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L’ITALIA ALLA FINE DEL TUNNEL. A MOTORE SPENTO

L’Italia intravvede appena l’uscita dalla recessione: in Europa la crisi si ferma ma qui non ancora. Vi siamo entrati male, provenendo da un quindicennio di crescita bassa, e l’abbiamo fronteggiata male: gli aiuti pubblici anti-crisi sono stati molto inferiori a quelli degli altri paesi europei. In ogni caso, la timidezza fiscale di oggi è soprattutto figlia dei dissesti finanziari del passato.

Le stime preliminari sulla crescita del Pil destagionalizzato dei paesi europei consentono di aggiornare il barometro della crisi alla fine di giugno 2009. I dati di Eurostat, riportati nella tabella  qui sotto, assieme a quelli dei trimestri successivi al fallimento di Lehman Brothers, indicano prima di tutto che l’economia europea non è più in caduta libera. Il Pil dei paesi euro è sceso nel secondo trimestre solo dello 0,1 per cento e dello 0,3 per cento nell’Europa a 27, dove pesa il meno 0,8 per cento del Regno Unito e anche i dati più negativi a una o addirittura due cifre dei paesi dell’Est Europa (Lituania, Estonia, Ungheria e Romania). Nel complesso, il fatto che la caduta del Pil europeo si sia arrestata è una gran buona notizia che si somma ad una tendenza similmente osservata negli Stati Uniti. Su base annua, rispetto ai dodici mesi precedenti (ultima riga della tabella), il Pil europeo è sceso di poco più di 4,5 punti percentuali (4,6 nell’area euro e 4,8 per cento nell’Europa a 27) e di circa 4 punti negli Usa.

LA CRISI DOPO LEHMAN BROTHERS

I dati indicano poi che l’Italia sta facendo peggio delle altre economie europee nella crisi, al contrario di quanto frequentemente ripetuto sulla stampa italiana e dal governo. Il Pil italiano è diminuito di mezzo punto percentuale nel secondo trimestre 2009 rispetto al primo trimestre 2009: meglio di quello spagnolo e inglese (-0,9 per cento e -0,8 per cento), ma peggio di quello francese e tedesco – entrambi aumentati dello 0,3 per cento. La perdita cumulata di Pil da quando è fallita Lehman sale a più di cinque punti percentuali per l’Italia, lievemente inferiore a quella della Germania e un po’ superiore a quella del Regno Unito. I paesi europei che stanno assorbendo meglio l’impatto della crisi post-Lehman sono la Spagna (con “solo” meno 4 per cento di calo del Pil, a dispetto di un andamento catastrofico del “flessibile” mercato del lavoro spagnolo) e soprattutto la Francia, dove il Pil è calato solo di due punti e mezzo rispetto al livello raggiunto nel terzo trimestre 2008. Dati simili valgono anche per il dato tendenziale (relativo al secondo trimestre 2009, calcolato rispetto al secondo trimestre 2008), salvo che Germania e Italia hanno perso ben sei punti di Pil rispetto al secondo trimestre del 2008.
In poche parole, l’economia italiana è entrata male nella crisi (provenendo da un quindicennio di crescita bassa) e dalla crisi ha subito un effetto negativo ben maggiore di quello subito da Francia e Spagna e grande quanto quello sofferto da Germania e Regno Unito. Con una differenza: i dati negativi della Germania e del Regno Unito dipendono dal fatto che l’entità dello shock è stata molto forte per questi paesi. La Germania, il primo esportatore del mondo, ha subito duramente il drastico rallentamento degli scambi mondiali. E le banche tedesche e quelle del Regno Unito sono state le più esposte al contagio della crisi dei mutui, con l’aggravante per il Regno Unito di una forte esposizione debitoria delle famiglie. I dati negativi del Pil per l’Italia non sono invece il risultato di gravi episodi di insolvenza finanziaria per le banche italiane. Nonostante una minore entità dello shock negativo, il Pil dell’Italia si è ridotto come quello di paesi che hanno subito la crisi più duramente del nostro.

