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LE TENTAZIONI DEL POLITICO BANCHIERE

E’ l’articolo 12 del decreto anticrisi che delinea la tendenza della politica creditizia. Il ministero dell’Economia potrà, a determinate condizioni, sottoscrivere strumenti finanziari emessi da banche per sostenerne la solidità e aumentarne la liquidità, incentivando così l’erogazione del credito. La finalità è chiara e in linea con i provvedimenti di altri paesi. Ma la soluzione adottata solleva numerose questioni di ordine tecnico-giuridico in un contesto che oggettivamente non elimina il rischio del ritorno all’intervento della politica nella gestione delle banche.

Peter Schrank, vignettista dell’Economist, illustra l’attuale oscillazione del pendolo della politica economica euro-americana tra "stato" e "mercato" con l’immagine di un sogghignante Sarkozy che, in piedi di fronte all’edificio traballante del New York Stock Exchange, compulsa gli scritti di Marx. L’ironia coglie il pragmatismo, venato da una certa improvvisazione, con il quale i governanti hanno affrontato la crisi finanziaria internazionale probabilmente meglio di molti enfatici richiami alla contrapposizione tra teorie keynesiane e neo-liberiste.

TANTI STRUMENTI CONTRO IL CREDIT CRUNCH

Con il decreto legge approvato il 29 novembre 2008 (n. 185) “per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale” anche l’Italia adotta un pacchetto di misure, eterogenee e articolate, per fronteggiare la situazione economica. Tra queste, particolare attenzione per cogliere la tendenza della politica creditizia meritano quelle contenute nell’articolo 12, dedicato al "Finanziamento dell’economia attraverso la sottoscrizione pubblica di obbligazioni bancarie speciali". Le novità introdotte da questa norma rappresentano potenzialmente una delle più incisive risposte del nostro governo alle difficoltà del settore bancario, e possono considerarsi la versione romana dei più muscolosi e discussi provvedimenti adottati dai policy makers dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi, in prima fila quelli anglosassoni. In estrema sintesi, il ministero dell’Economia potrà, a determinate condizioni, sottoscrivere strumenti finanziari emessi da banche al fine di sostenerne la solidità e aumentarne la liquidità, incentivando così l’erogazione del credito. A fronte di questa chiara finalità, la soluzione adottata solleva numerose questioni di ordine tecnico-giuridico in un contesto che oggettivamente non elimina il rischio del ritorno, nel nostro paese, all’intervento della politica nella gestione delle banche.
La panoplia di armi utilizzata da legislatori e autorità di controllo per ridare fiato al sistema creditizio e combattere il credit crunch è molto ampia: si va dalle modifiche dei tassi d’interesse, realizzate con diversi strumenti di politica monetaria, alle garanzie sui depositi; dai limiti a operazioni ritenute pericolosamente speculative come le vendite allo scoperto, agli incentivi ad aggregazioni bancarie (eventualmente limitate ai rami "sani"); dall’estensione, in varie forme, di prestiti dello Stato alle banche, all’ingresso dello stesso nel capitale delle società bancarie; sino all’acquisto diretto di attività "tossiche" da parte del governo.
Il quadro si complica perché, ovviamente, in quasi tutti i paesi si è ricorso a una combinazione di queste misure. Difficile, a oggi, ordinare le differenti risposte e cogliere linee di demarcazione o di tendenza nette, salvo forse due osservazioni. La prima è che la scelta statunitense, pietra angolare del "piano Paulson", di consentire allo Stato l’acquisto diretto di strumenti finanziari di dubbio valore e liquidabilità detenuti dalle banche ha riscosso molte critiche e pochi seguaci, tra i quali si possono annoverare, in parte, Svizzera e Australia, mentre per ritrovare un simile approccio in Europa occorre risalire al diverso scenario della crisi bancaria svedese dei primi anni Novanta. Il secondo elemento è la crescente propensione per la ricapitalizzazione delle banche tramite l’acquisizione, da parte dello Stato, di azioni delle banche: un trend in parte guidato dal Regno Unito, con il Bank Rescue Plan approvato lo scorso 8 ottobre, ma seguito anche negli Stati Uniti, con il Capital Purchase Program. Volendo cogliere alcuni tratti comuni tra le tecnicalità di questi programmi, si può citare il fatto che lo Stato sottoscrive o acquista strumenti di equity dotati di privilegi patrimoniali (ad esempio, un dividendo maggiorato pari al 5 per cento negli Stati Uniti) e, solitamente, con diritti di voto limitati. Le banche partecipanti, inoltre, a fronte del beneficio finanziario che ricevono, devono impegnarsi a rispettare certe regole per l’erogazione del credito alle imprese o alle famiglie, e accettare limitazioni alla distribuzione di dividendi e ai compensi ad amministratori ed esponenti aziendali, come anche nel caso dell’accesso a programmi di acquisto di "toxic assets" quali il Tarp statunitense.

