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QUEL CAPITALE CHE MANCA AL SUD ITALIA

Perché la Spagna ha ridotto nel tempo le ampie differenze regionali che la caratterizzavano, mentre in Italia non ci siamo riusciti? Se invece che al Pil procapite, guardiamo alla nozione di capitale sociale, scopriamo che il Sud e il Nord della Spagna sono sempre stati più omogenei. Ed è proprio la maggiore omogeneità che ha probabilmente consentito il recupero. Ha creato le condizioni perché potessero dispiegare i loro effetti gli altri fattori di convergenza: istruzione, investimenti in infrastrutture e tasso di criminalità.

 

Il presunto sorpasso della Spagna in termini di reddito procapite è molto sentito nel nostro paese, anche perché Italia e Spagna sono paesi simili da molti punti di vista. In questo intervento, siamo interessati non tanto al confronto tra il Pil procapite medio nei due paesi, quanto piuttosto alla convergenza regionale: perché la Spagna ha ridotto nel tempo le ampie differenze regionali che la caratterizzavano, mentre noi non ci siamo riusciti?

NORD-SUD IN ITALIA E SPAGNA

Proviamo a guardare alle differenze tra Nord, inteso come insieme delle aree a più alto reddito, e Sud, le aree più indietro nei tassi di sviluppo, all’interno di Italia e Spagna. Innanzitutto, precisiamo le definizioni di “Nord” e “Sud” per i due paesi. L’Italia del Sud arriva fino al Lazio e agli Abruzzi inclusi, e comprende anche le isole; l’Italia del Nord include le regioni sopra il Lazio. Delle 17 province autonome della Spagna, quelle con un reddito procapite sotto la media nel 1950 sono state classificate come “Sud” (Andalusia, le due Castiglie, Estremadura, Galizia e Murcia), mentre le altre (Aragona, Asturie, Baleari, Cantabria, Catalogna, Valencia, Navarra, Paesi Baschi e Rioja) come “Nord”. Le Canarie e Madrid sono state escluse per le loro specificità. A grandi linee, si può dire che la parte Sud-Ovest della Spagna corrisponde all’Italia del Sud-Isole, mentre il loro Nord-Est assomiglia al nostro Centro-Nord.
La Spagna ha avuto una prima forte convergenza regionale nel Pil procapite nel periodo dal 1965 al 1985, prevalentemente dovuta alle migrazioni interne: un tipo di convergenza che noi abbiamo vissuto in parte nei decenni precedenti. Diversamente da noi, però, la Spagna ha avuto anche una convergenza più recente, se la misuriamo come produttività del lavoro piuttosto che come Pil procapite. (1)
Il Pil procapite del Sud italiano ammontava al 61 per cento di quello del Nord nel 1960, e ancora nel 2006 il rapporto era fermo al 67 per cento. In Spagna, invece, il Pil procapite del Sud ammontava al 55 per cento di quello del Nord nel 1960, ma era salito al 75 per cento nel 2006.

FATTORI DI CONVERGENZA

Proviamo a elencare i principali fattori che possono spiegare la convergenza spagnola e, per converso, quella italiana mancata. A rischio di una semplificazione eccessiva, sono prevalentemente quattro.
Primo fattore: l’istruzione. In Spagna, il rapporto Sud-Nord nella proporzione di popolazione attiva con il titolo di studio superiore è cresciuto dal 60 per cento dei primi anni Settanta all’80 per cento del 2000. In Italia, invece, sembra esserci stato un declino del grado d’istruzione superiore del Sud rispetto al Nord, con un rapporto che da valori sopra il 100 per cento è sceso all’84 per cento nel 2006. Questo fattore può aver contribuito a rallentare la convergenza italiana rispetto a quella spagnola. A maggior ragione se si pensa che il problema non sembra risiedere tanto nella “quantità” d’istruzione quanto piuttosto nella sua “qualità”, come evidenziato per esempio dai differenziali regionali nei risultati del test Pisa (per i quali non esistono rilevazioni precedenti il 2000).
Secondo fattore: gli investimenti infrastrutturali. In Italia, il rapporto tra soldi pubblici procapite spesi in strade, aeroporti o altre infrastrutture al Sud rispetto a quelli spesi al Nord è stato sempre maggiore del 100 per cento fino ai primi anni Novanta, è sceso poi al di sotto di questo livello dopo la chiusura della Cassa del Mezzogiorno. Il rapporto aveva però preso a scendere molto prima, già verso la metà degli anni Settanta: è quindi possibile che il declino, relativo al Nord, degli investimenti strutturali abbia contribuito al mancato processo di convergenza, anche se non sembra di poter dire che gli investimenti precedenti abbiano mai sortito gli effetti sperati.
Terzo fattore: la criminalità. Il tasso di criminalità ha una chiara influenza sul processo di crescita e convergenza. Tuttavia, è difficile dire quale sia il nesso di causalità: se più crimine implica meno crescita oppure, al contrario, meno crescita implica più povertà e quindi più crimine. Inoltre, le misure di criminalità sono difficili da comparare tra regioni e nel tempo. La misura cui facciamo riferimento è basata sui crimini contro la proprietà e la persona denunciati alle autorità, che includono i reati di stampo mafioso. Il trend dei reati procapite al Sud rispetto al Nord, in Italia è stabile nel tempo, e di poco al di sopra del 100 per cento, mentre è crescente in Spagna. La variabile difficilmente può spiegare la maggiore convergenza in Spagna piuttosto che in Italia, anzi sembrerebbe andare nella direzione opposta. Alternativamente, la spiegazione potrebbe essere che una maggiore ricchezza relativa del Sud della Spagna ha col tempo innescato anche una maggiore criminalità (rapporto di causalità inverso).

