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UNO SCAMBIO INTERTEMPORALE CONTRO LA RECESSIONE

E’ probabile che la recessione si faccia sentire in Italia più che altrove. E la proclamata tolleranza europea sui disavanzi rimarrà comunque molto attenta nei confronti di un paese che ha un debito pubblico ancora così alto. Oltre a una politica monetaria della Bce che spinga in basso i tassi d’interesse, resta la possibilità di ricorrere a interventi di bilancio volti a sostenere la spesa per consumi. Da accompagnare con una manovra strutturale simultanea, che definisca un profilo di rientro dal disavanzo e dal debito nel medio-lungo periodo.

Nella recessione in cui siamo entrati a seguito della crisi finanziaria esplosa questo autunno, ma innescata oltre un anno fa, l’Italia viene a trovarsi in posizione peggiore di molti altri paesi europei, anche se in molti dicono sia meno esposta ai fallimenti bancari concatenati.

LA RECESSIONE IN ITALIA COSTERÀ DI PIÙ

Le ragioni sono così riassumibili. 1) Almeno dalla metà degli anni Ottanta la crescita del Pil pro-capite è in Italia inferiore alla media degli altri quattro “grandi” paesi europei: Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. 2) Nello stesso periodo la produttività italiana, misurata dal Pil per ora lavorata, è cresciuta mediamente del 2,4 per cento l’anno, contro il 3,9 per cento francese e il 4,8 per cento britannico. 3) L’Italia ha un debito pubblico che a fine 2007 era pari al 104 per cento del Pil, contro il 65 in Germania, il 64% in Francia, il 44 per cento nel Regno Unito e il 36 per cento in Spagna. 4) Il bilancio pubblico italiano è relativamente rigido perché sulla spesa pubblica il peso degli interessi è in Italia di oltre il 10per cento, mentre negli altri grandi paesi europei non supera il 6,3 per cento (Germania).

La recessione, dunque, rappresenta per l’Italia uno scostamento negativo consistente e forse prolungato da un trend di crescita assai più basso di quello degli altri paesi europei (per non parlare degli Usa) e quindi insiste su una cittadinanza già impoverita relativamente a francesi, tedeschi, spagnoli e britannici. Inoltre, in Italia non esiste un sistema generalizzato ed equo di ammortizzatori sociali capace di coprire i cittadini dal rischio disoccupazione. La distribuzione del reddito risulta essere meno egualitaria che negli altri grandi paesi europei, mentre la combinazione di spesa sociale e tassazione progressiva appare meno in grado che altrove di ridurre la percentuale di famiglie a rischio di povertà. Poiché è molto probabile che il costo delle recessioni sia assai più alto per le famiglie povere, per i lavoratori non qualificati e per i disoccupati, è possibile che si faccia sentire in Italia più che altrove. (1) Inoltre, la situazione della finanza pubblica rende difficile aggredire la recessione con gli strumenti del deficit spending. La proclamata tolleranza europea sui disavanzi rimarrà comunque molto occhiuta nei confronti di un paese che ha un debito pubblico ancora così alto.

DUE POLITICHE POCO RACCOMANDABILI

Due particolari forme di spesa pubblica appaiono poco efficaci e, quindi, poco raccomandabili. La prima forma, invocata da molti, è l’aumento di spese per investimenti pubblici. Senza ignorare le carenze infrastrutturali del paese, va ricordato che la spesa per investimenti si realizza (soprattutto in Italia) con notevole ritardo rispetto al momento in cui viene approvata, momento che è già molto posteriore a quello in cui viene programmata. Non si tratta, insomma, di una spesa “a presa rapida” e rischia di avere effetti prociclici di cui non si sente davvero il bisogno. E questo senza tenere conto del bias nazionale a favore delle grandi opere, spesso di dubbia utilità, oltre che dotate di un impatto minore sull’occupazione. La seconda forma, a più riprese ventilata da esponenti del governo, è l’aiuto di Stato alle imprese, fino all’ingresso nel loro capitale. Si tratta di due tipi di intervento che hanno l’effetto di ridurre la concorrenza nel mercato dei prodotti (gli aiuti di Stato) e di ridurre la contendibilità della proprietà delle imprese. Ma tutti gli interventi che riducono la concorrenza e la contendibilità non hanno certamente effetti positivi sulla crescita dell’economia, che invece beneficia della maggiore concorrenza e della liberalizzazione dei mercati. Quindi, si tratterebbe di interventi “congiunturali” con effetti di lungo periodo negativi. Data la storia economica degli ultimi due decenni sopra richiamata, sarebbe meglio evitarli.