 

 

Tabella 1: La crisi rallenta in Europa, un po’ meno in Italia
  Ita Eu27 Usa Ger Fra UK Spagna
q4 2008 vs q3 2008 -2.1 -1.8 -1.4 -2.4 -1.4 -1.8 -1.0
q1 2009 vs q4 2008 -2.7 -2.4 -1.6 -3.5 -1.2 -2.4 -1.9
q2 2009 vs q1 2009 -0.5 -0.3 -0.3 +0.3 +0.3 -0.8 -0.9 (*)
Il Pil dopo Lehman -5.2 -4.4 -3.3 -5.5 -2.4 -4.9 -3.8
q2 2009 vs q2 2008 -6.0 -4.8 -3.9 -5.9 -2.6 -5.6 -4.0

Prime tre righe: dati trimestrali destagionalizzati.

Quarta riga: dati trimestrali cumulati.

Ultima riga: dati tendenziali (stesso trimestre, a distanza di 12 mesi)

(*) Stima della Banca di Spagna

 

PERCHÉ LA CRISI ECONOMICA È PIÙ FORTE IN ITALIA?

Come mai la crisi economica in Italia è stata per ora ben più seria della crisi bancaria e finanziaria? Una possibilità è illustrata sotto, nella Tabella 2, a sua volta il riassunto di una tabella analoga tratta dal Dpef 2010-13 (tabella III.1) e dal documento del Fiscal Affairs Department del Fondo Monetario “Fiscal Implications of the Global Economic and Financial Crisis, June 2009, spn/09/13).
La tabella 2 mostra l’ammontare di risorse discrezionali (cioè aggiuntive rispetto ai bilanci pubblici 2008) messe a disposizione dai governi dei principali paesi europei, di quello americano e della media dei G-20 in percentuale rispetto al Pil 2008 per fronteggiare la crisi. Dalla tabella viene fuori subito che il governo italiano ha predisposto un ammontare di risorse di gran lunga inferiore a quello degli altri governi. Forse la crescita economica ha sofferto di questo mancato stimolo.
La tesi del governo è che in Italia la crisi è stata meno forte che altrove: per esempio, una frazione elevata degli aiuti statali nel Regno Unito sono andati a salvare, nazionalizzandole, Northern Rock e Bradford & Bingley. Rimane però il fatto che un paese come la Francia, relativamente immune da shock di grandissima entità, ha impiegato il doppio delle risorse pubbliche rispetto all’Italia per fronteggiare la crisi. Il tempo ci aiuterà a capire se i relativamente buoni dati macroeconomici della Francia sono solo la conseguenza della proverbiale stabilità macroeconomica francese o se rispecchiano in modo cruciale il liberal-protezionismo di Sarkozy.

 

Tabella 2: Aiuti statali anti-crisi che comportano aggravi immediati di spesa

(% del Pil 2008: dati aggiornati al 19 maggio2009)

Italia 0.8
Germania 3.7
Francia 1.6
Regno Unito 18.9
Spagna 4.6
Usa 7.5
Media G-20 3.7

 

SI POTEVA FARE DI PIÙ?

Per capire se si poteva fare di più può tornare utile un altro studio del Fondo Monetario Internazionale (“The state of public finances: Outlook and Medium-Term Policies After the 2008 Crisis”, March 2009), condotto in parallelo a quello citato. Analizzando i dati da un ampio campione di crisi bancarie del passato di paesi emergenti e sviluppati, gli economisti del Fondo riscontrano che “la rapidità di uscita dalle crisi bancarie è più elevata quanto più solida è la situazione dei conti pubblici all’inizio delle crisi”. I dati delle crisi passate ci dicono cioè che entrare in una crisi con un enorme fardello di debito pubblico sulle spalle ha gravi conseguenze per un paese: riduce le cartucce (“risorse fiscali”) da sparare durante la crisi, oltre ad essere il segnale di una bassa qualità della sua classe politica ed amministrativa, che ha presumibilmente consentito il deterioramento dei conti pubblici. Per queste due ragioni, ricominciare a crescere dopo le crisi può diventare complicato.
Ecco quindi che la peggiore risposta dell’economia italiana alla crisi può essere essenzialmente il risultato della pesante eredità di debito pubblico accumulato (soprattutto durante i governi del pentapartito degli anni Ottanta) – debito la cui soluzione definitiva è solo occasionalmente diventata un punto importante nell’agenda dei governi italiani che sono venuti dopo. Con tanto debito sulle spalle, nemmeno il governo Berlusconi – che aveva fatto del taglio delle tasse una delle sue bandiere elettorali – se l’è sentita di ridurre le imposte per incoraggiare gli italiani a spendere e le imprese a investire. Peraltro se anche lo avesse fatto, ci sarebbe stato il rischio concreto che la riduzione delle imposte fosse risparmiata piuttosto che consumata. In Francia, invece, a partire da un basso livello di debito pubblico, Sarkozy può spendere ed assistere al deterioramento dei suoi conti pubblici senza preoccuparsi troppo del futuro.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

