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SENZA NUMERI NON C’E’ FEDERALISMO

Le norme sul federalismo fiscale sono assai complesse e non sarà facile attuarle. Ma se si vuole davvero mettere su un binario corretto il dibattito, la prima cosa da fare è predisporre un quadro di riferimento quantitativo condiviso dei dati disponibili. Bisogna costruire al più presto un sistema informativo appropriato sui dati territoriali, che consenta di raccordare le informazioni che arrivano dalle diverse fonti, spesso contraddittorie tra di loro. Un’operazione di questo tipo accelererebbe l’avvio del federalismo molto più di qualunque legge delega.

Ora che la legge delega sul federalismo fiscale sta per essere definitivamente approvata alla Camera si tratterà di attuarla, con la predisposizione dei relativi decreti legislativi da parte del governo. Non sarà una partita facile, vista l’incredibile complessità della legge e la lunga lista di principi attuativi, trentuno, nella bozza licenziata dalle commissioni referenti all’aula, oggettivamente contradditori tra di loro. Anche per questo, la maggior parte del dibattito sul tema appare francamente stucchevole, perché priva di contenuti concreti.

UN PROBLEMA DI FEDERALISMO CONTABILE

Ma la complessità della legge non è l’unica difficoltà con cui si confronterà il governo. L’attuazione della delega presuppone l’esistenza di informazioni dettagliate e precise sul mondo dei governi locali, i loro sistemi tributari, la struttura e la composizione della loro spesa e così via. Tuttavia, le informazioni disponibili e il livello di trasparenza dei bilanci locali sono lontanissimi da quello che sarebbe necessario per effettuare i conti con precisione. Tant’è che uno dei principi fondamentali della legge delega richiede appunto “l’individuazione dei principi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici, in modo da assicurare la redazione dei bilanci di comuni, province, città metropolitane e regioni in base a criteri predefiniti e uniformi”. Ottima idea, ma ci vorrà del tempo per attuarla. La realtà attuale è che il bilancio dello Stato e quello di regioni e enti locali sono entità sostanzialmente non comunicanti; che le regioni applicano una sorta di “federalismo contabile”, allocando in modo difforme le stesse poste, a partire dalle entrate; e che infine i bilanci di comuni e province sono largamente privi di significato, per l’ampia “esternalizzazione” di funzioni pubbliche fuori bilancio ad agenzie e società formalmente private ma sotto il controllo pubblico, in larga misura una conseguenza dei patti di stabilità interna. Un’operazione di pulizia e di consolidamento dei bilanci di regioni e altri enti locali è assolutamente necessaria se si vuole davvero riportare su basi più razionali la finanza locale.
Né la situazione è migliore per quello che riguarda le informazioni relative all’allocazione di spese ed entrate nei vari territori da parte dei vari enti appartenenti al settore pubblico. Negli ultimi anni, non c’è ufficio studi o partito politico che non si sia dilettato nella predisposizione di stime relative alla distribuzione territoriale delle risorse e agli effetti che su questa avrebbe il federalismo fiscale.

