Uno studio costruisce un indice della posizione ideologica dei telegiornali Rai e Mediaset utilizzando i dati sulla presenza dei politici in video, in particolare della loro voce. Da gennaio 2001 a settembre 2007, i telegiornali Mediaset hanno dedicato significativamente più spazio al centrodestra, anche quando al governo era il centrosinistra. Il Tg1 si allinea con qualche ritardo al colore politico della maggioranza. In mano agli spettatori resta l’arma del telecomando: è notevole il passaggio da Tg5 a Tg1 e da questo al Tg3 dopo il 2001.
La ricerca di episodi singoli che mostrino la collocazione ideologica di un dato giornale o telegiornale è unattività emotivamente e intellettualmente interessante, ma non permette di raggiungere conclusioni ferme, in quanto è sempre possibile trovare episodi di segno opposto, ed è difficile dare un peso relativo ai diversi casi. Una metodologia più promettente consiste invece nel costruire indici quantitativi della posizione ideologica dei media, che siano basati sulla classificazione sistematica di un largo numero di notizie e siano replicabili da parte di altri ricercatori.
La disponibilità di indici quantitativi permette di analizzare in maniera più precisa le determinanti stesse della posizione politica dei mass media, e in particolare il ruolo giocato dal lato della domanda e dellofferta. Si confrontano qui due ipotesi diverse: da una parte il signor X, proprietario del quotidiano A, potrebbe inserire contenuti progressisti al solo fine di assecondare le tendenze progressiste dei propri lettori. Dallaltra parte il signor X, proprietario con simpatie progressiste del giornale B, potrebbe spostarne il contenuto a sinistra, al fine di persuadere i propri lettori a votare candidati progressisti.
LA BELLEZZA STATISTICA DEL CASO ITALIANO
Dal punto di vista statistico, la bellezza del caso delle televisioni italiane dipende da due fatti, i quali aiutano a distinguere le ipotesi di cui sopra:
1) in un regime di sostanziale duopolio, i canali Mediaset sono controllati dalluomo politico Berlusconi;
2) il controllo del Tg1 si allinea con qualche ritardo al colore politico della maggioranza di governo.
In un recentissimo working paper Nber, Ruben Durante e Brian Knight della Brown University utilizzano i dati sulla presenza dei politici sui telegiornali Rai e Mediaset (dal gennaio 2001 al settembre 2007) per costruire un indice della posizione ideologica di questi. (1) Lidea è di focalizzarsi sul cosiddetto tempo parlato, cioè i minuti in cui viene trasmessa la voce di un dato uomo politico.
Durante e Knight misurano la posizione ideologica di un dato Tg in un dato mese calcolando la percentuale di tempo parlato assegnato a politici del centrodestra, rispetto al totale mensile concesso ai politici di entrambi gli schieramenti.
I due studiosi mostrano come, in proporzione, i canali Mediaset dedichino significativamente più spazio ai politici del centrodestra. La tendenza è molto pronunciata per il Tg4 e Studio Aperto, che addirittura dedicano in media più spazio al centrodestra anche quando il centrosinistra è al governo, ma è evidente anche per il Tg5 che dedica in media molto più spazio alla maggioranza e in particolare al presidente del Consiglio quando il centrodestra è al governo. Lo stesso non si riscontra invece per i canali Rai. (2) Si vedano a questo proposito i grafici tratti dal lavoro di Durante e Knight e riportati qui sotto.
Legenda: separatamente per i diversi Tg Mediaset e i Tg Rai, le figure mostrano la percentuale di tempo parlato dedicato agli esponenti della maggioranza e agli esponenti dellopposizione. B1 sta per il Tg5, B2 per Studio Aperto, B3 per il Tg4. P1, P2, P3 corrispondono a Tg1, T2 e Tg3.
