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EMERGENZA CONTINUA IN CARCERE

Le carceri italiane sono sovraffollate e obsolete: difficile garantire accettabili condizioni di vita per personale e detenuti, e perseguire l’obiettivo della riabilitazione. E’ necessario accantonare la logica dell’emergenza continua distinguendo tra misure di impatto immediato e politiche di lungo periodo. L’ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse, con la chiusura di istituti fortemente sottoutilizzati, può portare in tempi relativamente brevi a risparmi di spesa strutturali. Ma serve poi la costruzione di nuovi penitenziari, più grandi e più efficienti.

Le nostre carceri scoppiano, come prima e, in prospettiva, ancor più di prima. L’indulto del 2006 aveva concesso una boccata d’ossigeno al cronico sovraffollamento di cui soffre il sistema penitenziario italiano. Dopo appena due anni la popolazione carceraria è quasi ritornata ai livelli pre-indulto: nel giugno scorso i detenuti erano poco più di 54mila, il 91 per cento di quelli presenti nel dicembre 2005, con una crescita di mille unità al mese. Di contro, di carceri nuove se ne costruiscono poche: negli ultimi dieci anni la capacità ricettiva è cresciuta soltanto del 5,5 per cento. Con il risultato che l’Italia contende alla Grecia la palma europea di sistema carcerario più sovraffollato: a giugno del 2008 per ogni 100 posti di capacità regolamentare si contavano quasi 142 detenuti. Una quota significativa di istituti mostra poi i segni dell’età: il 20 per cento dei penitenziari italiani è stato costruito prima del 1900. Èallora evidente come in carceri così sovraffollate e obsolete sia ben difficile garantire accettabili condizioni di vita, tanto per il personale quanto per i detenuti, e perseguire in modo credibile l’obiettivo della riabilitazione.

MISURE PER OGGI E PER DOMANI

Come uscire da questa situazione? Si tratta innanzitutto di accantonare la logica dell’emergenza continua distinguendo tra misure di impatto immediato e politiche di lungo periodo, valutandone per ciascuna costi e benefici.
Delle prime, si sta discutendo intensamente in questi giorni, soprattutto si discute della cosiddetta probation, la “messa alla prova”. Si tratta della possibilità da parte degli incensurati accusati di reati lievi, quelli punibili fino a due anni nella versione più recente della proposta, di evitare il processo impegnandosi a svolgere lavori di pubblica utilità che, se vanno a buon fine, estinguono completamente il reato. Una misura che potrebbe contribuire a frenare le nuove entrate nel circuito carcerario.
Tuttavia, anche qualora attuato, questo intervento, al pari dell’indulto, non basta. Occorre certamente avviare una politica lungimirante di edilizia carceraria che aumenti la capienza del sistema penitenziario e al contempo adegui le strutture a standard elevati di sicurezza e vivibilità.
La costruzione di nuove carceri dovrebbe peraltro ispirarsi a una serie di criteri-guida. Innanzitutto, seguendo le linee già preannunciate dal ministero, si dovrebbe diversificare la tipologia degli istituti penitenziari prevedendo strutture diverse dai carceri tradizionali, più leggere, e pertanto meno costose e disponibili in tempi più rapidi, per i detenuti in attesa di giudizio e ritenuti non pericolosi. In secondo luogo, è necessario puntare su nuovi penitenziari più grandi rispetto alla dimensione prevalente nell’attuale panorama italiano. Oggi la capienza media delle nostre carceri è bassa: più dell’80 per cento degli istituti ha meno di 300 posti. Valutazioni sulle possibili economie di scala e indicazioni dall’esperienza internazionale suggeriscono che significativi guadagni di efficienza, ovvero minori spese per detenuto, sarebbero realizzabili in istituti più grandi. C’è poi il problema dell’attuale localizzazione territoriale dei penitenziari che non è allineata alla distribuzione della popolazione in generale e alla mappa dei reati commessi: ben il 40 per cento degli istituti sta al Sud, risultato tra l’altro del riadattamento a fini carcerari di conventi, castelli e antichi palazzi. Èpoi auspicabile che, per ottenere le risorse necessarie alla costruzione di nuovi e più efficienti penitenziari, l’amministrazione proceda alla dismissione degli immobili che, per la loro particolare collocazione geografica, presentano un elevato valore commerciale.

EFFICIENZA NELLA GESTIONE DEL PERSONALE

Guadagni di efficienza e risparmi di spese sono realizzabili in tempi anche più brevi, agendo sull’esistente, attraverso miglioramenti gestionali e razionalizzazioni nella distribuzione degli organici. Se si tiene conto che per far funzionare il sistema penitenziario sono impegnati 43mila agenti di polizia penitenziaria con una spesa per il personale di 2,9 miliardi di euro, l’80 per cento del totale dell’amministrazione penitenziaria, si capisce come la gestione del personale sia l’elemento-chiave dell’efficienza in questo comparto. Tra i diversi penitenziari esistono divari assai marcati nei costi per detenuto, non giustificati dalla composizione della popolazione carceraria ospitata o dal particolare sovraffollamento di certi istituti. Guardando a un indicatore sintetico come il rapporto tra unità di polizia penitenziaria e detenuti si va da un minimo di 0,26 a un massimo di 2,74. Anche il confronto tra territori mostra differenze non trascurabili: al Sud gli agenti per detenuto sono del 13 per cento più numerosi rispetto alla media nazionale, mentre il Nord segna un 17 per cento sotto la media. Uno sforzo di ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse, con la chiusura di istituti fortemente sottoutilizzati, può portare in tempi relativamente brevi a risparmi di spesa strutturali e non effimeri, stimabili in prima approssimazione in almeno un centinaio di milioni.

