La Sicilia è lo specchio dell’Italia intera: una politica corrotta e uno Stato che non aiuta i deboli né promuove i talenti, ma favorisce soltanto gli amici dei potenti; una terra di privilegi e monopoli dove sono cresciuti solo debiti e sussidi. Se gli attuali meccanismi di rappresentanza non riescono a dar voce alle generazioni future, c’è da augurarsi che al governo italiano sia tolta la capacità di spesa. Finché gli elettori non prendono coscienza della necessità di avviare il paese sulla strada della concorrenza e della uguaglianza delle opportunità.

Di numeri, di tabelle, di articoli e di libri non ne possiamo più: la situazione in Sicilia è irritante, odiosa, insopportabile agli occhi di tutte le persone di buon senso. Fra le bombe, le sbarre e tutti questi record di follia che adesso sono finiti anche sul New York Times, la realtà è che la Sicilia è un intollerabile inferno della democrazia. L’italiano guarda alla Sicilia e vede una politica corrotta e uno Stato che non aiuta i deboli né promuove i talenti, ma favorisce soltanto gli amici dei potenti. Vede una terra di assurdi privilegi e monopoli. Si indigna sempre più di fronte a una autonomia che ha prodotto non crescita economica, ma crescita di debito e sussidi. Nei termini della classificazione del libro di Daron Acemoglu e James A. Robinson Why Nations Fail, vede all’opera istituzioni “estrattive” molto più che “inclusive”, e giustamente tutti ci auguriamo oggi che possano essere delegittimate, almeno parzialmente, con la scusa dei conti fuori controllo. Speriamo che sequestrino “il libretto degli assegni” finché gli elettori non sceglieranno un’alternativa responsabile e più inclusiva.

SICILIA SPECCHIO DELL’ITALIA

D’altra parte, non possiamo dimenticare che non è certo responsabilità esclusiva dei siciliani se dal dopoguerra l’isola è stata inondata di moneta avvelenata che ne ha precluso lo sviluppo. È proprio il governo centrale che non ha saputo far meglio che regalare rendite improduttive stampando quel debito sovrano che adesso viene al pettine come tutti i nodi. Quindi non possiamo fare a meno di allargare lo sguardo e chiederci: ma il cattivo nordista finlandese che guarda all’Italia, vede qualcosa di molto diverso da quello che da Milano si vede guardando Palermo? Non sono così sicuro di poter rispondere di sì. Tutti i record che la Sicilia ha in Italia, dalla corruzione ai privilegi e monopoli, dall’inaffidabilità all’inconcludenza dei governi, tutte quelle caratteristiche di istituzioni più estrattive che inclusive che si trovano in Sicilia rispetto al resto del paese, purtroppo l’Italia le ha in confronto all’Europa che va avanti e crea sviluppo. Da siciliano penso che a Milano hanno ragione, che c’è purtroppo da sperare che al governo siciliano sequestrino il libretto degli assegni. E da italiano penso che a Helsinki hanno altrettanta ragione, e allo stesso modo spero, a malincuore, che al governo italiano sequestrino il libretto degli assegni finché gli elettori prendano coscienza della necessità di cambiare registro e avviare il paese sulla strada della concorrenza e della uguaglianza delle opportunità.

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PER LE GENERAZIONI FUTURE

A questo punto però dobbiamo allargare lo sguardo un’altra volta, e chiederci com’è che il treno ha deragliato – il treno della democrazia, dell’inclusività. Perché in Italia c’è il suffragio universale, c’è la democrazia e la Costituzione. E ciò nonostante abbiamo prodotto una classe politica che gli elettori stessi ormai disprezzano, nella quale nessuno più si riconosce. Siamo purtroppo di fronte a un sorprendente fallimento dei meccanismi di delega che senza discussione identifichiamo normalmente con la demo-crazia, e non possiamo fare a meno di chiederci perché. Ha detto l’altro giorno il presidente del Consiglio: “Il politico pensa alle elezioni, lo statista alle generazioni future”. Molto saggio, ma sta di fatto che i meccanismi di delega che conosciamo selezionano politici, non statisti. Come mai? La mia risposta è molto semplice e naif: col suffragio universale votano tutti i presenti, ma non votano le generazioni future. Quindi le istituzioni che sono inclusive verso i presenti possono diventare estrattive nei confronti dei non-nati – emettendo debito, in barba all’equivalenza ricardiana. Non è un caso che a un certo punto i loro unici rappresentanti, che altro non sono che gli “speculatori” sui mercati, se non gli conviene, non ci stanno più. Per rendere il suffragio veramente universale le regole che governano il debito vanno ripensate, forse partendo dalla distinzione fra debito sulla spesa corrente (da evitare perché è quello che serve i presenti ed è più difficile da recuperare) e debito sugli investimenti (che in ogni caso è da allineare nel tempo al loro valore capitale).
Il debito eccessivo è spesso stato il tallone d’Achille dei governi in carica, democratici e non. Il debito ha fatto cadere Luigi XVI (e venne la rivoluzione francese), e ha fatto cadere la repubblica di Weimar (e arrivò Hitler). Il fallimento sul debito sovrano porta sangue nelle strade e va evitato. Io spero che sequestrino il libretto degli assegni, per un po’.

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