IL CAPITALE SOCIALE

Nell’insieme, i tre fattori precedenti possono spiegare solo in parte la differenza tra il relativo successo spagnolo in termini di convergenza regionale e il perdurante ritardo del Mezzogiorno italiano.
L’ultima variabile che prendiamo in considerazione è il capitale sociale, inteso come il livello di fiducia, impegno civile e di valori condivisi all’interno di un tessuto sociale. Esistono diverse misure di capitale sociale, le più note sono quelle che mirano a catturare la fiducia rispetto al contesto sociale in cui si vive e che sono derivate dalle risposte a quesiti del tipo “quanto ti fidi del prossimo” all’interno di inchieste internazionali, come il noto World Values Survey. Noi preferiamo utilizzare i dati sulle donazioni di sangue, un’attività puramente altruistica e gratuita. (2)
La figura 1 indica che il livello (sempre relativo Sud/Nord) delle donazioni di sangue per abitante è molto maggiore in Spagna, intorno al 90 per cento nel 2005, mentre è stabilmente più basso in Italia, intorno al 60 per cento sempre nel 2005. Per inciso, anche le misure basate sul grado di fiducia per il prossimo danno gli stessi risultati. Anche se i dati che abbiamo non si riferiscono all’intero periodo della convergenza che stiamo cercando di analizzare, non è un grosso problema. Come mostrato dalla letteratura scientifica sull’argomento, e come in parte confermato dalla figura 1, il livello di capitale sociale tende a persistere nel tempo e cambia con estrema lentezza. Ciò significa che possiamo interpretare il differenziale Sud/Nord in termini di capitale sociale come all’incirca costante nel periodo che stiamo considerando.
Quello che ci dice la figura 1, allora, è che il Sud e il Nord della Spagna sono sempre stati più omogenei in termini di capitale sociale, rispetto al Sud e al Nord del nostro paese. È proprio questa maggiore omogeneità che può aver permesso agli altri fattori di convergenza di dispiegare i loro effetti, portando il Sud spagnolo a recuperare il terreno perduto rispetto al Nord. Al contrario, il basso livello di capitale sociale del Mezzogiorno italiano rispetto al Nord del paese può aver ostacolato gli altri fattori. La distribuzione del capitale sociale all’interno di un paese potrebbe configurarsi quindi come un fattore ostacolante, oppure facilitante, il processo di convergenza interna. Ovviamente, l’evidenza empirica sintetizzata nella figura 1 è lontana dal dimostrare alcunché, ma, a nostro avviso, il confronto con la Spagna rinforza la necessità di considerare il capitale sociale come un importante fattore esplicativo nell’analisi dei perduranti ritardi del nostro Mezzogiorno.

(1) Sulle dinamiche delle diverse fasi della convergenza spagnola, si veda Angel de la Fuente, Regional Convergence in Spain: 1965-95, Cepr Discussion Paper 3137, 2002.
(2) Questa misura è stata usata per valutare l’impatto del capitale sociale sui comportamenti finanziari da Luigi Guiso, Paola Sapienza, Luigi Zingales, “The Role of Social Capital in Financial Development”, American Economic Review, 94(3), 526-556, 2004. I dati sulle donazioni in Italia provengono da questi autori. I dati spagnoli, invece, provengono dalla Fondazione spagnola dei donatori di sangue (Fsds, www.donantesdesangre.net).

Figura 1

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41 commenti

  1. vincesc

    Non so in Spagna, ma certamente in Italia le persone del sud hanno una mentalità molto assistenzialista.

