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Il Pil sulla scala Mercalli

I terremoti sono eventi eccezionali e imprevedibili che però purtroppo si ripetono in luoghi e tempi diversi. I dati derivanti dalle sfortunate esperienze di tanti paesi del mondo ci mostrano che le conseguenze di un terremoto come quello abruzzese sulla crescita di lungo periodo sono negative e di entità non marginale. La buona qualità delle istituzioni di un paese è però in grado di attenuarne in modo significativo i costi sociali.

Il terremoto nella provincia dell’’Aquila così come lo tsunami nell’’Asia Sud-Orientale di qualche anno fa sono eventi catastrofici con enormi conseguenze individuali, sociali ed economiche.

Catastrofi e crescita economica

In alcuni casi, negli anni successivi a questi episodi, l’’economia locale si riprende: le popolazioni trovano la forza di reagire e di ricostruire le loro comunità e le loro economie come prima e meglio di prima. È avvenuto, ad esempio, nel Friuli. Ma non è sempre così. In molte zone del mondo, le catastrofi hanno portato con sé una marcata difficoltà di ricostruire le attività economiche precedenti e, a volte, il declino economico.
Se si guarda oltre le conseguenze dirette delle catastrofi, purtroppo inevitabilmente negative e luttuose, l’’economia ci suggerisce che gli effetti economici di più lungo periodo delle catastrofi possono essere molto diversi. Una catastrofe naturale potrà produrre effetti positivi sulla capacità di crescita di una località se la distruzione del capitale causato dalla catastrofe riesce a creare nuove opportunità di investire in nuove attività più moderne e avanzate rispetto a quelle preesistenti. Inoltre, almeno durante la ricostruzione, si verifica solitamente un eccezionale afflusso di risorse esterne – di capitale fisico, finanziario e umano – che se impiegate efficientemente possono accrescere le possibilità locali di investimento. Tenderanno invece a prevalere gli effetti negativi se le risorse finanziarie necessarie alla ricostruzione sono insufficienti a finanziare la realizzazione dei grandi progetti infrastrutturali richiesti per ricominciare a crescere oppure se gli aiuti predisposti non si aggiungono alle risorse di risparmio e di investimento già eventualmente presenti.

La parola ai dati

Per capirne di più, nell’’ambito di un progetto di ricerca in corso, abbiamo usato i dati del CRED (Center for the Research on the Epidemiology of Disasters) dell’Università di Lovanio (1) relativi alle catastrofi avvenute in novanta paesi in un lungo periodo di tempo e cioè durante i trenta anni compresi tra il 1970 e il 2000. Dai dati del CRED emerge che le catastrofi si sono più che raddoppiate nei trenta anni tra il 1970 e il 2000. Negli anni ’70 il totale dei disastri registrati fu pari a 75, per poi salire a 135 negli anni ottanta fino ai 180 disastri degli anni novanta.
Nel tempo i disastri di natura geologica si sono “solo” raddoppiati, mentre i disastri di altro tipo, soprattutto quelli dovuti ad eventi climatici estremi, si sono invece quasi triplicati. Una parte di questo incremento può essere il risultato del miglioramento delle tecniche di raccolta dei dati nel corso del tempo: negli anni ’70 il monitoraggio di eventi di questo tipo era certamente più imperfetto di quello di oggi. Per molti studiosi, però, il rapido aumento dei disastri climatici è una riprova della nefasta influenza della crescita demografica e delle attività economiche umane sulla rischiosità dell’’ambiente in cui viviamo. Senza entrare nel dibattito sul cambiamento climatico, rimane il fatto che le catastrofi sono presumibilmente aumentate e in misura notevole di numero nell’’arco di trenta anni.
Quando si parla di eventi catastrofici, però, almeno una cosa non è determinata dalla natura e dall’’ambiente e cioè il loro impatto socio-economico. Tra il 1980 e il 2000 l’’India ha subito quattordici terremoti con 32 mila vittime. Negli Stati Uniti, nello stesso periodo, di terremoti ce ne sono stati ben diciotto: ma i morti sono stati solo 143. E, infatti, l’’analisi statistica indica che la percentuale delle persone coinvolte da una catastrofe non dipende solo dall’’entità dei disastri e di altre variabili geografiche e naturali ma anche e soprattutto del reddito pro-capite e del livello di istruzione dei paesi in cui il disastro ha luogo. Le nostre stime mostrano che, in presenza di redditi pro-capite più elevati del 10%, il numero dei coinvolti per milione di abitanti è più basso del 7.5% (2). Probabilmente perché la densità della popolazione nelle zone urbane è tipicamente più alta in un paese povero che in un paese ricco (le bidonvilles fanno pensare a San Paolo o a Mumbai più che a Roma o Washington). Ma soprattutto perché in una località con un reddito pro-capite più elevato (la California o il Giappone) le case stanno in piedi meglio che in una zona con un reddito più basso (l’’Abruzzo). Più in generale, come indicato da Matthew Kahn in un lavoro di qualche anno fa, (3) paesi caratterizzati da una migliore qualità delle istituzioni e del decision-making pubblico sono riusciti a ridurre sensibilmente il “conto sociale” delle catastrofi. Il che non sorprende: la presenza di istituzioni corrotte è ovviamente associata con il mancato rispetto dei vincoli e della legislazione edilizia, così come con una pessima qualità delle strutture e delle infrastrutture abitative.