19 commenti

  1. mario cancellieri

    Concordo con il professore quando considera il debito pubblico italiano grave fardello della cattiva politica del passato tuttavia collocherei l’inizio di tale cattiva abitudine negli anni settanta, esaurita l’esperienza del centro sinistra, inoltre pregherei il professore di prestare attenzione oltre che ai citati impieghi discrezionali ai vari ammortizzatori automatici presenti nelle legislazioni politico economiche delle varie nazioni che hanno in vario modo attutito gli effetti di questa crisi che ha origini in una cattiva finanza ombra privata che ha debordato dai suoi compiti di ancella dell’econimia reale. Colgo l’occasione per ringraziare tutta la redazione della voce della quale sono un accanito e appassionato lettore.

  2. mirco

    La tesi dell’articolo è dunque impostata sul problema del debito pubblico che per la sua entità. In Italia non permette una risposta adeguata alla crisi. A volte le soluzioni sono molto semplici: 1) emersione del 40% del Pil sommerso e recupero del relativo gettito fiscale; 2) eliminazione della sovrastruttura creata sopra la pubblica amministrazione per creare posti alla casta politica (comunita montane, consigli di amministrazione di enti inutili ecc.) 3) Eliminazione della corruzione della delinquenza e della mafia e camorra (episodi come la costruzione dell’ospedale di Agrigento con cemento depotenziato producono un rafforzamento della lega nord nell’elettorato settentrionale causato dall’incompetenza della classe dirigente meridionale) dopo questa cura il Pil ricresce eccome.

  3. GRANZOTTO GIOVANNI

    Fiinalmente una parola chiara ed articolata, si accenna anche ai tempi che verranno, sulla nostra situazione economica. Quello che non ho ancora capito e’ come il tessuto industriale si sta attrezzando per agganciare la ripresa e soprattutto quali riforme sta attuando lo stato, o dovrebbe attuare, per favorirla.

  4. giuseppe faricella

    L’analisi dell’articolo mi sembra calzante e anche non sorprendente. Quello che però mi domando è come apparirebbe la situazione del Paese negli ultimi 15 anni, se si escludessero dall’analisi Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Se il prof. Daveri (o altri collaboratori de lavoce) leggessero questa mia richiesta e potessero soddisfare questa curiosità, sarebbe – non solo per me, credo – molto interessante.

  5. contessina

    Il tessuto produttivo italiano è vecchio di 20 anni: aziende artigianali che nei periodi di vacche grasse hanno approfittato di finanziamenti agevolati per costruire la villa con piscina del titolare accanto al capannone, oppure rinnovare il parco auto a tutta la famiglia anziché investire in azienda. Contoterzisti che ora si ritrovano con le mani in mano perché non hanno più ordinazioni e non hanno saputo leggere i segnali di crisi che da anni ci sono. La maggioranza degli imprenditori che vedo ha un’età in cui i lavoratori dipendenti sono in pensione da un pezzo, che idee nuove possono avere? Le nuove generazioni sono spesso tenute al di fuori dalle stanze dei bottoni, altre volte sono assolutamente inadeguati. Ci sono anche casi in cui la proprietà lascia la gestione in mano a manager esterni che, cinicamente, massimizzano il loro profitto personale (spremendo quello che ancora l’azienda può offrire) per poi passare ad altre controparti. In un contesto come quello che vedo, francamente credo che gli aiuti statali non servano a molto…