FARE I CONTI CON I CPT È UN ERRORE

Abbondano in particolare le stime dei cosiddetti “residui fiscali”, la differenza tra ciò che i cittadini di una regione pagano sotto forma di imposte e contributi ai vari livelli di governo e ciò che da questi ricevono sotto forma di spesa pubblica. I grandi quotidiani nazionali hanno spesso dato risalto a questi “numeri”, senza entrare nel merito della metodologia di calcolo né dei problemi che questo comporta. La conseguenza è che ne è stato fatto un uso distorto e scorretto.
Ad esempio, un elemento che accomuna la gran parte di questi calcoli recenti è l’utilizzo della stessa fonte statistica, ovvero i Cpt, conti pubblici territoriali, una banca dati predisposta dal dipartimento per le Politiche di sviluppo, con l’obiettivo di ricostruire i flussi finanziari all’interno dei diversi territori regionali, suddividendo la spesa per categorie economiche e funzionali e per i vari enti presenti sui singoli territori regionali (stato, amministrazioni regionali, amministrazione regionali). Operazione meritoria, ma ancora molto lontana dal fornire un adeguato punto di riferimento per valutazioni corrette sulla direzione e l’entità della redistribuzione territoriale, come esplicitamente riconosciuto dagli stessi estensori. Usare i Cpt, senza capirne i limiti, significa produrre risultati del tutto inappropriati. Solo qualche esempio per spiegare i problemi anche ai non addetti ai lavori.
Primo, i Cpt eliminano alcune spese: ad esempio, gli interessi sul debito pubblico pagati ai non residenti o i flussi verso l’estero, perché non saprebbero dove allocarli sul territorio nazionale. E gonfiano alcune entrate: considerano le entrate tributarie al lordo e non al netto dei rimborsi d’imposta, non correggendo adeguatamente il dato sul lato della spesa, con il risultato che se si usassero i Cpt per calcolare il saldo netto per le amministrazioni pubbliche scopriremmo di aver già risolto tutti i problemi finanziari del paese, visto che saremmo già abbondantemente in attivo. Secondo, i Cpt forniscono solo dati di cassa, non di competenza. Il problema è che i dati di cassa variano enormemente da anno a anno sul lato delle entrate e che sono inaffidabili per i periodi brevi soprattutto per la spesa in conto capitale, perché questa ha un andamento fortemente ciclico.
Terzo, le entrate tributarie regionali e locali non sono disaggregate, così che non è possibile capire chi paga a chi quali tributi in quale regione, e confrontare le stime nei Cpt con le informazioni disponibili da altre fonti. E si potrebbe continuare a lungo.
La conclusione è che se si vuole davvero mettere su un binario corretto il dibattito sul federalismo fiscale è in primo luogo necessario predisporre un quadro di riferimento quantitativo condiviso dei dati disponibili. Ènecessario in altri termini che si avvii al più presto la costruzione, da parte di tecnici e accademici, di un sistema informativo appropriato sui dati territoriali, che consenta di raccordare le informazioni provenienti dalle diverse fonti, Istat, ministeri, Ragioneria, e così via, spesso tra di loro contraddittorie. Un’operazione di questo tipo farebbe fare più passi avanti al federalismo fiscale di una dozzina di leggi delega.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. alberto carzaniga

    1. Il meccanismo contabile c’è già: lo trovate sul sottosito SIOPE della Ragioneria.

    2. Funziona benissimo: vi sono già codici contabili uniformati, un software sicuro e ampiamente testato (manca la volontà politica di farlo pienamente funzionare).

    3. E’ flessibile, a geometria variabile. Può includere tutta l’area pubblica, anche le società formalmente private ma a controllo pubblico: oggi è esteso solo al perimetro di Maastricht. E’ gestito da BdI, via le banche tesoriere. Perchè non ve ne occupate?

  2. Cesare Sacchi

    Uno scritto ottimo: complimenti. Spero che i legislatori ne tengano conto per correggere le pecche più pericolose della delega. Spero anche che trovino ll tempo per dare un’occhiata a un opera magistrale di Luigi Einaudi (Miti e paradossi della giustizia tributaria). Nelle prime righe della Prefazione, Einaudi scrive: «difendere accanitamente i sistemi vigenti, che bene o male funzionano e gittano miliardi, contro la mania riformatrice dei dottrinari… che vogliono la giustizia perfetta, che è complicata e distrugge dieci per incassare uno». O forse la nuova «confraternita dei dottrinari» sa bene quello che succederà e vuole proprio «distruggere il dieci»? Mi viene qualche dubbio.

  3. Bruno De Leo

    Assolutamente d’accordo. La commissione Vitaletti aveva fatto un buon lavoro a suo tempo anche se parziale. Mi sembra indispensabile affidare questo compito al Ministero dell’Economia con l’obbligo di costituire una commissione con la partecipazione dei ministeri interessati e di esperti ed accademici che rediga in tempo utile un questionario completo da inviare a tutti gli enti interessati con le relative istruzioni. All’ente che non risponde nei termini fissati (che dovrà essere ragionevole) dovrà essere addebitato il costo del Commissario ad acta da nominare oltre a essere sospeso ogni versamento dei trasferimenti statali fino alla rilevazioni dei dati. Ovviamente mi pare necessario ricorrere ad apposita norma legislativa. Altre vie non mi sembrano praticabili.

