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L’OPERA DA TRE SOLDI. PUBBLICI?

Per aumentare l’accesso del pubblico alla cultura serve il finanziamento pubblico a teatri ed enti lirici oppure è meglio incentivare la presenza di produttori e donatori privati? L’esperienza degli Stati Uniti dimostra che di per sé una maggiore partecipazione di risorse private non risolve il problema. Così come sono inefficaci le politiche incentrate su sussidi all’offerta per mantenere basso il prezzo dei biglietti. Ma è comunque possibile aumentare l’efficacia del sistema italiano. Guardando per esempio a soluzioni olandesi.

L’articolo di Alessandro Baricco apparso recentemente su La Repubblica tocca uno dei temi più rilevanti degli studi di arts’ policy, ossia quello relativo alle modalità e le ragioni dell’intervento pubblico nel settore artistico e culturale. (1)
Da tempo, infatti, intellettuali e commentatori politici di varia estrazione hanno messo in dubbio l’opportunità di erogare finanziamenti pubblici a istituzioni culturali come teatri di prosa ed enti lirici: È una modalità di intervento che ha come conseguenza un calmieramento del prezzo dei biglietti dei teatri, ma che non servirebbe ad aumentare l’accesso del pubblico alla cultura. Secondo questo approccio, l’esistenza di incentivi volti ad aumentare la presenza di “produttori” e donatori privati garantirebbe una maggiore fruibilità degli eventi culturali per nuove categorie di pubblico rendendo addirittura possibile l’azione di imprese capaci di trarre un profitto dalla produzione e diffusione di eventi artistici e culturali.

UN PROBLEMA COMUNE

In via preliminare occorre definire cosa si intende per settore culturale, distinguendo fra aziende che operano nelle cosiddette industrie culturali (editoria, cinema, discografia) e istituzioni che operano nel settore delle arti visive e dello spettacolo dal vivo. Mentre infatti le prime possono assumere la forma di imprese e operare in un sistema di mercato, grazie soprattutto alla riproducibilità tecnica dei beni prodotti e la possibilità di ottenere profitti dalla vendita di tali supporti, per le seconde è difficile garantire un profitto a eventuali investitori privati pena l’imposizione di un prezzo del biglietto molto elevato. Questo accade per le caratteristiche tecnico-produttive di queste istituzioni: come hanno evidenziato le analisi di Baumol e Bowen, la loro labour intensity non permetterebbe guadagni di produttività elevati (il tempo necessario a “produrre” l’esecuzione di un quartetto d’archi di Mozart non si riduce in modo significativo nel tempo), mantenendo alti i costi di produzione e chiamerebbe in causa un finanziamento esterno, a copertura di un deficit finanziario endemico.
Concentrandosi dunque solo sul settore delle arti cosiddette liberali nel quale operano istituzioni che faticano a reggersi sul mercato, le questioni da dirimere riguardano in primo luogo la quota ottimale di finanziamenti dello Stato sul totale dei finanziamenti. E, in secondo luogo, quale sistema di finanziamento pubblico risulta essere più efficace per determinati obiettivi di politica culturale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, i dati esistenti testimoniano come la maggiore presenza di risorse private per teatri ed enti lirici non risolve di per sé il problema di un maggiore accesso all’arte da parte di nuove categorie di pubblico. Guardando, ad esempio, a una realtà come gli Stati Uniti, dove l’incentivazione alle donazioni private rappresenta il cuore delle politiche culturali nazionali, si può notare come alcune fasce di popolazione, caratterizzate da elevati livelli di reddito o di istruzione, siano maggiormente rappresentate all’interno del pubblico di eventi culturali rispetto ad altre. Secondo i dati del National Endowment for the Arts, infatti, l’84 per cento degli spettatori che hanno partecipato almeno una volta a un’opera lirica ha un titolo di studio pari a quello rilasciato dal college (nella popolazione americana sono solo il 44,7 per cento), mentre il 61,9 per cento ha un reddito superiore ai 50mila dollari (nella popolazione americana questa fascia rappresenta solo il 34,1 per cento del totale). In altre parole le problematiche relative all’accesso all’arte e alla cultura dei cittadini che ne sono attualmente esclusi sono comuni a molti paesi occidentali, a prescindere dal sistema di finanziamento implementato.
Né si può peraltro tacere l’inefficacia di politiche incentrate su sussidi all’offerta volti a mantenere basso il prezzo dei biglietti del teatro e agevolarne l’accesso e la fruizione. Secondo alcuni articoli apparsi recentemente sul Journal of Social Policy sembra infatti che tali politiche non aumentino in modo sostanziale il livello di partecipazione delle classi meno abbienti della popolazione in quanto sarebbe ancora una volta il livello di istruzione uno dei fattori maggiormente ostativi alla partecipazione agli spettacoli dal vivo. In altre parole, il calmieramento o abbassamento del prezzo dei biglietti per eventi culturali (fenomeno che giustificherebbe un sussidio pubblico all’offerta) provocherebbe un aumento quantitativo di spettatori provenienti dalle stesse classi sociali, non attraendo nuovo pubblico di estrazione sociale differente.

