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I DON CHISCIOTTE DEI NUMERI: I PRESUPPOSTI

Lo scontro in atto tra il governo italiano e la Commissione europea sul pacchetto clima non sembra essere una questione di numeri. Non ci sono infatti numeri fasulli né numeri veri. Ci sono scenari alternativi, come è prassi in questo genere di analisi. E la Commissione sembra avere considerato quello più ragionevole, mentre il nostro governo fa riferimento al più funzionale alla sua tesi, quella di rinegoziare i termini dell’accordo e di prendere tempo. Una tesi politica. E i numeri da tutti citati enfatizzano i costi, ma non tengono adeguato conto dei benefici. Episodio 2: La disputa in atto.

Era da tempo che non si assisteva a uno scontro così deciso tra il governo italiano e la Commissione europea come quello in atto sul cosiddetto pacchetto clima. Lo scontro è stato orchestrato da un terzetto di ministri nazionali composto da Andrea Ronchi, Stefania Prestigiacomo e Claudio Scajola, oltre che naturalmente dal premier Berlusconi. Né hanno mancato di far sentire la propria voce il ministro dell’Ambiente del passato esecutivo Berlusconi, Altero Matteoli, e quello attuale della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. Così come è stata posta dai nostri rappresentanti, e ripresa e amplificata dalla stampa, sembra essere una questione di numeri. In realtà non è così, è una questione politica. Per illustrare e comprendere il senso delle tappe di questa vicenda è necessario tornare un attimo indietro.

L’ANTECEDENTE

Nel marzo 2007 il Consiglio europeo, presidente del Consiglio era Romano Prodi, approva la nuova strategia europea, denominata “Una politica integrata del clima e dell’energia”, ritenuta in linea con l’obiettivo di fondo di contenimento dell’incremento della temperatura media globale entro i 2oC rispetto l’era preindustriale. La nuova strategia è costituita dall’assunzione unilaterale di treobiettivi vincolanti per l’intera Unione, caratterizzati da un ricorrente numero “magico”, il 20. Entro il 2020 l’Unione Europea si impegna a ridurre le emissioni di gas-serra del 20 per cento rispetto al 1990, a portare la quota di fonti rinnovabili di energia sul totale consumato al 20 per cento e di elevare l’efficienza energetica (rapporto consumi di energia su Pil) al 20 per cento. La strategia è divenuta successivamente nota come pacchetto “20-20-20”.
Si può discutere della scelta di questi obiettivi al posto di altri, così come si può discutere della scelta dell’adozione di target vincolanti al posto dell’utilizzo di altri strumenti di intervento. Non è questa la sede per farlo, preme tuttavia sottolineare due aspetti. Primo, in linea di principio la lotta ai cambiamenti climatici si fa anche solo con il primo dei tre obiettivi, quello della riduzione delle emissioni. Gli altri due elementi servono anche altre finalità: sono essenzialmente la riduzione della dipendenza energetica dall’estero e la ricerca, sviluppo e adozione di nuove tecnologie energetiche e di una nuova industria a esse collegata. Secondo, l’assunzione di un impegno europeo si traduce necessariamente nell’assunzione di obblighi per ciascuno Stato membro.

