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LA CIAMBELLA E IL BUCO

Le critiche del ministro Tremonti all’Istat lasciano allibiti. L’accertamento dello stato di disoccupazione è fatto in modo stringente, sulla base di un insieme di quesiti che mirano a rilevare una situazione oggettiva. E’ un sistema utilizzato in tutti i paesi sviluppati, che consente confronti credibili nel tempo e nello spazio. Minare la credibilità dell’informazione statistica ufficiale o ridurre gli spazi di autonomia di istituzioni con cruciali funzioni tecniche e scientifiche non aiuta a uscire dalla crisi. A meno che non si vogliano illudere i cittadini con finzioni.

 

C’è il video in questo sito. Ma vale la pena di mettere nero su bianco le dichiarazioni, aspre e irridenti, del ministro dell’Economia all’assemblea della Confcommercio di qualche giorno fa. «Voi avete idea di come si fanno la statistiche dal lato dell’Istat?» – ha detto riferendosi alla rilevazione sulle forze di lavoro, che per il primo trimestre di quest’anno segnala, oltre a un calo dell’occupazione, una crescita della disoccupazione di 220mila unità rispetto allo stesso trimestre di un anno fa, portando così i disoccupati prossimi ai 2 milioni. E si è dato la risposta: «Con un campione con mille telefonate. Ti chiamano a casa e ti dicono: “Sei disoccupato?”. (Reazione:) “Vai a quel paese”. Risposta (cioè, quel che sarebbe il risultato della rilevazione): “Molto disoccupato”».

COME SI MISURA IL “BUCO” DELLA DISOCCUPAZIONE

C’è di che restare allibiti. Ma vediamo innanzitutto di mettere ordine. Cominciando dalle definizioni. Chi contiamo come disoccupati? “È più facile misurare la ciambella (dell’occupazione) che il buco (della disoccupazione)”. Questo, in sostanza, il senso di un articolo di Julius Shishkin, allora commissario del Bureau of Labor Statistics statunitense, di oltre trent’anni fa, che ha influenzato in maniera decisiva il dibattito sulla misura della disoccupazione. (1) La risposta, progressivamente affinata e condivisa da tutti i paesi sviluppati, è nelle raccomandazioni dell’International Labour Office e negli orientamenti dell’Eurostat, definiti in un regolamento dell’Unione Europea.
Muove dalla preliminare definizione di occupato: è considerato tale ogni persona di 15 anni o più che nella settimana di riferimento dell’intervista abbia svolto almeno un’ora di lavoro retribuita. (2) I disoccupati sono successivamente individuati fra i non occupati, quindi con esclusione di ogni occupato marginale, ad esempio chi abbia servito in una pizzeria o fatto il/la baby-sitter per una sola ora, anche se nello stesso tempo cerca un lavoro.
Per definire una persona disoccupata non viene poi posta una sola domanda, né tanto meno viene chiesto alla persona se si ritiene tale. L’accertamento dello stato di disoccupazione è fatto in modo stringente sulla base di un insieme di quesiti che mirano a rilevare la situazione oggettiva della persona. Avendo acquisito che la persona non ha un lavoro (l’abbiamo appena visto, gli occupati sono identificati e contati per primi), si chiede se lo ha cercato nelle ultime quattro settimane; se la risposta è affermativa, si chiede se ha svolto almeno una delle azioni di ricerca attiva segnalate: tra queste, la visita a un Centro dell’impiego, la ricerca tramite internet, la consultazione delle offerte di lavoro sui giornali, lo svolgimento di colloqui di lavoro e così via. Se almeno una di queste azioni è stata svolta, si chiede se sarebbe disponibile a lavorare entro due settimane. Solo se ha risposto positivamente a questa serie di quesiti, la persona è considerata disoccupata. In sintesi, è disoccupata una persona che, essendo in età compresa fra i 15 e 74 anni, nella settimana alla quale si riferisce l’intervista (i) non è stata occupata – nemmeno un’ora, (ii) ha compiuto azioni attive di ricerca di lavoro nell’ultimo mese, e (iii) è disponibile a lavorare nell’arco delle due settimane successive. (3)

IL CAMPIONE

Il secondo aspetto toccato in maniera errata nell’intervento del ministro Tremonti è il campione sul quale si basano le stime della disoccupazione: le “mille interviste” sono una boutade tra l’infelice e l’insultante. Come ha precisato l’Istat in un asciutto comunicato-stampa «sono 280mila le famiglie (per un totale di circa 680mila individui) che in un anno partecipano all’indagine sulle forze di lavoro in qualità di rispondenti. La rilevazione è dunque ampia e affidabile con un tasso di risposta tra i più elevati d’Europa: pari all’88 per cento. [Inoltre,] l’indagine è condotta non solo telefonicamente, ma per circa metà presso il domicilio delle famiglie con interviste faccia a faccia, che sono successivamente intervistate telefonicamente. Ciò consente il raggiungimento delle persone senza telefono e quelle che hanno più difficoltà a comprendere l’italiano, come nel caso della popolazione straniera». (4)