UNA PROPOSTA SOSTENIBILE PER LA FINANZA PUBBLICA

Oltre a una politica monetaria della Bce che spinga sostanziosamente in basso i tassi d’interesse, utile anche a ridurre l’onere dei mutui, resta la possibilità di ricorrere a interventi di bilancio volti a sostenere la spesa per consumi. Come sostenuto da Guido Tabellini (2) e da Tito Boeri, sarebbe opportuno che un intervento di questo genere prendesse la forma di riduzione della pressione fiscale, soprattutto sui redditi più bassi, cioè quelli che più subiscono il costo della recessione e, allo stesso tempo, sostenendo i quali la manovra sarebbe più efficace, perché i bassi redditi hanno una propensione al consumo elevata. Sarebbe necessario, inoltre, individuare e attuare subito misure volte a sostenere il reddito degli “incapienti”, cioè di coloro che hanno un reddito così basso da non poter beneficiare da una riduzione dell’imposta sul reddito perché sono esenti. In questo contesto, va realizzata rapidamente l’estensione della copertura dal rischio disoccupazione, allargando la platea dei beneficiari degli ammortizzatori sociali almeno a tutti i lavoratori del settore privato e auspicabilmente anche a quelli del settore pubblico.
Data la situazione della finanza pubblica italiana, è ovvio che misure che farebbero aumentare il disavanzo nel breve periodo forse un po’ più di qualche decimo di punto in quota di Pil verrebbero guardate con forte diffidenza da Bruxelles e, in particolare, dagli altri paesi dell’Unione monetaria. È però possibile accompagnare la manovra congiunturale con una strutturale simultanea, che definisca un profilo di rientro dal disavanzo e dal debito nel medio-lungo periodo. Si tratta di intervenire per innalzare con decisione l’età di pensionamento, anche reintroducendo lo scalone improvvidamente abolito dal governo Prodi.
La simultaneità delle due manovre è necessaria a rendere credibile l’obiettivo di non generare un peggioramento strutturale del disavanzo e del debito, ma anche a far percepire ai cittadini (e ai sindacati) la natura di “scambio intertemporale” tra un maggior peso della spesa pubblica (oggi) e un suo minor peso nel lungo periodo, riguadagnando così spazio per politiche sul serio keynesiane, cioè politiche volte a sostenere la domanda aggregata quando ce n’è bisogno, ma non a “socializzare la vita economica” permanentemente o a controllare politicamente l’allocazione delle risorse. (3)

(1) Clark K., Lesile D., Symons E., «The cost of recessions», Economic Journal, 1994, n.1, pp. 20-36.
(2) Si veda Il Sole 24 Ore del 19/10/2008.
(3) È istruttivo rileggersi le “Note conclusive sulla filosofia sociale”, ovvero il capitolo 24 della Teoria Generale. Si capirebbe subito quanto sbagliato sia far risalire a Keynes l’abnorme aumento dell’intervento pubblico nell’allocazione delle risorse e nella proprietà delle imprese, tipico degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta del secolo scorso.

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EPISODIO V: LE ASPETTATIVE COLPISCONO ANCORA

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SE IL LAVORATORE NON SI RIALLOCA

  1. gianni

    Io avrei un’altra proposta contro la recessione. Lo scambio io lo farei in questa maniera: meno tasse ai redditi più bassi più tasse a quelli più alti così limitiamo la recessione e ci avviciniamo agli altri paesi europei come differenza tra ricchi e poveri.

  2. mirco

    Sono molto in accordo con le proposte indicate nell’articolo soprattutto per la chiara distinzione fra politiche keynesiane vere e politiche i socializzazione con intervento pesante della politica che nel nostro paese ha generato clientelismo e malaffare. Oltre alla reintroduzione dello scalone pensionistico (ma per favore basta con i fondi pensioni privati!) sarebbe opportuno, una riforma strutturale della P.A. Che ne facciamo delle province, delle comunità montane, e di ogni altra sovrastruttura spendacciona e improduttiva creatrice di poltrone per politici trombati? (dovremmo abolirle) . Siamo sicuri che il federalimo ridurrà la spesa pubblica? Io credo che aumenterà la spesa. In Italia occorre semplicemente un ente comunale allargato proporzionato fra territorio e popolazione che risulti autosufficiente fra entrate fiscali e servizi erogati (abolendo i comunelli). Un ente regionale autonomo, ma non 20 regioni, 9 bastano. Lo stato molto snellito. Con queste riforme credo che il deficit pubblico non sarà più un problema e si potranno attuare vere politiche keynesiane.