Fonte: Figura 2, Durante e Knight [2009]
Gli autori si concentrano dunque sul caso del Tg1, il cui direttore è stato sostituito due volte nellintervallo di tempo considerato, da Albino Longhi a Clemente Mimun nellaprile 2002, e da Mimun a Gianni Riotta nel settembre 2006. In effetti, lanalisi statistica evidenzia come in termini relativi esso si sposti a destra durante gli anni del governo Berlusconi, in quanto laumento di copertura mediatica degli esponenti del centrodestra è significativamente maggiore di quello riscontrato sugli altri canali.
La misura adottata da Durante e Knight permette di ordinare dal punto di vista ideologico i Tg italiani nel periodo 2001-2007. Da sinistra a destra avremmo dunque Tg3, Tg1, Tg2, Tg5, Studio Aperto e Tg4: come accennato sopra, i Tg Mediaset appaiono come sistematicamente collocati a destra rispetto ai Tg Rai, e il Tg1, pur spostandosi a destra, resta su posizioni relativamente più progressiste rispetto al Tg5. Da questo punto di vista lanalisi di Durante e Knight mette in luce come la proprietà e il controllo politico dei mass media giochino un ruolo importante nel definirne la posizione ideologica.
VOTARE COL TELECOMANDO
Ogni tentativo di persuasione ideologica da parte di chi controlla i mezzi di informazione deve comunque confrontarsi, nellambito di un sistema pluralistico, con le scelte degli spettatori, che possono sempre decidere di cambiare canale (o spegnere il televisore).
A questo proposito, Durante e Knight analizzano dati Itanes sulle preferenze politiche e scelte televisive di un campione rappresentativo di cittadini italiani. (3)
Laspetto cruciale di questi dati è che gli stessi individui sono stati intervistati due volte, a ridosso delle elezioni del 2001 e nella primavera del 2004, cosicché è possibile identificare quali cittadini abbiano nel frattempo cambiato canale. Ebbene, Durante e Knight mostrano come una percentuale significativa di spettatori abituali del Tg5, collocati politicamente al centro oppure a destra, sia passata al Tg1 dopo il 2001, e come invece spettatori abituali del Tg1 di tendenza progressista si siano nel contempo spostati verso il Tg3. Sotto questo profilo, le reazioni dei telespettatori neutralizzano, seppur solo in parte, leffetto ideologico complessivo dello spostamento della linea editoriale del Tg1: se è vero che chi continua a guardare il Tg1 dopo il 2001 viene esposto a una copertura mediatica più sbilanciata verso destra, coloro che si spostano dal Tg5 al Tg1 e dal Tg1 al Tg3 finiscono per essere esposti a una copertura informativa più progressista rispetto a quella di partenza.
NON SOLO TELEGIORNALI
Il contributo di Durante e Knight è un passo importante nella direzione di misurare il contenuto ideologico dei telegiornali italiani e di analizzarne determinanti effetti. Dal punto di vista istituzionale, la possibilità per gli spettatori di reagire votando con il telecomando, soprattutto per quelli di centrosinistra, è fortemente limitata dal numero di alternative disponibili, che nel caso italiano è piuttosto scarso, anche se lintroduzione e il consolidamento di nuovi Tg come quello de La7 e di Sky rappresentano certamente un miglioramento.
Dal punto di vista metodologico, lo spazio per ricerche ulteriori è aperto: si potrebbe ad esempio costruire altre misure della collocazione ideologica dei telegiornali, questa volta basate sulla variazione sistematica nella copertura di eventi negativi, come disoccupazione, inflazione e criminalità, in funzione del colore politico del governo in carica. (4) E si potrebbe per lappunto estendere lanalisi ai Tg di La7 e di Sky e ai giornali cartacei, con il fine di collocarli nello stesso spazio ideologico dei Tg Rai e Mediaset. (5)
(1) R. Durante e B. Knight, Partisan Control, Media Bias, and Viewer Responses: Evidence from Berlusconis Italy, Nber working paper 14762, 2009. Una versione corrispondente dello stesso paper è disponibile a questo indirizzo
(2)Vi sono naturalmente delle differenze ideologiche allinterno della Rai, in quanto il Tg3 allarga il divario nella copertura mediatica di maggioranza e opposizione durante i governi di centrosinistra, e lo restringe durante i governi di centrodestra, mentre il Tg2 si comporta in maniera opposta (molto simile al Tg5).
