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PREZZI E SALARI AL TEMPO DELLA CRISI

I salari nel 2008 sono aumentati di un punto e mezzo più dei prezzi. Un effetto temporaneo, ma non solo. Un problema che potrebbe diventare più drammatico nei prossimi mesi, con il rischio di un peggioramento delle relazioni industriali. Se il governo ha risorse fiscali aggiuntive, è qui che bisognerebbe metterle: per difendere il potere d’acquisto dei lavoratori e delle loro famiglie, senza pregiudicare la competitività delle imprese.

I dati Istat dicono che i salari (in euro) nel corso dell’anno 2008 (calcolando l’aumento da dicembre 2008 rispetto al dicembre 2007) sono aumentati quasi del 4 per cento (+3,8 per cento, per la precisione), una crescita molto maggiore  rispetto a quella dei prezzi al consumo che sono aumentati solo del 2,2 per cento nello stesso periodo di tempo, e di sei volte più grande della crescita dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali, che sono saliti dello 0,6 per cento. Vuol dire che il potere d’acquisto di un lavoratore medio (cioè il salario di operai e impiegati al netto dell’inflazione al consumo) è cresciuto dell’1,6 per cento nel 2008. Nello stesso periodo di tempo, la componente salariale del costo del lavoro per le imprese è cresciuta del 3,2 per cento: il +3,8 per cento dei salari è stato scaricato solo molto parzialmente sui prezzi di vendita, aumentati appunto solo dello 0,6 per cento nel 2008).
Quindi i lavoratori stanno meglio rispetto a dodici mesi fa, mentre le imprese stanno peggio, nel senso che pagano di più in termini reali per i servizi del lavoro. Per questo il Corriere della Sera ha titolato allarmato: “Aumento record dei salari nel 2008, mentre la dinamica dell’inflazione è rallentata a poco più del 2 per cento”.

INSOMMA: PIÙ RICCHI O PIÙ POVERI?

C’è però un problema. Come mai i dati dell’Istat ci dicono che le cose vanno meglio, mentre, nella società italiana, esiste una diffusa percezione di impoverimento, notoriamente riassunta nella frase “molte famiglie fanno fatica ad arrivare alla quarta settimana”?
Prima di tutto, va ricordato che qualche volta la media non descrive bene quello che succede alla maggioranza dei lavoratori nell’economia. I salari sono aumentati molto nel dicembre 2008 rispetto al dicembre 2007, e in particolare in dicembre rispetto al mese di novembre 2008, perché nel mese di dicembre si sono concentrati gli effetti dell’applicazione dei rinnovi contrattuali per più di 3 milioni di lavoratori: quelli del commercio, del credito, dei dipendenti delle amministrazioni centrali del pubblico impiego e della scuola. Si è trattato di un misto di aumenti veri e propri, arretrati e indennità varie; aumenti che devono essere spalmati sull’intero periodo di validità dei rinnovi per valutarne l’impatto di più lungo periodo.
Se si guarda a cosa è successo alle retribuzioni reali negli anni successivi all’adozione dell’euro, si ottiene un quadro più equilibrato e anche, per certi versi, differente dall’opinione più diffusa. I dati dicono che, tra il dicembre 2001 e il dicembre 2008, le retribuzione contrattuali per lavoratore (i “salari”) sono complessivamente aumentate del 21,4 per cento, mentre i prezzi al consumo sono aumentati “solo” del 17,2 per cento e quelli alla produzione del 23,7 per cento. Quindi sulla base dei salari reali al netto dell’inflazione, cioè prima di considerare le tasse e i trasferimenti statali e prima di considerare la spesa per i mutui, le famiglie italiane non avrebbero ragione di lamentarsi. Soprattutto non avrebbero da lamentarsi con il settore della distribuzione che sembra anzi aver in qualche modo calmierato gli aumenti dei prezzi dei prodotti industriali. Così dice l’Istat.
Si deve quindi concludere che la percezione di impoverimento deriva da ciò che succede fuori dalle relazioni industriali e fuori dai negozi e dai supermercati, cioè nel momento in cui compiliamo la dichiarazione dei redditi e in quello in cui andiamo in banca a pagare la rata mensile del mutuo.Èevidentemente l’aumento delle tasse e dei mutui che ci fa sentire più poveri tutti i mesi, non l’ingordigia dei distributori.

