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SE LE BANCHE SI MISURANO LO STRESS

I bilanci delle banche americane sono in grado di sopportare un ulteriore deterioramento delle condizioni economiche? Per verificarlo l’amministrazione Obama chiede ai più importanti istituti finanziari del paese di condurre prove di stress. Una tecnica peraltro già molto utilizzata, ma che non ha impedito al sistema bancario internazionale di arrivare impreparato alla crisi. Perché i risultati delle simulazioni dovrebbero riflettersi nei processi decisionali e nei piani a medio-lungo termine di patrimonializzazione e liquidità. Probabile l’aumento delle insolvenze.

Il governo statunitense ha appena richiesto alle diciannove maggiori banche del paese di condurre prove di stress per verificare se i relativi bilanci siano o meno in grado di sopportare un ulteriore deterioramento delle condizioni economiche. Secondo le indicazioni del Tesoro americano, le banche devono ipotizzare una contrazione dell’economia del 3,3 per cento quest’anno, una riduzione del 22 per cento dei prezzi degli immobili e un incremento del tasso di disoccupazione al 10,3 per cento nel 2010.

COS’È UNO STRESS TEST

In realtà, l’industria bancaria internazionale non è nuova all’utilizzo di tecniche di stress testing. Fanno parte dell’armamentario dei modelli e delle tecniche di misurazione e gestione dei rischi già a partire dagli anni Ottanta. Nel maggio del 2004 il Committee on the Global Financial System, un comitato della Banca dei regolamenti internazionali, avviò una survey delle prove di stress utilizzate dalle principali banche commerciali e di investimento. Il quadro che ne emerse era apparentemente positivo: le principali istituzioni finanziarie di tutto il mondo avevano considerato un’ampia gamma di potenziali scenari sfavorevoli, sovente costruiti mediante ricorso a sofisticate tecniche statistiche, e relativi sia ai portafogli mobiliari che a quelli creditizi. E la pratica di sottoporre i portafogli delle banche a esercizi simulativi di questa natura cresceva in diffusione e intensità.
Cos’è uno stress test? Inizialmente introdotte nell’ambito dei rischi di mercato come strumento per l’analisi del rischio dell’attività di trading, le prove di stress rappresentano uno strumento volto a identificare e a gestire situazioni che possono causare perdite straordinarie. La costruzione degli scenari estremi può essere basata sulla replica dei più significativi shock di mercato verificatisi in passato, su misure di matrice statistica, come ad esempio multipli elevati della volatilità storica, o ancora su ipotesi del tutto soggettive, quali una caduta generalizzata del mercato azionario, uno spostamento parallelo verso l’alto della curva dei rendimenti, un ampliamento degli spread di rendimento relativi aicorporate bonds.
Più recentemente gli esercizi di stress testing sono stati estesi anche ai rischi di credito e di liquidità e hanno coinvolto non solo l’evoluzione dei mercati finanziari, ma anche quella delle condizioni macroeconomiche dei mercati reali nei quali le banche operano. (1)
È infatti evidente che un deterioramento della crescita economica, dell’occupazione e della competitività delle imprese si traducono inevitabilmente in un peggioramento della qualità degli attivi delle banche. Il tanto criticato sistema di Basilea 2, entrato in vigore nel 2008, richiede esplicitamente alle istituti di condurre prove di stress per i rischi di credito, di liquidità e di mercato. Agli organi di vigilanza  peraltro si chiede esplicitamente di verificare che le istituzioni finanziarie sviluppino esercizi di stress volti a identificare i fattori che potrebbero influenzare negativamente la loro patrimonializzazione.