(3)Dal 1990 lassociazione ITANES (Italian National Election Studies) promuove programmi di ricerca sul comportamento elettorale degli italiani.
(4)Si veda ad esempio: V. Larcinese, R. Puglisi e J. M. Snyder, Jr.Partisan Bias in Economic News: Evidence on the Agenda-Setting Behavior of U.S. Newspapers, Nber working paper 13378, 2007.
(5)Così come raccontato da Fausto Panunzi, Tim Groseclose e Jeffrey Milyo classificano dal punto di vista ideologico una serie di giornali e telegiornali Usa sulla base della collocazione politica dei think tank da questi citati.
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Furetto
Questa interessante analisi mette in luce una distorsione di fondo dell’informazione in Italia. Mi spiego meglio: come può essere autorevole e affidabile l’informazione Mediaset dal momento che Berlusconi è non solo al governo ma presente in quasi ogni business importante in Italia? Come può essere affidabile e autorevole l’informazione di LA7 dal momento che è posseduta da Telecom? E l’informazione dell’Editoriale l’Espresso/La Repubblica dal momento che De Benedetti, al pari di Berlusconi, ha molteplici interessi economici in tanti settori dell’economia Italiana? E che dire del gruppo RCS, visto che dentro ci sono tutti i maggiori gruppi economici Italiani? E La Stampa col Gruppo FIAT? E i giornali del Gruppo Caltagirone? Il TG1, la perla dell’informazione pubblica, si vede bene che risponde alla maggioranza di turno. Almeno Murdoch ha un pregio: fa solo l’editore e non ha altri interessi.
La redazione
Si tratta di una questione importante, che si incentra sulla differenza tra editori impuri ed editori puri, ovvero tra editori che possiedono o non possiedono partecipazioni in imprese non appartenenti al settore specifico dell’informazione.
Sono convinto del fatto che tale questione debba ancora una volta essere affrontata dal punto di vista empirico, andando ad indagare se il dato giornale o tg controllato da un dato editore impuro sistematicamente trascuri cattive notizie relative alle proprie imprese attive in settori altri. Tutto ciò deve essere naturalmente studiato in termini comparativi, ovvero confrontando tale copertura (o assenza di copertura) mediatica con le scelte di quei giornali o tg che non sono influenzati dal medesimo conflitto di interessi.
Si tenga poi presente che tra imprese editoriali ed imprese attive in altri settori non esistono soltanto i rapporti di proprietà, ma anche contratti di pubblicità, i quali possono funzionare come arma di ricatto anche in assenza di rapporti proprietari diretti. Detto in altri termini, l’impresa che produce l’aggeggio X potrebbe indurre il canale Y a non trasmettere notizie negative su tale aggeggio attraverso la minaccia credibile di diminuire drasticamente o di cancellare gli investimenti pubblicitari futuri.
carla
La rappresentazione della realtà che fornisce ciascun tg passa attraverso contenuti, modi, scelte e priorità, ma ancora prima attraverso scelte organizzative, che, in ultimo, sono legate alle nomine politiche in Rai e alla gestione privata delle comuniczoni pubbliche nel caso delle altri reti. Il telecomando non è un’arma, come non lo sono le votazioni senza poter scegliere le persone. Serve anche possibilità di vedere ciò che non è mostrato, di non vedere ciò che tutti mostrano: un paradosso che solo la formazione, la cultura, il poter comprendere (anche a scuola) potrebbe fornire.
La redazione
Sono molto d’accordo sulla necessità che il fruitore di informazioni giornalistiche legga tra le righe di ciò che è scritto o raccontato, riflettendo con attenzione su ciò che è passato sotto silenzio. Ma il potere di cambiare canale o di spegnere la televisione non va sottovalutato, poiché pone sempre un limite a qualsiasi tentativo di persuasione da parte di chi controlla i contenuti dei mass media.
