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COSA CI SARÀ DOPO LA CRISI

E’ la peggiore crisi dagli anni Trenta. Ma è utile guardare più lontano nel tempo, per capire le possibilità del nostro paese, che oltretutto ha beneficiato meno della crescita precedente. Aumenteranno disavanzi e debiti pubblici, in particolare nei paesi avanzati. Si ridurrà la domanda Usa ed è illusorio contare sulla Cina per riavviare un modello fondato sulle esportazioni. Servirebbero una politica fiscale sempre più europea e riforme strutturali. Difficili da realizzare. Ma l’alternativa è una progressiva emarginazione dell’Europa. E dell’Italia.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita”. L’incipit dantesco rappresenta un’eccellente descrizione della situazione economica attuale. La selva è davvero oscura: quest’anno il Pil mondiale si ridurrà dell’1,3 per cento; del 2,8 per cento negli Stati Uniti e del 4,2 per cento nell’area euro, del 4,4 per cento in Italia (il 5 per cento secondo BankItalia). Il tasso di disoccupazione, nell’area euro, salirà sopra il 10 per cento nel 2010: la peggior crisi  dagli anni trenta. (1) Perché si sia persa la “diritta via” è ancora dibattuto. Sappiamo ormai tutto sui meccanismi della crisi finanziaria e della bolla del debito. Capiamo meno come vi si sia potuti arrivare, se per imbecillaggine dei controllori, esuberanza irrazionale dei mercati, cecità dei cantori del libero mercato o altro. Non sappiamo neppure quando qualche raggio di luce illuminerà la selva, se già alla fine del 2009, nel 2010 o ancora più lontano nel tempo. Per ora, gli unici segnali di conforto sono che la velocità di caduta del prodotto è diminuita e che le borse hanno un po’ recuperato, aiutate dall’inondazione di liquidità prodotta dalle banche centrali. Ma i prezzi delle materie prime e del petrolio sono in deciso rialzo, probabilmente per le strozzature presenti dal lato dell’offerta, e questo potrebbe far abortire la ripresa prima ancora che si consolidi. Forse, è però utile gettare uno sguardo un po’ più lontano nel tempo, anche per capire quali possibilità abbia un paese come il nostro, che oltre a essere uno dei più colpiti dal fallout della crisi, è anche quello che ha di meno beneficiato della crescita che l’ha preceduto.

FATTI

Intanto, nonostante che il dibattito si sia quasi esclusivamente concentrato sulla crisi finanziaria, all’origine della stessa c’è soprattutto una situazione di perdurante squilibrio internazionale, alimentato dagli Stati Uniti e dagli altri paesi che impiegano più risorse di quante ne producano, e della Cina e di alti paesi, petroliferi, ma non solo, che producono più risorse di quante ne impieghino. La bolla finanziaria aveva reso conveniente (e perciò possibile) il continuo afflusso di risorse dai paesi in surplus ai paesi in deficit, sotto la forma di capitali in cerca di rendimenti e, perciò, la perpetuazione degli squilibri mondiali. Con ciò era stata anche resa possibile una continua crescita della domanda mondiale, trainata dagli Usa, che, a sua volta, aveva consentito la crescita trainata dalle esportazioni di tanti paesi, asiatici ma anche europei, a cominciare dalla Germania. La crescita del valore della ricchezza finanziaria e del credito ha permesso l’espansione della domanda Usa, nonostante che gran parte dei redditi da lavoro siano rimasti costanti in termini reali per molti anni e la distribuzione del reddito sia divenuta sempre più squilibrata. Un fenomeno del genere si era verificato anche negli anni precedenti alla Grande Depressione, almeno negli Stati Uniti.
Per contrastare la crisi, gli Usa, che hanno pochi stabilizzatori automatici, hanno fatto ricorso a massicce dosi di stimolo fiscale discrezionale, il 2 per cento del Pil, al netto di quanto speso per i salvataggi bancari: il crollo della ricchezza finanziaria e il credit crunch minacciavano infatti di far crollare la domanda interna, che non poteva essere alimentata dallo smobilizzo di risparmi privati, ormai da tempo inesistenti presso il ceto medio e le classi popolari. In Europa, lo stimolo fiscale discrezionale è stato complessivamente più contenuto; il Fondo monetario internazionale lo ha di recente giudicato “nel complesso adeguato”, ma in Italia è stato quasi nullo: lo 0,2 per cento del Pil nel 2009. In Cina è stato annunciato uno stimolo di dimensioni simili a quello Usa: 2 per cento del Pil nel 2009 e nel 2010. Ma è difficile sapere in che misura la spesa effettiva corrisponderà agli annunci. Come effetto di questi interventi e della recessione, disavanzi e debiti pubblici cresceranno in tutti i paesi, e in quelli avanzati in particolare, fino a un livello massimo del rapporto debito su Pil del 140 per cento nel 2010, secondo le stime dell’Fmi. Nel marasma, una buona notizia per noi è che il differenziale tra l’Italia e i paesi europei “virtuosi” si va riducendo: mentre prima della crisi si prevedeva per il 2009 un differenziale di 40 punti tra Italia e Germania, ora si prevede un differenziale di “soli” 30 punti. Comunque abbastanza per frenare l’azione di stimolo fiscale “unilaterale” del nostro governo.