  4. luciano schiavoni

    Ma davvero si pensa che questo governo voglia fare il federalismo fiscale per migliorare l’efficienza dell’amministrazione pubblica? L’obiettivo è uno solo: mantenere al nord quante più risorse possibili. Il resto serve solo a indorare la pillola per farla accettare alle regioni riottose e all’opposizione. Il federalismo fiscale è una soluzione "a prescindere", indipendentemente da una seria analisi sulla quantità e sulla qualità della spesa pubblica. Per questo i dati richiesti dagli autori, un pò ingenuamente, così come da tanti altri, non sono stati forniti e non lo saranno mai, perchè rischiano di rimettere tutto in discussione. Il metodo seguito dal governo sul federalismo è quello di farsi dare ampia delega su opzioni di principio genericamente condivisibili, in modo da rendere difficile all’opposizione di prendere le distanze una volta che le conseguenze (solo alla fine) saranno chiare a tutti. Per questo c’è una sola cosa da fare: rifiutarsi di stare a questo gioco e pretendere che il problema dell’efficienza dell’amministrazione pubblica venga affrontato senza soluzioni preconfezionate. E’ un tema, insomma, da opposizione rigorosa e non ammiccante.

  5. bruno de leo

    Il suggerimento di Cazzaniga e da condividere in pieno anche se ricorrere al Siope non è sufficiente in quanto con tale sistema non è possibile rilevare i dati di competenza che pure sono necessari. Un supplemento di indagine si rende quindi necessario anche perchè non mi pare siano sufficienti i dati relativi ad un solo anno.

    • La redazione

      Caro lettore, grazie del commento. A proposito del SIOPE, certamente sappiamo che esiste e come funziona. Ma ci sono alcuni problemi.
      1. La banca dati non è pubblica, nel vero senso del termine, ma è disponibile a tutti gli enti che partecipano alla rilevazione; per accedervi è necessaria un’autorizzazione della Ragioneria Generale dello Stato.
      2. Esiste solo dal 2005-2006.
      3. Riporta i flussi di cassa, che, ripetiamo, presentano grandi problemi. Qualche esempio: la Liguria, dai dati SIOPE, ha incassato IRAP pari a zero nel 2006 e pari a 1,5 miliardi di euro nel 2007; la Lombardia ha incassato una compartecipazione IVA pari a 4,4 miliardi di euro nel 2006 e a 8,2 miliardi di euro nel 2007. A che servono questi dati?
      Il problema, ribadiamo, non è la mancanza di banche dati, ma la loro incomunicabilità. Riesce difficile persino rispondere ad una domanda semplice come la seguente: quanto hanno speso le regioni a statuto ordinario in un certo anno? Due, tre fonti danno due o tre risposte diverse. E’ necessario che queste banche date siano fatte parlare tra di loro.

  6. bob

    Ma quale "federalismo", qui piccoli omuncoli hanno rifatto le Signorie con tutti i vantaggi (per loro) e nessun vantaggio per il Paese. Basta la storia di questo Paese dal dopoguerra ad oggi per capire cosa ci (ri)vuole.

  7. MARIELLA VOLPE

    Non bastano neanche i buoni numeri, se ne viene fatto cattivo uso, costume che accomuna il dibattito giornalistico e l’accademia. I CPT sono adeguati a supportare il dibattito sul federalismo? E’ un problema di relazione tra mezzi, strumenti e obiettivi. Certamente non sono adatti a misurare i residui fiscali, ammesso che i residui costituiscano un indicatore appropriato. Ma, nonostante la trasparenza delle metodologie, l’accademia persiste (anche Bordignon per Confindustria). Sono un dato di cassa; ma ciò costituisce un problema se si lavora su singoli esercizi finanziari (Bordignon e al., Constitutional reform..); certamente meno se si sfrutta una serie pluriennale con disaggregazione, flessibilità e comparabilità non rinvenibili nella contabilità pubblica italiana. Vincoli e vantaggi delle fonti dovrebbero essere meglio studiati dagli utilizzatori per fare scelte consapevoli ed evitare errori elementari di grammatica e sintassi contabile. Quale significato economico dare ad un potpourri di fonti che mescola natura dei dati, modalità di rilevazione e criteri eterogenei? Esercizio spesso praticato e da cui si pretende di trarre indicazioni di policy.

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