Claudio Montini
Mi complimento con il lavoro degli autori e sono completamente in accordo con le conclusioni alle quali arrivano. La nota dolente è sapere che tutto questo non servirà a nessuno, che solo in pochi daranno il giusto peso e l’attenzione necessaria a questo problema. Giusto ieri (martedì 11/03/2009) un “ministro” della repubblica in un Talk Show politico di Rai3 sosteneva, di fronte a Enrico Mentana, che in Mediaset le forze di centro sinistra hanno sempre “scorrazzato” (termine usato dal “ministro”) liberamente. Inoltre, accusava l’ex giornalista di Mediset di aver dato vita a fenomeni mediatici come Di Pietro. Innanzi a certe dichiarazioni, per altro notoriamente condivise dallo stesso schieramento del “ministro” citato, fanno capire come sistematicamente portino l’italiano davanti alla seguente condizione: IGNORARE! Questo è lo scopo ultimo, ignorare che esista un’alternativa.
La redazione
La mia ingenua speranza nel medio-lungo termine è che l’informazione buona prevalga sulla cattiva, cioè che gli studi quantitativi ben fatti tolgano spazio alle chiacchiere superficiali. Sotto questo profilo non è cosa strana che il politico di turno tiri l’acqua al suo mulino, enfatizzando quegli episodi che sarebbero sintomatici di una collocazione politica opposta alla propria. Chi ha invece il dovere di "fare i compiti a casa" è il giornalista-conduttore (insieme con la sua redazione), il quale dovrebbe sempre mettere i propri ospiti politici di fronte a dati quantitativi rigorosi, se questi sono disponibili.
Franz
Un ulteriore elemento che determina lo sbilanciamento dell’informazione da una parte piuttosto che dall’altra consiste nell’alternanza degli interventi dei politici all’interno di un singolo servizio. Solitamente accade che il servizio di politica interna inizi con una dichiarazione del politico A, che presenta – ad esempio – l’ultima iniziativa del governo. Successivamente, ed in maniera bilanciata, viene lasciata la parola al politico B dell’opposizione, che si lancia in una critica sui contenuti dell’intervento. Spesso viene lasciato anche più spazio a B che ad A. Tuttavia il servizio immancabilmente si chiude con la chiosa di un politico C, dello stesso schieramento di A, che bolla come fesserie quelle espresse da B e lascia il telespettatore con la netta impressione che B abbia perso la sua occasione di starsene zitto (anche a parità di durata). Se è pur vero che la dimanica della notizia riportata è basata sullo schema: presentazione(A)-critica(B)-controreplica(C), forse sbaglio a notare una certa dose di malizia nel come sono confezionati questi servizi? Da ragazzini abbiamo imparato che “2 contro 1 non vale”, e quanto era importante avere l’ultima parola in un battibecco.
La redazione
Benedetto panino! (o sandwich) Di primo acchito sono molto d’accordo su quali possano essere gli effetti psicologici del formato politico a sandwich. Ma mi sentirei di premettere che una trattazione dei temi politici che sia sempre strutturata nello stesso modo è molto poco informativa, in quanto il giornalista non mette nulla del suo, in quanto semplicemente riporta quello che i politici hanno voglia di raccontare. Si confrontino le abitudini italiche con la struttura dei telegiornali in altri paesi europei, dove la componente autonoma ed investigativa da parte dei giornalisti è preponderante. Come ad esempio raccontano Giorgio Grossi e Antonio Nizzoli in questo studio a cura dell’Osservatorio di Pavia, disponibile presso questo indirizzo.
Michele
Come valutate i telegiornali di LA7 e Sky in riferimento allo studio presentato in questo articolo? Da sinistra verso destra si sono definiti: Tg3, Tg1, Tg2, Tg5, Studio Aperto e Tg4. Dove inserireste LA7 e Sky?