  6. augusto

    Finalmente uno scritto che affronta il problema Italia tenendo in considerazione tutti gli elementi della nostra situazione economica. Nessun ragionamento è veritiero se non si considera l’enorme debito pubblico dell’Italia ereditato dai governi di centrosinistra (andate a vedere chi c’era allora al governo e dintorni…). Mi piacerebbe sentire l’opinione delle altre esperte del sito, che sostengono si debba aumentare il costo del lavoro a parità di prodotto o diminuire le entrate fiscali sui salari per rilanciare i consumi e il debito pubblico andrebbe alle stelle, rovinandoci tutti. Grazie Prof. Daveri di aver portato un raggio di luce di verità.

  7. giuseppe

    Recentemente è stato diffuso uno studio della Banca Mondiale sulla difficoltà nel pagare le tasse, nel quale ci collochiamo agli ultimi posti. Ai primi posti siamo invece nella classifica dei paesi maggiormente afflitti dalla corruzione. Nell’ottima analisi del Professor Daveri metterei di più in evidenza la bassa qualità della classe politica e burocratica come causa di crescita bassa e alto debito. Però i politici cambiano e hanno bisogno del consenso popolare mentre l’amministrazione pubblica è inamovibile, spesso ereditaria, sempre più potente, inefficiente e corrotta. Certo nessun governo si è posto seriamente il problema di una profonda riforma, senza la quale tutto è destinato a peggiorare inesorabilmente.

  8. Paolo Garlasco

    Analisi interessante (avrei, forse, approfondito di più il rapporto tra crisi economica e crisi finanziaria e bancaria in Italia) che è però, a mio avviso, lacunosa, nel seguente aspetto: si considera unicamente il PIL come indicatore macroeconomico, senza tenere troppo conto di dove sono state investite le risorse; cosa che ovviamente ha la sua importanza, dato che un paese può avere un PIL in straordinaria crescita ma investito in campi che non portano "sviluppo" (ad es. le infrastrutture in Italia ad alto rischio di infiltrazione mafiosa, vedi la Camorra con lo "smaltimento rifiuti" in Campania o la Tav al nord (cit. S.Morandi Emergenza rifiuti s.p.a. e F.Imposimato Corruzione ad alta velocità)). Sarebbe interessante vedere dove sono stati spesi i capitali pubblici, e se è stata una buona idea o no.

  9. Enrico Quarta

    Concordo con il Professore l’analisi dettagliata della situazione economica. Il nodo scorsoio del debito pubblico composto (debito+interessi) in che modo può essere allentato? Le vorrei sottoporle una serie di proposte: 1) Taglio del 50% delle provincie 2) Accorpamento dei Comuni; ovvero poco più di 1000 comuni rispetto a circa 8000 attuali 3) Tecnologia Software Free (Open Source) per la gestione dei Comuni con oltre 200.000 abitanti 4) Risparmio energetico spinto (illuminazione strade, uffici pubblici ecc…) 5) Accorpamento strutture Ospedaliere. Le piccole realta’ devono essere tutte trasformate in presidi di pronto soccorso. Queste proposte a regime, porterebbero dei benefici di diversi miliardi di euro per il bilancio dello Stato. Sono proposte lunari Professore? In attesa di una sua risposta le porgo i miei saluti. Enrico Quarta

  10. Raffaele Medugno

    Il peso del debito pubblico rappresenta un vincolo importante per una politica fiscale accomodante ed anticiclica. Ma come sempre i dati possono essere interpretati da diverse angolature: si può benissimo affermare che l’Italia pur avendo investito solo lo 0.8% del PIL ha una caduta della crescita inferiore alla Germania che ha investito più di quattro volte tanto. Il quadro non mi sembra tanto peggiore se prendiamo UK come termine di paragone visto che Londra ha messo in campo risorse quasi 25 volte quelle dell’Italia. Dopo la Francia, se consideriamo solo i dati dell’ultimo trimestre inoltre l’Italia dimostra una buona velocità di uscita dalla crisi con un PIL a -0.5%, visto che il dato positivo della Germania mi sembra più un rimbalzo tecnico dovuto a una considerevole caduta della domanda nel trimestre precedente (-3.5%). La maggioranza degli altri paesi presenta un quadro ancor meno positivo. Inoltre, si sa che anche l’Italia è un paese che dipende molto dalla domanda estera e quindi aggancerà la ripresa non appena i commerci mondiali torneranno a riprendersi (come per la Germania). Ovviamente nel lungo periodo la misura della ripresa rimane limitata dal debito pubblico.