  2. luisa monteforte

    Mi sembra che l’articolo ignori un elemento che accomunava fino a un secolo e mezzo fa la Spagna e il Sud Italia: i Borboni. E mi sembra che lo stile degli eredi dei Borbone nel governare la cosa pubblica e nell’affrontare le priorità nazionali sia ben diverso da quello finora mostrato dagli eredi dei Savoia. E’ ampiamente documentato che fino al 1861 la parte più sviluppata – non solo economicamente, ma anche culturalmente e scientificamente, del paese – era quella situata al di sotto del fiume Volturno. Interroghiamoci sulle ragioni profonde del presunto deficit di capitale sociale del Sud, che non si esaurisce certo nelle donazioni di sangue (peraltro il Sud ne ha versato in abbondanza…).

    • La redazione

      Certo, le cause storiche sono tutte da investigare, e stanno uscendo adesso studi interessanti sull’argomento. Le donazioni di sangue sono soltanto una delle tante "proxies" usate dalla letteratura sull’argomento per descrivere il fenomeno oggi.

  3. Gabriele Schiavone

    Non manca il capitale nel Sud Italia, mancano le persone, c’è un’atavica indolenza e rassegnazione che ammorba tutte le attività e i progetti. Il Sud è schiavo di se stesso e non riuscirà mai a uscirne. Quel che è peggio è che, come pare evidente da quest’ultimi anni, la mancanza di una strutturazione socio-economica, diciamo, al Nord ha lasciato che i “vizi” del Sud si diffondessero in tutta Italia, anzichè valorizzarne i pregi (che ci sono, un pò nascosti, ma ci sono. Si pensi all’intelligenza e alla creatività delle persone). L’Italia si è ormai polarizzata: nord vs sud, giovani vs. vecchi, privato vs pubblico, economia vs politica. Come ha fatto la Spagna a risalire? Possiamo farlo anche noi (per il Sud)? Beh, la risposta è complessa. Io sono pessimista, tuttavia credo, sulla base dell’esperienza regionalista spagnola (vedasi Catalogna etc), che una sana e reale competizione fra regioni potrebbe perlomeno muovere le acque, ma è troppo presto.

    • La redazione

      Sì, la risposta è complessa, ma in effetti una sana competizione potrebbe aiutare. A patto che all’autonomia facciano seguito trasparenza (per irrobustire il controllo degli elettori sugli eletti) e responsabilità.

  4. Giuseppe Tizza

    Rilettura sintetica della storia del Regno delle Due Sicilie di Giuseppe Ressa. E’ molto scomodo rileggersi la storia prendendo in considerazione le nuove acquisizioni, si vedono vacillare degli schemi mentali cristallizzati che spesso risalgono ai ricordi scolastici. Quando poi si tocca la storia d’Italia, apriti cielo! E’ molto rassicurante rifugiarsi nella oleografia risorgimentale, ti dà il senso dell’orgoglio nazionale e vivi tranquillo con le tue certezze. Ma lo sono veramente? Può una mente intellettualmente onesta chiudersi a riccio e rifiutare di rimettere in discussione tutto? Certamente no! Grandi sono i turbamenti interiori quando vedi andare a pezzi le tue pseudoverità, scopri (leggendo i carteggi) che Cavour concepiva l’unità d’Italia non come ideale ma come servizio al suo padrone, che peraltro odiava e dal quale era ricambiato alla pari, Garibaldi compare nella nuova veste di personaggio ingenuo, manipolato dal cosidetto re galantuomo, anche l’«eroe dei due mondi» odiava Cavour e ne era ricambiato in egual misura, non parliamo poi dei rapporti di entrambi con Mazzini. L’idea dei «padri della patria» che insieme hanno costruito l’Italia non è quindi quella ufficiale.

    • La redazione

      Il nostro pezzo non affrontava il tema, senz’altro complesso, delle cause storiche del basso capitale sociale in alcune aree. Ma si concentrava sulle sue interazioni con altri fenomeni economici, qui ed ora. Quindi, non è chiarissimo il legame tra la sua analisi e i temi da noi trattati. Che dire? Viva l’Italia!

  5. Luca Sessa

    Nel 1860 l’emergente borghesia del Nord conquistò il Sud, traendone gran profitto grazie all’”Obbedisco”. La sua alleanza con gli altrimenti pericolanti latifondisti di giù tagliò le gambe all’imprenditoria meridionale, ben attiva agli albori della rivoluzione industriale a dispetto della vulgata di regime. Il Nord si fece con tutto nell’Italia unita, potere politico, economico e culturale. La biforcazione Nord-Sud, inesistente prima, iniziò nel 1860, con lo scippo della rivoluzione industriale. Migliorando i trasporti via terra, quella rivoluzione spostò il baricentro economico dal Mediterraneo all’Europa continentale. Anche il Nord della Spagna ne beneficiò. Nel Sud Italia l’emigrazione, iniziata nel 1875, invece cresceva, dirigendosi verso il solo Nuovo Mondo fino ai ‘50. L’esito della guerra spagnola nel ‘39 è interpretabile come se il Sud di Franco avesse conquistato il Nord, che andò accettandone la supremazia, a patto di poter proseguire i propri affari. L’equilibrio economico-politico dello Stato spagnolo è quindi costitutivamente opposto all’italiano. In Spagna non si è mai data quella biforcazione i cui effetti ancora si avvitano nel nostro Sud cornuto e mazziato.