GLI ASPETTI TECNICI

Stante l’approvazione della strategia il Consiglio dava mandato alla Commissione di tradurre in pratica le sue decisioni, dando contenuto preciso a quei propositi. Dopo quasi un anno di analisi, a gennaio 2008 la Commissione presenta il proprio pacchetto di proposte costituito da una serie di direttive, le più importanti ai fini presenti sono due sulla riduzione delle emissioni e una sulle fonti rinnovabili. Interessante è notare che dei tre 20 per cento, quello dell’efficienza energetica viene lasciato da parte e diventa un target aspirational e non più mandatory: viene dunque escluso almeno per il momento dal pacchetto clima.
L’elemento centrale della strategia europea, la sua spina dorsale, resta l’Ets, il mercato dello scambio dei permessi attivato nel 2005 ed entrato nella sua seconda fase, quella 2008-2012. Lo strumento, previsto dal Protocollo di Kyoto, consente agli attori soggetti a controllo delle proprie emissioni di raggiungere il target con la maggiore flessibilità, e cioè con i costi più bassi possibile. (1) Se sono virtuosi potranno vendere la differenza positiva tra il proprio obiettivo e le proprie emissioni, ottenendo un guadagno; se non sono virtuosi, con emissioni superiori al proprio target, potranno acquistare permessi sul mercato a un prezzo che avranno giudicato inferiore a quello che avrebbero dovuto pagare per ridurre le proprie emissioni “in casa”. Entrambi gli attori, che offrono e che domandano, hanno in questo caso la possibilità di scegliere tra modificare il proprio livello di emissioni in relazione al target ovvero compravendere la differenza sul mercato sotto forma di permessi. Si tratta dunque di una soluzione costo-efficiente, rispetto all’alternativa dell’obbligo secco (con sanzioni per le inadempienze) per ciascuno di soddisfare il proprio obiettivo.
Cruciale in questa situazione è la distribuzione degli impegni ai singoli attori, in modo che sia compatibile con il target complessivo europeo. Le proposte di direttiva della Commissione contengono perciò una declinazione a livello di Stati membri degli obblighi loro imposti compatibili con l’obiettivo del 20 per cento. La proposta di burden sharing deve anzitutto assicurare che, dati e simulazioni alla mano, la compatibilità sia assicurata, e vuole inoltre valutare quali siano i costi e i benefici dell’intera strategia, nonché quelli per i singoli Stati con la ripartizione degli oneri ipotizzata.
Anche per le rinnovabili è previsto un analogo meccanismo di flessibilità, rappresentato dalla possibilità di acquistare e vendere titoli su un nuovo mercato, quello delle garanzie d’origine, simile ai certificati verdi nazionali, nel caso in cui la propria quota di energie rinnovabili fosse inferiore (o superiore) al proprio target nazionale. Un altro meccanismo di flessibilità che, come il precedente, svolge la funzione di permettere ai singoli di non soddisfare “fisicamente” il proprio target, senza però violare quello europeo.

I COSTI

I costi in termini di Pil per l’Unione e per i singoli Stati membri dell’intera strategia sono il risultato di una lunga e complessa serie di simulazioni, condotte per conto della Commissione da un noto istituto di ricerca, l’E3M-Lab della National Technical University di Atene, sulla base di un modello economico-energetico-climatico chiamato Primes. (2) Per queste proposte di direttive è infatti tipico prevedere una valutazione del loro impatto e la documentazione relativa a queste analisi è generalmente pubblicata sul sito della Commissione europea.
Punto di partenza è il cosiddetto baseline, lo scenario di riferimento senza gli interventi  prospettati, che poggia su una dettagliata descrizione della struttura del sistema energetico, fatta di equazioni e parametri, e su una serie di importanti ipotesi relative ai drivers sottostanti, come crescita economica, prezzi del petrolio, trend demografici eccetera. (3) Lo scenario di riferimento al 2020 serve come base di confronto con altri in cui si attuano le direttive proposte, e che come tali costituiscono gli scenari “vincolati” o di policy. Quelli considerati variano tra loro per diversi aspetti, ma soprattutto per il diverso grado di operatività dei meccanismi di flessibilità. Ed è sui costi dei vari scenari che è andata in onda la disputa degli ultimi giorni.

(1) “Secondo il presidente del Consiglio, la compravendita di questi titoli assomiglia a un mercato dei derivati simile a quello dei mutui subprime e pertanto va assolutamente abbandonata” (dal sito www.repubblica.it/2008/10/sezioni/ambiente/clima-vertice-ue-2/)
(2) http://www.e3mlab.ntua.gr/
(3) Il baseline scenario è descritto in un documento scaricabile all’indirizzo  http://ec.europa.eu/dgs/energy_transport/figures/trends_2030_update_2007/energy_transport_trends_2030_update_2007_en.pdf.

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EPISODIO V: LE ASPETTATIVE COLPISCONO ANCORA

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SE IL LAVORATORE NON SI RIALLOCA

15 commenti

  1. Rinaldo Sorgenti

    Non è affatto un problema politico ma di numeri, quelli veri. La verifica sugli obiettivi di Kyoto ? Facciamola davvero. Nonostante le evidenze dimostrino che nel nostro Paese siano stati fatti negli ultimi 5 anni più investimenti nel settore termoelettrico di tutti gli altri Paesi Ue27 messi insieme, pare che la cosa non sia ai più nota ed anzi, anche recentemente, si invocavano verifiche di Governo per accertare se non fossero state “dilapidate” ulteriori ingenti risorse per rincorrere un obiettivo (fasullo) che però abbiamo forse eletto a “totem” ambientalista (Kyoto). A mio parere, una domanda dovrebbe sorgere spontanea: “Ma come è possibile che l’Italia sia apparentemente “in ritardo” rispetto agli obiettivi di Kyoto?”. Non è che qualcuno ci ha gabbato e che ai “furbi” italiani sia stato affibbiato un obiettivo irrealistico ed assolutamente discriminatorio, che rende praticamente impossibile raggiungerlo e comunque drammatico per il nostro sistema produttivo riuscire poi a competere nel contesto globale? Allora, smettiamola di farci del male e di raccontarci le “favole di Bali” e pretendiamo di ristabilire parametri corretti ed univoci per tutti.