IL PACCHETTO ITALIANO

L’articolo 12 del nostro decreto "anticrisi" si colloca nella scia di questi provvedimenti e se gli obiettivi di politica economica che persegue trovano riscontro nel quadro internazionale, sotto il profilo della tecnica normativa solleva non pochi dubbi e problemi.
Si prevede, innanzitutto, che il ministero dell’Economia possa sottoscrivere, su specifica richiesta delle banche, "strumenti finanziari", che però nella rubrica dell’articolo sono denominati "obbligazioni bancarie speciali". Non è quindi chiaro se gli strumenti in questione siano, appunto, obbligazioni, ovvero strumenti finanziari ai sensi dell’articolo 2346 del codice civile, fattispecie introdotta dalla riforma del diritto societario del 2003. La distinzione è gravida di conseguenze pratiche, attesa la disciplina profondamente diversa applicabile alle due tipologie di valori mobiliari. Escluso che questi strumenti possano essere dotati del diritto di nominare un amministratore (art. 2351 c.c.), verosimilmente sussiste ampio spazio per plasmare le caratteristiche nei vari casi. Con il che emerge e lo si vedrà meglio tra poco, come il ricorso al finanziamento pubblico apre in realtà una negoziazione con il contraente “forte” Tesoro.
Il decreto, a differenza delle corrispondenti soluzioni inglese e americana, non specifica se questi strumenti possano o debbano assicurare allo Stato privilegi patrimoniali, prevedendo però che  possano essere remunerati con una quota di partecipazione agli utili. Notevole, dunque, la discrezionalità del governo nell’impiegare risorse pubbliche a vantaggio di alcune banche senza una precisa o predefinita contropartita economica. Non solo: gli strumenti possono essere convertibili in azioni ordinarie “su richiesta dell’emittente” e, a favore dell’emittente, si può prevedere la “facoltà di rimborso o riscatto, a condizione che la Banca d’Italia attesti che l’operazione non pregiudica le condizioni finanziarie o di solvibilità della banca né del gruppo bancario di appartenenza”. Anche su questi punti la disciplina è lacunosa: basti pensare all’eccentricità di quest’ultima "attestazione" (con quali responsabilità?) da parte della banca centrale. D’altro lato, sempre a differenza di alcune delle normative straniere, il decreto non precisa se e in che modi questi strumenti finanziari possano essere ceduti dal ministero dell’Economia a investitori privati, e più in generale circolare nei mercati finanziari.
È vero che la convertibilità così come il rimborso degli strumenti finanziari dipendono dallo stesso emittente, ma la scelta può teoricamente essere necessitata se la controparte pone condizioni alla operatività tali da richiedere appunto una maggiore capitalizzazione. La non esclusa circolabilità degli strumenti finanziari correlata a una convertibilità che potrebbe, di fatto, essere necessitata, aprono uno scenario di potenziale libertà vigilata degli assetti proprietari della banca destinatari del finanziamento pubblico.
Molto vaghe, e potenzialmente foriere di una forte ingerenza pubblica nella gestione delle banche, sono poi le condizioni poste alla sottoscrizione. In linea di principio, si fa riferimento alle politiche del credito e ai limiti alle remunerazioni degli esponenti aziendali, come accade all’estero, ma in termini decisamente generici. Le banche che intendessero accedere al programma di ricapitalizzazione dovrebbero, infatti, assumere con il ministero dell’Economia “impegni definiti in un apposito protocollo d’intenti” in ordine “al livello e alle condizioni del credito da assicurare alle piccole e medie imprese e alle famiglie” e “alle politiche dei dividendi”; e adottare un “codice etico contenente, tra l’altro, previsioni in materia di remunerazione dei vertici aziendali”. Oltre all’ambiguità di certe espressioni, ciò che solleva perplessità è la stessa ampiezza del possibile condizionamento della governance delle banche da parte dello Stato.
Gli strumenti di intervento, in conclusione, non sono strutturalmente caratterizzati dalla presenza di antidoti alla (tentazione di una significativa) pubblicizzazione delle banche. Oggettivamente viene lasciata alla discrezionalità politica la facoltà di attivare una spirale che conduce a una ripubblicizzazione del sistema. La chiarificazione in sede di conversione di alcuni dei dubbi interpretativi segnalati potrebbe giovare ad allontanare il rischio di cattive tentazioni.

