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DEBITI IN COMUNE

Il ricorso degli enti locali a strumenti derivati si traduce oggi in un’esposizione per circa 40 miliardi e in perdite tra i 6 e gli 8 miliardi. Perché non sempre le amministrazioni dispongono di professionalità adeguate per effettuare operazioni finanziarie sofisticate. E perché non le hanno utilizzate come forma di copertura dal rischio tassi, ma come pura fonte di finanziamento, anche per le spese correnti. Altri paesi le vietano tout court. Meglio invece optare per una rigida regolamentazione, limitandone l’utilizzo solo a finalità di copertura e non speculative.

Negli ultimi anni, il ricorso a strumenti derivati da parte degli enti locali – in particolare, swap sui tassi di interesse e strumenti strutturati – ha raggiunto livelli significativi. Secondo fonti ufficiali, gli enti locali hanno un’esposizione da strumenti derivati verso istituti di credito per circa 40 miliardi di euro, pari al 36 per cento dello stock di debito totale. Operazioni sugli strumenti derivati sono state effettuate da 18 Regioni (90 per cento), 58 province (54 per cento), 54 capoluoghi di provincia (50 per cento) e circa 700 comuni (8,6 per cento). Tuttavia, l’incompletezza dei dati ufficiali fa ritenere che la diffusione possa essere molto maggiore, soprattutto fra i comuni di piccole e medie dimensioni: sulla base di indagini campionarie effettuate in alcune Regioni, si può ritenere che i comuni di piccole dimensioni coinvolti siano almeno 3mila.
Le perdite, derivanti dall’andamento dei tassi di interesse, sono stimate in circa 6-8 miliardi di euro. L’elevato rischio per gli enti locali ha portato, nella legge Finanziaria per il 2009, al divieto di stipulare nuove operazioni, fino all’entrata in vigore di un Regolamento da emanare a cura del ministero dell’Economia e comunque per il periodo di un anno. (1)

PERCHÉ I DERIVATI

La possibilità per gli enti locali di sottoscrivere strumenti derivati era stati introdotta dalla legge Finanziaria per il 2002, per favorire operazioni di ristrutturazione del debito, volte a ridurne il costo. Da allora, l’uso di strumenti derivati si è esteso non solo agli swap sui tassi di interesse, ma anche a diverse forme di opzione sul debito (cap, floor, collar) che hanno la finalità di porre tetti inferiori o superiori al costo del debito), fino a operazioni più strutturate e azzardate, i cosiddetti credit default swap.
Cosa ha determinato l’attuale situazione di difficoltà? In primo luogo, le amministrazioni pubbliche non sempre dispongono di professionalità adeguate per effettuare operazioni finanziarie sofisticate; la valutazione della strutturazione di un’operazione, il calcolo del marking to market dello swap, l’analisi delle clausole contrattuali, degli eventuali costi impliciti e dei rischi associati richiede competenze difficilmente presenti all’interno degli enti locali. Inoltre, i funzionari pubblici tendono a ritenere che l’operazione si esaurisca con la firma del contratto, trascurando l’importanza di un monitoraggio continuo dell’andamento dei tassi e le opportunità di rinegoziazione delle operazioni stesse. Considerato che lo swap è un contratto a somma zero, cioè la perdita di un contraente è compensata dal guadagno dell’altro, nel rapporto con gli istituti di credito un’amministrazione pubblica si trova in una posizione di svantaggio.
A fronte di queste difficoltà, gli enti locali tendono a rivolgersi a un advisor, tipicamente un intermediario finanziario. Questo fenomeno amplifica i rischi dell’operazione, in quanto spesso l’advisor assume direttamente oppure, più spesso, attraverso un istituto controllato anche la posizione di controparte con cui l’ente stipula il contratto, generando così una situazione pericolosa di conflitto di interessi. Negli enti locali si è riscontrata un’eccessiva fiducia verso gli istituti di credito, alcuni dei quali hanno adottato comportamenti opportunistici, sfruttando a proprio vantaggio l’asimmetria di competenze.