SALARI E PREZZI NEI PROSSIMI MESI

L’aumento dei salari di dicembre è poi in stridente contrasto con il raffreddarsi dell’inflazione conseguente ai venti di deflazione che stanno soffiando sulle economie, in particolare su quella americana e quella inglese, dal mese di agosto a oggi soprattutto a causa della riduzione dei prezzi delle materie prime e dei prezzi dei servizi immobiliari. Come riporta l’Istat, da agosto a dicembre, l’indice generale dei prezzi al consumo è diminuito complessivamente dello 0,8 per cento (da 138.0 a 136.9), mentre quello dei prezzi alla produzione è sceso anche più nettamente, addirittura del 5,1 per cento, da 131.5 a 124.8. Come già osservato in passato, l’inflazione su base annua è ancora positiva a causa della rapida crescita dei prezzi, sia al consumo che alla produzione, nella prima metà dell’anno, fino a luglio incluso. Ma, se le cose vanno avanti così e la recessione entra nel vivo, la riduzione dei prezzi riguarderà un paniere più ampio di beni: riguarda già ora il 44 per cento delle nove categorie censite dall’Istat; non è quindi solo un fenomeno relativo a poche voci legate al petrolio, come la benzina, e alle materie prime. Il rischio a cui si va incontro nei prossimi mesi è quello di un peggioramento delle relazioni industriali. Da un lato le imprese, sempre più pressate dall’azzeramento dei margini sul mercato dei beni, si troveranno nella condizione di dover negoziare aumenti salariali più contenuti per mantenere la loro competitività. Ma ciò potrebbe avvenire nel momento più sbagliato, cioè quando ci sarebbe bisogno invece di mantenere il potere di acquisto dei salari per sostenere i consumi.
Ecco dunque il rebus da risolvere per il governo nei prossimi mesi. Come si fa a tenere su i consumi senza ridurre la competitività aziendale? Un modo forse c’è. Il governo dovrebbe ridurre le tasse sul lavoro e in particolare i contributi sociali. Ma, realisticamente, si possono ridurre i contributi sociali solo intervenendo sul sistema pensionistico, cioè allungando l’età pensionabile in linea con i trend demografici. Molto difficile da farsi. Ma se non ci prova un governo che ha consensi così maggioritari nel paese e una maggioranza così solida in Parlamento, chi mai potrà più provarci in futuro?

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PENSIONI: SE I RISPARMI RICHIEDONO FLESSIBILITA’

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IL COMMENTO ALL’ARTICOLO DI BOERI E BRUGIAVINI*

51 commenti

  1. stefano orena

    E’ incredibile. La priorità non è quella di riformare, riorganizzandolo uno stato esoso rapace ed inefficiente, no si pensa a tagliare le pensioni. La riforma delle pensioni è sicuramente necessaria per rendere il sistema sostenibile ma in questo momento sarebbe meglio efficientare la faragginosa macchina statale. Anche continuando a pagare gli stipendi ma snellendo l’apparato (teniamo a casa in “cassa integrazione” i dipendenti delle provincie e rispalmiamo i compiti su regione e comuni evitando sovrapposizioni per dirne una) bisogna affrontare il moloch. Se il governo vuole spendere la sua popolarità per qualcosa faccia pulizia “in casa” ma per davvero. Avrà il consenso di più persone di quelle che perde.

    • La redazione

      Bisogna anche riformare lo Stato etc etc. Ma e’ un problema diverso da quello dell’interazione prezzi e salari durante la crisi.

  2. Antonio Trotta

    Avete colto nel segno il vero problema: le rilevazioni dell’ISTAT lasciano il tempo che trovano. Dovrebbero fare le stesse analisi guardando ai guadagni netti delle persone per capire realmente come stanno le cose… posso fare subito il mio esempio; io ho un contratto metalmeccanico 5° livello nudo e crudo (senza secondo livello e cose varie). praticamente guardando le mie buste paga ho notato che la media dello stipendio dell’anno scorso era uguale a quella del 2006! dove lo ha visto l’ISTAT l’aumento? Continuano ad essere 1150 € circa… forse è qui che dovrebbe intervernire il governo invece di pensare alle banche, assicurazioni etc etc…

  3. Tommaso Sardelli

    Non sono molto d’accordo che la riduzione del cuneo fiscale possa solo e solamente avvenire inasprendo le condizioni per andare in pensione. E’ coerente aggiornare i parametri secondo le tendenze demografiche, ma pensare di attingere dai contributi versati dai lavoratori per ogni necessità è assolutamente errato. Nella sua analisi non si approfondisce il nodo della questione: l’andamento della quota salari sul reddito nazionale, che dal 1994 in poi ha subito un deterioramento, causa rinnovi contrattuali ridicolosamente irrisori e ascesa fulminea di prezzi. Uno shift di reddito verso profitti e rendite, verso chi ha incassato l’inflazione e gran parte degli aumenti di produttività. Il tutto in barba agli insegnamenti di Pigou. L’ipocentro della crisi, secondo le mie riflessioni, è essenzialmente uno sbilanciamento nella distribuzione del valore aggiunto. Il monte salari nazionale ha perso ben 8 punti in questi anni, coerentemente con l’esiziale trend internazionale, portandoci inevitabilmente ad una crisi (anticipata da una crescita dell’indebitamento) Non proseguo causa limite caratteri, ma il dibattito che coraggiosamente dovreste portare avanti è questo.

    • La redazione

      Il mio articolo non e’ sulla riforma delle nsioni. Solo, qnaziche’ limitarmi a scrivere che bisognerebbe ridurre la tasse sul lavoro, mi ho provato ad indicare un modo per rendere tale riduzione sostenibile. Non credo che la causa della crisi attuale sia dovuta al fatto che il monte salari e’ diminuito.

  4. Piero

    Mi permetto cortesemente di dissentire : 1) è aumentata negli anni la forbice tra i salari top e quelli medi scesi molto di più della “media” (scusate il gioco di parole) 2) l’inflazione reale al consumo è strutturalmente superiore a quella misurata dall’Istat, e non si tratta di mera percezione 3) la cosa peggiora di molto se si tiene conto del fortissimo spostamento di ricchezza conseguente alla infiammata legata all’introduzione dell’euro 4) i settori protetti (es. ma non solo la pubblica amministrazione) hanno avuto negli anni di più abbassando la produttività “complessiva” del sistema 5) inutile nasconderci dietro un dito : la riforma dei contratti lega salario e produttività ? ma allora come mai negli ultimi 10 anni su dati Mediobanca (fonte non credo sindacale:) la quota profitti è salita ? Ma allora com’è che siamo scollegati alla proddutività ? A chi toccherà pagare il recupero di competitività ?