  2. Massimo MERIGHI

    Numeri, numeri ed ancora numeri, in questi giorni intorno al dibattito sul clima non trovi tra i vari articoli e giornali nessun numero, solo chiacchere! I numeri sono stati messi assieme da una ricerca, il Rapporto Stern il quale ci dice che, il problema esiste e non puo’ essere ignorato e se non facciamo nulla mettiamo a rischio qualcosa tra il 5% ed il 20% del PIL e che i vantaggi di una azione immediata prevalgono sui i benefici nel breve termine del non agire. Perche’ allora continuiamo in questa sterile polemica, solo perche’ dall’ altra parte dell’ atlantico si troverebbero ancora piu’ in difficolta? Ripeto i problemi non si risolvono continuando a ragionare nello stesso modo in cui sono stati creati. Rapporto Stern.

  3. Flamel

    Le considerazioni dell’articolo sono quasi esatte (il quasi è perché non ho nessuna facoltà di controllo), ma all’atto pratico succederà che dipesi dai petrolieri, dipenderemo dai francesi, con una piccola nostra autonomia nelle energie rinnovabili, comunque lontane dai bisogni. Capisco il furbo Sarkosy, che vede nuove attività per il suo paese, ma è inverosimile che continuiamo a restare fuori dal nucleare, dando la possibilità ai nostri vicini di raddoppiare il nucleare con tutti gli stessi rischi e problemi per noi. Ho letto da qualche parte che per ottenere (e ciò è importante fondamentale) delle riduzioni sostanzialmente ininfluenti faremo spendere alla nostra industria cifre che la porranno fuori mercato. E’ un punto tassativo e va considerato, poiché è fonte di pesanti disoccupazioni. Sono punti sui quali dobbiamo essere attentissimi e non farci infinocchiare come facemmo con le quote latte. La nostra agricoltura ne soffre e oltre al danno economico (perdita di guadagno e multe assurde) ci copriamo di ridicolo. Per uno sviluppo armonico e equilibrato di un paese ci vuole una ricca agricoltura e una ricca industria che oggi possono essere ben compatibili con l’ambiente.

  4. Bruno Stucchi

    Professore, ci spiega come vengono contabilizzate le emissioni di CO2? Quali sono le fonti dei dati? Quale e’ la loro incertezza? Chi le certifica? E chi certifica i certificatori? I deputati "verdi"? La lobby dell’eolico e del fotovoltaico (+ il nucleare)?

  5. carlo priuli

    Prima di tutto ci vorrebbe una prova che il riscaldamento globale non sia una invenzione, poi che sia dovuto alla CO2, poi che sia dovuto alle emissioni umane. Non è così pacifico.

  6. rosario nicoletti

    Il primo aspetto da verificare è la situazione di parità o disparità dei diversi paesi UE nei confronti del 20-20-20. La Francia (paese confrontabile al nostro) ha una quota di energia da combustibili fossili pari al 25% circa. Noi attingiamo a questi combustibili per l’85%. Per avere il "20" di riduzione noi dobbiamo ridurre del 17-18% i consumi energetici, mentre la Francia dovrebbe ridurli per una quota meno del 5%. Dire che a firmare un accordo simile siamo stati dei gonzi è dir poco. Sarkozy ha ragione nel difendere gli interessi del SUO paese.

  7. Giuseppe

    Il governo, oligarchico ed industriale, obietta che i costi di adegumento al pacchetto clima ricadrebbero sulle imprese, ma non parla dei benefici che ricadrebbero poi su tutti i cittadini, quali riduzione dell’inquinamento, quindi riduzione di patologie mediche legate all’inquinamento (quindi riduzion di costi per la sanità), riduzione dei costi per la pulizia di strade ed edifici pubblici "anneriti dall’inquinamento", ecc. Sarebbe il caso che si andasse a chiedere agli abitanti di Taranto o Marghera o uno qualsiasi dei tanti siti industriali italiani se gli sta più a cuore laloro salute o i costi che potrebbero sostenere le imprese!