IL CASO MILANO

Molto significativo è il caso del comune di Milano, che ha stipulato nel 2005 uno swap di durata trentennale, legato a un’emissione obbligazionaria bullet, pari a 1,68 miliardi di euro. In soli quattro anni, il comune ha accumulato una minusvalenza (mark to market) di circa 300 milioni di euro e i costi impliciti dell’operazione, ossia i margini di remunerazione “illegittima” per gli istituti controparte, oscillano tra i 73 e gli 88 milioni di euro. Gli aspetti critici, dal punto di vista legale, sono vari. Già al momento del perfezionamento del contratto, il comune presentava una minusvalenza di 51 milioni di euro, circostanza vietata dalle norme. Inoltre, le condizioni dell’opzione collar abbinata allo swap sembrano più favorevoli per le banche che non per il comune: il collar iniziale presentava un significativo squilibrio tra costo di acquisto del cap e premio incassato dalla vendita del floor.
Molte amministrazioni locali stanno intraprendendo azioni legali, sulla scia del comune di Milano. Nel caso di Milano, l’accusa del Tribunale è di truffa aggravata per i funzionari degli istituti di credito coinvolti – Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan, Depfa. Gli istituti di credito, invece, sono indagati come persone giuridiche e accusati di violazione della legge 231, che disciplina la responsabilità degli enti, perché non sarebbero stati in grado di prevenire i reati commessi dai loro funzionari, per aver tratto un significativo beneficio economico dalla loro condotta illegale e, infine, per aver falsamente sostenuto che la ristrutturazione del debito sarebbe stata vantaggiosa per il comune, come prescritto dalla norma. La soluzione legale non è preclusa agli enti di piccole dimensioni: da un lato, infatti, le associazioni dei comuni, in primo luogo l’Anci, hanno garantito assistenza legale a quanti avvieranno contenziosi nei confronti degli istituti di credito; dall’altro, molti enti si stanno organizzando per intraprendere azioni comuni: ad esempio, in provincia di Milano è nato un “Tavolo di lavoro sovra comunale”, promosso dal comune di Magenta, per individuare soluzioni operative per gli enti in difficoltà, che vanno dalla negoziazione con gli istituti di credito all’azione legale.
Al di là dei rimedi legali, è opportuno riflettere sulla motivazione ultima, per gli enti locali, del ricorso alle operazioni sugli strumenti derivati. Trae origine, in generale, dalle difficoltà della finanza pubblica e, nello specifico, dai vincoli posti dal Patto di stabilità interno. In un contesto caratterizzato da riduzione dei trasferimenti e crescita della domanda di servizi e opere pubbliche, le regole del Patto, spesso soggette a revisioni da un anno all’altro, hanno aumentato il grado di rigidità dei bilanci, inducendo le amministrazioni locali ad adottare comportamenti “strumentali”, pur di mantenere margini di manovra nelle decisioni di spesa. Ciò ha impedito agli enti locali di cogliere la vera essenza e funzionalità del contratto di swap: anziché come forma di copertura dal rischio tassi, lo strumento è stato utilizzato come pura fonte di finanziamento, spesso destinata a coprire le spese correnti. Il generalizzato ricorso al cosiddetto up-front, il pagamento da parte della banca di una somma in contanti all’atto della sottoscrizione dello swap, ha comportato sfasamenti contabili con ripercussioni sugli anni successivi, quando i flussi sono diventati sfavorevoli per l’ente, generando un livello di indebitamento ancora maggiore e a tassi più elevati rispetto alla situazione precedente allo swap. La mancanza di precise e chiare regole di contabilità pubblica ha permesso un utilizzo scriteriato delle entrate derivanti dagli strumenti derivati, le quali, non essendo formalmente un debito, non rispondevano né alle regole sul limite di indebitamento, né ai vincoli di destinazione: solo a partire dal 2007, la Corte dei conti ha cominciato a vietare un utilizzo delle entrate derivanti da swap per il finanziamento delle spese correnti.

