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PENSIONI: SE I RISPARMI RICHIEDONO FLESSIBILITA’

Sono in molti ad auspicare un nuovo intervento sul sistema previdenziale pubblico italiano. Ma nessuno ha calcolato finora l’entità dei risparmi prodotti dalle diverse proposte. Ecco i risultati di nostre simulazioni sotto quattro ipotesi diverse. Dall’equiparazione dell’età di pensionamento tra uomini e donne si ricava ben poco. I maggiori risparmi cumulati derivano da riduzioni attuariali di tutte le pensioni maturate dal 2010 in poi per chi lascia il lavoro prima dei 65 anni. E’ anche la riforma più flessibile ed equa sotto il profilo intergenerazionale.

Come previsto, la riforma (o controriforma) Prodi non è stata l’ultima sigaretta. Nelle ultime settimane, sono in molti, e con diverse motivazioni, ad avere proposto di rimettere mano al sistema previdenziale pubblico in Italia. Il ministro Brunetta, in risposta anche a un pronunciamento della Corte di giustizia europea riguardo alle regole previdenziali dei dipendenti pubblici, ha suggerito di innalzare a 65 anni l’età pensionabile delle donne. Il ministro Sacconi ha poi circoscritto, ma non escluso, possibili interventi di parificazione al solo pubblico impiego. Da ultimo, il ministro Tremonti, da Davos ha fatto riferimento a nuovi interventi sulle pensioni. Un innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi per andare in pensione servirebbe a coprire i deficit di bilancio oggi necessari per condurre politiche anticicliche, rassicurando i mercati circa la sostenibilità del nostro debito pubblico. Vi sarebbero anche ragioni di equità – intra e intergenerazionale – per parificare le regole per uomini e donne, potenziando al contempo i servizi che consentono di conciliare lavoro e responsabilità famigliari.
Da anni anche su questo sito sosteniamo la necessità di accelerare la transizione al sistema pensionistico contributivo introdotto dalla riforma Dini del 1996, rendendolo al contempo in grado di adattarsi automaticamente all’evoluzione della longevità, sottraendo dunque le sue regole attuariali alla discrezionalità dell’operatore pubblico. Piuttosto che tornare a discutere le motivazioni dell’ennesima riforma pensionistica, ci preme qui valutarne il potenziale impatto sui conti pubblici, dato che sino ad ora nessuno si è premurato di farlo.

CALCOLI PER QUATTRO RIFORME

Tutti gli interventi prospettati prefigurano modifiche che non toccano le pensioni in essere, ma ritardano in vario modo gli ingressi nel sistema pensionistico tra il 2010 e il 2030, anno in cui sarà pressoché completa la transizione al sistema contributivo introdotto dalla riforma Dini. Le nostre simulazioni si concentrano perciò su queste generazioni, nate tra il 1944 e il 1975. Come in passato (vedi correlate) considereremo inoltre solo il lavoro dipendente, sia pubblico che privato, dato che è molto difficile acquisire informazioni adeguate per compiere simulazioni sul lavoro autonomo. I nostri risultati sono, quindi, da intendere come una sottostima dei risparmi potenziali di vari tipi di riforma, dato che non consideriamo il contributo che verrebbe dall’allungamento della vita lavorativa degli autonomi.
Le ipotesi di base utilizzate nelle nostre simulazioni sono spiegate in dettaglio nel documento allegato. Analizziamo i risparmi potenziali di quattro ipotetiche riforme.
La prima riforma (D) riprende, in forma semplificata ed estendendola a tutta la platea dei lavoratori dipendenti, la proposta Brunetta, portando dal primo gennaio 2010 l’età pensionabile delle donne a 65 anni, sia nel settore pubblico che in quello privato.
La seconda riforma (Q) innalza progressivamente i requisiti anagrafici e contributivi per andare in pensione. In particolare, le cosiddette “quote” minime (la somma di anzianità anagrafica e contributiva) per andare in pensione dovrebbero salire da quota 95 a quota 96 nel 2010, da 96 a 97 nel 2011 e, infine, da 97 a 98 dal 2013 in poi.
Sia la riforma D che la riforma Q riducono i margini di scelta delle famiglie senza intaccare le quiescenze di chi sta andando in pensione. Le successive due riforme sono, invece, basate su un criterio di equità attuariale delle prestazioni.
In particolare, la terza riforma (BB1) riprende la proposta da noi formulata nel 2002, vale a dire introduce riduzioni attuariali di tutte le pensioni maturate dal 2010 in poi per chi, uomo o donna, va in pensione prima dei 65 anni di età previsti dalla riforma Dini per accedere alla pensione di vecchiaia, applicando i fattori di correzione (i coefficienti di trasformazione, recentemente aggiornati) previsti dal regime Dini alla sola quota retributiva della pensione. Gli effetti della riforma tendono dunque a ridursi fino a sparire del tutto con l’avvicinamento della data in cui le generazioni che vanno in pensione sono interamente sotto il regime contributivo. La riduzione dell’importo delle pensioni arriva a un massimo del 23 per cento se si esce a 57 anni e scende a zero se si esce a 65 anni (per uomini e donne). Quindi per coloro che pianificano di andare in pensione a 65 anni, il trattamento rimane invariato rispetto allo status quo.
La quarta riforma (BB2) applica le medesime correzioni attuariali, ma sposta in avanti la finestra di uscita, gradualmente, in modo che l’intervallo di età entro cui viene mantenuta libertà di scelta sia 59-67 anni, a partire dal 2011. Quando questa diventa la griglia di età in cui andare in pensione, la riduzione attuariale si applica solo alle prestazioni di coloro che escono dalle forze di lavoro prima dei 67 anni, ed è massima (23 per cento) a 59 anni.
Nelle simulazioni delle riforme D e Q ipotizziamo che il 60 per cento degli aventi diritto vada in pensione non appena matura i requisiti e il restante 40 per cento un anno dopo. Questo è in linea con l’andamento attuale. Laddove, invece, vengono introdotte riduzioni attuariali alle quiescenze (riforme BB1 e BB2), ipotizziamo invece che gli individui siano indifferenti tra continuare a lavorare o andare in pensione e, quindi, le uscite siano distribuite in modo uniforme nell’ambito delle griglie di età disponibili.