    • La redazione

      Quante domande, non so tutte le risposte. Per il futuro, rimane il fatto che se i prezzi sono fermi, le relazioni industriali finiranno per peggiorare. Per questo il governo deve a mio avviso fare qualcosa al riguardo.

  5. andrea

    L’articolo dovrebbe continuare analizzando anche il fatto che è sempre più improbabile, nel settore privato, riuscire a non essere espulsi dal lavoro prima di raggiungere l’età pensionabile.
    Potrebbe accadere che quanto risparmiato sulla carta debba poi uscire comunque sotto forma di cassa integrazione, mobilità, ecc.

    • La redazione

      Ho solo 5000 battute. E’ la nostra regola redazionale. Qualche tempo fa avevo scritto un pezzo "Inamovibili perche’ improduttivi?"

  6. Marco

    va bene che nel 2008 i salari sono cresciuti piu’ dell’inflazione, ma negli anni prima cosa è successo? l’inflazione c’è sempre stata (e pure alta) anche negli anni precedenti al 2008, mentre i salari probabilmente sono rimasti stabili. Non ha senso confrontare l’aumento dei salari con l’aumento dell’inflazione puntualmente su un solo anno, bisogerebbe confrontare il cumulato di almeno 3-4 anni.

    • La redazione

      Ma perche’ non leggete gli articoli fino almeno a meta’ prima di mandare un commento? Nell’articolo, il confronto c’e’ per gli anni 2002/2008, cioe’ da quando c’e’ l’euro.

  7. mirco

    E’ strana e interessante la descrizione delle correlazioni fra redditi, consumi, deflazione ,inflazione e contributi sociali. Sono in accordo con l’indicazione europea di equiparare l’età di pensionamento fra donne e uomini. Si deve però cominciare a stanare i sindacati sulla definizione una volta per tutte delle categorie di lavoratori che svolgono mansioni usuranti, senza per questo innescare la solita commedia italiana per cui poi tutti con leggi leggine decreti e circolari possano divenire lavoratori usuranti. Essere seri in queste cose significa incidere veramente sulla contribuzione sociale senza dover rimettere in discussione il sistema pensionistico. Io interverrei anche sulle aliquote irpef.Mi piacerebbe che la voce pubblicasse un lavoro sui costi maggiori della vita che devono sopportare le famiglie mononucleari, ( anziani, giovani, divorziati, ecc) parecchi milioni di persone e li confrontasse con i costi del supermercato ad esempio di una famiglia con figli. Ci sarebbero molte sorprese. Rimango infine concorde che occorre mettere le aziende in condizioni di non dover pagare in questo momento un inasprimento delle relazioni sindacali sui contratti da rinnovare.

  8. Fabio Rapiti

    Buongiorno, per confrontare la crescita di salari e prezzi non mi sembra corretto prendere un solo mese, dicembre, e derivarne conseguenze su tutto l’anno 2008 e arrivare a dire che “I salari nel 2008 sono aumentati di un punto e mezzo più dei prezzi” o che “i lavoratori stanno meglio rispetto a dodici mesi fa”. I confronti annuali si devono fare in base alle medie annue. Se si guarda ai dati medi annui (tutto il 2008 su tutto il 2007) i prezzi al consumo hanno avuto un incremento del 3,4% secondo l’indice FOI (famiglie operai ed impiegati) o di 3,5% se usa l’indice l’indice armonizzato, quello di recente indicato nell’accordo sul nuovo modello contrattuale. I salari sono cresciuti in media nel 2008 del 3,5%. Quindi, non si è verificata nessuna crescita in media nel 2008 dei salari lordi. Se poi consideriamo i “salari netti” con l’effetto del fiscal drag è certo che il reddito dei lavoratori dipendenti sia diminuito nel 2008 e, quindi, la “percezione” di riduzione del reddito dei lavoratori ha un inequivocabile fondamento reale. Invece è sicuramente corretto utilizzare i dati dell’ultimo mese per derivarne indicazioni per il futuro come si fa nella seconda parte dell’articolo.

    • La redazione

      Concordo con le sue osservazioni. Veda anche le risposte a Benetti e Lettore Attento.

  9. maurizio benetti

    La matematica non è un’opinione, le statistiche spesso si. Daveri fa riferimento al dato dicembre su dicembre sia per i prezzi che per i salari. Ma questi dati non riflettono gli andamenti annuali di inflazione e retribuzioni, ma solo quello tendenziale. Se prendiamo il dato medio relativo al 2008 vediamo che i salari contrattuali sono aumentati del 3,5% (non del 3,8%) e che l’inflazione è cresciuta del 3,3% se consideriamo il NIC, del 3,2% in base al FIO, del 3,5% in base all’IPCA. In definitiva retribuzioni contrattuali e inflazione sono andati di pari passo. Si tratta poi di retribuzioni contrattuali non di quelle di fatto. Prima di dire se le retribuzioni reali sono cresciute o meno aspettiamo questi ultimi dati.

    • La redazione

      Caro Benetti, lei ha ragione per la media 2008. Inoltre, aspettiamo senz’altro i salari di fatto. Ma i dati 2002-2008 ci danno qualche informazione su cui possiamo gia’ ragionare.