SERVE UNA REGOLAMENTAZIONE

Ma come intervenire in modo più incisivo per evitare questi problemi? Una possibile soluzione, già adottata in altri paesi, in primis Germania e Regno Unito, è quella di vietare agli enti locali il ricorso agli strumenti derivati. Gli enti locali non possiedono, né potranno possedere, competenze adeguate con la complessità dei mercati e dei prodotti finanziari esistenti, né fa parte delle finalità istituzionali effettuare operazioni strutturate con fini speculativi. L’inefficacia, inoltre, delle diverse forme di controllo, sia interne all’ente locale (collegio dei revisori, Corte dei conti), sia di regolazione del mercato (Banca d’Italia, Abi, ministero del Tesoro) impone, secondo questa posizione, una soluzione radicale.
Tuttavia, questa soluzione potrebbe essere poco efficace. Gli strumenti di finanza innovativa sono così vari e sofisticati che potrebbe essere irrealistico vietare, di volta in volta, singoli prodotti finanziari. In secondo luogo, una gestione attiva del debito, finalizzata all’ottimizzazione delle risorse, alla riduzione del loro costo e al contenimento dei rischi rappresenta per gli enti locali una opportunità da non perdere. L’azione, semmai, anche attraverso il regolamento in fase di elaborazione, dovrebbe essere di rigida regolamentazione degli strumenti adottati, limitandone l’utilizzo solo a finalità di copertura e non per fini speculativi.
In ogni caso, la possibilità di un miglioramento della qualità delle operazioni è legata a un significativo investimento in competenze multidisciplinari, attraverso la formazione di gruppi di lavoro e unità di supporto, anche a livello provinciale, con compiti di valutazione e analisi ex ante, formati da professionalità differenti provenienti dagli enti locali, dalle regioni, dall’accademia, dalla consulenza, dalla finanza.

(1) Sono escluse dal divieto le operazioni di ristrutturazione del debito a seguito di una modifica delle passività legate a contratti in essere.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. Ulisse

    Sicuramente i sindaci non sono degli esperti di finanza…ma neppure degli ingenuotti come si vuol far credere… il fatto è che così le giunte odierne incassano soldi e sin fan belle… a quelle che verranno resteranno i guai e gli improperi degli elettori cui aumenteranno l’Ici.. è uno dei tanti aspetti della questione morale.. non alla Di Pietro.. ma alla Moro / Berlinguer.. purtroppo penso che in Italia nessuno, né la maggioranza della popolazione né la classe dirigente, vuole ammettere questa verità… spero solo di non essere passato per qualunquista…

  2. Massimo GIANNINI

    In un paese come l’Italia e visto quello che é successo mi pare proprio che sarebbe meglio vietarli tout court come fanno altri paesi. L’autore si é domandato perché altri li vietano? Bisogna evitare il fideismo nei confronti dell’innovazione finanziaria e dei suoi vantaggi. Ma vi pare che un Comune anche come quello di Milano avrà mai le competenze per gestire prodotti derivati? Siamo seri. Se tutti si rimettono a giocare al casino’ dicendo che invece il tutto avrà finalità di copertura il gioco ricomincia tale e quale a prima. E sapete perché? Le banche mica staranno li’ a dire al Comune che glielo stanno mettendo in tasca e che ora é meglio passare dal fisso al variabile…tanto son soldi pubblici. Credo che una tale gestione del debito non la si faccia nemmeno a livello centrale con i titoli di stato…dove qualcosa si fa.