    • La redazione

      Può darsi che questi temi legati al modo in cui è stata imposta l’unificazione d’Italia alle regioni del Sud abbia avuto un certo impatto sul capitale sociale e sulla distanza tra cittadini e istituzioni. Questo non toglie che se capitale sociale e senso dello stato scarseggiano, al di là delle cause storiche, qualche effetto si vede anche oggi. E non è un problema soltanto del Sud, ma dell’Italia nel suo complesso. In termini di political economics, c’è comunque un aspetto delle strutture politiche dell’Italia meridionale che merita di essere ricordato: il centralismo autocratico del dominio normanno nell’Italia meridionale, rispetto ad altre forme istituzionali con una maggiore partecipazione da parte della borghesia mercantile (come nei comuni medievali). Può darsi che questo livello di partecipazione politica endemicamente basso non creasse problemi ai tempi del Regno delle Due Sicilie, ma che dopo sia diventato più rilevante in termini di interazioni tra istituzioni democratiche, società civile e sviluppo economico.

  6. Giacomo Dorigo

    Dall’articolo e dalla figura non mi pare chiaro se il grafico rappresenta il grado di convergenza tra “nord” e “sud” nei due paesi presi in esame, oppure se indichi il grado di incidenza media dei donatori nelle due popolazioni. Per esempio 90% è il tasso di convergenza dell’incidenza di donatori tra “nord” e “sud” della Spagna oppure è la media dei donatori per abitante in tutta la Spagna? Io propenderei per la prima interpretazione ma chiedo conferma.

    • La redazione

      Sì, la prima interpretazione è quella corretta: per esempio, 90% è il livello del Sud rispetto al livello del Nord nel paese a cui il numero si riferisce.

  7. edoardo

    Come può progredire una regione senza capacità imprenditoriali e senza infrastrutture? Ma come è possibile essere imprenditori in zone dove anche se apri una attività di gelataio ambulante il giorno dopo si presenta gente che se non gli dai il frutto del tuo lavoro ti rapisce i figli, ti sgozza, ti riempie la macchina di tritolo ecc.ecc. Questo è il vero problema del Sud, le altre argomentazioni sono aria fritta per gettare fumo negli occhi ed allontanare dall’attenzione il vero problema.

  8. Giuseppe Notarstefano

    Ho trovato il vostro articolo di estremo interesse, le premesse e i riferimenti di partenza sono molto condivisibili. Tuttavia l’evidenza empirica con la quale sostenete il vostro ragionamento è – nonostante i padri nobilissimi a cui vi riferite – piuttosto deludente. Esiste una ampia, articolata e controversa letteratura sia sugli strumenti di analisi e sugli approcci (parametrici e non paramentrici) di verifica delle ipotesi di convergenza sia della specificazione delle variabili/indicatori di influenza, di cui essere memori (e grati!), quantomento a llivello critico per evitare semplificazioni che possono essere accettate solo a titolo di esercizio econometrico. Grazie, comunque, di cuore da parte di un modesto studioso meridionale di questi temi, per averli riportati all’attenzione del “mainstream” economico che conta con un rigore ed una competenza come la vostra, resa più autorevole dalle istituzioni nelle quali operate. Umilissimo suggerimento: http://www.mulino.it/edizioni/riviste/scheda_fascicolo.php?isbn=07010&ilmulino=

    • La redazione

      Grazie per il suggerimento! Lo ripetiamo: la nostra non voleva essere un’analisi approfondita (tantomeno di natura econometrica). Solo un sasso nello stagno in vista di futuri approfondimenti.

  9. Nicola D'Alessio

    Nell’articolo si definisce “criminalità” l’insieme dei reati contro il patrimonio e la persona denunciati all’autorità giudiziaria; personalmente, una valutazione quantitativa della criminalità tra Italia e Spagna non mi sembra molto possibile: vi è una profonda differenza tra criminalità organizzata (radicata sul territorio, contatti ed infiltrazioni nelle istituzioni locali, lottizzazione del territorio [si vedano quanti clan operano nella sola provincia di Napoli]) e piccola criminalità. La prima assorbe risorse come un cancro, facendo lievitare il costo degli appalti, gestendo l’assegnazione di alloggi pubblici, nella gestione dei rifiuti e delle cave di sversamento, imponendo le proprie filiere distributive nei più svariati settori (azzerando la concorrenza) o bloccando l’accesso in altri; non vale lo stesso per la piccola criminalità, che, se pur diffusa, non è capace di alterare la struttura di mercato e le istituzioni. Altro quesito è relativo alla possibile sottostima del numero di reati contro il patrimonio e contro la persona; il rapporto tra denunce e reati nel sud Italia è molto basso a causa sia di un certo livello di omertà (indotto spesso dalla consapevolezza che certi meccanismi sono “quasi istituzionalizzati”), sia da motivazioni di convenienza (dubbi sull’efficacia di un eventuale denuncia o addirittura il meccanismo del “cavallo di ritorno” con il quale dopo essersi visti rubare l’auto si viene ricontattati per pagare il riscatto). Ulteriore quesito è sulla misura del capitale sociale, che non sembrerebbe una variabile completamente indipendente rispetto alla presenza della criminalità organizzata (e del sistema clientelare/feudale derivante).