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DILEMMI ITALIANI

11 commenti

  1. FF

    In astratto condivido le preoccupazioni (anzi, pensando che i politici ad intervenire sono questi le preoccupazioni aumentano esponenzialmente) ma in me scatta un moto di ribellione: perchè questa gente – parlo delle banche – dovrebbe poter avere la botte piena e la moglie ubriaca? Perchè devono poter fare più o meno bancarotta e poi conservare il timone e continuare a fare quello che vogliono? E’ regola base in qualunque contesto che se vuoi fare quello che vuoi devi essere autonomo, cioè non devi dipendere dall’aiuto degli altri. Se hai commesso sbagli tali da dover chiedere aiuto, è evidente anche a un ragazzino che l’autonomia sparisce. Puff. Trovo sacrosanto quello che hanno detto negli altri paesi dove hanno stabilito espliciti limiti – ad esempio – agli stipendi ed ai bonus e trovo scandalosa la vaga formulazione che preoccupa Marchetti … va scritto nei codici etici? in Italia? Ma fatemi il piacere. Lavoro in banca da vent’anni (quattro banche diverse) e se mi mettessi a descrivere il mix di disonestà e incapacità dei manager che il più delle volte (non sempre) ho incontrato non basterebbe un libro. Ed è già poco: forse dovremmo pretendere le dimissioni dei manager.

  2. Massimo GIANNINI

    Non solo non si eliminano certi rischi ma non si vuole indicare quale strategia di uscita si cercherà di adottare. Ma forse come altri provvedimenti di questo governo anche questi son stati scritti sperando che non se ne faccia uso ovvero appunto che le banche non chiedano. Oppure, a voler pensar male, sono stati scritti con la tentazione del politico banchiere in testa, sperando di realizzare un grande disegno, non solo di legge.

  3. Matteo Nesti

    In merito all’articolo vorrei dire che, se nessuno se ne fosse accorto, la politica ha sempre manovrato le banche e le imprese italiane, tra l’altro anche con molta nonchalance. Inoltre, non entrando nel merito tecnico-giuridico, far sottoscrivere delle obbligazioni speciali responsabilizza un po’ di più le banche che non potranno contare su aiuti gratuiti e fatti a casaccio.

  4. luigi zoppoli

    La fondatezza dei dubbi espressi nell’articolo è, se occorresse, avvalorata dalle prestigiose firme degli estensori. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi di una ritrosia delle banche ad accedere alla normativa proprio per il rischio di intromissione della politica nella governance o perfino nella gestione. L’idea che si ripeta la presenza politica nelle banche è un incubo ma tutto sommato non sarebbe affatto incoerente con l’approccio adottato dal ministero dell’economia. Purtroppo.