PIÙ RISPARMI E PIÙ EQUITÀ

I risultati delle nostre simulazioni sono riassunti nel grafico e nella tabella qui sotto. Il grafico mostra il profilo temporale dei risparmi conseguibili con le varie riforme. La tabella fornisce i risparmi cumulati nei primi dieci anni, fino al 2020. Come si evince dal grafico, la riforma più drastica nell’immediato, quella che si ispira alla proposta del ministro Brunetta e che porta ad aumentare subito l’età pensionabile delle donne, è quella che dà i minori risparmi: arrivano a un picco di 250 milioni nel 2013-2014, per poi scendere progressivamente. La ragione è che sono relativamente poche le generazioni bloccate e, dato il relativamente basso grado di partecipazione femminile in quelle età, si tratta di coorti relativamente poco numerose. Inoltre, i risparmi derivati dal ritardo imposto nel pensionamento vengono in parte vanificati dalle più alte quiescenze che verranno liquidate a queste generazioni al raggiungimento dei 65 anni di età.
La riforma che consente maggiori risparmi nell’immediato è quella che inasprisce le quote. I risparmi potrebbero essere dell’ordine di un miliardo e mezzo di euro nel 2013 (ricordiamo che le nostre simulazioni non considerano il lavoro autonomo), per poi calare dato che anche in questo caso cominciano a essere liquidate pensioni più pesanti alle coorti “bloccate”. Quindi anche i risparmi ottenibili con la riforma (Q) si riducono rapidamente scendendo al di sotto di quelli raggiungibili con le proposte BB1 e BB2. Sono proprio queste ultime che generano i maggiori risparmi cumulati, come evidenziato dalla tabella.  
Per una volta dunque, la riforma più equa sotto il profilo intergenerazionale e più flessibile è anche quella che comporta i maggiori risparmi. Gli interventi che bloccano le uscite, infatti, hanno perso gran parte della loro efficacia nel ridurre la spesa pensionistica a 15 anni dalla riforma Dini perché è inutile chiudere le stalle quando i buoi sono già scappati. Bene che il confronto sulle varie ipotesi di riforma ne tenga conto.