  10. Lettore attento

    Non voglio entrare nel merito dell’articolo. Vorrei però precisare che l’inflazione 2008 (dati ISTAT) è del 3,3% (ed è su questa che sono state aggiornate le pensioni) mentre solo la tendenziale è del 2,2%. Il comparto scuola ha goduto di un incremento del 4,9% (dato Corriere della Sera) che è relativo a tre anni di contratto 2006-2007-2008 durante i quali l’inflazione è stata complessivamente superiore.

    • La redazione

      Caro Lettore Attento, quello che dice e’ vero. Ho dato il tendenziale. Mi sembra piu’ importante per capire dove stiamo andando, data la svolta nell’inflazione che c’e’ stata durante l’estate. (5000 battute sono poche per parlare di tutto, e a volte scriviamo in fretta un riassuntino all’inizio che non rispecchia pienamente il contenuto degli articoli.) Ma, a parte questo, e’ cosi’ importante la media 2008 per capire perche’ la gente si sente piu’ povera? Infatti nell’articolo riporto i dati 2002-2008 che danno un quadro piu’ ampio e che mi portano a una delle conclusioni dell’articolo (non e’ dalla dinamica prezzi-salari che viene l’impoverimento). Mi sembra una conclusione plausibile.

  11. andrea

    Noto un insistente campagna da parte de LaVoce.Info per un aumento dell’età pensionabile, misura invocata da sempre piu’ numerosi articoli. Si tratta però di una misura profondamente ingiusta, e controproducente. Ingiusta perche’ esaspera sistema a caste del lavoro italiano, con dipendenti pubblici stipendiati a vita quali che siano le finanze del datore di lavoro (Stato), e dipendenti privati, privati spesso dell’impiego una volta arrivati alla cinquantina. E che avrebbero 5 anni in piu’ da sopravvivere senza redditi, oltre che una pensione ridotta da meno contributi percentuali. Controproducente perché per vari anni sottrarrebbe posti di lavoro ai giovani in cerca di impiego proprio quando la depressione crea un’emergenza occupazionale.

    • La redazione

      L’aumento dell’eta’ pensionabile dovrebbe essere per tutti (tranne per i professori universitari che gia’ vanno in pensione a 70 anni, a conferma del fatto che il nostro non e’ certo un lavoro usurante). Non c’e’ un monte di ore lavoro da spartire tra I lavoratori in condizione di lavorare. Bisogna creare le opportunita’ di lavoro per tutti, giovani e vecchi. Ed evitare di parlare di guerre generazionali.

  12. Adr

    Le imprese hanno assorbito questo 3,5% riducendo di tal quantità il superminimo riassorbibile: non s’è visto un euro di aumento e ti credo che si vada verso la deflazione. Si deve ridurre il carico fiscale su chi procuce ricchezze (imprese e lavoratori) e tassare rendite parassite e grandi patrimoni: i lavoratori dipendenti non hanno più da dare e le imprese son dei prati inglesi a forza di tagliare.

    • La redazione

      Ridurre le tasse e sempre una buona cosa. Il problema e’ sempre come finanziarne la riduzione.

  13. GIANLUCA COCCO

    Ammettiamo pure che i dati, a dir poco discutibili, sui salari siano veritieri. Tuttavia, il problema andrebbe spostato su un altro indicatore: il reddito disponibile, eroso dal pagamento di beni e servizi primari quali: la casa, il trasporto, la sanità, la scuola, nonchè da una imposizione fiscale sempre più slegata dalla capacità contributiva. Se le masse continuano ad avere uno scarso potere d’acquisto il sistema giungerà in pochi anni al collasso. Pertanto, la soluzione andrebbe ricercata nella progressività dell’imposizione fiscale, quale primo strumento di redistribuzione dei redditi; nella forte regolamentazione del mercato della casa, attualmente in mano agli speculatori; nella tendenziale sostituzione del trasporto privato con quello pubblico; nella gratuità dei servizi essenziali per le fasce di reddito medio-basse. Invece, la riduzione del differenziale tra costo del lavoro e stipendio netto è tutt’altro che auspicabile, visto che renderebbe ancora meno sostenibile il sistema previdenziale e soprattutto meno dignitose le già irrisorie pensioni medie. Oltretutto la relazione tra riduzione del cuneo fiscale e la crescita delle retribuzioni è molto debole. Cordiali Saluti.

    • La redazione

      Non sarei cosi’ sicuro dell’ultima affermazione. La riduzione del cuneo fiscale del governo Prodi, insieme con le leggi Treu e Biagi, ha a mio avviso contribuito di sicuro (non conosco pero’ nessuna stima al riguardo) alla tenuta del mercato del lavoro in questi primi mesi di crisi.

  14. N.Scalzini

    Ritengo che salari e pensioni non abbiano alcun bisogno di interventi generalizzati per la difesa del loro potere d’acquisto, il quale anzi dovrebbe segnare un netto aumento a causa del crollo del tasso di inflazione. Si sta invece verificando una forte riduzione della quantità di lavoro nel settore settore privato che colpisce alcune categorie di lavoratori a cominciare dai giovani, con negative ripercussioni sul monte complessivo dei redditi. A queste categorie andrebbero indirizzati sostegni e protezioni, potenziando i cosiddetti ammortizzatori sociali. A questa azione dovrebbe affiancarsi una forte spinta agli investimenti pubblici (reti,infrastrutture, difesa del suolo,tecnologie,etc). Certo i vincoli derivanti dal debito pubblico limitano il ricorso al" deficit spending" ma le risorse potrebbero essere certamente incrementate intervenendo sulle pensioni (basterebbe fissare un limite minimo di età ,ad es.a 58 anni per maturare il diritto al pensionamento per ricavare consistenti risorse), ma su questo terreno il Sindacato si è sempre battuto strenuamente per conservare quei vantaggi che rendono dispendioso il sistema pensionistico e pesantissimo il prezzo pagato dai giovani.

