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UN FEDERALISMO DA AVVIARE SUBITO

Il rinvio di tutte le misure sul federalismo fiscale all’approvazione dei decreti legislativi, tra circa tre anni, rischia di fare il gioco degli antifederalisti. Possono così continuare tranquilli ad accumulare squilibri e inefficienze, che indeboliscono la capacità effettiva di cambiare rotta e richiederanno comunque soluzioni transitorie ancora più lunghe e costose. Perché invece non avviare subito la politica premiale per le unioni e fusioni di comuni prevista nel Ddl? E perché non decidere subito le sanzioni per gli amministratori che non rispettano i vincoli di bilancio?

Il ministro Calderoli confida che il progetto di legge delega sul federalismo fiscale sia approvato dal Parlamento entro un anno, e la previsione appare attendibile. Poi ci sono i due anni di tempo per l’emanazione dei decreti delegati, e si arriva a fine 2011. Poi c’è la soluzione transitoria, per la quale il Ddl prevede un massimo di cinque anni per le funzioni minori degli enti periferici e un “tempo sostenibile” per le ben più gravose funzioni fondamentali che impegnano circa l’80 per cento del bilancio degli enti locali e una percentuale anche maggiore di quello delle regioni.
Nell’attesa dell’attuazione del federalismo fiscale, che viene presentato come un cambiamento epocale, si accettano misure in deroga che rappresentano involuzioni gravi. Si pensi ai 140 milioni di euro per Catania e ai 500 per Roma. La Lega, che in altri contesti avrebbe acceso un insuperabile fuoco di sbarramento, qui fa il pompiere: per usare il linguaggio dei leghisti, “la posta in gioco giustifica qualche rospo da ingoiare”; e non c’è dubbio sulla loro buona fede.

PERCHÉ ASPETTARE?

E se fosse tutto sbagliato? Non è una tesi. Èun interrogativo che viene posto, senza accusare nessuno, nella ricerca della strategia più efficace.
Il tempo che passa nell’attesa della grande riforma ha almeno due effetti negativi. Il primo è la rottura del fronte federalista. Emblematico è il caso del Veneto dove molti sindaci di Forza Italia e del Partito democratico non riescono più a quadrare i bilanci, soprattutto perché i sussidi governativi, ancorati alla spesa storica, sono a loro giudizio inferiori a quelli di enti analoghi al Centro e al Sud a causa della tradizionale parsimonia veneta. Chiedono pertanto di avere subito una partecipazione del 20 per cento all’Irpef, ma trovano i nemici peggiori nei sindaci leghisti che non vogliono disturbare il manovratore in marcia.
Il secondo effetto negativo è l’avvicinarsi della scadenza del 2013, quando si chiude quello che per l’Italia sarà molto probabilmente l’ultimo piano di aiuti europei. Considerando i cofinanziamenti nazionali, si tratta di una cifra che nell’arco di piano si avvicina ai 100 miliardi di euro. Rappresenta l’ideale massa di manovra per sopportare la transizione al federalismo nel Sud, dove la riduzione dell’impiego pubblico eccedente deve essere aiutata da un insieme di attività collaterali. Se passa il tempo senza una chiara finalizzazione degli interventi straordinari a tale scopo, ci si troverà senza risorse quando si tratterà di iniziare con il federalismo fiscale finalmente messo a punto dal Parlamento.
Ecco perché serve la riflessione su una possibile strategia alternativa che preveda di iniziare subito la lunga marcia verso il federalismo fiscale, assegnando ai futuri decreti delegati il compito di dare completamento e perfezionamento, e non avvio, alla nuova regola della “responsabile autonomia”. Invero, l’ignoranza attuale sulla futura finanza federalista, basata sui costi standard dei vari servizi e sui fabbisogni standard dei vari enti, non impedisce di conoscere già oggi la direzione di marcia e quindi di muovere i primi passi senza tema di errore. Del resto, Giulio Tremonti sembra già avere avviato la politica qui auspicata con la sua manovra estiva. (1)
Prevede il blocco delle assunzioni per gli enti che non rispettano il patto di stabilità interno e prevede criteri di riequilibrio della spesa per gli enti in cui la spesa per il personale è particolarmente alta. Ma molto di più si può fare. Perché non avviare subito la politica premiale per le unioni e fusioni di comuni prevista nel Ddl? E le sanzioni per gli amministratori che non rispettano i vincoli di bilancio, in primis la ineleggibilità a incarichi pubblici, non potrebbero essere decise già ora, magari limitandosi agli scostamenti più vistosi?
Il rinvio di tutte le misure all’approvazione dei decreti legislativi, tra circa tre anni, rischia di fare il gioco degli antifederalisti. Possono così continuare tranquilli ad accumulare squilibri e inefficienze, che indeboliscono la capacità effettiva di cambiare rotta e comunque richiederanno soluzioni transitorie ancora più lunghe e costose. E nel frattempo si potrà magari ripetere l’edificante storia dell’ex sindaco di Catania premiato per la sua sana gestione con un seggio al Parlamento: con i leghisti che approvano, obtorto collo, in attesa del sole del federalismo.