SCENARI

1 – Visto che la crisi è dovuta a squilibri internazionali, è probabile che il processo di aggiustamento spinga verso una loro riduzione. La domanda privata interna Usa si ridurrà e, con essa, le importazioni (la domanda pubblica, ammesso che compensi quella privata, dovrebbe essere meno import-intensive). Se verrà a mancare il traino Usa, sembra anche poco sensato contare sulla Cina per riavviare un modello fondato sulle esportazioni. Il Pil cinese è ancora troppo piccolo per trainare e non c’è alcuna garanzia che la Cina abbandoni, lei per prima, la via dell’export-led, che finora le è servito egregiamente.

2 – I paesi europei, presi singolarmente, sono troppo indebitati o troppo piccoli per potersi avventurare nel finanziamento in disavanzo di un volume di spesa pubblica aggiuntiva sufficiente a sostenere la domanda aggregata. Inoltre, c’è un problema di free-riding: un’espansione in un singolo paese, in un’economia fortemente integrata come quella europea, finisce per avvantaggiare soprattutto i partner commerciali, così disincentivando l’espansione stessa.

3 – Non è impossibile che gli Stati Uniti scelgano la via di un’inflazione controllata per bruciare un po’ di debito e di liquidità accumulati in questi anni. Un po’ di svalutazione del dollaro serve a riequilibrare almeno parzialmente i conti con l’estero. Ma gli Usa non possono permettersi un’eccessiva svalutazione della loro moneta se devono, come devono, continuare ad attrarre capitali dall’estero per finanziare i loro debiti interni. In Europa, la via dell’inflazione sembra comunque sbarrata dalla Bce e dalla tradizionale avversione tedesca; ma questo, a sua volta, impedisce una più coraggiosa politica di indebitamento da parte dei singoli stati membri.

4 – Non sembrano riscuotere grande consenso, né in Italia né in altri paesi europei, quelle manovre “intertemporal che sarebbero capaci di dare credibilità al consolidamento della finanza pubblica nel medio periodo, a fronte di un più robusto stimolo fiscale oggi. Le raccomandazioni dell’Fmi e del governatore della Banca d’Italia, Mario  Draghi vanno in quella direzione, ma rischiano di rimanere inascoltate. Sebbene i periodi di crisi siano quelli in cui sarebbe più necessario e utile fare le riforme “strutturali”, sembra che proprio in questi periodi  governi nazionali siano più timorosi del solito e, perciò, incapaci di vincere le resistenze delle corporazioni.

5 – La crisi avrebbe potuto essere l’occasione per una politica più forte da parte dell’Unione Europea. Ma ciò non è avvenuto. Anche l’idea di una regolazione comune dei mercati finanziari stenta a farsi strada, nonostante le pressanti raccomandazioni degli organismi finanziari internazionali, mentre forme varie di protezionismo mascherato emergono in molti settori. L’idea stessa di mercato unico europeo è ora in difficoltà.