  15. ciocia generoso

    Percezione o reale impoverimento: Incertezza del futuro, indebitamento senza previsione di rientro, subire aumenti di chi gioca con i tuoi euro di l lavoratore a prezzo(!) fisso; case di taglia popolare fatte pagare quanto la reggia dell’agha Kahn…vogliamo continuare. Quando si comincerà a vedere con un po’ di razionalità invece come la sensazione di arricchimento generalizzato dagli anni 70 in avanti era invece dovuto a: stabilità di reddito, politica della casa. La redistribuizione del reddito, garanzia di ricchezza per i ceti popolari, è forse indice di miseria per gli imprenditori? Non mi sembra. Infatti, con la legge 300/1970 e la stabilizzazione dei contratti, i lavoratori a reddito fisso hanno avuto la sensazione di essere più ricchi perchè hanno potuito comprare casa, la macchine, il televisore a colori, l’hi fi, la scuola ai figli, le vacanze, i mobili nuovi, gli abiti griffati ecc, ecc, ecc. Non mi sembra che le imprese si siano impoverite…anzi. Ma la malattia è sempre quella di credere che il lavoro sia un costo e non un valore.

    • La redazione

      Grazie, un commento pieno di spunti ognuno dei quali meriterebbe un articolo. In sintesi, e’ vero che la stabilita’ del reddito degli anni settanta consentiva alla gente di pianificare per il futuro. Ma c’era comunque chi rimaneva fuori dal mercato del lavoro ufficiale e ci rimaneva per sempre (I lavori precari sono sempre esistiti nel mercato nero). Poi il mondo e’ cambiato perche’ il prezzo del petrolio si e’ quadruplicato e l’Italia si e’ integrata nel mercato mondiale. Stabilizzare I contratti dei precari non sarebbe oggi la soluzione. La soluzione e’ creare un sentiero graduale e sostenibile di entrata e di progressione nel mercato del lavoro con un contratto unico per tutti.

  16. Maurizio

    Mi fa piacere che almeno qualcuno abbia una idea nuova dare i soldi a quelli che il posto ed il reddito l’hanno. e vedo con immenso piacere che addirittura ci si preoccupa di non pregiudicare la competitività delle imprese! io direi di pregiudicarla almeno un poco tanto per fare dispetto a questa montagna di evasori fiscali, sfruttatori che dissanguano il Paese. Perché non mettiamo nuove tasse, alziamo le sanzioni al 5000%, e così aumentiamo il potere d’acquisto dei lavoratori a tempo indeterminato di grandi imprese e soprattutto pubblici. Può essere che mi sbagli, e anzi lo spero tanto, ma questa crisi invertità nel pensiero comune l’ordine di priorità e ci farà capire che prima viene il motore del Paese e cioè le imprese, poi l’interesse delle nuove generazioni ed alla fine e per ultimi quello dei lavoratori che già hanno e che dispongono di tutte le garanzie che anni di lotte hanno reso possibili.

  17. Emanuele Forlano

    Io mi chiedo come mai un paio di scarpe prima dell’euro costava 90 mila lire, e adesso ci vogliono più di cento euro (quindi raddoppiato il prezzo nel giro di qualche anno). Sarà anche un caso isolato, magari su altri settori i prezzi sono davvero cresciuti per come indica l’ISTAT. Ma è anche vero che se vuoi una stanza a Roma paghi la bellezza di 500 euro al mese, che sono più o meno un milione delle vecchie lire. Qualcuno sa rispondermi? Si prendono in considerazione gli effetti del raddoppio dei prezzi dati dal cambio (1 euro circa 2000 lire) euro/lira?

    • La redazione

      La risposta breve e’ si’. L’Istat misura l’aumento dei prezzi tenendo d’occhio cosa succede ad un paniere di beni rappresntativo delle spese dele famiglie italiane e di quelle di operai e impiegati. I panieri sono un po’ adattati di anno in anno (quello 2009 e’ uscito oggi, vedi http://www.istat.it) per tenere conto dei cambimenti di abitudini di consumo degli italiani.

  18. giorgio baessato

    La notizia che i salari sono aumentati più dell’inflazione è falsa. Perché non tenete conto che il rinnovo dei contratti avviene se và bene ogni 3 anni e non ogni anno come voi scrivete? Come si fa a fare il calcolo nel modo più a voi conveniente, per scrivere sui giornali cose non vere. L’inflazione viene calcolata ogni anno ma gli stipendi non aumentano ogni anno quindi gli aumenti che voi avete scritto devono perlomeno essere divisi per tre (anni del rinnovo contrattuale) con una media all’incirca dell’1% all’anno questo è aumento reale degli stipendi.

    • La redazione

      Premesso che non ci guadagno niente dall’affermare che i salari crescono piu’ dei prezzi, se avesse la pazienza di leggere l’articolo per intero troverebbe esposta la sua osservazione in maggiore dettaglio.