Risparmi cumulati, anno 2020
   
Riforma Risparmio cumulato
(milioni di euro)
BB1 9.843
BB2 11.350
D 1.467
Q 8.979

 

Risparmi anno per anno
(in milioni di Euro)

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17 commenti

  1. Renato Fianco

    Vedo che tra le vostre ipotesi c’è anche quella che prevede la possibilità di andare in pensione a 67 anni. Io ne ho 62 e avrei volentieri scelto di prolungare fino a 67, ma come sapete ora la facoltà di concedere i 2 anni di proroga dipende dalle Amministrazioni. Io lavoro all’Università e il Senato Accaemico ha già deciso di non concedere a nessuno questa proroga. Questa scelta può essere condivisibile per i docenti che potevano arrivare a 72 anni, ma per gli altri a cui viene impedito di arrivare a 67? Si parla tanto di aumento dell’età lavorativa e poi nel pubblico si fanno queste scelte e nel privato se possono ti mandano via a 50 anni.

  2. Fernando DI NICOLA

    Apprezzo e condivido il criterio di flessibilità associato ad "attuarializzazione" anche delle pensioni retributive. Due osservazioni: 1) la proposta è diametralmente opposta a quella di Rosina (65 anni per tutti!) di pochi giorni fa su lavoce.info; 2) nell’articolo si prospetta un abbattimento del 23% a 57 anni nello scenario 57-65 e sempre del 23% a 59 anni nello scenario 59-67. Come è possibile se gli abbattimenti si ispirano a criteri attuariali?

  3. Maurizio Gasparini

    Perchè non fare prima l’operazione di divisione tra Previdenza e Assistenza cioè dividere i conti dell’INPS in modo da avere chiarezza sui due fronti? Questo consentirebbe di avere chiarezza di quanto versano le diverse categorie: autonomi, lavoratori dipendenti e pubblici e da quì partire per una riforma che faccia chiarezza, vedere se proprio serve una riforma che abbia una validità di almeno 10 anni, altrimenti se ogni due o tre anni si riparla di pensioni, la gente, anche quelli che potrebbero restare, scappa e restano in meno a versare. E’ la separazione tra previdenza e assistenza il primo passo!

  4. Emilio

    Giustissimo ed equo nei confronti delle nuove generazioni aumentare l’eta pensionabile però mi chiedo: come faremo con tutta quella stragrande maggioranza che perde il lavoro a 55anni e non lo ritrova? Perchè sono considerati "vecchi " dal sistema? Io ho 46 anni e non vedo molti colleghi piu anziani di me qui intorno. Non sarà allora che ciò che lo Stato risparmia sulle pensioni si vede poi costretto ad erogarlo sotto forma di sussidi? Dunque, dove sarebbe il risparmio in termini reali? Qualcuno mi risponde? Forse che la soluzione al problema degli anziani così come la rottamazione per le auto, sarà l’eutanasia dei vecchi, in una societa post-moderna che accetta ciò che sino a ieri era eticamente impensabile?

  5. Stefano Ruggeri

    Vorrei ribadire ciò che è arcinoto da tempo: 1)Il cosiddetto costo della previdenza non è tale: sui conti degli enti di previdenza gravano, oltre alle pensioni, anche l’assistenza (CIG,…), abnormi costi di gestione, inefficienze nella gestione superclientelare dei patrimoni, privilegi diffusi. Ne consegue che i versamenti all’INPS sono semplicemente TASSE, che non gravano in maniera proporzionale al reddito su tutti i contribuenti, ma sono a carico solo di alcuni, che ben difficilmente rivedranno nelle loro tasche ciò che hanno, direttamente o indirettamente, sborsato. 2) I giovani trentenni precari e condannati alla pensione contributiva, sono i figli a carico di genitori ultracinquantenni, spesso espulsi dal ciclo produttivo, e che vengono direttamente colpiti dallo spostamento del traguardo della pensione. Il risparmio perciò dovrebbe essere almeno in parte a carico di chi usufruisce da decenni dei vantaggi previdenziali dei tempi delle vacche grasse. Ma questo è un dogma inattaccabile: il pensionato anche se percepisce migliaia di euro non si può toccare! Con questo meccanismo l’Italia è divenuto il paese dei sessantenni felici, dei cinquantenni incavolati e dei trentenni disperati.

  6. Altromedia

    Perchè accendere dispute retributive fra poveri? E non, piuttosto, accedere ad altre risorse come il ripristino dell’ICI per i redditi da medi in sù, pretendere quote di proprietà e utili dale aziende che si salvano, alzare le aliquote per i redditi da medio-alti in sù, ecc.ecc. Proprio il prelievo da nonni a nipotini?