RISCHIO EMARGINAZIONE

Le conclusioni sono ovvie e un po’ sconfortanti. Servirebbe una politica fiscale sempre più “comunitaria” (cioè europea) e sempre meno nazionale. Una politica che, non potendo più contare sul traino delle esportazioni, insista di più su una crescita della domanda interna europea, eliminando le residue barriere agli scambi, soprattutto nei servizi, e sui grandi progetti infrastrutturali europei, provvedendo finanziamenti europei non solo simbolici, come per gli attuali progetti Ten. In questo senso vanno le proposte di molti. Peccato che sembrino di difficilissima realizzabilità. I risultati delle elezioni europee, con l’affermazione delle forze nazionalistiche e anti-europee, sono un pessimo segnale in questo senso. Eppure, non pare che ci siano molte altre possibilità, se l’obiettivo è quello di riuscire presto “a riveder le stelle”. Altrimenti, la progressiva emarginazione dalla storia dell’Europa, e con essa dell’Italia, sembra un rischio molto concreto.

(1) Imf, World Economic Outlook, aprile 2009.

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12 commenti

  1. rita

    Trovo opportuno che finalmente si cominci a parlar chiaro dicendo che la fine della bulimia americana significa anche la fine di un modello di crescita extra U.S.A. basato sulle esportazioni. E’ una affermazione carica di problemi, perchè vuol dire che gli altri devono inventarsi un nuovo modello di sviluppo oppure rassegnarsi alla mancata crescita. Non mi è chiara invece la considerazione sugli squilibri internazionali come matrice della crisi sul fronte afllusso di capitali verso gli Stati Uniti. La politica di bassi tassi, usata come strumento di medio periodo anzichè di breve, ha prodotto molti danni, ma dovrebbe avere contenuto l’afflusso di capitali. Vorreste spiegare meglio questo passaggio? Grazie

  2. nat

    Finchè non si fa pulizia di tutti coloro che hanno creato questa depressione non potrà tornare la fiducia e quindi la ripresa. Le banche continuano a fare le solite porcherie senza che i governi intervengano per far pagare le loro malefatte. A settembre, cioè alla resa dei conti in Italia, saremo tutti a prendere i pochi soldi rimasti e addio banche. Cosa aspettano a nazionalizzarle?

  3. luis

    Ho letto con interesse l’articolo. Ho sempre pensato che all’origine della crisi c’è lo squilibrio internazionale. La crisi sarebbe scoppiata ugualmente, anche senza titoli tossici. Dopo l’immane distruzione siamo ora in una fase di calma. Una fase laterale, preludio per una nuova tempesta o per una duratura ripresa. Ma la situazione è complessa. Gli USA volentieri, per bruciare l’immenso debito, avrebbero già fatto ripartire l’iper-inflazione. Ma sono oramai legati del tutto alla Cina. Riparte la domanda mondiale? Al primo accenno le grandi manifatture cinesi, indiane e asiatiche inonderebbero il pianeta di beni di consumo, facendo crollare i prezzi. Su con le materie prime? forse è l’unica strada percorribile. Si innesta un circolo virtuoso. Quanto all’Italia, tra 5-10 anni la vedo al livello della Romania o dell’Albania, sempre che non ci siano incidenti di aste di Bot.