  3. Guglielmo Weber

    Meglio evitare che lo stato italiano si metta a spendere per evitare la recessione – sarebbe come offrire un liquorino ad un ex-alcolista che si sente svenire. Ma se proprio è necessario, l’unica spesa pubblica davvero temporanea è, in Italia, la spesa necessaria per far riprendere le opere pubbliche già iniziate, e ferme solamente per mancanza di fondi. Lo stato anticipa una spesa che avrebbe dovuto sostenere in ogni caso fra qualche tempo. Mi sembra che di cantieri aperti ma fermi sia pieno il nostro paese, o sbaglio?

  4. Massimo Sainati

    La ringrazio per il contributo, della cui evidenza dal lato della domanda forse può dubitare solo l’attuale governo. Una questione invece dal lato dell’offerta, forse da estendere ad altri suoi colleghi. E’ compatibile con le norme UE e sarebbe effettivamente utile sospendere per un anno una quota (da determinarsi) dell’IRAP a carico delle imprese? E che effetto avrebbe in relazione al minor/maggior grado di indebitamento, fattore assai critico in questa congiuntura?

  5. Manuela

    Sono d’accordo nel credere che nella situazione attuale sarà inevitabile intervenire nel sostegno di famiglie e individui dal reddito basso, sostenere i consumi anche per prevenire il blocco del tessuto industriale e commerciale (si pensi anche ai piccoli commercianti, tanti in Italia, che sono sempre più in difficoltà). Le riforme utili a cambiare il trend del debito pubblico possono avere effetti solo nel medio lungo periodo e sono state continuamente procrastinate. Oggi ci troviamo in una situazione veramente imbarazzante speriamo sia giunto il tempo di una politica coraggiosa: più equità, piu meritocrazia sa nel pubblico che nel privato, politiche sociali protettive per i più deboli non per i più furbi e, perchè no, un federalismo che responsabilizzi e snellisca i politici locali e renda più efficiente l’utilizzo di risorse pubbliche.

  6. AZ

    Aiuti di stato: magari qualcuno sta pensando di resuscitare l’ultima incarnazione di Sviluppo Italia, e sarebbe l’ultima cosa di cui c’è bisogno: durante il precedente quinquennio Berlusconi, in cambio di mezza manciata di posti lavoro quell’agenzia ha capitalizzato e ricapitalizzato cavalli zoppi, in alcuni casi favorendo uno state assisted dumping in perfetto stile cinese. Credito di imposta basato sugli investimenti in ricerca, diverso dalla precedente (ridicola) misura del governo Prodi, utilizzabile anche in campo IVA e IRAP; riduzione vera del cuneo fiscale; misure concrete contro il credit crunch; costerebbe così tanto mettere in cantiere misure di questo genere?

  7. f.m.parini

    Condivido l’articolo e mi permetto di suggerire una serie d’interventi che non da economnista, ma da tecnico, considero facili e di sostegno per l’economia. Per gli incapienti certificati gli interventi devono essere variabili e di sostegno. Per gli altri bisogna considerare una serie d’interventi sia di sostegno sia di tassazione. Aumentare al 38% la detraibilità delle spese mediche, mantenere il 55% delle spese per il risparmio energetico e il 36% per le spese di ristrutturazione, aumentare al 38% la detrazione per le spese d’istruzione. Aumentare la tassa di circolazione per i mezzi più inquinanti e di maggiore cilindrata, introdurre la certificazione obbligatoria per la classificazione delle prestazioni sanitarie, mantenere l’esenzione dell’ICI introducendo una soglia e triplicando sia l’ici sia la rendita immobiliare per le abitazione sfitte e gli immobili industriali/commerciali sfitti.

  8. tissot

    Qui leggo articoli e commenti da Paese normale. Ma normale questo Paese non è. Questo paese è ormai una somma di emergenze. La pressione fiscale è tra le più alte del mondo: Ma la media sconta "il pollo di Trilussa". In realtà coloro che risiedono sopra Grosseto, tra pressione fiscale diretta e indiretta, oneri contributivi, detrazioni e deduzioni ridicole o nulle, e qualche inevitabile multa, superano il 60%. Vediamo il sistema Paese: Sistema fiscale, come detto: "Emergenza". Debito pubblico: "Emergenza". Giustizia, (carceri insufficienti, 25% del territorio in mano alla malavita, corruzione, procedure giudiziarie bizantine): "Emergenza". Infrastrutture, (energia, acquedotti, trasporti): "Emergenza". Noi minimizziamo ma all’estero se ne sono ben accorti (vedasi l’ultima asta dei Buoni decennali piazzati con uno spread di quasi 1,30 punti rispetto all’equivalente Bund tedesco). Pensate che il Paese oggi avrebbe i mezzi per superare un altro terremoto di Messina o del Friuli? Io sono certo di no.

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