  7. Roberto

    Non vedo dove sia l’equità intragenerazionale. Si prende la parte per il tutto visto che: in primo luogo, come è stato osservato, la parte assistenza continua ad essere a carico del lavoro dipendente e non della fiscalità generale; i lavoratori autonomi sono esplicitamente esclusi dal calcolo; infine, dato più rilevante, in presenza di un’evasione fiscale e contributiva quale quella stimata in Italia (100 mld annui e 3 milioni di lavoratori in nero) e in assenza di interventi seri, rapidi ed efficaci contro questo fenomeno, qualsiasi provvedimento in materia pensionistica non può essere condiviso da chi già si fa carico del sistema. Per ultimo le aziende continuano ad espellere (definitivamente) dal mercato i 50enni attraverso mobilità e pre-pensionamenti, mentre Confindustria invoca l’innalzamento dell’età pensionistica.

  8. viviana neri

    Si potrebbe studiare anche l’effetto di una ipotesi di questo tipo?: a partire da una certa età (59/60 anni) prolungamento fino a 65 anni in questo modo: trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part time con parte della retribuzione a carico del datore di lavoro e parte della pensione a carico dell’INPS. M sembra che potrebbero esserci vantaggi per tutto i soggetti. – i lavoratori non perderebbero molti soldi e guadagnerebbero quel tempo e quella flessibilità che rappresentano l’esigenza massima dopo una certa età, sopratutto per le donne – i datori di lavoro potrebbero assumere giovani part time utilizzando i senior come tutori – l’Inps pagherebbe metà pensioni.

  9. MICHELE B

    CONDIVIDO LA PROPOSTA BB1, sarebbe finalmente il modo di annullare la lunga transizione del sistema previdenziale. Questa è stata l’ingiustizia sociale perpetrata a danno dei giovani che, a differenza dei loro genitori non hanno certezze sulla stabilità di impiego e retribuzione e che iniziano a versare contributi molto più tardi. Mi preme ricordare che dal 1995 si sono susseguite molteplici iniziative legislative in materia, ma mai sono stati interessati e coinvolti i giovani. Un appunto metodologico, l’adeguamento dei coefficienti di trasformazione deve esser fatto in riferimento alle coorti. In pratica l’aspettativa di vita di chi è nato ad es. nel 1970 è più bassa rispetto a chi è nato nel 1975, ne consegue che si applicheranno due diversi coefficienti di trasformazione, diversamente applicare l’ultimo coefficiente aggiornato alla platea indistinta di pensionandi comporterebbe una profonda iniquità attuariale. Inoltre nel nostro sistema ex l.335/1995 non è indicato a chi compete individuare i coefficienti aggiornati e con quali modalità (ci sarebbe bisogno delle tavole di sopravvivenza, ma chi le compila? magari l’istat).

  10. Antonio ORNELLO

    Chiunque saprebbe massimizzare i risparmi previdenziali nei modi da voi proposti. Ma forse non vi siete accorti che penalizzate maggiormente chi ha contribuito per più di 35 anni e, però, deve restare perché non ha l’età. A questi lavoratori, magari pendolari – per legge – a proprie spese, riconoscereste un trattamento pensionistico perfino ridotto rispetto a quello già maturato diversi anni prima. E forse non sapete che questo è contro i princìpi costituzionali e la logica, poiché a maggiore permanenza dovrebbe accompagnarsi miglior pensionamento. Forse non vi rendete conto che la pensione è negata a chi ha 39 anni di contributi – se ha 57 anni anagrafici – ed è invece concessa ai 58enni, anche se con 4 anni di lavoro in meno.

  11. Peppe

    62 anni di età; 32 anni di contributi di cui 27 in INPS e 5 in Gestione Separata INPS con 5 anni ante 1996 da riscattare come cococo. Perchè si è in pensione con 59 e 35 e non con 62 e 37? La riforma della totalizzazione è una chimera. A cosa mi serve la totalizzazione a 65 anni se tra 5 mesi la Ditta chiude? Non avendo nè CIG, nè Mobilità fino a 65 come si campa? P.S. Tra 3 anni, stante così le cose, il calcolo sugli ultimi 10 anni mi penalizzerà ulteriormente. Sarebbe troppo prevedere come ammortizzatore sociale uno stipendio di solidarietà fino ai 65 anni?