  3. Francesco Bonazzi

    Drammatica è anche l’impreparazione media della magistratura. In alcune città si sta facendo strada una buffa teoria: la truffa non si realizza finchè non emerge il danno. Il danno emerge mediamente nel 2034 e quindi ci penseranno pm che oggi vanno alle elementari. E poi il trucco è rinegoziare continuamente i derivati: si guadagnano nuove commissioni e la si butta in caciara (danno compreso). Del resto i contratti chiusi con la PA hanno fior di legal opinion depositate…

  4. Avv. Agostino La Rana

    Qual è la fonte più attendibile sull’indebitamento da strumenti finanziari non convenzionali (tipo "swap") delle amministrazioni comunali? Le relazioni della Corte dei conti?

  5. Antonio Pezzano

    Il punto è che aumento della domanda dei servizi e diminuzione dei trasferimenti si affrontano con innovazioni gestionali. Queste, per essere tali, necessitano di riforme strutturali della PA (come possibilità di licenziare, trasparenza, accountability, ecc.). Il non affrontare questi temi è un incentivo alla finanza creativa. Oggi si possono proibire i derivati (giusto), ma domani, in assenza di riforme, si troveranno altre soluzioni creative e costose (per i posteri).

  6. sandro

    Posso credere che i sindaci/assessori di paesini di 500 abitanti siano dei poveri semi-analfabeti dal punto di vista economico e che quindi siano stati "fregati" da banchieri senza scrupoli, ma per qaunto riguarda regioni, province, grandi città la cosa non regge. Nella mia città (nord, piuttosto grande) l’assessore al bilancio è laureato in ecomonia e commercio, ha "ereditato" dal padre un avviato studio di commercialista (e la carica politica), è iscritto da decenni all’albo dei dottori commercialisti ed a quello dei revisori dei conti, è o è stato sindaco in numerose società piccole e meno piccole ….. e dovrei credere che non è in grado di capire cosa è un derivato? Possibile che a Milano, cito Milano solo perchè è la città dove il problema sta emergendo, nessuno fra amministratori, dirigenti, consulenti sia stato in grado di capire cosa stavano facendo? Alla Bocconi le lauree le stampano col ciclostile avanzo del 68? La verità è stata descritta molto bene dall’articolo e dagli altri commenti: facendo un debito (nascosto) oggi faccio bella figura, tanto quando sarà ora di pagare ci sarà qualcun altro e io (amministratore "ingenuo") sarò a dirigere un Ente controllato.

  7. Stratos

    Non ci si poteva attendere nulla di diverso, da un popolo la cui cultura finanziaria è sotto i tacchi delle scarpe. E’ l’Armata Brancaleone dei "giochiamo in Borsa".

  8. BOLLI PASQUALE

    Un severo fermo all’allegra finanza degli Enti Territoriali doveva essere posto,non dopo,ma prima che la situazione prendesse una dimensione incontrollabile.Perchè tanto non è avvenuto? Perchè tanta irresponsabilità da parte dei nostri governanti? Ma allora,possiamo allegramente cantare in coro: meno male che Silvio c’è? Ho molte perplessità !.Ma se questi sono i nostri migliori governanti degli ultimi 150 anni, dobbiamo soltanto esclamare:povera Italia! La devastazione della finanza locale è dovuta a: incompetenza, interessi privati e indifferenza. L’incopetenza potrebbe essere giustificata dalla complessità della materia finanziaria,gli interessi privati dall’egoismo delle persone, ma l’indifferenza di chi ci governa non si giustifica, ma si condanna severamente; in caso contrario saremmo,veramente, alla fine…

  9. giovanni biagi

    Da amministratore pubblico sei tenuto al comportamento e avvedutezza del buon padre di famiglia per cui vanno denunciati e sequestrati i beni personali di questi signori: ho fatto il consigliere comunale negli anni ottanta e se avessi comprato azioni, allora i derivati non esistevano, coi soldi del mio comune sarei andato in galera e avrei risposto coi miei beni personali per cui non solo le banche hanno grosse colpe. 5 o 6 anni fa warren b uno degli uomini più ricchi del pianeta disse che i derivati erano prodotti di distruzione di massa forse l’ho letto solo io.

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