  11. AMSICORA

    Intervengo per precisare che il sommerso non ammonta al 40% del PIL come sostiene Mirco ma, secondo l’Istat (si veda http://www.istat.it alla voce "economia sommersa") in Italia si attesta al 17% del Pil, solo un po’ più della Francia (13%) che ha uno Stato addirittura più invasivo di quello italiano ed una strutturazione dell’economia diversa e molto meno della mitica Spagna zapateriana (25%).

  12. GIOVANNI R.

    L’analisi del professor Daveri è estremamente interessante, tuttavia, in presenza di una caduta così profonda, mi chiedo se sia già possibile una analisi di dettaglio comparativa fra i vari paesi sulla rilevanza delle varie componenti sulla caduta complessiva. Un dato importante che sta emergendo in Italia e anche in molti paesi europei è una grande caduta del consumo di energia elettrica legato essenzialmente all’arretramento della produzione industriale. Quando sarà possibile un recupero importante della produzione industriale? Se, come afferamno alcune previsioni, il recupero totale richiederà molti anni, è possibile che alcuni paesi saranno penalizzati e superati da altri più rapidi ed efficienti nel occupare gli spazi che si saranno creati nel commercio mondiale.

  13. Gianni

    Bisognerebbe ricordare che la spesa pubblica non piove dal cielo ma è alimenta sia nel caso sia finaziata da tasse, sia nel caso sia finanziata da debito, da risorse prodotte dal settore privato. Quello che è piu’ grave ancora è che quelle risorse sono rese disponibili da settori produttivi (i soli che per definizione ne dispongono) e allocate dall’intervento statale a vantaggio di settori improduttivi (che per definizione altrimenti non ricorrerebbero allo stato). Daveri e gli economisti manistrem ignorano in proposito l’insegnamento di Bastiat il quale già un secolo e mezzo fa aveva evidenziato la totale insensantezza dell’intervento statale visto che le risorse così impiegate sono sottratte a impieghi alternativi ben piu’ produttivi.

  14. Alberto Frison

    Ad un commento. A mio avviso sono tutte ottime idee ma solo in teoria. 1) e 2) Una proposta simile sarebbe fattibile solo nel tempo (molto) e con l’uso di strumenti coercitivi. Anche io, sebbene riconosco la necessità del suo intervento (specialmente nel caso delle provincie) non sarei mai d’accordo ad accorpare il mio bel paesino con i paesi limitrofi. Si invece alla condivisione delle risorse, come i vigili e i messi comunali. 3) Ma ha presente imporre l’utilizzo di Linux e Open Office ad un impiegato pubblico? Vuole tutti gli uffici pubblici in sciopero? E poi, ci rende conto dello sforzo intellettuale che richiederebbe? 4) Li vuole tenere al buio o vuole far installare delle lampade a risparmio? 5) Forse la sanità italiana tra le sue contraddizioni è una delle poche cose che un po’ funziona, meglio non toccarla troppo. Chi le parla è un ragazzo di 26 anni, che usa quotidianamente software libero ed è un cliente coatto dei nostri ospedali (per motivi di salute ovviamente). Un abbraccio, Alberto Frison