SOLUZIONI PER L’ITALIA

Rispetto a tale “quadro” come è possibile aumentare l’efficacia del sistema di finanziamento pubblico ai teatri italiani? Adottando un approccio incrementale (nel campo delle politiche pubbliche i cambiamenti drastici e le “puliture della tela”, come affermava Popper, sono sempre problematici) esistono ampi margini di miglioramento.
Paradossalmente, proprio le modalità di finanziamento pubblico diffusesi negli Stati Uniti possono rappresentare un esempio da imitare. Si fa in particolare riferimento ai cosiddetti matching grants ossia finanziamenti che vengono concessi e commisurati ad alcuni indicatori di performance o alla capacità da parte dell’istituzione beneficiaria di ottenere ulteriori finanziamenti privati. In questo caso, l’istituzione pubblica finanziatrice incentiva la capacità di raccolta fondi del teatro senza negare il proprio sostegno a una determinata istituzione artistica.
Un’ulteriore azione di policy che agevolerebbe l’accesso di nuovo pubblico ai teatri consiste non tanto nell’eliminazione totale dei sussidi all’offerta per i teatri italiani, magari, come propone Baricco, investendo le relative risorse in altre aree di welfare come la scuola, ma piuttosto nella creazione di sistemi complementari di finanziamento diretto alla domanda, nella forma, ad esempio, di voucher culturali. In alcuni paesi europei, un esempio è quello dell’Olanda, lo Stato accorda infatti a determinate categorie di pubblico, che considera importante “esporre“ all’esperienza artistica, un voucher spendibile a propria scelta in una o più istituzioni culturali. Sulla base dei volume di voucher raccolti dai diversi teatri viene concesso, successivamente, il finanziamento statale.

(1) L’articolo di Baricco “Basta soldi pubblici al teatro meglio puntare su scuola e tv” è stato pubblicato su La Repubblica del 24 febbraio 2009.

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IL TIMONE AL G20*

  1. giorgio brunetti

    Il problema di fondo dei teatri lirici sono i costi fissi determinati dalle masse tecniche e artistiche (orchestra e coro). Il balletto è una ulteriore fonte di costi fissi solo per alcune Fondazioni come La Scala, l’Opera di Roma e il San Carlo. Soluzioni radicali sono facili da individuare ma complicate da realizzare per i risvolti sociali che comportano. Un’idea che si sta già realizzando è quella delle coproduzioni. Tuttavia per incidere sui costi fissi occorrono interventi straordinari. Sarebbe necessario infondere flessibilità a queste organizzazioni pensando a piante organiche che sappiano conciliare il livello artistico con una certa flessibilità del lavoro. Non occorre avere un coro di settanta componenti fissi, nè una orchestra di 120 orchestrali in pianta stabile visto che Wagner e Mahler non si esguono in ogni stagione. Strutture più agili e coproduzioni dovrebbero utilizzzare al meglio le risorse che pubblico e privato mettono a disposizione del teatro lirico.

  2. Annalisa

    Chi scrive lavora in un Teatro Lirico (Cagliari) da 20 anni.I famigerati costi fissi di cui tutti si riempiono la bocca sono in verità dei costi di produzione che consentono ad oggi di effettuare numerosi spettacoli lirici,sinfonici e sinfonico corali, ed aggiungo anche concerti da camera con solisti a bassissimo prezzo estrapolati dal coro e dall’orchestra. Volendo fare un calcolo matematico aprossimativo,si potrebbe dire che ogni concerto sinfonico eseguito con complessi ospiti verrebbe a costare non meno di 200.000 € per 2 serate a cui bisognerebbe includere comunque la spesa per i tecnici necessari a montare lo spettacolo ,gli amministrativi necessari a tenere la contabilità e l’organizzazione della produzione innalzando in tale maniera sensibilmente il costo. Una giornata di spettacolo con coro,orchestra ,tecnici amministrativi costa in media 80 € lordi a lavoratore ( ottengo questa cifra da una media fra retribuzioni sensibilmente diverse di prime parti orchestra e tecnici inquadrati in lielli bassi). Nel Teatro in cui lavoro sono impegnati in media 285 lavoratori e basterebbe fare un calcolo per capire l’errore……

  3. tina gallucci

    In Canada i matching grants sono collegati all’ammontare delle contribuzioni private raccolte all’interno di campagne di finanziamento appositamente organizzate e pianificate, nonchè registrate (e cioè riconosciute dagli organi pubblici che erogano finanziamenti). Per ogni dollaro raccolto da fonti private, ne possono ottenere fino ad un massimo di tre da un fondo pubblico a ciò preposto. E’ uno strumento nuovo, ci sono ancora diversi aspetti da sistemare, ma è stato uno stimolo per molti teatri…

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