  19. Roberto

    Ogni volta che lo Stato ha bisogno di soldi si pensa sempre di ritoccare le il sistema pensionistico. Da una parte il discorso è legittimo, l’età media per la pensione in Italia è più bassa rispetto le altre nazioni dell’Unione Europea e l’aspettativa di vita media è piuttosto alta. Quello che mi chiedo è se abbia senso toccare le pensioni, creando quindi un disagio alla popolazione, quando in Italia ci sono 100 miliardi di euro di evasione e gli sprechi dello Stato sono enormi. E’ giusto che le pensioni siano la priorità rispetto questi fattori? E’ giusto che una persona onesta debba andare in pensione più tardi perchè alcuni disonesti non pagano le tasse?

    • La redazione

      L’evasione fiscale e’ una piaga tutta italiana che altri paesi europei non conoscono. Ma e’ un problema diverso da quello dell’innalzamento dell’eta’ pensionabile. Come anche lei sottolinea, abbiamo tutti e due i problemi. In Finlandia, il paese piu’ avanzato e civile d’Europa e con uno Stato sociale molto sviluppato, mi pare che ci sia una regola automatica che innalza l’eta’ pensionabile di 0,2 anni per ogni anno di aumento dell’aspettativa di vita. Senza tante discussioni, tavoli e simili. Mi sembra una regola plausibile.

  20. Pietro Palermo

    Leggo con disappunto ancora una volta che l’aumento dei prezzi dal 2002 in avanti sarebbe solo una questione di percezione. Si sa, i cultori dell’economia adorano la mano invisibile di Smith ma appena la percezione (cioè la razionalità) del consumatore si mette davanti ad un numero statistico (l’indice FOI) i consumatori diventano dei visionari che sono perfettamente incapaci di essere razionali… Ma non è che invece è irrazionale pesare l’aumento degli affitti sul peso che affitti hanno in media sulla popolazione italiana dimenticandosi che i ricchi la casa ce l’hanno di proprietà (e senza mutuo)? oppure dimenticarsi (chissà perché?) della componente di spesa corrente costituita dagli oneri finanziari? o passare sotto silenzio il consistente aumento del credito al consumo? riguardo a quest’ultimo aspetto, cos’è razionale: che la percezione di aumento dei prezzi abbia stimolato un gregge di irrazionali consumatori a prendere più soldi in prestito per andare in vacanza o comprare i mobili o prendere la realtà per quella che è e cioè che molti non hanno soldi a sufficienza per le loro spese e pagano oneri finanziari che nessuno farà rientrare nel loro paniere di consumo?

    • La redazione

      Le statistiche dell’Istat sono imperfette, non c’e’ dubbio. Ma e’ quello che ci passa il convento. I dati relativi al paniere di operai e impiegati e quelli realtivi al paniere di tutti non sono molto diverse, tuttavia. Alcune delle sue osservazioni e opinioni sul perche’ la gente e’ diventata piu’ povera a dispetto di quello che dicono le statistiche sono esposte anche nel mio articolo, se avesse avuto la pazienza di leggerlo fino in fondo. Non capisco cosa c’entri in questo discorso la mono invisibile di Smith, che e’ morto da duecento anni.

  21. Carlo Carlin

    Io personalmento ho lo stipendio fermo dal 1998, e da quello che sento in giro c’è chi è meglio di me, ma non di molto. Si chiede a tutti di spendere per far ripartire l’economia a persone che o hanno lo stipendio fermo da anni o che sono a casa senza lavoro perchè la loro azienda si è trasferita in Cina o Romania. Ma che cecità è questa? L’economia funziona se qualcuno consuma e qualcuno consuma se ha il lavoro e se pagato mutuo, spese per i figli, benzina, riesce ad avere a disposizione altro denato da spendere. Difficile da capire?Smettiamola con questa cecità, proteggiamo i nostri mercati e facciamo tornare occupazione, fabbriche, fette di economia in Italia. Solo un’alta occupazione garantisce un’alta spesa procapite e solo chi spende fa vivere un paese capitalista.

  22. Pietro Palermo

    Prof. Daveri, ho letto il suo articolo fino in fondo, dato che prima di esprimere un parere di solito rileggo gli articoli almeno due volte. E ho letto che lei diceva:" È evidentemente l’aumento delle tasse e dei mutui che ci fa sentire più poveri tutti i mesi, non l’ingordigia dei distributori", ma il punto non è che ci si "sente" più poveri, ma che siamo più poveri! Non è questione di percezione, ma di fatti concreti, o non era questa la sfumatura con la quale avrei dovuto leggere il suo "ci fa sentire"? Altro fatto concreto è che i prezzi in media sono aumentati del 3,3% all’anno e le retribuzioni in media del 3,5%: le statistiche saranno imperfette, ma usiamole con delicatezza e non confrontiamo due tendenziali uno in accelerazione ed un decelerazione. E poi questionavo proprio sull’imperfezione del FOI: lo so benissimo che il NIC ed il FOI sono simili ed è questo che mi dà da pensare, capisce? Da ultimo, Smith che c’entra? Li ricorda ancora i presupposti del mercato di concorrenza perfetta? Flessibilità dei prezzi, assenza costi di transazione, informazione perfetta, razionalità dei consumatori. L’ultimo punto in elenco riesce a vederlo in relazione al mio scritto?