La redazione
Non saprei dove collocare dal punto di vista ideologico i tg di La7 e Sky. Qualsiasi risposta che possa dare ora si basa su impressioni personali, quindi non vale molto.
marco
Interessanti gli studi citati, ma differiscono dai dati del famoso Osservatorio di Pavia? Mi parrebbe interessante anche tenere conto delle % di ascolto, il Tg4 è sicuramente sbilanciato assai verso destra, ma quanto conta sul totale? Altra osservazione, è possibile valutare allo stesso modo le trasmissioni “di costume” ma sostanzialmente politiche? Sulla Rai in prima serata mi pare che vi siano soltanto trasmissioni orientate a sinistra (Fazio, Floris, Santoro), l’unica più orientata a destra (Vespa) è in seconda serata. Dall’ascolto, dagli ospiti e dal tenore della trasmissione è possibile estrarre indici significativi?
La redazione
Durante e Knight fanno uso dei dati forniti dall’Osservatorio di Pavia per dimostrare che in media i diversi TG danno spazio diverso ai diversi argomenti (issues, secondo la terminologia anglosassone): ad esempio i tgRAI dedicano più spazio alle notizie politiche e alle notizie internazionali di quanto facciano i tg Mediaset, e viceversa per le notizie sulla criminalità.
Dal punto di vista statistico bisognerebbe andare oltre rispetto al dato medio per tg, analizzando come le cattive notizie relative ad un dato argomento ottengano maggiore o minore spazio in funzione del governo in carica.
Infine, non mi stanco mai di ripetere che l’analisi effettuata da Durante e Knight può essere estesa a contenitori informativi diversi, ad esempio alle trasmissioni di approfondimento politico come quelle citate da Marco. Ma la risposta è -come si suol dire- empirica, ovvero prima di formulare conclusioni bisogna raccogliere i dati ed analizzarli!
Michele
Ho trovato questo approfondimento molto interessante, un complimento all’autore. Quali sono i consigli pratici che vi sentite di dare al telespettatore per quanto riguarda il telegiornale “suggerito”? Uso il termine “suggerito” al posto del più facile “migliore” perché ben mi rendo conto di quanto possa essere complicato dare una risposta.
La redazione
Ringrazio per i complimenti, che rigiro prestamente agli autori dell’articolo originale! Suggerimenti? Non saprei darne, se non quello di tenere presente analisi di questo tipo quando si guarda un certo telegiornale o si salta dall’uno all’altro. Dal punto di vista razionale è sempre necessario valutare contemporaneamente la posizione ideologica di chi dà le notizie e il contenuto specifico di tali notizie: nella fattispecie, bisognerebbe dare un peso maggiore alle notizie il cui contenuto ideologico (se esiste) è lontano dalla collocazione ideologica media di chi le trasmette.
http://pollicino.blogosfere.it
Oltre ai risultati che avremmo potuto immaginare, c’è un dato interessante sullo spostamento dei telespettatori verso i Tg più progressisti passando dal Tg5 al Tg1 e da qui al Tg3. L’autore segnale pure come al telespettatore rimanga l’uso del telecomando per decidere cosa vedere e ascoltare, arma un pò spuntata a parere mio, perchè l’offerta è piuttosto limitata, anche se non sono stati analizzati i dati relativi alla La7 e al Tg di Sky. Oltretutto ci sarebbe da analizzare anche come gli interventi dei politici vengano calibrati e costruiti sull’onda di emozioni legate al susseguirsi di episodi di cronaca, come è stato nel caso dei primi mesi dell’anno scorso con la caccia all’extracomunitario,al clandestino e ai rom. Giustamente nei commenti all’articolo qualcuno sottolineava anche come succeda che si intervisti prima il politico A della maggioranza, poi il politico b della minoranza e quindi si concluda con il politico C della maggioranza che interviene su quella che ha detto b. Come possiamo difenderci? Penso non solo con il telecomando proprio perché l’offerta è molto limitata,ma proprio con il web ed in particolare con il web 2.0.