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L’impatto sul Pil

Una volta quantificata la relazione tra le variabili geografiche, naturali e sociali che descrivono una catastrofe e il suo impatto sociale, si può poi valutarne l’effetto sulla crescita economica. La nostra analisi indica che, al crescere del numero di persone coinvolte (per milione di abitanti), la crescita del Pil pro-capite del paese si riduce di 0,0003 punti percentuali all’’anno. Può sembrare un numero piccolo ma non lo è. Se gli sfollati abruzzesi sono 30 mila (cioè circa 500 per milione di italiani), la crescita del Pil italiano potrebbe ridursi di circa 0.15 punti percentuali all’’anno (gradualmente a calare verso zero). Su un orizzonte di dieci anni, -0,15 punti percentuali l’anno significa una riduzione di circa un punto e mezzo di Pil. (4).
I terremoti sono eventi eccezionali e imprevedibili che però purtroppo si ripetono in luoghi e tempi diversi e non periodici. E’ comunque possibile studiare le caratteristiche medie dei loro effetti economico-sociali per provare a descrivere gli scenari futuri. I dati derivanti dalle sfortunate esperienze di tanti paesi del mondo ci mostrano che le conseguenze di un terremoto come quello abruzzese sulla crescita economica potenziale di lungo periodo sono negative e di non piccola entità. La buona qualità delle istituzioni di un paese è però in grado di attenuarne in modo significativo i costi sociali.

(1) Il CRED (www.cred.be/emdat) definisce “disastro naturale” un evento o una situazione che non può essere gestita localmente ma richiede un intervento esterno, nazionale o internazionale, o che è riconosciuto come tale da un’istituzione internazionale, da un paese o dai media e che chiama in causa (1) almeno 10 morti, (2) 100 o più persone che hanno richiesto assistenza, (3a) la dichiarazione dello stato di emergenza oppure (3b) una richiesta di aiuti internazionali.
(2) L’’equazione stimata da cui sono derivati i parametri riportati è la seguente: [log(1+COINVOLTI)] = 8.4 – 0.75 log(reddito procapite1970) -0.09 log(iscritti secondaria1970) + 1.01 log(numero disastri)+ variabili geografiche. R2=.66, numero osservazioni =90. COINVOLTI è il numero delle persone coinvolte nella catastrofe per milione di abitanti.
(3)Matthew E. Kahn, “The death toll from natural disasters: the role of income, geography and institutions”, The Review of Economics and Statistics, 271-284, 2005.
(4) L’’equazione stimata per il tasso di crescita è la seguente: crescita(PILpc) = .051 -.007 log(PILPc,1970) + .003*log(iscritti secondaria1970) + .11 (Inv/Pil) – .001 (spesa pubblica/Pil) + .009 (grado di apertura) – .0003 log(1+COINVOLTI).

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

14 commenti

  1. andrea

    vi segnalo anche The Economic Aftermath of Hurricane Katrina in Journal of Economic Perspectives—Volume 22, Number 4—Fall 2008—Pages 135–154, secondo cui “Historical evidence suggests that cities can rebound from disasters”

    • La redazione

      Andrea, grazie del suggerimento. Stiamo cercando di costruire un data set di episodi di catastrofi naturali di cui studiare le caratteristiche in modo più sistematico. Le nostre analisi preliminari indicano tuttavia una correlazione negativa tra catastrofi e crescita economica, anche trattando separatamente le varie aree geografiche.

