentazione dei mercati, si sentono 27 voci diverse.

  42. Alessandro

    Mi pare che i commenti all’appello siano abbastanza unanimi. Non piace il fatto che si sia parlato del "mitico" libero mercato e ora si faccia l’appello al denaro pubblico; non piace che c’è qualcuno che ha fatto danni ma i cocci li paga qualcun’altro; non piace che non ci sia un discorso di più ampio respiro, che non parli solo di soluzioni tampone ma anche di cosa fare nel futuro. Mi sembrerebbe giusto e utile che voi di La Voce rispondeste a questi commenti.

  43. Luciano

    Sarebbe utile che il vostro sito pubblicasse, in modo dettagliato, alcune informazioni relative agli economisti firmatari dell’appello, concernenti: – eventuali incarichi, presenti o passati, come consiglieri di amministrazione o con altri ruoli operativi in istitutuzioni finanziarie (banche, fondi d’investimento, assicurazioni ecc.) che dovrebbero essere beneficiarie di un intervento pubblico di salvataggio a carico dell’erario; -eventuali incarichi, presenti o passati, di consulenza presso gli stessi soggetti finanziari. Questo renderebbe l’iniziativa più trasparente. A presto.

  44. Francesco Scacciati

    Egregi componenti della Redazione, tra gli aspetti migliori degli Stati Uniti vi è il fatto che, in convegni e dibatti, quando si polemizza non si usano mezzi termini o giri di parole, e sopratutto ci si chiama per nome e cognome. Purtroppo in Italia usa poco. Io invece mi firmo per esteso (e non con il solo nome di battesimo) e in ugual modo cito i colleghi con i quali polemizzo.

  45. Francesco

    No a soluzioni tampone, no a guru della finanza e dell’economia che dopo aver lodato il libero mercato e la concorrenza perfetta ( è impossibile già di per se, si sa ma io credo non ci sia mai stata nemmeno una parvenza di concorrenza, ma mi sembra il festival del monopolio) no a interventi paliativi statali. si a regole ma è ora di cambiare seriamente…

  46. FIORELLA FRANCESCHINI

    Ho molta paura per i miei risparmi che sarebbero serviti per il futuro mio e di mio marito. Non credo alle promesse di salvataggio esternate dai nostri politici soprattutto per il fatto che i grandi managers corresponsabili di una allegra gestione sono stati spesso da loro stessi nominati o con essi comunque sono stati amici e sodali. Ho sempre creduto nella economia reale fatta di lavoro e produzione; da vari anni invece troppi hanno avuto il mito delo denaro creato in altro modo anche se lecito. Ora comunque paghiamo tutti per quella euforia che la maggior parte degli economisti ha sostenuto elaborandoci su delle belle teorie.

  47. antonio lavalle

    L’interdipendenza delle Banche e la natura internazionale delle maggiori (che poi sono le più a rischio) richiede interventi sovranazionali.

  48. Hominibus

    Assunto il principio in oggetto come verità che non ha bisogno di dimostrazione, almeno finché non ci saranno connessioni con altre dimensioni e con collegamenti solo a senso unico, i capitali sono passati dalle banche in altre mani, semplicemente, cioé non si sono dissolti nel nulla, e si può anche immaginare realisticamente che appartengano ad operatori molto integrati nel mercato ed attratti dalla prospettiva di potersi sostituire agli istituti finanziari con i quali hanno compiuto le operazioni che ne hanno determinato l’attuale posizione di forza. Ne consegue che, secondo le regole cristalline del mercato libero, non turbato dalla smania politica interventista, gli organismi che hanno generato l’attuale sfascio seguano il loro destino e cedano il posto ad altri organismi che si sono mostrati più accorti, o per capacità proprie od incapacità delle loro controparti. Quindi, che i banchieri perdenti ed i loro depositanti, come in qualsiasi altro rapporto fiduciario reciproco, rimangano legati ad un medesimo destino, essendo possibile per i secondi di poter agire contro tutti i dirigenti, funzionari e consulenti storicamente responsabili della pessima gestione.

  49. gian luca palmerini

    Seguendo i vari dibattiti e servizi specialmente in televisione si sentono spesso parole vuote di significati concreti. Rivolgo quindi un invito a chi mi legge per formulare proposte concrete anche basate su quanto segue: L’Autorità politica: 1) può astenersi dall’intervenire, attendendo che il meccanismo di mercato (= l’aggiustamento automatico di prezzi e salari previsto dalla macro “classica”) riporti il sistema in equilibrio di lungo periodo. 2) può intervenire per espandere la domanda aggregata usando la politica monetaria e/o fiscale (politica economica c.d. “interventista” di tipo keynesiano). Nella seconda ipotesi quali politiche monetarie e quali politiche fiscali ed interventi sul Mercato di lavoro dovrebbero essere praticate?