QUEL CHE ERA CREDIBILE IERI, NON LO È PIÙ OGGI

Così si misura la disoccupazione in Italia. Così la si misura nei ventisette paesi dell’Unione Europea, e in maniera analoga in tutti le nazioni sviluppate. Il che consente credibili confronti nel tempo e nello spazio.
Il richiamo ai confronti dell’Istat rivela immediatamente la strumentalità di dichiarazioni, come quella del ministro Tremonti, che oggi attaccano e sviliscono le statistiche dell’Istat sul lavoro. Basta confrontarle con le dichiarazioni di autorevoli membri del governo di meno di un anno fa, quando la disoccupazione calava – o restava stabile – e l’occupazione ancora cresceva. Quelle dichiarazioni citavano, a ragione (anzi, forse piegandoli a un eccessivo ottimismo), i dati dell’Istat come credibile evidenza che il mercato del lavoro italiano andava bene. E, se mai servisse aggiungerlo, la definizione di disoccupato, il metodo e la qualità della rilevazione erano gli stessi utilizzati oggi.
Che cos’è cambiato? L’affidabilità dello strumento di misura o l’andamento dell’economia e del mercato del lavoro?
I profeti di sventura non aiutano a uscire dalla crisi. Ma ancora meno aiuta mettere la testa sotto la sabbia. Occorre muovere dalla consapevolezza che questa crisi è grave. Per chi nutrisse dubbi in proposito, è consigliabile guardare al documentato confronto che Barry Eichengreen e Kevin O’ Rouke fanno fra l’attuale recessione e la grande depressione degli anni Trenta.
Per scelte di politica economica che siano all’altezza dei problemi che la crisi pone, evidenza informata e ragionevoli previsioni sono un ingrediente indispensabile, così come per il medico lo sono diagnosi e prognosi per la scelta di terapie appropriate. Invocare il silenzio degli analisti, auspicare una sorta di moratoria delle previsioni, ancor più mettere in dubbio la credibilità dell’informazione statistica ufficiale è grave, pericoloso.
Certo, dati più dettagliati e tempestivi, che risultino da un’intelligente integrazione fra fonti amministrative – l’Inps innanzitutto – e indagini statistiche sarebbero quanto mai utili. Se il ministro Tremonti, e il governo, sono interessati a questa prospettiva, più che evocare la generica ipotesi di una banca dati presso il ministero dell’Economia, è opportuno che considerino la raccomandazione per l’istituzione di un Sistema di Archivi per Analisi sul lavoro, approvata oltre un anno fa dalla Commissione di indagine sul lavoro istituita dai presidenti di Camera, Senato e Cnel. (5) E assicurino al sistema le competenze e l’indipendenza necessarie incardinandone il coordinamento presso l’Istat.
Non servono dati graditi; servono dati veri. Servono a governo e Parlamento per prendere le decisioni giuste. E servono per essere comunicati con trasparenza all’opinione pubblica, perché il paese intero abbia cognizione delle difficoltà e concorra nell’impegno per contrastare la crisi e poi per avviare una non flebile ripresa. 
A meno che non ci si illuda e ancor più si voglia illudere l’opinione pubblica con finzioni. Anche cercando di ridurre gli spazi di autonomia di istituzioni con cruciali funzioni tecniche e scientifiche. Tra queste vi è l’Istat. L’ormai prossima nomina del suo nuovo presidente è una importante cartina di tornasole per capire se la scelta obbedirà ai criteri-guida della competenza, dell’autorevolezza e dell’indipendenza di giudizio.

(1) Shishkin J., “Employment and unemployment: The doughnut or the hole?”, Monthly Labor Review, 1976, n. 2, pp. 3-10.
(2)Vi sono inoltre inclusi i collaboratori familiari – che svolgono lavoro non retribuito – e, con opportune qualificazioni, gli assenti dal lavoro per ferie, malattia, maternità, eccetera.
(3) A questi si aggiungono coloro che inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla data dell’intervista.
(4) Istat, Nota per la stampa. La rilevazione sulla disoccupazione è ampia e affidabile, Roma, 25 giugno 2009.
(5)Commissione di Indagine sul Lavoro (2009), Proposta per un Sistema di Archivi per Analisi sul Lavoro (SARA Lavoro). La raccomandazione della Commissione, Roma, Cnel.