  2. mattia morandi

    Secondo voi avrebbe senso parlare di ‘ricostruzione made in italy’ per ridurre gli effetti negativi del sisma sul Pil nazionale e, semmai, agire anticiclicamente sulla crisi economica? Si potrebbe, ad esempio, pensare a normative speciali per acquistare tutti i materiali (qualora disponibili) in modo centralizzato ed esclusivamente da aziende nazionali (naturalmente stringendo le maglie del controllo per evitare infiltrazioni della criminalità organizzata)?

    • La redazione

      E’ impossibile che la necessità di ricostruire l’Abruzzo possa portarci fuori dalla crisi economica. Men che meno metterei nella ricostruzione vincoli tipo "usa solo materiale italiano". sarebbe un modo di incoraggiare pratiche di corruzione.

  3. bellavita

    Il paesaggio in cui viviamo è stato modellato nel tempo dai terremoti che hanno alzato le montagne e dalle frane che hanno modellato le valli. Questi fenomeni naturali non fanno danni finché avvengono in zone disabitate e forse sarebbe il caso di pensare a estendere i parchi naturali e le coltivazioni estensive nelle zone sismiche di primo grado. E anche a incoraggiare la naturale riluttanza a tornare a vivere nelle zone terremotate. Poi, certo, bisogna anche rivedere i criteri con cui sono costruiti gli edifici nelle zone sismiche: ma che in una città dove sono crollati municipio, prefettura, ospedale e palazzo di giustizia, cioè gli edifici simbolo dello Stato si venga a dire che il 50% degi edifici può essere riutilizzato subito è una cosa senza senso: può essere ritutilizzato fino al prossimo terremoto. E non credo che la messa in sicurezza costi tanto meno di una ricostruzione totale.

  4. Agostino De Zulian

    Il costo per la ricostruzione in Abruzzo di 12.000.000.000,00 euro preoccupa? Ma è una piccolezza economica a livello di Stato Italia, un “micro” problema in termini monetari raffrontati alla spesa pubblica! Ben altri e maggiori sono i problemi che la politica dovrebbe risolvere. Di seguito la dimostrazione. Lo scorso mese di febbraio con un debito pubblico pari a 1.626.091.000.000,00 EURO e una popolazione italiana di 59.652.738 abitanti, ognuno di noi aveva un debito pro capite di 27.259,29 EURO. Dopo un anno il debito pubblico è arrivato a 1.708.060.000.000,00 EURO (record assoluto) con un aumento di 82.509.000.000,00 EURO. L’aumento di 44.950.000.000,00 EURO è avvenuto negli ultimi due mesi (Gennaio – Febbraio 2009). A fronte di una popolazione residente stimata a febbraio 2009 in 60.088.998 abitanti risulta che il debito pro capite ora è diventato di 28.425,50 EURO con un aumento da febbraio 2008 di 1.166,22 EURO (4,28%) . La crescita del debito totale è stata del 5,07%, di cui 2,70% nei soli mesi di gennaio-febbraio 2009. Causa principale dell’aumento del debito è stato un enorme calo delle entrate: MENO 7,23% nei soli primi mesi dell’anno.

    • La redazione

      E’ vero 12 miliardi sono poca sosa rispetto al Pil e al debito pubblico dell’Italia. Ma con i tempi che corrono (crescita probabilmente a meno 3 e passa nel 2009), è difficile reperire anche 2 o 3 miliardi.

  5. Marco Cavallero

    Sinceramente penso sia inutile continuare ad usare il Pil come indicatore di sviluppo economico. Pensate veramente che la crescita del prodotto (che c’è sempre con la ricostruzione) possa essere un’indicatore affidabile del benessere della popolazione abruzzese? A mio parere questi giochi econometrici servono esclusivamente a chi si diverte a svolgerli.

    • La redazione

      Tutte le opinioni sono legittime. Tuttavia: tutti sono d’accordo sul fatto che il Pil è una misura molto imperfetta del benessere perchè è misurato con (molto) errore. Ma se l’errore di misurazione rimane relativamente costante nel tempo allora la variazione e la crescita del Pil sono una misura un po’ più precisa di come varia il benessere nel corso del tempo. E quindi non sono necessariamente un inutile giochino per econometrici.