  4. gianni

    Trovo esilarante che si continuino a citare le raccomandazione del Fondo Monetario Internazionale e del Governatore della Banca d’Italia come fossero oro colato. Ricordo che è anche grazie alle politiche economiche assolutamente inadatte dell’FMI nel recente passato che oggi dobbiamo affrontare una crisi così grave. Nessuna raccomandazione è mai arrivata, da parte di questo organismo, a metterci in guarda dai rischi dell’espansione monetaria, mutui subprime, cartolarizzazioni senza controlli ecc ecc. Silenzio assoluto. Idem per quanto riguarda il Governatore Draghi, fino a poco tempo fa stipendiato da Goldman Sachs e ovviamente ben silente riguardo alle pratiche "economico-finanziarie" portate avanti dalle banche d’investimento americane, Goldman inclusa. Questo genere di organizzazioni non meritano alcuna fiducia, non hanno saputo neanche in minima parte prevedere una crisi che era sotto gli occhi di molti osservatori. Per assurdo invece si dovrebbe attuare il contrario di quello che raccomandano, forse si eviterebbero altre crisi e di conseguenza altre sofferenze per molte persone. Spero pubblichiate il commento, non contiene insulti nè menzogne.

  5. Armando Pasquali

    Già, perché? E’ sbagliato pensare che il sistema di squilibri macroeconomici permanenti messo in piedi dagli Usa sia servito a indorare la pillola, cioè a rendere più sopportabile l’esplosivo incremento delle disuguaglianze che si è registrato da Reagan in poi? Non credo. Il silenzio degli economisti di fronte a questo problema è curioso. Le disuguaglianze si stanno espandendo in Europa, con effetti però diversi rispetto agli Usa: qui da noi viene messa in questione non solo l’idea stessa di Europa ma la tenuta degli stati nazionali. Perché gli economisti hanno fatto finta di niente? Sono davvero ormai tutti schierati a destra, come verrebbe naturale pensare, anche alla luce di questo articolo che propone le immancabili "riforme", tese – sotto la maschera della "modernizzazione" – a precarizzare ulteriormente i lavoratori?

  6. mirco

    Io credo che se continueremo ad utilizzare i parametri per misurare la crescita e il PiL che utilizziamo ora allora certo il tunnel non finirà più. Fortunatamente, l’aumento del PIL non è automaticamente sinonimo di aumento di benessere. Cosa vogliamo dall’economia? Produzioni e organizzazione dei servizi in una soietà che oltre al giusto profitto abbia come obiettivo il benessere comune? Avere uno scaffale di un supermercato con 100 tipi di yogurt non è benessere. Avere confezioni di insalata gia lavata a 30 euro al Kg dove l’imballaggio costa di più del contenuto e aumenta il pattume e il costo delle pubbliche amminsitrazioni per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani non è buona economia. Quindi il futuro sarà per una Europa profondamente diversa o sarà la fine veramente ma la fine verra dalle guerre e dalle crisi politico economiche causate da quei poteri che pensano di voler perpetuare l’attuale sviluppo e che pensano di superare la crisi ripartendo come prima.

  7. Silvano

    L’aspetto più preoccupante non è la crisi economica quanto l’atteggiamento di molti operatori finanziari (oltre che di certi politici, come il ns. premier, che "invita" all’ottimismo e a "spendere"), che si comportano come se nulla fosse, cioè come se la crisi non sia esistita e non esista. L’ha denunciato anche Tremonti (qualche volta mi capita di essere d’accordo con lui!) che "le banche hanno ripreso a fare quello che facevano un anno fa", alludendo con ciò alle operazioni speculative che tanta parte avevano avuto nello sviluppo della crisi. La Comunità Europea, tanto per non smentirsi, ha visto i vari paesi muoversi ognuno per proprio conto, senza un minimo di strategia comune, condivisa. Ora è evidente che, proprio perché nella maggioranza dei paesi vincono le forze di destra più conservatrici, l’Europa è destinata ad un declinio politico ed economico che a mio avviso avrà esiti drammatici sul destino della Comunità, che vedo destinata a sgretolarsi in tantissimi "particolarismi e difese aspre di interessi locali", anzichè "volare alta" con scelte da "grande federazione di popoli". E’ il livello mediocre dei "rappresentanti dei popoli", purtroppo, il limite.