(1) Legge 133/2008, art. 76.

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E SULL’UNIVERSITA’ DATI CONTRO PREGIUDIZI

  1. Gabriele Andreella

    Questo articolo si basa su alcuni principi che appaiono oscuri. Dove sta scritto che gli antifederalisti accumulano più "squilibri ed inefficienze" dei federalisti? E’ un’assunzione indebita, soprattutto alla luce delle recenti scelte assurde dei cosiddetti federalisti, come l’avvallo dell’abolizione dell’ICI (una delle poche imposte federaliste), il rifiuto dell’abolizione delle province e il raddoppio delle competenze. Se questa è la direzione, speriamo che il federalismo non si avvii mai, altro che "avviare subito". Anche perché il federalismo, per chi non vuol esser cieco, non è altro che la moneta di scambio che Berlusconi ha utilizzato per farsi votare dalla Lega le leggi a favore della sua impunità giudiziaria. Se il federalismo fosse effettivamente il piede di porco che scardina le inefficienze, questo articolo avrebbe senso. Non essendo affatto così, è foriero di un’ideologia fallimentare e null’altro.

  2. renato foresto

    Già eravamo abituati, al varo delle Finanziarie, alle vibrate proteste dell’Anci a nome dei comuni associati, sui tagli dei contributi erariali tali da metterli in ginocchio. Una verifica volante fatta alla fonte, il Ministero dell’Interno, sulle "Spettanze" assegnate alle 18 città capoluogo di Regione dal 2001 al 2008 indica che sì, ci sono stati tagli in 9 di esse (Milano, Venezia, Ancona, L’Aquila, Campobasso, Napoli, Potenza, Reggio C. e Cagliari), ma pure degli aumenti nelle rimanenti 9 con un saldo a beneficio delle città di 283,376 milioni di €. La Finanziaria del 2008 disponeva un taglio fra tutti i Comuni di trecento milioni, ma le Spettanze assegnate alle suddette Città rispetto al 2007 denunciano un saldo netto di 76 milioni a loro favore e una verifica più estesa di quella mia su un piccolo campione dovrebbe confermare pur tra alti e bassi un complessivo saldo attivo. Questo significa che lo Stato sta muovendosi in direzione opposta al federalismo fiscale nonchè al dispositivo dell’ art. 119 della Costituzione (autonomia delle Entrate e delle Spese).

  3. Fabio Pietribiasi

    Trovo che l’articolo sia fin troppo prudente nel giudicare i limiti del ddl sul federalismo fiscale. Quando rileva che la attuazione della legge, se verrà mai approvata, porterà il federalismo per le lunghe, mi pare metta nel conto che il federalismo potremmo anche non vederlo mai. Non soltanto perché dovrà attraversare strettoie insidiose come la determinazione dei costi standard e superare le interminabili risse che si scateneranno al riguardo, ma soprattutto perché quando avremo nuovi default tipo Catania, chi avrà il coraggio di negare misure tampone di carattere eccezionale? A cosa sarà servita a quel punto tutta la faticosissima costruzione federalista? Ogni riforma istituzionale deve fondarsi sulla capacità di imporre il rispetto delle regole di buona amministrazione e di punire severamente gli amministratori, che le violano. Poiché da questo siamo molto distanti, la parte più interessante dell’articolo mi pare stia nella domanda: e se fosse tutto sbagliato? Se vogliamo riecheggiare Bartali, dobbiamo però completare il suo pensiero: è tutto da rifare.

  4. Vittore de Bortoli

    Il federalismo fiscale è solo una chimera. Tutti ne parlano, ma nessuno fa nulla di concreto in questa direzione. Ovviamente, poichè è stato uno dei cavalli di battaglia della fase elettorale, è stata inserita nel piano normativo, ma a lunga scadenza. Cui prodest il federalismo? probabilmente a nessuno. Ciò perchè esso è nella sua essenza un cedere potere economico dal centro alla periferia; e non cè’è nessuno disposto a cedere potere. Ma anche perchè è un meccanismo responsabilizzante. E non c’è altrettanto nessuno che vuole assumenrsi responsabilità. I vincoli di bilancio ci sono già, le sansioni anche.Ma chi paga Per Roma, Napoli, Catania? Nessuno!

  5. rocco passerotto

    Per quanto riguarda i comuni vorrei dire che il federalismo fiscale mi sembra un’utopia. Il principio dell’autocontrollo in primis. Nel 1993 si disse che con l’ICI e la TaRSU la musica nei comuni sarebbe cambiata e invece.. Il problema mi sembra tutto nella capacità di amministrare. Tra l’altro, a prescindere dal disegno di legge, non mi pare che sul fronte tributario ci siano novità importanti per i comuni visto che ricomparirà l’ICI e, la TaRSU cambierà semplicemente nome.

  6. andrea lilli

    Parlare di federalismo è giusto. Quello che mi chiedo è chi paga i debiti delle regioni? Su sanità per esempio?

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