  23. andrea malatesta

    Niente di nuovo sotto il sole. Sono anni che sento riproporre le solite ricette sulla riduzione delle tasse sul lavoro; mi pare che anche il Governo Prodi adottò la riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, e non mi pare che le retribuzioni ne hanno tratto giovamento, nè tanto meno la competitività delle nostre aziende. Abbiamo i salari più bassi d’Europa ed aziende poco competitive. I conti non mi tornano. Sarà perchè non sono un economista. Perchè non si sottolinea mai abbastanza la circostanza che le imprese che reggono la competizione internazionale sono quelle che investono in innovazione, sviluppo, tecnologia e formazione del personale?

  24. patrik

    Grazie innanzitutto per il tempo che deciderà di dedicare a questa domanda. Dopo aver letto il suo articolo datato 3/2/09 confermo (come imprenditore) che i prezzi dell’industria (nella filiera automotive) iniziano a scendere di qualche punto percentuale. In realtà sono anni che i prezzi scendono costantemente e comunque proseguire su questa strada significa diminuire il margine di guadagno e ciò non va bene. La mia domanda è questa: “Perchè lo Stato non prende atto della situazione e come altri paesi (tipo Polonia) decide di tagliare le tasse del 10%?”. Le dico una cosa, nonostante l’ABI nega e negherà sempre, le banche hanno iniziato a tagliare i fidi a tutte le aziende e sicuramente non le sto a spiegare cosa accadrà tra 3-4 mesi alla industria di larga scala. Tassi di disoccupazione che potrebbero toccare il 20%, insolvenze nei confronti del fisco, etc, etc. Tutte cose che sicuramente non aiuteranno l’attuale Governo a gestire la situazione. Tutto sommato sa cosa le dico: un po’ di dieta farà bene a tutti.

    • La redazione

      Come ho già avuto modo di osservare, la riduzione dei prezzi di vendita, finchè non arriva a colpire i salari, è positiva per i consumatori perché migliora il loro potere di acquisto. E in fondo mette anche alla frusta le imprese per indurle a innovare e a ridurre l’inefficienza aziendale. Se però la riduzione dei prezzi diventa un fenomeno generalizzato che perdura nel tempo, allora si manifestano i suoi effetti negativi che anche lei sottolineava nel suo commento.

  25. ciocia generoso

    Gentile professore, il precariato è stato il mio passato, perciò penso di sapere di cosa parlo e cioè che solo con uno stipendio "serio" ho potuto costruire il mio futuro. Ma almeno fino alla metà degli anni 80, con il concorso pubblico potevi ottenere di uscire dal precariato ed inoltre lo Stato garantiva il rispetto delle regole (cioè dei ccnl), costringendo in qualche misura il privato ad adeguarsi. Oggi non c’è più neanche questo. La vedo dura! Non potremmo seriamente rivedere senza pregiudizi quello che di buono è stato fatto in passato? O dobbiamo condannarci ad un eterno ritorno agli anno 50 (e sinceramente non ne ho nostalgia). Non è l’idea del posto fisso che mi assilla, glielo assicuro, ma della libertà di scegliere senza sentirsi puniti.

  26. Livio Martucci

    Che nel 2008 il potere reale dei dipendenti sia rimasto all’incirca immutato è quanto emerge dalle statistiche ufficiali. Questo dimostra che il rallentamento della crescita dei consumi e il seguente calo degli stessi nella seconda parte dell’anno 2008 è stato condizionato non dall’ecomomia reale ma dalle attese negative sul quadro macroeconomico e dalla spessa componente d’incertezza sull’entità reale di questa crisi. In sostanza la debolezza dei consumi è spiegato da un atteggiamento di cautela che in Italia è alimentato da un’alta propensione al risparmio che è appunto un ammortizzatore dell’incertezza. Nel 2009 invece si aggiungerà la componente reale ossia la riduzione del reddito spendibile a livello aggregato: bassissimi aumenti di stipendio (almeno la componente privata), drastica riduzione della componente variabile delle retribuzioni e infine, ma non ultimo, l’incremento della cig e della disoccupazione. Nel 2009 esiste una speranza che la compenente delle attese inverta il trend di contrazione dei consumi? Ritengo che l’unica speranza di miglioramento delle attese non risieda in Italia ma come al solito dipenda da una ripresa dell’America. Difficile nel 2009.

  27. Luca Giannessi

    Soffermo la mia attenzione su questa affermazione dell’ISTAT: ” i prezzi al consumo sono aumentati ‘solo’ del 17,2 per cento e quelli alla produzione del 23,7 per cento.” Questa affermazione, secondo me, smaschera la falsità delle statistiche ISTAT e della storia secondo cui l’inflazione possa essere distinta in “percepita” e reale. Forse reale secondo l’ISTAT. Di cosa dovrebbe essere composto un paniere oggi per giustificare una simile affermazione non su base annua ma sulla base del periodo scelto 2001-2008? Confrontando i prezzi di tutto si fa una gran fatica a trovare un singolo bene che sia aumentato “solo” del 17.2% dal 2001 (lira) al 2008 (euro). Possiamo spaziare tra generi alimentari (es. latte fresco 1500 lire 1.5 euro) pane e pasta o verdura e frutta. Quale è un altro bene indispensabile, la casa? I prezzi sono più che raddoppiati. Ma di che parliamo. Forse c’è qualcuno che si nutre di telefoni e computer, che sono l’unica cosa il cui costo potrebbe essersi mantenuto uniforme. Scusate lo sfogo ma infastidisce veder basare riflessioni e lavoro su una corbelleria di questo tipo.