  8. Leo

    L’analisi dell’articolo mi sembra abbastanza corretta, ma le conclusioni molto meno. Va bene ridurre gli squilibri, va bene una regolamentazione internazionale (europea, ma non solo). Ma per quale motivo i finanziamenti infrastrutturali europei avrebbero qualcosa a che fare con la ripresa dopo la crisi? E perché alla fine si inseriscono le elezioni europee? Se si vuole parlare del futuro dell’integrazione europea lo si faccia in un articolo apposito, dove si evidenzino sia i vantaggi sia i problemi che questa crea. Come soluzione non basta un europeismo che mi sembra un pochino ingenuo. Si pensa che un super-stato europeo sia automaticamente adatto alla risoluzione di grossi problemi, in ogni caso? Anche lo scrivere dell’emarginazione europea e italiana mi sembra più che altro un trucchetto retorico. Se la crescita da noi continuerà ad essere inferiore che negli altri Paesi o continenti, certamente saremo emarginati. Ma questo indipendentemente da quanto l’Unione Europea si possa integrare.

  9. marco

    La crisi attuale è la migliore opportunità per risanare il sistema produttivo attuale. Questa crisi non è un evento a sé stante, è una febbre endogena, una scossa provocata dalle tensioni e dagli squilibri interni accumulati negli anni passati da sistemi produttivi miopi e autodistruttivi: la speculazione finanziaria non è che il fattore innescante. Il collasso del sistema è l’unica soluzione capace di ridare ordine al disordine. Non confidate nel senso di responsabilità dei governanti o delle grandi corporations: ora più che mai ognuno è portato a curare i propri interessi. Il collasso sistematico e la rivoluzione del sistema attuale sono l’unica strada percorribile, la più facile, la più dolorosa, la pù rapida. Bisogna morire per risorgere.

  10. Ulisse

    Da un punto di vista teorico ed anche pratico (vedi il 29) il protezionismo accelera ed amplifica le crisi, ma se la Cina, che è quasi l’unico potenziale traino mondiale visto il declino strutturale degli Usa, alza le barriere e non ci lascia esportare, perché non farlo anche noi (Usa+Europa) nei loro confronti ? Stare fermi e subire in nome di una teoria è per me pura follia.. anche se capisco che molte delle importazioni dalla Cina sono fatte dalle Nostre Multinazionali che hanno delocalizzato e quindi fanno lobby per bloccare una simile misura di buon senso..

  11. paolo rosa

    Gli economisti e gli esperti di tutto il mondo si stanno affannando nella ricerca delle cause e delle ragioni che hanno colto impreparato il mondo che si è svegliato un triste mattino ingolfato nella più gigantesca crisi finanziaria . Sforzo inutile se non si ha la capacità di andare alla radice del problema. La crisi che stiamo vivendo è la crisi dei valori etici e morali che una volta c’erano e che da tempo sono andati smarriti. Onestà anche intellettuale,trasparenza nei comportamenti,correttezza,moralità. Vanno recuperati in fretta per ricostruire un mondo di macerie. Dopo il beta l’industria finanziaria si è messa alla ricerca dell’alfa confidando sulla decorrelazione dagli altri strumenti finanziari. Il mondio retail e non solo l’ha seguita alla ricerca di sempre maggiori rendimenti del tutto sganciati dal contesto dell’economia reale. carta su carta che ad un certo punto per troppo calore si è incendiata. Le regole c’erano,bastava applicarle. Ora i più astuti invocano nuove regole probabilmente per poterle ancora una volta eludere. Non servono nuove regole, serve una maggiore moralità.

  12. Marco Tesei

    Devo fare i miei complimenti per l’analisi.. mi trovo pienamente daccordo! Aggiungerei soltanto un piccolo particolare… bisogna eliminare le situazioni di dumping sociale nel commercio internazionale che hanno fatto si che la ricchezza si concentrasse nelle mani di pochi e causato la crisi. Ricordo anche che qualsiasi debito fà aumentare la domanda (con i soldi ci si compra qualcosa) se però per restituire questi soldi ci metto 20 anni.. se ho dato troppo credito ho finanziato una domanda fittizia e il sistema deve tornare in equilibrio… più le conseguenze vengono pagate dai poveri e piu la crisi tardera a scomparire. Inflazione galoppante o deflazione persistente? Sono queste le alternative.

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