  12. Franco Ercolani

    Trovo molto interessante l’articolo in questione e anche i relativi commenti in merito. Solo una precisazione: ma nelle varie ipotesi analizzate rimane la possibilità di andare in pensionecon i 40 di contributi o per il bene supremo si deve andare in pensione post – mortem? Grazie a chi vorrà dare precisazioni in merito.

  13. Claudio O.

    Secondo me si sta ancora una volta commettendo il solito errore, dove l’importante è solo far quadrare i conti senza tenere conto della reale situazione del paese. Vi rendete conto o no che le aziende fanno di tutto per estromettere dal mondo del lavoro chi ha superato la soglia dei 55 anni. Vengono esercitate pressioni che molte volte scadono nel più bieco dei ricatti, viene fatto il vuoto intorno al lavoratore che è così costretto ad accettare l’istituto della mobilità che come costi ricade sempre sullo Stato.

  14. Antonio Fiori

    Cari amici, leggo sul Corriere della Sera dell’11 febbraio 2009 questa chicca tra le chicche: "Il governo è stato battuto alla Camera su un emendamento all’articolo 5 del disegno di legge Brunetta presentato dal Partito democratico. Al termine delle operazioni di voti, dai banchi dell’opposizione è scoppiato un applauso. Alcuni deputati della maggioranza hanno affermato di aver riscontrato malfunzionamenti di un’intera fila di postazioni di voto, ma i servizi tecnici della Camera hanno subito escluso questa eventualità. L’emendamento stabilisce che nella Pubblica amministrazione il conteggio del tetto massimo di anzianità previsto di 40 anni dovrà essere di servizio effettivo e non contributivo. Questo significa che sono escluse le possibilità di riscatto del periodo di laurea, di specializzazione o del servizio militare. Di fatto nella Pubblica amministrazione si passa da un’anzianità massima contributiva di 40 anni a una di servizio effettivo sempre di 40 anni." Dunque un pubblico dipendente che ha sborsato 40 mila euro per il riscatto di 4 anni di laurea (non parliamo dei medici!) si trova beatamente fottuto. E il militare poi, non era servizio pubblico?

  15. cesare guerrini

    Mia moglie, 56 anni di età al 24 gennaio 2009, licenziata dalla Fiat per ristruttirazione con quasi 31 anni di contributi (compresi i 4 anni riscatto laurea) rientra nel regime retributivo ma si troverebbe nella ingrata posizione di dover "rincorrere" la pensione fino ai 65 anni…anche perché pur volendolo non può neppure optare per il regime contributivo perchè non ha 35 anni di contributi……quale equità? …….mi auguro di non aver interpretato male.

  16. giuseppe faricella

    Mi scuso preventivamente per la semplicità della mia osservazione. Due alternative: 1. pensioni come solidarietà intergenerazionale e interclassista: i ricchi e i giovani pagano le pensioni ai vecchi non ricchi in misura tale da rendere la loro vita accettabile. Conseguenza: metodo di calcolo retributivo e limiti di età per l’uscita dal lavoro; 2. pensioni come salario differito ovvero risparmi garantiti dallo Stato assicuratore (evviva la modernità liberale): metodo di calcolo contributivo, assistenza separata dalla previdenza e ognuno va in pensione quando cavolo gli pare con quello che è riuscito ad accumulare. PS: stamattina ho sentito alla TV un noto pensatore iperliberale dire che non è il libero mercato a fallire, ma il mercato libero non regolato. Ma una volta non la chimavamo "economia mista" di democristiana e socialdemocratica memoria?

  17. pierluigi morelli

    Gentili autori. Trovo piuttosto strane le stime dei risparmi di spesa dell’ipotesi D di riforma (pensione di vecchiaia a 65 anni per le donne). Gestendo un modello sulla spesa pensionistica posso dire che simulazione simili ma decisamente meno pesanti che mimano uno spostamento volontario dell’eta di pensionamento per le donne da 60 a 65 anni, producono risultati decisamente più eclatanti di quelli da voi stimati soprattutto dopo il 2020. In particolare se fino al 2020 la stima dei risparmi cumulati è simile alla vostra (1,8 mld) al 2030 il risparmio salirebbe a 11,5 mld di Euro per toccare i 30 mld di Euro nel 2040. In termini di Pil si arriverebbe ad un risparmio massimo pari a mezzo punto percentuale. Se l’aumento dell’età pensionabile fosse imposto, invece che volontario, tali risparmi risulterebbero ovviamente superiori e quindi molto distanti dalle vostre stime.

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