PERCHÉ NON HANNO FUNZIONATO

La storia della crisi degli ultimi venti mesi è nota: un numero elevato di banche dei principali paesi ha subito perdite tali da comprometterne l’equilibrio patrimoniale e ha evitato il fallimento solo grazie all’intervento pubblico. Dunque, cosa non ha funzionato? Perché questi sofisticati esercizi di simulazione non hanno consentito alle principali banche del mondo di arrivare più preparate alla crisi finanziaria?
C’è chi sostiene che le prove di stress, così come in generale i modelli di risk management, non hanno superato la prova di Keynes: meglio essere approssimativamente corretti che precisamente errati. Non vi è dubbio che uno dei problemi di questi modelli riguarda l’inevitabile dipendenza dalla storia passata, che tende a non ripetersi.
Un problema a mio avviso più rilevante, evidenziato dalla crisi finanziaria recente, riguarda in realtà il ruolo e la rilevanza che la funzione di risk management assume in un contesto economico-finanziario favorevole. In pratica, in condizioni di mercato positive, quali quelle immediatamente precedenti all’esplosione della crisi nell’estate del 2007, chi origina operazioni e genera redditività tende ad assumere, all’interno di una banca, un ruolo e un peso nettamente superiori a quello di coloro che sono chiamati a identificare, misurare e limitare i rischi assunti da un’istituzione finanziaria.
In parte, questo fenomeno di “asimmetria di peso” si giustifica anche alla luce del diverso profilo di payoff che caratterizza le due funzioni. Chi si occupa di generare business ha infatti profitti potenzialmente molto elevati e perdite limitate. Il peggio che può capitargli è di non riuscire a chiudere un’operazione, rinunciando così al relativo bonus. Un risk manager ha invece un profilo opposto: profitti limitati e perdite potenzialmente illimitate: se non si incontrano situazioni di crisi o di difficoltà, nessuno si preoccupa di evidenziarne e remunerarne in modo particolare i meriti. Se invece emergono situazioni di crisi, la responsabilità tende a essere addossata proprio a chi doveva occuparsi di evitarla. Èpiuttosto evidente che una simile asimmetria si traduce anche in una diversa forza contrattuale delle due posizioni.
Occorre dunque far sì che le prove di stress non siano solo condotte, ma siano anche adeguatamente riflesse nei processi decisionali delle banche, così come nei loro piani a medio lungo termine relativi a patrimonializzazione e liquidità. Sarebbe anche auspicabile che gli scenari che guidano gli esercizi simulativi fossero comuni alle diverse banche, in modo da consentire agli organi di vigilanza di identificare le istituzioni più vulnerabili. Infine, la trasparenza dei risultati delle prove di stress sia nei confronti delle autorità che dei mercati finanziari consentirebbe di rafforzare quel meccanismo di disciplina del mercato auspicato dallo stesso comitato di Basilea e oggi indubbiamente indebolito.
Un aspetto relativamente trascurato nel dibattito recente sulla crisi riguarda il fenomeno delle insolvenze, che tendono a manifestarsi con un lag temporale rispetto alla riduzione del tasso di crescita dell’economia. Il tasso di default nel mercato obbligazionario statunitense è cresciuto dai valori storicamente molto bassi, inferiori all’1 per cento, del 2006 e 2007, al 4,8 per cento del 2008. Nei periodi di recessione recenti, 1990-91 e 2001-02, il tasso di default è sempre salito, seppure con un leggero ritardo, a valori superiori al 10 per cento. È dunque verosimile attendersi un aumento delle insolvenze, con le inevitabili conseguenze sul costo del credito per i portafogli prestiti delle banche. È su questo fronte che l’attenzione delle banche, e non solo di chi si occupa di risk management, dovrà concentrarsi nei prossimi mesi.

(1) Una interessante e completa raccolta dei principali modelli e tecniche di stress testing utilizzate dall’industria bancaria e dai regulator è stata di recente curata da Mario Quagliariello della Banca d’Italia (Mario Quagliariello, edited by, “Stress testing the banking system: methodologies and applications”, Cambridge University Press, 2009).

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IDENTIKIT DEL LAUREATO-INSEGNANTE

  1. alessandra

    In considerazione della Sua analisi sulla "asimmetria di peso" tra il ruolo e la rilevanza che la funzione di risk management e chi origina operazioni, secondo Lei si potrebbe immaginare un risk-weighted-budget per cui il "bonus" di chi origina operazioni non è dato solo dal volume delle operazioni o dalle commissioni generate ma anche dal rischio che è stato allocato sul patrimonio della banca? Certo non è come aumentare gli incentivi assoluti per i risk managers, ma forse ne ridurrebbe la frustrazione…

  2. paolo zangani

    Mi permetto di segnalare che esistono già degli organi territoriali di cui fanno parte soggetti d’impresa, camere di commercio, banche, che sono da tempo organizzati per gestire il rapporto con il credito delle PMI. Questi soggetti si chiamano confidi e sono già belli che pronti ad esssere utilizzati. Altro che prefetti!

  3. luca

    http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/topnews/news/2009-03-17_117332990.html
    anche le banche italiane dovranno sottoporsi a un tipo di test simile su “ordine” della banca d’italia.

  4. fabiofer2

    Da quando le banche hanno smesso di fare ciò che da secoli facevano, ma hanno iniziato ad usare carta straccia come fortuna finanziaria tutto è andato a rotoli. ed è magnifico vedere lodato degli avventurieri per non dire di peggio, diventati rispettati e richissimi manager, giustificati dalla connivente banca d’italia, che ha abdicato al ruolo di controllore, che stante il gravisssimo conflitto di interessi, con un fair play, al quale credono solo gli imbecilli ha dimostrato che i controlli effettuati su cirio parmalat bond argenti e sopratutto derivati, venduti con un potere ricattatorio, che solo chi era connivente non poteva rilevare. quale azienda in italia non si è sentita dire : sa si stanno rinnovando i suoi fidi, potremmo anche decurtarli o addirittura chiedre il rientro totale. Però se sottoscrive un derivato provvederemo ad aiutarla si ad andare sempre peggio, ma l’ineffabile controllo di bankitalia si è visto zero. Non parliamo poi le formule delinquenziali per salvare le banche dal reato d’usura che solo qualche procuratore e giudice entano di applicare il codice penale ma con scrsissimi risultati. E poi si afferma che Tremonti è schizzofrenico…

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