    • La redazione

      Siamo completamente d’accordo sul primo punto: un’analisi approfondita (al di là degli scopi del nostro pezzo) dovrebbe incentrarsi sulla distinzione tra macro e micro criminalità. Sul secondo punto, invece, ci sembra meno chiaro perché la criminalità organizzata dovrebbe scoraggiare donazioni volontarie di sangue.

  10. Antonio

    Non potrebbe essere che la criminalità pareggiando il reddito come al nord perde potere e questo fa si che Lei non riuscirebbe più a essere padrona di intere regioni? Io personalmente lo credo

  11. ivan p 1973

    Secondo me in Italia non siamo ancora riusciti a colmare il gap tra nord e sud principalmente a causa della presenza della criminalità organizzata che "soffoca" l’intera società del Mezzogiorno. Se lo Stato si impegnasse in modo concreto e risolutivo a sdradicare questo cancro sono sicuro che il sud, con i suoi soli mezzi e uomini riuscirebbe nel giro di 10 anni a colmare il divario che la separa dal resto d’Italia. Aggiungo altresì che un sud ricco favorirebbe anche il nord per due ragioni: 1) il nord non dovrebbe più "mantenere" il sud (facendo venire meno le esigenze federaliste), 2) un mercato di sbocco più ampio per molti beni fabbricati nelle industrie del nord.

  12. umberto carneglia

    E’ noto che la criminalita’ organizzata, che ha il proprio epicentro nel Sud Italia, dispone di capitali di enorme ammontare. Per questa ragione un’aggressiva azione dello Stato potrebbe conseguire contemporaneamente due risultati: liberare il Sud dal giogo che lo soffoca e recuperare enormi risorse economiche, che potrebbero non solo autofinanziare la lotta al crimine, ma dare un surplus per lo sviluppo. Nella situazione recessiva attuale difficilmente altri investimenti potrebbero avere un ritorno da tripla AAA cosi’ elevato . Non capisco e non ho mai capito perche’ un’dea cosi’ ovvvia non venga presa in considerazione dai Governi italiani, che hanno consentito alla mafia di diventare endemica. Qualche risultato concreto e’ stato recentemente conseguito, si tratta pero’ ancora di poca cosa rispetto alle dimensioni del "Tesoretto" del crimine organizzato. Questo sarebbe in grado di finanziare da solo una manovra anticrisi.

  13. Giancarlo Pola

    Era tempo che qualcuno si dedicasse a far emergere le diversità di evoluzione del dualismo italiano e di quello spagnolo! Complimenti, anche se non sono del tutto sicuro che la spiegazione fornita da voi sia la più rilevante. Avendo una certa età, ho potuto seguire gli andamenti divergenti, negli ultimi 50 anni, del turismo balneare di Emilia e Veneto (dotate di spiagge proprio non caraibiche) e di quello calabrese-pugliese-siculo (riferito a un patrimonio invidiabile, anche rispetto alla Spagna). A spiegare i divergenti successi delle due aree ci deve essere qualche altra cosa oltre al “capitale sociale”. No?

    • La redazione

      Beh, di sicuro il capitale sociale non spiega tutto. Ma potrebbe interagire con altri fattori, a partire da quelli che ricordavamo.

  14. Corrado Finardi

    Se ormai è sotto gli occhi di tutti che il problema del ritardo del Sud nasce in un complesso insieme di fattori che prendono il nome di capitale sociale (tra cui giustamente, menzionata anche la civicness come uno dei vari), meno chiaro è il modo di intervenire per accrescerlo. Buona parte dei rimedi sembrano soluzioni valide anche per il nord Italia, e di portata nazionale (riforma seria dell’istruzione, riforma giustizia, controllo appalti pubblici per prevenire infiltrazioni, incentivi ai lavoratori più qualificati perchè non alimentino la fuga dei “migliori”…), che da tempo almeno sembra trascinato in una sorta di meridionalizzazione. Interessante osservare come il capitale sociale sia una misura più interessante del mero capitale culturale, anche questo distribuito a macchia di leopardo in Italia. Resta da capire se dopo almeno 2 decenni di stagnazione economica sostanziale (dagli anni ’90) si possa parlare di “riforme” del sud che siano radicalmente diverse da quelle del nord.