  5. Luigi Mancini

    Ma le banche da decenni sono politicizzate. Dobbiamo pensare che gente come Geronzi, che come vice ha la moglie di Berlusconi e Tronchetti Provera, sieda sulla sedia solo per merito? E che invece di stare in galera nonostante i precedenti penali per bancarotta sia seduto sulla sedia del capo di uno dei piu’ grossi gruppi bancari italiani senza aiuti e spintarelle politiche? Vogliamo parlare di Passera e degli altri? Ai vertici delle banche piu’ grosse ci arrivano solo persone con enormi appoggi politici, cui fanno grossi favori e li chiedono indietro (parliamo del caso Unipol o di Antonveneta?). Quanto poi alla responsabilizzazione delle banche evocata in un altro commento si e’ visto con Alitalia-CAI come finisce la responsabilizzazione nel nostro paese: legge ad hoc (per ora hanno tentato di farla passare solo due volte ma ci riproveranno fino a riuscirci a meno che non l’abbiano gia’ fatto dietro il silenzio della cosiddetta "libera" informazione) per immunizzare i colpevoli e scarico dei costi e delle perdite sulla collettivita’ per salvarli a tutti i costi in caso di problemi, e senza nessuna conseguenza nel migliore dei casi altrimenti… con lauta buonuscita milionaria.

  6. gs

    Mi chiedo: qual’è l’obiettivo di questo intervento legislativo? Da quello che risulta finora nessuna delle maggiori banche italiane ha la necessità di ricorrere all’emissione degli strumenti finanziari in parola: il livello di patrimonializzazione è nel complesso adeguato come confermano i ratios a settembre 2008, soprattutto in comparazione con quelli delle banche di altri Paesi; a meno che dai bilanci 2008 non emergano spiacevoli imbarazzanri sorprese. Se l’obiettivo è quello "anti-recessione" della rubrica dell’art. 12 (favorire i finanziamenti a PMI e famiglie) bisogna stare molto attenti e, probabilmente, gli strumenti da attivare erano (o sono??) altri. Solo per fare alcuni esempi: potenziare il fondo di garanzia presso Mediocredito centrale, immettere patrimonio nel mondo Confidi; creare patrimoni destinati all’interno degli attivi bancari; istituire un fondo di garanzia per il credito al consumo (copartecipto da banche e attori della gdo). E poi un’ultima cosa: l’attuazione delle misure previste (se mai ci sarà) avverà con un ritardo tale da pregiudicarne l’efficacia; resterà solo il tanto sbandierato effetto-annuncio. Qui prodest?

  7. Giulio Tagliavini

    Se il Governo dovesse intervenire ne deriverebbe un potenziamento effettivo e inevitabile del potere pubblico su quella banca. E come preferiamo venga esercitato quel potere ? Con "moral suasion" ? Per condizionamento opaco della gestione bancaria ? Veramente preferisco che venga esercitato nel modo più regolato: con l’esercizio del diritto di voto e il conseguente ruolo assunto nella governance della banca. Almeno in questo modo si capisce bene cosa hanno fatto i soggetti pubblici e quali risultati hanno ottenuto. Il problema è individuare opportune misure di salvaguardia. Chi gestisce e controlla la gestione di queste partecipazioni ? E’ evidente che sarebbe preferibile che queste partecipazioni non fossero detenute per una "battaglia di parte". Su questo punto concordo pienamente con il punto di vista dell’On. Tabacci. Quindi propendo per un organo parlamentare (ristretto) di garanzia. La soluzione di Marchetti e Ventoruzzo è la peggiore: potere governativo esercitato senza trasparenza, senza rendiconto, con fini di parte. Con diritto di voto: il Parlamento ha potere sulla banca; senza diritto di voto il potere è della politica opaca.