La redazione
Sono pienamente d’accordo sul fatto la capacità di reagire ad una posizione ideologica non più gradita da parte di un dato telegiornale sia limitata dalla varietà di opzioni alternative. Da questo punto di vista, conviene innanzi tutto farsi un’idea del quadro ideologico complessivo nel settore specifico dei telegiornali, ma -come suggerisce il lettore- bisogna poi allargare lo sguardo verso altri mezzi di comunicazione, che stanno molto probabilmente diventando sempre più credibili e rispettati.
Negli USA già da qualche tempo accade che giornali e telegiornali siano costretti a raccogliere le notizie già pubblicate da siti internet d’informazione come il Drudge Report e l’Huffington Post. Una cosa simile sta accadendo in Italia con le analisi de lavoce.info e le notizie di Dagospia.
paolo
C’era davvero bisogno di un paper per dimostrarlo? La verita’ e’ che lo sapevamo già tutti.
La redazione
I commenti provocatori sono molto utili, perché permettono di concentrarsi meglio sul punto centrale della questione, cioè -in questo caso- l’esigenza di misurare la posizione ideologica dei telegiornali. Come sottolineavo sopra, sarebbe bello se il dibattito politico si basasse su dati quantitativi rigorosi invece che sulle impressioni personali che possono essere sempre contraddette da altre impressioni personali
Dario
Sarebbe interessante riclassificare aggiungendo La7 ed il TG di SKY e magari tenendo conto dell’audience, che ho l’impressione, soprattutto negli ultimi due casi, potrebbe riservare qualche sorpresa.
La redazione
Non posso che concordare! Sarebbe giusto e importante mettere sulla stessa scala anche il TG de La7 e di Sky, e prendere altresì in considerazione il tema dell’audience, che -come sottolinea Dario- è tipicamente un dato che cambia nel tempo, e a volte segue trend interessanti.
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Un lavoro scientifico, finalmente, di autori che operano in una prestigiosa universita americana. Certo lo sapevamo, perché lo intuivamo, perché lo sentivamo sulla pelle. Ora un apporto scientifico che deve farci riflettere a fondo, per capire. Oltretutto quei dati non sono superati, anzi, si vanno approfondendo. una ragione in più per una valutazione politica dei risultati scientifici.
La redazione
I dati presentati nello studio di Durante e Knight sono pronti per essere discussi a livello pubblico, e possono diventare una base di partenza solida per riflettere sulla realtà dell’informazione televisiva in Italia. In termini a prima vista paradossali, questa base di partenza è solida esattamente perché i dati analizzati dai due autori sono replicabili da parte di chicchessia, e la stessa metodologia (come sottolineavo nella conclusione del mio pezzo) può essere utilizzata per misurare altri TG e altri mezzi di informazione. Le conclusioni raggiunte dai due autori possono essere confutate o irrobustite da ulteriori studi basati sullo stesso principio, secondo cui oggetti importanti della sfera politica e mediatica sono misurabili in maniera replicabile.