Foto: Il ministro Giulio Tremonti, da internet.

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14 commenti

  1. alessandra

    Spesso mi chiedo se ci sia un limite al peggio…. sapevo già che la libertà di informazione in Italia è reputata comparabile a quella di paesi infinitamente meno sviluppati e, forse, meno democratici ( o, a questo punto solo ritenuti tali…). Siamo veramernte solo alla forma evitando accuratamente la sostanza. Il risultato? Quando, verosimilmente nel 2010 la maggior parte dei paesi dell’area euro entreranno orgogliosamente in un periodo di ripresa economica, lasciandosi alle spalle tutte le evidenze e gli esiti della crisi globale che ci ha avvolto e frastornato, in Italia il nostro governo splendidamente sarà ancora in TV a esporsi nuovamente al ridicolo (come continua a fare nelle sedi più disparate) con dichiarazioni autoreferenziali e immensamente superficiali. Che posso dire? Malafede o impreparazione e incompetenza? Spero solo queste ultime, perchè se fosse malafede ritengo che per l’Italia sarebbe anche peggio.

  2. Marco Bandini

    Ho letto la descrizione del protocollo di analisi camionaria. Se capisco bene, al giorno vengono intervistate circa 1500 famiglie, festività e Agosto comprese? mah…

  3. francesca della Ratta

    Un gruppo di lavoratori Istat ha messo su un appello al Presidente della Reppublica a difesa della statistica pubblica. Ora siamo oltre le 300 firme l’appello si trova a questo indirizzo: http://www.PetitionOnline.com/balbo16/petition.html

  4. michele

    L’argomento in oggetto é comparso più volte nel vostro sito, suscitando grande interesse. Questa guerra all’ISTAT consiglia di tornarci, a costo di ripetere (banalmente) che l’indipendenza dal Governo é di per sé garanzia dell’attendibilità dei dati, fondamentale da sempre (l’ISTAT nacque per questo), ma oggi più che mai. E infatti i colpi più pesanti dei potentati governativi cadono di preferenza sulle centrali che li producono, ISTAT e Banca d’Italia per primi, ma non soltanto. Quanto al Ministro, Ordinario di una disciplina che cammina su due gambe almeno una dalle quali economica, stupisce (non é la prima volta) che mostri di sapere tanto poco su come nascono certe statistiche. Nella sua (prestigiosa) Università, troverà chi può spiegarglielo, se non vuole leggerlo dal prof. Trivellato. Oppure, lo sa, ma preferisce ignorarlo; e sarebbe peggio. Che pensi di suggerire alla Lega di chiedere un voto popolare anche sulle statistiche? O almeno di rendere elettiva, magari su base territoriale, la Presidenza dell’ISTAT?

  5. Francesco Billari

    Chiaro come sempre l’intervento del Professor Trivellato! Il problema a mio giudizio non e’ solo il disprezzo che emana dall’attuale governo (purtroppo anche da passati governi di centrosinistra) per le informazioni (i ‘fatti’ come si dice correntemente) siano esse statistiche, giudiziarie o mondale. Vi e’ anche un disprezzo per la scienza, la conoscenza in generale, per cui si puo’ dire tutto senza necessita’ di parlare di metodologie e tecniche mettendo tutto sul ridere. Tra un paese che rispetta una conoscenza e un paese che eleva le chiacchiere da bar a verita’ c’e’ di mezzo un grande rischio di tracollo.

  6. Marco Bisogno

    Gentilissimo Prof. Trivellato, leggo "finalmente" un commente tecnico alle indegne parole del Prof. Tremonti; una domanda sorge spontanea, in che diavolo di paese viviamo se un Ministro della Repubblica si può permettere di deridere agenzie a servizio dello stato, dicendo, tra l’altro una montagna di castronerie? Dobbiamo forse rassegnarci ad essere trattati come stupidi? Mi permetta un suggerimento, invii il suo articolo al Prof. (!) Tremonti chiedendo un commento, fosse mai che qualcuno chieda scusa!

  7. Marcello Battini

    Le vicende Istat e Consob sono parte integrante di un atteggiamento generalizzato della classe politica, ostile alla scienza ed alla diffusione di notizie fondate su presupposti scientifici piuttosto che su chiacchiere da osteria. Questo atteggiamento è ampiamente diffuso tra i cittadini ed è anche il risultato di un affossamento del livello d’istruzione, detrminato dallo svuotamento culturale dell’istruzione publica che ha i suoi principali responsabili nei politici di destra e di sinistra e nel sindacato d’ogni colore.