  8. villa

    Il ministro Tremonti aveva detto a chiare lettere, da buon politico che non registra se stesso, che gli aiuti alle Banche sarebbero stati condizionati da tanti lasciapassare: i banchieri e i bancari che hanno sbagliato ..a casa! Mi risulta che siano ancora lì, là, in ogni dove. Ma come è possibile ricostruire la ‘fiducia’ persa? Ieri Lehman, oggi Madoff. Ma perchè non cominciamo a fare sul serio, partendo da nimi più comuni, magari scritti ‘in Italiano’?. Perchè non cominciamo a scrivere chi assumono lor signori da mettere allo sportello? Sprovveduti voluti? Figli dei soliti noti che ‘reclamano’ l’avvenire di figli persi? Perché non cominciamo a denunciare quelle filantropie ricattatorie che quotidianamente nascondono malefatte continue? Perché i tribunali archiviano tutto?

  9. Alberto Lanzavecchia

    Si potrebbe sostenere che il Decreto: a) è disfunzionale al perseguimento degli obiettivi di politica economica individuati dal Legislatore, perchè non incentiva l’erogazione del credito, ma sana disequilibri su impieghi già erogati e perchè è limitato alle sole banche quotate che per numero e per depositi non sono maggioritarie in Italia; b) è distorsivo della libera concorrenza, in quanto rivolto a 27 banche su 806 italiane; c) è iniquo laddove privilegia proprio quelle banche maggiormente orientate alla generazione di extra profitti anziché alla sana e prudente gestione; c) è socialmente irresponsabile, laddove sana benefici privati (i dividendi distribuiti pochi mesi fa) con denaro pubblico. D’altra parte il Decreto risolve una problema di corporate governance: il CdA della banca è consapevole che la migliore soluzione di mercato sia l’aumento di capitale; i soci di controllo però non hanno capitale disponibile (o non vogliono utilizzarlo) e temono quindi di perdere il controllo della banca; si ottiene così dallo Stato capitale a costo marginale nullo senza perdere alcun diritto, oppure ha ragione G. Tagliavini, che teme costi occulti, "senza rendiconto, con fini di parte"?

  10. Luigi Arturo Verdi

    L’articolo è interessante. Ma il Prof. Marchetti dovrebbe a questo punto scriverne un altro, per spiegare perché dovremmo temere come una grave iattura la mera eventualità che la politica si ingerisca nella gestione delle banche, e invece accettare come la cosa più naturale del mondo che alcune delle principali tra esse siano amministrate da pregiudicati per bancarotta fraudolenta. Mi riferisco ovviamente al presidente del c.d.a. di Mediobanca, Dott. Geronzi, condannato a 1 anno e 8 mesi per il crack Cirio, quella stessa Mediobanca di cui il Prof. Marchetti è il principale consulente e presidente del patto di sindacato che ne esprime gli amministratori. Ma mi rendo conto che è più confortevole limitarsi a eleganti notazioni sulla pagliuzza nell’occhio del vicino che curarsi della trave nel proprio.

  11. bellavita

    Da quando dalle banche sono usciti i politici (per modo di dire:Salza, Bazoli, Palenzona e Geronzi non sono nelle governance bancarie per concorso) i tecnici si sono aumentati gli stipendi e parecchio, e si sono ridotti a chiedere aiuto allo stato. Che dovrebbe darlo gratis, senza poteri di controllo? Perché stia solo a loro decidere che il loro stipendio aumenta in funzione dei risultati di ogni esercizio e quindi ci guadagnano a farsi truffare da Madoff? Perchè, per qualche oscura forma ddi solidarietà, non si cacci via chi ha sbagliato ? Facciamo l’esempio del responsabile della banca austriaca collegata a Unicredit che si è fatto portar via 2,1 miliardi $ da Madoff. Se Profumo non dovesse chiederne la testa, ci vuole in consiglio qualcuno estraneo alle consorterie dei tecnici che gliene chieda la ragione. O i tecnici delle banche sono esseri perfettissimi ? Franco Reviglio faceva parte del gruppo degli advisor della Lehman: due anni fa ha richiesto un seminario per capire come facevano a guadagnare così tanto, non ha capito e si è dimesso. Un tecnico bancario lo avrebbe fatto? Non dò torto a Tremonti (che di Reviglio è un pò allievo).

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