  8. Maestrelli Mario

    La risposta all’osservazione sui costi per le imprese si potrebbe trovare, nelle conseguenze positive che l’azienda alla cui guida si pose il vicepresidente di Confindustria, durante la presidenza Montezemolo, ing.Pistorio: la rese quasi completamente autonoma energeticamente e, con numerose altre iniziative, in 10 fece ottenere benefici per 580 mil. di euro (intervista su "La Repubblica" del 21 ottobre; gli interventi compiuti, invece, li mostrò, uno per uno, in una trasmissione di Rai Tre ad un giornalista, negli ultimi tempi del suo mandato nell’azienda: non fece vedere alcuna centrale elettronucleare). E’ la STM Electronics.

  9. Marco Pagano

    Prof. Galeotti, francamente non capisco perché dovrebbe essere sbagliato rinegoziare i termini dell’accordo e di prendere tempo. La Commissione Europea e’ un posto dove i diversi governi nazionali provano a far valere le proprie ragioni e difendere i propri interessi. Ora quale e’ l’interesse dell’Italia? Non e’ un segreto per nessuno che l’Italia ha un costo dell’energia elettrica più alto in Europa. Questo fatto indiscutibile non può che alimentare l’inflazione e far diminuire la competitività dei nostri prodotti all’estero. Sicuramente non e’ con le energie rinnovabili che diminuiremo il nostro costo dell’energia elettrica anzi come la stessa Commissione Europea ammette questo comporterà un costo addizionale sulla nostra comunità. Io sono fra quelli che crede che bisognerebbe tornare presto al nucleare. L’unica fonte che ad oggi risolve il problema delle emissioni e abbatte il costo dell’energia elettrica. Ammesso che in Italia si riesca a sbloccare la questione autorizzativa, il nucleare in Italia non arriverà ragionevolmente prima del 2020. Per questo credo che dilatare i tempi di attuazione della direttiva 20-20-20 libererebbe importanti risorse finanziare per il Paese.

  10. stefano monni

    Ritengo che la disputa in atto sul pacchetto clima possa presentare caratteri di strumentalità politica da ambo le parti. Se è vero, come da ogni parte si sente dire, che ci troviamo di fronte alla stessa situazione congiunturale attraversata dal mondo intero nel 1929, ritengo che in questo momento bisognerebbe riflettere sulla validità di tale pacchetto. Se infatti il pacchetto si basa tra gli altri su dei presupposti di crescita economica ben precisi e se è vero che dobbiamo aspettarci per i prossimi anni invece un trend recessivo, ritengo sia opportuno rivedere l’impianto. Ritengo al riguardo che più che rinegoziare il pacchetto lo si dovrebbe modificare. Penso infatti che il problema delle riduzioni delle emissioni ad esempio si possa affrontare non con l’Ets ma piuttosto con un sistema di incentivazione a vantaggio delle imprese virtuose sul fronte di tale riduzione, finanziata con sanzioni pecuniarie a danno di quelle meno virtuose. Ciò porterebbe ad una sana concorrenza per intercettare tali incentivi.

  11. Rinaldo Sorgenti

    Prendere per buono il Rapporto Stern circa la valutazione dei supposti benefici da folli iniziative pro-Kyoto equivale a credere alle favole pseudo-ambientaliste. L’Italia è tra i Paesi più virtuosi al Mondo in tema di utilizzo e consumo di energia e questo deve esserci riconosciuto, mentre dobbiamo finalmente smentire i "venditori di paure" (appunto gli "pseudo-ambientalisti" che stanno facendo di tutto per far retrocedere l’Italia tra i Paesi in Via di Sviluppo, per assicurare gli onerosi incentivi alle lobby del solare. Appunto, lo "specchietto per le allodole".