  8. Claudio Resentini

    Sorvolando sull’arroganza del ministro (in questo degno candidato alla successione del cavaliere), il problema non è tanto nella sovrastima della disoccupazione, quanto nella sua probabile (anzi sicura) sottostima, unita ad una altrettanto probabile sovrastima dell’occupazione. Non da oggi infatti criteri di rilevazione e finanche le definizione di occupazione e disoccupazione sono state modificate ad arte negli ultimi decenni dagli organismi preposti con il preciso ed evidente scopo (per quanto non dichiarato e pervicacemente negato) di nascondere l’inesorabile declino del lavoro salariato nei paesi occidentali occupazionale. Vengono annoverati tra gli occupati i lavoratori in nero e chi ha lavorato un’ora (sic!), mentre vengono espulsi dal novero dei disoccupati gli scoraggiati che non cercano più lavoro e/o hanno ristrutturato la loro vita in maniera tale da non poter essere realmente immediatamente disponibili ad un improbabile lavoro.

  9. Bruno Stucchi

    Sarebbero 1500 famiglie al giorno. Ma voi ci credete? Ditemi, quanti di voi conoscono almeno UNA famiglia che sia stata interrogata dell’ISTAT? I conti non tornano.

  10. Vince

    Già, i conti non tornano proprio. E non sarebbe la prima volta per l’Istat, purtroppo. Io, per esempio, non ne conosco di famiglie intervistate. In cambio, invece, ogni anno mi telefona una specie d’istituto di ricerca chiedendomi se in famiglia ci sono fumatori. Io, che non apprezzo chi mi disturba in casa per queste cose, gli rispondo sempre seccatamente. Ma loro, niente. Non capiscono. Mi continuano a telefonare tutti gli anni. Ma dico, i campioni vanno modificati di tanto in tanto, o no? Sennò, a cosa gli hanno inventati i test d’ipotesi? A giustificare l’inferenza statistica sempre e comunque? O, forse, a percepire che esistono sempre differenze, anche significative, con la popolazione e che ogni stima è sempre soggetta a errore?

  11. luigi zoppoli

    Rimango meravigliato dalla ‘meraviglia’ che le dichiarazioni dell’insigne tributarista suscitano. Occupandosi nei termini nei quali si è occupato di gestire la crisi e la finanza pubblica, sarebbe strano utilizzasse o possedesse un criterio diverso parlando di ISTAT.
    luigi zoppoli

  12. Luciano Messori

    Mi sembra che i conti che non tornano siano quelli contenuti in alcuni di questi commenti. Ammesso e non concesso che questa operazione abbia un senso, se dividiamo 280.000 famiglie per 365 giorni all’anno ne risulta una media di 768 famiglie intervistate al giorno e non 1.500. Effettivamente nessuno dei miei conoscenti mi ha mai rifeito di aver partecipato all’indagine sulle forze di lavoro dell’ISTAT. A questo proposito vorrei però osservare che io non riterrei il mio inserimento nel campione in questione una notizia cosi interessante da dover essere comunicata a tutte le persone che conosco. Purtroppo diversi miei conoscenti in questi ultimi mesi mi hanno invece riferito di non aver ricevuto il rinnovo del loro contratto di lavoro "atipico". Non ritengo di essere un caso particolare. Credo che moltissimi conoscano qualcuno nelle stesse condizioni, oppure in cassa integrazione, a testimonianza di un indubbio calo della quantità di lavoro domandata da parte delle aziende del nostro paese..

  13. Vince

    Le 1500 famiglie al giorno ipotizzate da Bruno Stucchi mi sembrano (nella sostanza concettuale) verosimili, a meno che non si dia per acquisito, cosa che sembra fare Luciano Messori, che in Italia si lavori 365 giorni l’anno, compreso i fine settimana e i periodi festivi come Natale e Pasqua, e per di più a pieno organico. Può essere interessante sapere che, un giorno, dalla facoltà di Economia di Bologna, sentii dare del cretino a Jean-Jacques Rousseau, presunto reo per non aver fatto bene i conti nella famosa caccia al cervo. Ovviamente, le cose stavano nel senso opposto. Ma questa è un’altra storia, fatta di tanto buon ragù alla bolognese e un po’ d’insana arroganza.

  14. Gianmario Nava

    il ministro Tremonti se non fosse al governo si aggrapperebbe ad ogni cifra per attaccare l’avversario politico; il ministro Tremonti ha fatto parte fino a ieri di quel mondo accemico e scientifico che ora scredita; il ministro Tremonti non è noto per avere istituito un gruppo di studio e per avere stanziato fondi per migliorare l’affidabilità della raccolta di dati socioeconomici…

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