    • La redazione

      Come già rispondevo ad un altro lettore, quella offerta dall’Istat può essere una rappresentazione imperfetta della realtà, ma è basata su rilevazioni sistematiche e su procedure di campionamento che auspichiamo rigorose. L’alternativa è quella di basarci sulla nostra percezione di ciò che succede, percezione che è inevitabilmente parziale e relativa al microcosmo della nostra vita lavorativa o della nostra famiglia.

  28. andrea

    Ringrazio il prof. Daveri della risposta, ma noto che sono stato frainteso. Quando parlo di discriminazione pubblico-privato non mi riferisco certamente ad un aumento dell’eta` pensionabile riservato ad alcune categorie! L’aumento sarebbe ovviamente per tutti, ma la realta` e` che il dipendente pubblico gode dell’impiego garantito a vita, anche se lo Stato e` in bancarotta. Invece i dati statistici sull’impiego privato mostrano che in Italia lavora un cinquantenne su 4. La realta` dei cinquantenni nell’impiego privato e` la disoccupazione. Alzare l’eta` pensionabile per tutti equivale dunque a impoverire i dipendenti privati a vantaggio di quelli pubblici. In quanto alle condizioni per dare piu’ lavoro a tutti, giovani e cinquantenni, non e` certo uno Stato che puo’ crearle, ma l’economia globale nel suo complesso.

  29. Luca Giannessi

    L’ISTAT, con le variazioni del paniere effettuate di anno in anno, probabilmente mitigana il dato inflattivo scegliendo di volta in volta la composizione più idonea a minimizzare la rilevazione di aumento dei prezzi. Un paniere bloccato su base pluriennale potrebbe impedire questo espediente. Riguardo alla sua risposta ritengo che nessun dato non sia necessariamente peggio di un dato errato e le conclusioni potrebbero essere radicalmente differenti. Ad esempio, se mettiamo in discussione il dato istat, il fatto che le famiglie non raggiungono la terza o la quarta settimana del mese, indicherebbe che i salari, per lo meno per queste famiglie, sono cresciuti sensibilmente meno dell’inflazione. Che mi sembra anche la spiegazione più semplice e diretta.

  30. Torre Cesare

    Un lavoratore a progetto a volte può prestare la sua opera anche in 3-4 aziende. Le trattenute fiscali singole sono di solito inferiori alle tasse complessive dovute all’erario. Un lavoratore che riesce a racimolare 15-20000 euro quando va al CAF per la denuncia di solito ha una brutta sorpresa. Se i datori di lavoro, a richiesta dell’interessato trattenessero il 25%, forse la sorpresa sarebbe meno amara.

  31. l'upereri

    Tutti quelli con cui parlo condividono la mia "percezione" (quindi la mia fantasia?). Si lavora malissimo, si svolgono le funzioni del proprio superiore, il quale fa lo stesso con il suo superiore (le buste paga però sono legate ai mansionari ufficiali), la disorganizzazione impera. Se le aziende fossero una squadra di calcio si direbbe che fanno dei lunghi rilanci a scavalcare il centrocampo, quando va bene, o addirittura spediscono la palla in tribuna. Efficentamenti? Già c’è qualche problema con l’italiano, poi come si potrebbe dire con una sola parola questo concetto: c’è la crisi e noi ne approfittiamo per aumentare i carichi indiviiduali di lavoro, che poi si riverberano sui nostri premi-produttività?

  32. Marco Vallerga

    Forse mi è sfuggito e se così fosse me ne scuso con l’autore, ma come mai non si parla mai della quota riassorbibile degli stipendi ? il cosidetto superminimo per chiarire. Io ho lo stipendio fermo dal 2003 in quanto a ogni rinnovo contrattuale il mio superminimo decresce. La mia situazione è quella comune a tutti i miei colleghi e a quanto la mia esperienza insegna è quasi lo standard nelle piccole-medie imprese. A questo punto mi piacerebbe che ogni tanto l’ISTAT facesse ricerche e pubblicasse stime di diminuzioni e/o aumenti salariali in linea con la realta’ oggettiva, non con quella "legale". Detto ciò, dato che il mio stipendio è fermo da 6 anni mi piacerebbe sapere "ufficialmente" di quanto sono piu’ povero… almeno per capire se la mia percezione di impoverimento sia corretta.

  33. andrea bosco

    Per tanti italiani il buono pasto è un modo per integrare il reddito, per molte aziende una soluzione per abbassare i costi grazie ai vantaggi fiscali. Ma se negli ultimi dodici anni i prezzi sono aumentati come sappiamo, la quota defiscalizzata (e quindi il valore del buono pasto) è ferma a soli 5,29 euro, contro i 9 euro della Spagna, i 7 euro della Francia, i 6,70 euro del Portogallo. Io collaboro con blog.buonopasto.it, che ha lanciato la campagna “Buoni da 5 euro? Non ci stiamo più”, che invita a lasciare un commento per chiedere un buono pasto di livello europeo. L’iniziativa è promossa da una delle principali aziende del settore, ma non ha fini commerciali o pubblicitari. In tempo di crisi, anche un buono pasto più abbondante può aiutare.

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