    • La redazione

      Alcune riforme da lei citate sono senz’altro una priorità sia al Nord sia al Sud. Ma non dimentichiamoci, infatti, che l’Italia, nei confronti internazionali, emerge complessivamente come esempio di basso capitale sociale e senso civico.

  15. BARTOLOMEO

    In effetti è un po’ difficile venire ad abitare a Napoli e passeggiare fidandosi del prossimo o farsi ricoverare in ospedale “fidando” che sia pulito o eleggere qualcuno “fidando” che non sia corrotto (ma più o meno lo stesso può dirsi a Milano). Dando per assodata la penuria di “capitale sociale”, esiste modo per porvi rimedio? E le origini di tale penuria, sono da ricercarsi in una genetico culturale predisposizione? O forse nell’aver a suo tempo adottato un assolutamente inadatto ordinamento giuridico “piemontese”? (che, ad esempio, lasciava ad occuparsi di scuola i comuni!, in quello che era lo stato più accentratore d’Italia?)

    • La redazione

      Di sicuro, la spiegazione "genetica" o "antropologica" è da respingere. Esistono senz’altro fattori storici che possono aver avuto un impatto e il cui influsso continua a farsi sentire oggi (come le istituzioni comunali nell’Italia medievale, si veda il recente lavoro di Guiso, Sapienza e Zingales, "Long Term Persistence"). Altri fattori, non ultimo anche il modo a tratti vessatorio con cui è stata imposta l’unificazione al mezzogiorno, potrebbero essere analizzati. Ma l’effetto sul livello del capitale sociale e i problemi di oggi rimangono. È vero che il capitale sociale non si cambia rapidamente, ma non può nemmeno essere considerato immutabile, in teoria i cittadini del Sud potrebbero donare altrettanto sangue di quelli del Nord pur essendo più poveri in termini di GDP per capita.

  16. BARTOLOMEO

    In effetti è un po’ difficile venire ad abitare a Napoli e passeggiare fidandosi del prossimo o farsi ricoverare in ospedale "fidando" che sia pulito o eleggere qualcuno "fidando" che non sia corrotto (ma più o meno lo stesso può dirsi a Milano)… Dando per assodata la penuria di "capitale sociale", esiste modo per porvi rimedio? E le origini di tale penuria, sono da ricercarsi in una genetico-culturale predisposizione? o forse nell’aver a suo tempo adottato un assolutamente inadatto ordinamento giuridico "piemontese"? (che, ad esempio, lasciava ad occuparsi di scuola i comuni!, in quello che era lo stato più accentratore d’Italia?).

  17. Roberto

    Molto interessante l’articolo che sostiene delle tesi con dati quantificabili nuovi rispetto alle solite analisi, anche se porta comunque ai medesimi risultati. Ho una discreta conoscenza del Sud, avendoci vissuto, ed avendo sposato una donna del sud, ed è mia personale opinione che il ritardo rispetto al Nord sia dovuto ai seguenti 2 elementi: 1) la vergogna di ammettere la realtà oggettiva, come l’incoscienza del malato che non riconosce la propria malattia; 2) l’assistenzialismo diffuso ovunque. In altre parole mi sembra che il Sud sia come un bimbo capriccioso che da una parte non riconosce le proprie colpe, dall’altra è viziato come quei bambini che hanno una “malattia” e per tenerli buoni continuano ad essere coccolati come non si dovrebbe. Cordiali saluti Roberto

    • La redazione

      Una ricetta potrebbe partire da qui: meno "coccole", ma anche più incentivi per quel Sud che vuole mettersi in gioco e investire sul suo futuro.

  18. giovanna messina

    Non è la prima volta che sul sito de lavoce compaiono analisi superficiali sull’origine dei mali del Sud e ricette altrettanto vaghe sul modo per porvi rimedio. Condivido l’idea che il Mezzogiorno sconti una pesante eredità del passato, in particolare di questi ultimi 150 anni di storia post-unitaria. All’esposizione internazionale di Parigi del 1856, il Regno delle Due Sicilie fu premiato come terzo paese industriale al mondo (dopo Inghilterra e Francia); a quell’epoca il Sud si distingueva per una serie di primati economici, scientifici, culturali e anche in materia di “capitale sociale” (invito gli economisti de lavoce a una rapida occhiata al sito http://it.wikipedia.org/wiki/Primati_del_Regno_delle_Due_Sicilie). Il riscatto economico del Sud non può prescindere dal fatto che chi vi abita si riappropri con una certa dose di orgoglio del proprio passato e della propria identità culturale. Questa eredità è stata troppo spesso violata dalla storiografia prevalente e i luoghi comuni che frequentemente ritroviamo sul sito de lavoce, nobilitati di teoria economica, ne sono la naturale conseguenza.