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COSA CI ASPETTA NEL 2009. COL PESSIMISMO DELLA RAGIONE

  1. Claudio Caruso

    Finalmente qualcuno decide di occuparsi di questo problema. Infatti non basta fare propaganda ai diritti umani, riferendomi allo stato dei detenuti, ma bisogna costantemente vigilare. Negli Istituti Penitenziari la manutenzione ordinaria è pressocchè nulla. Le conseguenti condizioni di vita sono impossibili da immaginare. Per quanto riguarda la gestione del personale i dati parlano chiaro: il personale è molto al di sotto delle piante organiche e quello che c’è viene utilizzato male. Sono a vostra disposizione per ogni chiarimento in quanto appartenente al corpo ed interessato alla tematica.

  2. stefano monni

    L’articolo in commento mi trova pienamente concorde; vorrei fare soltanto una riflessione ad integrazione di quanto contenuto nel citato articolo e che trova peraltro conforto nel mio modesto contributo al concorso "un’idea per l’economia". Ritengo in particolare utile un piano di investimenti pubblici finalizzato alla realizzazione di nuove strutture carcerarie. Tale piano, oltre agli effetti benefici sulle criticità del nostro sistema carcerario, potrebbe produrre effetti altrettanto positivi sulla ripresa economica incentrata, come ritengo necessario, su un notevole sforzo pubblico per investimenti.

  3. Valerio Bussolin

    Penso che due siano i modi con cui possono essere rieducati i detenuti: lo studio ed il lavoro. Nel periodo della carcerazione i detenuti dovrebbero imparare un lavoro (che al momento attuale potrebbe essere la ristrutturazione o costruzione di nuove carceri) con il cui reddito mantenere il sistema carcerario, le famiglie e loro stessi. Una volta usciti avrebbero delle competenze per entrare nel mercato del lavoro e non tornare a delinquere. Questa dovrebbe essere la norma, non casi sporadici.

  4. mariotto

    La situazione tragica descritta in questo articolo e’ davvero triste; inoltre la classe politica italiana sembra completamente disinteressata dalla questione carceri. L’unico partito che per fortuna tiene a mente questo problema e’ Radicali Italiani Lista Emma Bonino, che porta avanti molte proposte su questo tema.

  5. armando plaia

    Da giurista ho sempre pensato che fosse assurdo tenere i detenuti in custodia cautelare in carcere, con le stesse privazioni e restrizioni del condannato in via definitiva. perché mai un soggetto che non sta scontando una pena ma viene privato della libertà perché potrebbe inquinare le prove, fuggire o reiterare il reato deve avere l’ora d’aria come chi è stato condannato in via definitiva? destinare allo scopo della custodia cautelare edifici appositi avrebbe anche un effetto positivo sull’attuale sovraffollamento. In secondo luogo, non sempre il carcere è necessario anche per il condannato in via definitiva: quando il reo non è socialmente pericoloso è sufficiente privarlo della sua libertà, magari tenendolo a passeggiare in un parco all’aria aperta come accade in altri paesi. In taluni casi cioé la privazione della libertà è una pena sufficiente e non serve la struttura carceraria.

  6. Massimo GIANNINI

    Non riesco ancora a capire perché non si trovino i soldi per costruire o ristrutturare delle carceri, magari utilizzando edifici pubblici in disuso. Sono sicuro che i costi, soprattutto sociali, di indulti e amnistie sono ben superiori a quelli di aprire nuove carceri. Certo bisognerebbe anche ridurre il “turnover” dei carcerati.

  7. Davide Bukoro

    Frederic Bastiat, pensatore del diciottesimo secolo, scrisse un fondametale articolo di politica economica dal titolo "Ciò che si vede e ciò che non si vede" che si adegua perfettamenete all’articolo in parola. Gli Autori ci mostrano ciò che si vede: sovraffollamento carcerario. E propongono soluzioni strutturali allo stesso: costruzione di più carceri e gestione più efficiente di quelle esistenti. Ma ciò che non si vede è in realtà la causa principale, che non ci mostrano, o almeno la maggiore: l’incremento dei detanuti è determinato da un incremento dei reati in particolare degli extracomunitari, che a sua volta è causato da una politica passata di accoglienza in Italia che non ha considerato gli impatti negativi sulla società italiana. Le statistiche sulla popolazione carceraria lo dimostrano. Inutile costruire nuove e spaziose carceri se non si diminuisce il numero di reclutati dalla malavita e dal reato tra gli extracomunitari e se non se ne limita il loro flusso in Italia o se non si espellono drasticamente. Sarebbe come illudersi di porre rimedio a un reato attraverso l’inasprimento della punizione – e il carcere è una punizione! – non si diminuisce il reato!

  8. Stefania Sidoli

    L’articolo mette giustamente in luce come il sovraffollamento delle carceri e la loro inadeguatezza strutturale rendano particolarmente gravi sia le condizioni di vita del personale ( che già deve scontare una carenza di organici che porta come conseguenza un lavoro particolarmente faticoso e stressante) che quelle dei detenuti. Con un’aggravante in più che riguarda questi ultimi:le pessime condizioni di vita rendono ancora più difficile e complesso il realizzarsi dell’obiettivo della pena che non è solo far scontare una condanna commisurata al reato ma anche – e direi soprattutto – realizzare condizioni che permettano al detenuto – termianto il periodo carcerario- di reinserirsi nella società, in primo luogo attraverso il lavoro. E questo richiede un impegno interno al carcere e fuori di esso che nel nostro paese non viene ancora affrontato con la determinazione che merita.

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