  6. angelo agostini

    Bisogna che qualcuno tra gli addetti ai lavori (ingegneri, architetti, pianificatori) trovi il coraggio di dire agli italiani che una messa in sicurezza seria non sarebbe, in molti casi, economicamente sostenibile né addirittura, tecnicamente fattibile. In tutti quei casi in cui si è costruito su terreni scoscesi, cedevoli etc. tecnicamente assurdi, non c’è consolidamento serio che tenga, almeno a costi commisurati. Lo stesso vale per tutti quei casi in cui il C.A. è apparso poco armato e/o "fradicio", oppure per le moltissime casette / casupole in muratura alla buona (lo sapete che in abruzzo era una volta prassi comune murare le pietre con "malta" di terra?). Senza citare il fatto che la sicurezza statica e sismica sarà pure la prima cosa, ma che la qualità delle costruzioni viste è in generale assai scadente, non in linea con gli standards di sicurezza per gli impianti, con l’igiene edilizia, con l’isolamento ed il risparmio energetico, con l’uso di materiali tossici etc., cose che alla lunga fanno male alla salute anche loro, senza contare che una struttura si può ammalorare e diventare insicura per via di infiltrazioni, condense, muffe etc. dovute a fatti non strutturali.

  7. Marco Cavallero

    Prima di tutto vi ringrazio per la risposta. I difetti del Pil sono noti ma la mia domanda è il Pil misura realmente il ben-essere? Il paradosso si Easterlin non dovrebbe mettere in discussione l’utilità di questo indicatore come unico indice di benessere? Sarebbe interessante studiare le variazioni del indice di sviluppo umano o del GPI.

  8. Andrea Schiavone

    Scusate, ma leggendo questo articolo mi viene qualche dubbio sulle frasi in esso contenute. “L’analisi statistica indica che la percentuale delle persone coinvolte da una catastrofe non dipende solo dall’entità dei disastri…ma anche e soprattutto del reddito pro-capite e del livello di istruzione dei paesi in cui il disastro ha luogo”. Guardate questo link: http://www.indexmundi.com/map/?v=67&l=it che è indicativo (2009) per il reddito pro-capite (cioè pil/popolazione). L’Italia è quasi come il Giappone. Non faccio commenti. Avessimo noi avuto una botta di terremoto come loro…L’Aquila docet.

  9. bob

    a parte tante favole ( in Abruzzo malta di terra ..e altrove?) o modello Friuli ( sono arrivati 10 volte di più i soldi che servivano il terremoto maggiormente finanziato spesso andato in ville e barche etc). A mio avviso il problema è solo politico. Senza progetti politici di lungo termine un Paese è allo sbando. L’ Appennino che è la zona maggiormente interessata da sempre da movimenti tellurici è completamente abbandonato. Una vergognosa inesistente politica demografica avrebbe dovuto fare quello che si è fatto in Alto Adige, gestire il territorio perchè la gente rimanesse e non andasse ad infoltire le periferie di grandi città. In Appennino si poteva poichè ha grandissime risorse su un territorio non particolarmente aspro come possono essere le Alpi: risorse agricole, turistiche e di produzione di energia. Se alla casalinga di Vipiteno diamo 1000 euro per tenere i gerani sul balcone con la stessa lungimiranza e forse con molto meno risorse si doveva guradare ad un territorio così ampio come gli Appennini. Ma il Paese Italia a finito di esistere dal ’70 in poi e qualcuno ancora ci viene a raccontare favole

  10. Roberto

    Trovo molto convincente le Vostre analisi sull’impatto sul PIL, supportate da fonti autorevoli. Concordo pienamente sull’abominio dell’affermazione “terremoti e guerre aiutano il PIL”. Essendo interessato allo sviluppo dei Paesi poveri ed ai movimenti migratori di origine economica, vorrei sapere come vedreste la ricostruzione e la prevenzione affidata solo a imprese di Paesi quali Tunisia, Marocco, Sudan, con manodopera di quei Paesi e simili e inevitabilmente purtroppo con cemento, ferro e macchinari cinesi. A noi male non farebbe, loro per almeno 10 anni sarebbero contenti e li aiuteremmo veramente, stimolando professionalità ben superiori alla raccolta di pomodori. Per quanto riguarda la Cina, ce ne sarebbe grata e prenderebbe volentieri titoli italiani in pagamento.

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