    • La redazione

      L’orgoglio storico va benissimo, ma non può cancellare i ritardi del Novecento che ancora oggi pesano come un macigno sulle speranze di tante generazioni. Le analisi incentrate sul concetto di capitale sociale non intendono concludere che non c’è speranza per le aree che ne sono prive (Italia in testa, nel suo complesso). Ma serve uno scatto culturale. E, nel frattempo, servono istituzioni che tengano conto della situazione che si trovano davanti (forse non è un caso che sistemi di tutela del reddito stile "flexicurity" trovino ostacoli di applicabilità enormi nel nostro paese).

  19. luis

    Il declino del Sud, secondo me, è iniziato negli anni ’60. Il boom economico si tradusse in uno spostamento massiccio di intere classi sociali da sud a nord. Negli anni ’70 è iniziata poi, e persiste tuttora, l’emigrazione dei giovani scolarizzati, anch’essa imponente. L’emigrazione intellettuale, in particolare, ha comportato un grave squilibrio a danno delle regioni di provenienza e su di esso si è sviluppata la criminalità. Ulteriore elemento molto negativo e definitivo è il mito del posto statale, visto come massimo traguardo. Ciò ha comportato la meridionalizzazione della P.A. e della dirigenza in particolare, a scapito di qualsiasi attività imprenditoriale.

  20. daniele am

    L’articolo è interessante. Mi permetto di aggiungere due osservazioni. La prima è che in Spagna le differenze regionali non sono davvero trascurabili (basta mettere piede giù a cadice o in qualsiasi città dell’estremadura e la cosa è ben percepibile. La disoccupazione è ancora molto al di sopra della media nazionale e il PIL procapite è più basso che altrove). Direi, invece di convergenza, che si tratta di fenomeni ben persistenti. Tuttavia è vero che un ruolo di primo piano spetta alle infrastrutture (in particolare treni). L’ipotesi del capitale sociale è davvero interessante. Tuttavia, non so quanto sia robusta in termini di relazione casuale se si usano le donazioni di sangue. Ad esempio, potrebbbe verificarsi che all’aumentare del livello di istruzione (che voi stessi indicate come fattore di convergenza) aumenti la sensibilizzazione verso certi temi (non sono infrequenti campagne di questo tipo a scuola).

    • La redazione

      Siamo d’accordo: la nostra analisi non aveva nessuna pretesa di svelare nessi causali. Soltanto di evidenziare un tema che forse merita qualche approfondimento, sia quantitativo sia qualitativo.

  21. Francesco Fasani

    Usare le donazioni di sangue come misura del capitale sociale convince fino ad un certo punto (con buona pace dei referees dell’American Economic Review). Quello che uno vorrebbe avere e’ una misura della disponibilita’ a donare, mentre l’effettiva donazione e’ il risultato dell’incontro tra domanda (presenza di ospedali, centri Avis, ecc.) e offerta. Le carenze infrastrutturali nel Mezzogiorno, pertanto, potrebbero spiegare gran parte del divario nelle donazioni effettuate. Guiso et al (2004) riportano in appendice il numero di centri AVIS in Italia (quasi 3000 in 91 province) ma non mi sembra che dicano nulla sulla distribuzione geografica di questi centri. Ho il sospetto che ce ne siano quasi piu’ del centro di Milano che in intere province del Sud. Per capire cosa davvero misurino le donazioni efefttuate, basterebbe “pesarle” per la disponibilta’ di strutture ospedaliere e centri di raccolta del sangue.

    • La redazione

      È vero, questo è un limite della misura (peraltro riconosciuto da Guiso et al.), ma per l’Italia tutti gli altri indicatori di capitale sociale usati nella letteratura sono fortemente correlati con il livello delle donazioni di sangue (livello di fiducia negli altri rilevato dal WVS; numero di associazioni no-profit; numero di associazioni sportive; partecipazione elettorale ai referendum; diffusione dei quotidiani non sportivi). Abbiamo provato ad ottenere una misura di donazioni per camera di ospedale ma non siamo riusciti a raccogliere un numero di anni sufficienti.