  15. BOLLI PASQUALE

    Egregio Professore condivido pienamente la sua analisi sulla situazione economica italiana,ma penso che la strategia d’uscita dalla recessione non ci vede a motore spento, ma a piedi. A piedi, perché il nostro sistema economico non è, allo stato,adeguato alla gravità della situazione,come pure non lo era in passato. Una giustificazione di tale inadeguatezza va ricercata nello studio socio-psicologico dell’italiano:non altruista e senz’amore per il proprio Paese. Questo comportamento è aggravato da una classe politica a sua volta inadeguata per cultura,per preparazione e per attaccamento al proprio Paese.La classe politica italiana sicuramente sa solo applicare in modo ortodosso la teoria evoluzionistica della specie. Se pensiamo di valutare la situazione italiana alla stregua di una impresa commerciale,dovremmo affermare che non avrebbe nè i requisiti dell’amministrazione controllata,nè i soggetti idonei a curare il suo fallimento.Nel nostro caso abbiamo soltanto curatori che aggravano e dissentano sempre più la situazione, senza pensare al Paese, ma a se stessi.

  16. marco tesei

    Beh è difficile incontrare un articolo pienamente condivisibile dal mio punto di vista. Sarà che in Italia nessuno parla della Germania come primo esportatore mondiale (neanche rappresentanti politici che dovrebbero saperlo [ho mail che lo testimoniano]).. per fortuna non esiste solo l’informazione italiana!

  17. enrico quarta

    Gentile Sig. Frison le sue osservazioni sono puntuali, ma nascondono un senso di ineluttabilità e di scoramento se mi permette. Quando parlo di accorpamento dei comuni, parlo dell’attività amministrativa, legislativa, esecutiva ecc….(condivisone delle risorse umane e materiali). La tecnologia ci permette di interagire anche da casa con una struttura pubblica (municipio,comune, provincia ecc..). Il risparmio energietico non significa mettere al buio tutti gli edifici pubblici significa invece innescare un ciclo virtuoso anche da un punto di vista economico (lampade ad incandescenza —> lampade a led) naturalmente accompagnato da un regime fiscale adeguato. Quando parlo di ospedali, sia chiaro io sono per quelli pubblici, quelli privati devono essere di supporto. La razionalizzazione delle strutture pubbliche è necessaria poichè la spesa fuori controllo, penalizza di fatto le eccellenze. Quindi trasformare le strutture non chiuderle Spero di essere stato esaustivo Saluti E.Quarta

  18. dvd

    Ora, detto questo (titolo) mi pare che si debba però passare alla fase delle proposte per uscire definitivamente dalla crisi e dalla mentalità sin qui adottata. Preso atto che ora serve la leva fiscale per uscire dalla crisi, credo che serve maggiore coraggio. Partire con le riforme fiscali (abbassare le aliquote e incentivare le imprese), oltre che, (forse più importante di tutto) togliere l’eccesso di burocrazia. Con questo anche ridurre ed in modo drastico il carrozzone della P.A., che in Italia è soffocante ed eccessivo (se rapportato ai risultati/spesa e servizi offerti) rispetto a tutti i paese europei. Forse è un azzardo (per i conti pubblici), ma tanto vale provare anche perché l’alternativa quale è…!?

  19. Francesco

    Dire che il governo italiano non può spendere e non può ridurre le tasse perchè "lo Stato" ha un debito pubblico troppo elevato mi sembra la classica scoperta dell’acqua calda. Ma il debito pubblico che cos’è veramente? Perchè non si dice che il debito pubblico è semplicemente frutto di un sistema di regole (quindi convenzioni tra uomini, nient’affatto ineluttabili) che sono il portato storico delle lotte tra popoli e del semplice esercizio discrezionale del potere attuato dalla parte temporaneamente vincente? Detto ciò, mi sembra evidente che la piccola Italia non possa decidere alcunchè in fatto di regole internazionali, le regole del gioco sono sempre stabilite dal vincitore (negli ultimi 100 anni almeno, come è facile dimostrare, sono gli Stati Uniti e in particolare alcuni gruppi di potere che li rappresentano). Quelli che hanno paura del debito pubblico, scordano sempre che a nessun creditore conviene uccidere il proprio debitore (too big to fail vi dice qualcosa?). Perchè mai Europa, Stati Uniti o altri stati dovrebbero privarsi di una controparte di 60 milioni di individui che consumano e producono, per un debito non pagato? Certo, si può sempre renderli schiavi.

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