  12. Tommaso Sinibaldi

    Il modo più corretto per misurare l’efficienza energetica di un paese è il consumo di energia per unità di PIL. Questi i dati riferiti al 2003 (World Resources Institute) ed espressi in toe/1M dollari costanti al 2000: Italia 122,8; UK 141,2; Giappone 154; Germania 163,9; Francia 170,5; USA 221,7. Anche in termini di emissioni di CO2 siamo tra i migliori, superati solo dalla Francia, per intuibili ragioni (dati IEA 2003 in t CO2 pro capite): Francia 1,76; Italia 2,13; UK 2,45; Giappone 2,57; Germania 2,83; USA 5,38. A metà degli anni novanta, quando fu negoziato il protocollo di Kyoto e poi il programma europeo la posizione relativa dell’Italia era ancora migliore. Avremmo quindi meritato molte congratulazioni e di essere indicati come esempio da seguire. Invece i governi pro tempore, abbandonandosi ad una trita retorica ambientalista ed alla tendenza alla colpevolizzazione tipica dei governanti italiani – ma soprattutto inetti ed incompetenti, negoziarono un pessimo accordo, col risultato che adesso vediamo: siamo i migliori e facciamo la figura dei peggiori. Ben venga quindi una rinegoziazione e sostanziosa!

  13. Ciodo in Testa

    Chi può costruire centrali nucleari oggi in Italia? Solo Finmeccanica che, guarda caso, ha un ruolo "pesante" in Confindustria. Ma…e l’indipendenza energetica, si dirà ! Ehm, scusi, ma le miniere di uranio in Italia dove sono? Non ce ne sono, però puoi comprare il prezioso minerale a prezzo di monopolio da qualche governo dittatoriale africano o sudamericano. Anzi, così com’è non serve a niente, perchè devi "arricchirlo" con centrifughe speciali: e da chi le compri? Da paesi hi-tech che però se le fanno pagare bene, oppure da qualche stato canaglia (tipo Iran o Corea del Nord). Magari Finmeccanica te ne rivende qualcuna con un piccolo sovrapprezzo del 50. Ok,, ma chi paga tutto ciò? Dai che lo sai, eh sì, lo Stato Pantalone, che è poi l’unico committente di centrali nucleari (le cordate private servono a comprare Alitalia a prezzi di saldo e a risollevarsi dai debiti). Che poi sei tu, il Contribuente. E il deficit sale, ma chi se ne importa, l’importante è che il mio televisore al plasma da 300 pollici continui a funzionare. E anche la mia fabbrica di bulloni low-cost che non vogliono più neanche i Cinesi. La verità è che l’atomo è sovvenzionato più delle rinnovabili.

  14. Rinaldo Sorgenti

    Massimo Merighi ci dice che i numeri non ci sono e che bisogna fare riferimento al rapporto Stern che, nella sua precisione, "spara" ipotesi di fantomatici costi da 5 al 20% del PIL? Se lo stesso avesse con la stessa solerzia e "precisione" voluto calcolare i costi (inutili) per gli altri Paesi diversi dal suo (U.K.) quale sarebbe stato il risultato? I numeri poi ci sono, sia da noi in Italia (Studio SSC 2008) che della European Environmental Agency che confronta le emissioni e l’efficienza energetica tra i Paesi Ue, che dimostrano che sono altri che dovrebbero spendere folli cifre, in quanto l’Italia ha già fatto molto pur nella carenza di materie prime energetiche disponibili. Vedi dipendenza energetica Paese più alta e costosa in assoluto, pur essendo i migliori. Una volta tanto valorizziamo la nostra virtuosità anzichè infangarci da soli.

  15. Andrea Molocchi

    Per capire perchè i costi attesi sul PIL della ripartizione degli obiettivi nazionali pacchetto clima pongano un problema di equità (una forte distorsione della distribuzione dei costi rispetto al reddito pro capite degli Stati Membri) è utile leggere il periodo a pag 7 del rapporto Primes, realizzato dagli stessi consulenti della Commissione, che suona come una sommessa critica dei consulenti verso la scelta finale della Commissione. In sostanza: – avendo verificato che un pacchetto energia privo di burden sharing avrebbe inciso maggiormente sul PIL dei paesi più poveri dell’UE (ma anche più inefficienti), la Commissione ha introdotto 3 meccanismi di burden sharing (non-ETS, FER e proventi delle aste ETS), applicando criteri in parte arbitrari e in parte matematici ispirati alla solidarietà intra-UE (PIL procapite) – questa scelta non ha tenuto conto del fatto che il potenziale e i costi di riduzione dei gas serra e di sviluppo delle FER sono molto diverso fra Stati, per cui il risultato finale è che i costi sul PIL degli Stati Membri non risultano oridinati in base al PIL pro capite, bensì sono penalizzati maggiormente quei paesi con minor potenziale e maggiori extracosti.

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