  22. Damiano Fiorillo

    Nell’articolo di "Alesina A., La Ferrara E. (2000), Participations in heterogeneous communities, “Quarterly Journal of Economics”, CXV, pp. 847-904" – citado da 481 lavori scientifici secondo Google scholar- si mostra che livello di istruzione, reddito familiare ed eterogeneità di reddito, misurata dal coefficiente di Gini, sono fattori determinanti della partecipazione in gruppi sociali negli USA. Altri lavori micro-fondati hanno mostrato simili risultati sempre per gli USA usando come misure di capitale sociale la partecipazione passiva e attiva, la fiducia, il senso civico e così via (Brehm e Rahn 1997; Alesina e La Ferrara 2002; Gleaser et al. 2002; Costa e Kahn 2003; Iyer et al. 2005; Rupasingha et al. 2006). In un lavoro del sottoscritto, di prossima pubblicazione sulla Rivista Italiana degli Economisti, per l’Italia, si mostra che il livello di istruzione e il reddito familiare sono fattori fondamentali anche nell’accumulazione di capitale sociale (misurato dalla partecipazione attiva e passiva) sia nel Nord che nel Sud Italia. Quindi, il livello di capitale sociale al Sud, come al Nord, è generato dalle stesse variabili economiche che il capitale sociale dovrebbe a sua volta contribuire a spiegare. Forse, comprendere meglio il processo di accumulazione di capitale sociale in Italia aiuterebbe a capire meglio le sue virtù “macro-economiche”.

  23. Luca Sessa

    Partecipazione? Un solo dato: nel 1859 fra le città della penisola italica Napoli era quella con il maggior numero di testate di quotidiani.

  24. Francesco Pastore

    Io non credo affatto che il capitale sociale, ancocrhé rappresentato dalle donazioni di sangue, possa essere il fattore discriminante per dimostrare l’arretratezza del Meridione d’Italia rispetto alla Spagna. Il tentativo è affascinante, probabilmente avrà anche i suoi riscontri, ma credo che incrociando i vari dati e scendendo su quelli topici per l’economia reale (n. di occupati, n. di imprese, reddito pro-capite, valore aggiunto), sia assai difficile dimostrarne la diretta correlazione. Ad ogni modo, nella mia provincia, Foggia, vi è il più alto tasso di donazioni del Sud (fonte: AVIS), ma vi assicuro che il declino socio-economico complessivo di questi anni non ha avuto alcuna differenza rispetto alle altre aree del Sud. La programmazione negoziata ha avuto effetti singificativi nel breve periodo, ha attivato meccanismi di partecipazione e condivisione necessari, ma dopo due-tre anni tali benefici sono esauriti. Oggi in molti casi ci ritroviamo con licenziamenti, fallimenti, capannoni all’asta, etc. Cultura e legalità, ricerca, infrastrutture, finanza, questi i punti su cui il Sud, senza aiuti ma con buone leggi, può recuperare il suo ritardo.

  25. Giuseppe Villani

    Ho letto abbondantemente l’articolo e i commenti annessi. Aggiungo che concordo con tutto quanto esposto e con tutti i commentatori. Aggiungo che è inutile giudicare, i fatti parlano. Il mondo è grande. Gli antichi, parlo di Magna Grecia, erano più consapevoli di agire in un contesto. I greci della magna grecia non si preoccupavano di sapere l’autore del testo chi fosse. Adesso dobbiamo pensare agli spagnoli, a come raggiungerli e magari superarli. Che sfida fantastica.

  26. massimo de matteis

    Dalla lettura del commento si ha l’impressione che l’unita d’Italia sia avvenuta soltanto da qualche anno e perciò siano giustificate le dfferenze che caratterizzano il paese. Dopo 150 anni, è assurdo continuare a fare questi ragionamenti, perchè se dopo un così lungo periodo di tempo la situazione è quella prospettata nell’articolo, anzi la realtà è certamente peggiore di quella evidenziata, bisogna chiedersi: perchè? Con riferimento alla mortalità infantile che nel mezzogiorno è ancora molto alta, uno studio dell’Istituto Negri di Milano giungeva alla conclusione che se il Mezzogiorno avesse l’indipendenza sarebbe il paese più povero d’Europa. Allora, bisogna concludere che se il Mezzogiorno, invece di essere invaso dal Piemonte fosse diventata una colonia Inglese, certamente starebbe meglio (come altri paesi ex coloniali ). Purtroppo abbiamo perso 150 anni che è difficlle recuperare. Finchè siamo dominati da chi in questo paese ha soltanto potere economico.

  27. maxdem

    Il dubbio che sorge: è se avete tenuto conto dell’organizzazione esistente nel Mezzogiorno per la donazione del sangue. Il paragone con la Spagna è valido soltanto se le strutture sono uguali. Nella Campania, per esempio, per donare il sangue si perdono anche due ore. Inoltre a differenza della Lombardia sono quasi inesistenti dei furgoncini che si spostano nei centri abitati per facilitare le donazioni. Qui tutto è difficile e regna la massima disorganizzazione Pertanto, prima di indicare una presunta mancanza di capitale sociale, bisogna esaminare tutte le cause delle differenze dei dati che si considerano ai fini del rilievo.

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