giuseppe faricella
I risultati delle analisi sono scontati. Per non parlare, poi, del fatto che Forza Italia/Mediaset usa anche i programmi di intrattenimento (e il Milan) per fare propaganda politico/culturale. E che dire, infine, della diversa attenzione alla cronaca nera a seconda del colore del governo del momento? Tuttavia, il vero problema non è la ideologizzazione dei tg statali, né la strumentalità con cui vengono usati i tg Mediaset, ma la capacità critica media del telespettatore/elettore, soprattutto di centrodestra: molti di questi (lavoro quotidianamente a stretto contatto con lavoratori a basso o bassissimo livello di istruzione, “stranamente” quasi tutti elettori di destra) non saprebbero dire neanche chi è l’attuale segretario del pd o in che anni in Italia vi è stato il regime dittatoriale (per dirne due a caso). Questo, ovviamente, fa sì che una larga fetta dell’opinione pubblica si formi esclusivamente su Studio Aperto, Striscia la notizia o Buona domenica (dove tra 2006 e 2007 non ci si fece scrupoli ad attaccare populisticamente il governo Prodi). Non so se mi spiego…
La redazione
Non mi stupisco che una parte dei risultati di questo studio possano apparire scontati: tutto dipende da quali siano le opinioni iniziali di chi questi dati li legge. Nel mio piccolo, mi ha sorpreso il fatto che il TG1 della gestione Mimun venga comunque classificato a sinistra del TG5 sotto la gestione di Rossella: questo è uno dei punti su cui mi piacerebbe avere misurazioni alternative. In ogni caso, ritengo essenziale ottenere misure replicabili della posizione politica dei mass media, perché il dibattito possa sollevarsi dal chiacchiericcio sterile in cui ciascuno vede nei mass media una posizione politica opposta rispetto alla propria.
Sul tema del livello di istruzione degli utenti, l’analisi statistica permette di stabilire se chi preferisce un certo TG abbia un livello di istruzione superiore o inferiore rispetto ai telespettatori abituali di un altro canale. Dal punto di vista politico vale però una considerazione più sfumata, forse anche un po’ provocatoria: ammesso e non concesso che i politici di centro-sinistra siano in media più intelligenti dei politici di centro-destra, e che gli elettori di centro-destra abbiano un livello di istruzione più basso di chi ha votato per il centro-sinistra, non si capisce perché i primi (cioè i politici del centro-sinistra) non sappiano confezionare un messaggio politico che sia comprensibile a prescindere dal livello di istruzione di chi lo ascolta.
Ulisse
In questo momento c’è una guerra più o meno sotterranea per il grande pubblico. Mediaset controlla il Parlamento Italiano e quindi di fatto l’applicazione del piano di Switch Off entro il 2012 dall’analogico al digitale dove tenta di riprodurre l’attuale duopolio e lanciare la tv a Pagamento Mediase Premium. Dall’altra parte Sky che fa lobbing sulla Commissione Ue che vuole mettere di nuovo in infrazione l’Italia per comportamenti chiaramente discriminatori ed anticoncorrenziali. Per la verità in Italia pure il Satellite è un Monopolio di fatto (di Sky). E’ una lotta tra due monopoli. Chi vincerà non lo so? Ma so chi perderà: la gente comune che non solo non ha notizie dei fatti, ma viene pure distratta da messaggi che facendo leva sull’ irrazionale, le paure, le ideologie limita la capacità razionale di fare scelte concrete per il bene della colletività. Non mi considero un pessimista ma un realista.
La redazione
Il tema della competizione tra satellite e digitale terrestre è molto importante, anche se confesso la mia scarsa conoscenza sui termini tecnici della questione. È comunque evidente come gli aspetti economici e politici si sovrappongano, il che spiega il ruolo giocato dai gruppi di pressione nel definire le scelte normative a livello comunitario e nazionale.
Dal punto di vista economico un dato è però innegabile: tutte le volte che in un dato mercato vi sono poche imprese dal lato dell’offerta bisogna indagare con attenzione le conseguenze di un’eventuale intesa collusiva tra produttori sul prezzo pagato dai consumatori. Prezzo che viene pagato direttamente nel caso di un abbonamento o di un canone, ma che viene pagato indirettamente quando il finanziamento dei canali televisivi avviene attraverso la pubblicità. In che modo? Prezzi più alti degli spot pubblicitari vengono sempre in qualche modo ricaricati sul prezzo del prodotto finale.
Nel caso poi del mercato dell’informazione bisogna anche considerare gli effetti del monopolio e delle intese collusive sul pluralismo, cioè sulla diversità dei punti di vista disponibili sui diversi canali televisivi.
Federico Milla
Questo studio é superficiale, non analizza minimamente i programmi di intrattenimento e approfondimento che hanno un loro preciso scheramento ideologico.