Rispondo alle osservazioni, ringraziando chi è intervenuto.
Una parte delle critiche riguarda la condizione di sfruttamento degli immigrati (qualcuno dice "schiavismo"). Osservo che il nostro paese dispone di importanti risorse di tutela, come i contratti collettivi nazionali di lavoro, gli ispettorati del lavoro, i sindacati. Quando gli immigrati sono in regola, sono pagati come gli italiani e non fanno concorrenza a nessuno.
Il problema è fare in modo che possano lavorare in regola. Ma il governo, tra i suoi primi provvedimenti, ha indebolito gli ispettorati e reso meno incisiva la loro già non brillante azione repressiva. Avete mai sentito di un imprenditore condannato severamente per aver sfruttato degli immigrati?
Una sentenza dell’anno scorso, a Como, ha mandato assolto un imprenditore che faceva lavorare degli immigrati senza documenti. La motivazione: essendosi introdotti in modo fraudolento sul territorio dlelo Stato, non avevano diritto a chiederne la tutela. Un bell’esempio di colpevolizzazione delle vittime, e di appoggio a chi le sfrutta.
In generale, la carenza di azione repressiva sui datori di lavoro è il principale punto debole del pacchetto di misure governative di contrasto dell’immigrazione irregolare.
Per l’assistenza domiciliare, anch’io preferirei un sistema più nord-europeo di assistenza degli anziani. Ma dovremmo: 1) accettare di mandarli in strutture protette; 2) accettare di dedicare molte più risorse, pubbliche e private, al settore. Giacché non mi pare che queste condizioni siano prossime a realizzarsi, specie la seconda, dovremmo incentivare l’emersione dei rapporti sommersi nell’ambito delle famiglie. Per esempio, accettando che famiglie e lavoratrici si accordino e possano stipulare subito regolari contratti, con il versamento dei contributi. Senza la farsa dei decreti-flussi. Ricordo comunque che neppure l’attuale governo, malgrado la recessione, ha avuto il coraggio di ridurre il numero degli ingressi
autorizzati per attività di assistenza.
Per il lavoro nelle imprese, ribadisco: non sono 20.000 nuovi ingressi in meno, ma 20.000 persone in più che continueranno a lavorare in nero, forse in condizioni ancora peggiori. Sfruttati loro, e danneggiati gli italiani che lavorano in regola nelle stesse occupazioni. La soluzione non è lasciarli senza diritti, ma farli emergere. Via non andranno, l’esperienza lo dimostra. Qualcuno ricorda le misure di Zapatero, di cui non conosciamo ancora gli effetti. Secondo me, anche quella è propaganda. Negli anni ’70, all’epoca della prima crisi petrolifera, i paesi del Centro e Nord Europa tentarono di convincere gli immigrati ad andarsene con incentivi analoghi.
Fu un fallimento, anzi l’immigrazione aumentò: non potendo più circolare liberamente, gli immigrati ricongiunsero le famiglie. Gli immigrati non ritornano indietro da sconfitti, con quattro soldi in tasca. Vogliono tornare da vincitori.
Molti cordiali saluti
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Maurizio Ambrosini (Vercelli 1956) è docente di Sociologia delle migrazioni nell’università degli studi di Milano. Insegna inoltre da diversi anni nell’università di Nizza e dal 2019 nella sede italiana della Stanford university. È responsabile scientifico del Centro studi Medì di Genova, dove dirige la rivista “Mondi migranti” e la Scuola estiva di Sociologia delle migrazioni. Collabora con Avvenire e con lavoce.info.
Dal luglio 2017 è stato chiamato a far parte del CNEL, dove è responsabile dell’organismo di coordinamento delle politiche per l’integrazione.
È autore, fra vari altri testi, di Sociologia delle migrazioni, e (con L. Sciolla) di Sociologia, manuali adottati in parecchie università italiane. Suoi articoli e saggi sono usciti in riviste e volumi in inglese, spagnolo, francese, tedesco, portoghese e cinese. Ha pubblicato ultimamente Famiglie nonostante (Il Mulino, 2019); Irregular immigration in Southern Europe (Palgrave, 2018); Migrazioni (EGEA, 2019, nuova ed.). È tra i curatori del volume Il Dio dei migranti (Il Mulino 2018).
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