  50. fernanda

    Gli interventi che i governi si apprestano a dichiarare e varare in queste ore mirano ad evitare che si diffonda il panico da corsa agli sportelli: il più grande spauracchio di tutti gli economisti. Ma ricordiamoci che l’economia finanziaria si basa sulla fiducia. E la fiducia è un bene pubblico inestimabile che è stato messo a dura prova dai comportamenti spregiudicati di managers e politici senza scrupoli che hanno sottratto flussi di denaro dai settori in surplus (famiglie) per bruciarli con operazioni il cui unico fine è stato quello di ottenere stock options e guadagni a dir poco riprovevoli. Ora la carta moneta che verrà stampata dai governi per il salvataggio del sistema finanziario (ma siamo sicuri che basterà?) avrà come effetto negativo la crescita dell’inflazione e del debito pubblico con ulteriore danno dei cittadini. Occorre un nuovo patto sociale per uscire da questa crisi e sanzionare i comportamenti irresponsabili che hanno condotto a ciò. Viceversa sarà difficile ristabilire la fiducia nel mercato e ripartire.

  51. gianpaolo crudo

    Credo che le soluzioni ventilate siano inefficaci perchè non sono chiare le cause della crisi. Spesso si parla di crisi di liquidità, e quindi si suggerisce di intervenire sul taglio dei tassi di riferimento, ovvero nell’acquisto degli asset tossici. Io non credo sia una crisi di liquidità, ma di fiducia, pertanto le soluzioni proposte contribuiscono ad incrementare il moral hazard degli operatori e la sfiducia dei risparmiatori verso le forme di governance. A ben vedere credo che sia opportuno punire le agenzie immobiliari (magari introducendo criteri oggettivi di valutazione e limitando le commissioni), tagliare i costi notarili e le commissioni bancarie, si da far ripartire il mercato immobiliare. Punire le banche, concedendole capitali freschi ma in cambio delle quote della Banca d’Italia. Sottrarre alle banche la gestione finanziaria dei fondi pensione (di cui non si è detto quanto siano esposti alle cartolarizzazioni). Questo è l’inizio della fine del mono alla M.M.!

  52. angelo matellini

    Si chiede la fiducia un pò a tutti, ma fino a quando le banche non avranno fiducia tra di loro e quindi ci sarà un rapporto più congruo tra tasso bce e euribor, sarà difficile che questa attecchisca. Il primo passo, all’interno di misure europee condivise, è indispensabile che lo faccia lo stesso sistema bancario.

  53. Enzo Toscani

    Vorrei che il prof. Francesco Giavazzi spiegasse perche’ sottoscrive questo annuncio, che dice: "Per prevenire in futuro crisi di questa natura, è necessaria anche una regolamentazione a livello europeo dei mercati finanziari e delle istituzioni bancarie europee." e poi scrive sul Corriere della Sera online questo articolo: in cui afferma: "Molti si esercitano nel proporre nuove regole capaci di evitare il ripetersi di simili crisi. Mi pare un’illusione. Le crisi finanziarie non sono una patologia del capitalismo: sono intrinseche al capitalismo. Pensare che sia possibile, grazie a regole migliori e a regolatori illuminati, eliminare il rischio, e quindi le crisi, è una sciocchezza.

  54. Valerio Sisti

    Gentile Redazione, nel bel libro dei Professori Giavazzi e Alesina "Good Bye Europa" si leggono tesi a favore del libero mercato, soprattutto a sostegno delle sue proprietà di autoregolazione e autonomia da qualsivoglia intervento correttivo. Si invitano i lettori ad avere fiducia nel mercato e in chi ne ha fatto il proprio Totem, gli Stati Uniti, e da loro viene chiesto al lettore, di mutuare la fiducia in un sistema che alla fine funziona sempre. Potreste spiegarmi dunque ora, come mai, a seguito di una crisi che proprio dal mercato arriva, quest’ultimo non è in grado di reagire se non con il sostegno pubblico? Ovvero, il mercato funziona nella normale amministrazione della vita economica mondiale, ma di fronte ad ogni crisi, piccola o grande che sia, occorre un’iniezione di attivismo (e denaro) statale?

  55. Pinuccia Rossi

    Seminare il panico col solo fine di salvare le mele marce con i soldi dei contribuenti. E’ una vergogna! Si spera solo che il mercato abbia il sopravvento su proposte politiche e economiche scellerate e che la purga funzioni (nonostante i divieti di consob &co).

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