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TEQUILA TECHNOCRACY

Negli ultimi venticinque anni in Messico è arrivata a importanti incarichi di governo una tecnocrazia formatasi nelle migliori facoltà di economia degli Stati Uniti. Ciò ha permesso di realizzare riforme strutturali fondamentali, tanto più meritorie in un paese con un retaggio di gravi problemi economici e sociali. In Italia, invece, una prospettiva simile non è neanche pensabile. Perché la classe politica premia più la fedeltà di partito che la competenza.

Nel nostro paese la classe politica è sempre più “castacea” e sempre meno istruita: solo il 65 per cento dei parlamentari neo-eletti nel 2006 aveva una laurea, contro il 90 per cento nel 1948. (1)
In Messico, invece, si è affermata una vera e propria anti-casta, una tecnocrazia di individui con dottorati nelle migliori facoltà di economia degli Usa che dirigono le politiche economiche e sociali. In Italia, di solito, persone simili vengono espulse dalla politica, e spesso anche dal “sistema Italia” in generale. Proprio a causa del netto contrasto con la realtà italiana, credo sia interessante capire il fenomeno di quella che chiameremo “tequila technocracy”.

LA STORIA DI MIGUEL

Quest’estate Miguel, professore in una prestigiosa scuola di business statunitense, si è trasferito a Città del Messico. (2)Lascia un posto di grande prestigio e un salario di circa 160mila dollari lordi l’anno per assumere una cattedra a Itam, la principale scuola di business del Messico. (3)Il ritorno di Miguel deve considerarsi un successo per Itam, che gli ha fatto ponti d’oro, ma anche e soprattutto per un eminente politico nell’attuale governo, che chiameremo Felipe. Per convincerlo a rientrare, Felipe ha offerto a Miguel una posizione di grande influenza nel governo. Sebbene Miguel abbia scelto (per ora) di proseguire nella carriera universitaria, è chiaro che la possibilità di entrare nell’amministrazione ad alto livello potrà essere esercitata in un futuro non troppo lontano.
Ai tanti italiani emigrati per ragioni di lavoro, l’aneddoto sembrerà mirabolante. Ma in Messico è un processo che si ripete regolarmente. Chi consegue un PhD in economia nelle migliori università degli Stati Uniti viene automaticamente corteggiato, e di solito cooptato, dalle alte sfere della pubblica amministrazione. In Italia ci lanceremmo in dietrologie, chiedendoci perché un politico di successo voglia creare spazio e delegare potere a un giovane e sospetteremmo amicizie pregresse e fedeltà occulte. Invece in Messico non è così. Felipe e Miguel, per esempio, non hanno nessun legame di fedeltàgerarchica, si conoscono soltanto per avere frequentato lo stesso ambiente accademico, per di più in tempi diversi. A questo punto è utile sapere che Felipe, il politico, è lui stesso un economista di rilievo, con un PhD in economia in una università tra le più prestigiose e un passato in incarichi di altissimo profilo in organizzazioni economiche internazionali.
Ecco allora perché Felipe offre un posto di potere e responsabilità a una persona relativamente sconosciuta. Ambedue appartengono a una classe di tecnocrati che spesso si conoscono solo per reputazione e tuttavia sono legati da un comune senso di appartenenza. Hanno in comune un bagaglio di conoscenze tecniche e, in più, un’etica del lavoro “protestante” e una implicita aspettativa di alti standard professionali. Queste ultime due caratteristiche sono assicurate in parte dal processo di selezione rigidissimo usato dalle università americane che li ammettono come dottorandi, e in parte dall’avere operato in un sistema accademico, quello americano, che è spietatamente meritocratico.
Negli ultimi venticinque anni, questa tecnocrazia ha progressivamente conquistato le leve del potere in Messico. Il primo presidente considerato un tecnocrate è stato Miguel de la Madrid, eletto nel 1982: aveva un master in publica amministrazione di Harvard. È lo stesso titolo accademico dell’attuale presidente, Felipe Calderon. Nell’intervallo fra i due ci sono stati due presidenti con il PhD, Carlos Salinas (inpolitical economy, da Harvard) e Ernesto Zedillo (in economia, da Yale). Nel corso degli anni, l’influenza dei tecnocrati si è estesa dalla banca centrale ai ministeri delle Finanze, dello Sviluppo sociale, del Commercio estero e via elencando.
Sotto l’egida della “tequila technocracy” sono state effettuate delle riforme straordinarie. La banca centrale è diventata indipendente, e ciò ha coinciso con la vittoria sull’inflazione, passata da un tasso del 99 per cento nel 1982 a uno del 5 per cento oggi, e la riduzione dei tassi di interesse. Il Messico è entrato nell’Oecd, il club dei paesi sviluppati. Sono stati conclusi accordi tariffari per il commercio estero, fra cui il Nafta – North American Free Trade Agreement, che hanno beneficiato sia i produttori che i consumatori messicani. Èstato approvato un emendamento di balanced budget. Il sistema pensionistico dei lavoratori statali è stato convertito da pay-as-you-go a uno con contribuzioni definite. Un simile pacchetto di riforme farebbe invidia a qualsiasi paese sviluppato, ed è ancora più meritorio in un paese come il Messico, che è gravato da una eredità di profondi problemi sociali ed economici.

E IN ITALIA?

Il paragone con l’Italia è deprimente. Da decenni ormai parliamo di “riforme strutturali” volte a tenere sotto controllo il debito pubblico e a riavviare la crescita, ma non le abbiamo mai realizzate. In parte ciò dipende da una classe politica di modesta levatura (con lodevoli eccezioni, certo) e perciò poco sensibile alle nozioni dell’efficienza e del bene pubblico. Si assiste inoltre a una progressiva polarizzazione ideologica che conduce a leggere tutto attraverso lenti faziose, di un colore o di un altro, e a premiare la lealtà sopra la competenza.
In Messico, per contro, l’etica meritocratico conta più della lealtà di partito. L’attuale ministro delle Finanze, per esempio, è stato scelto nonostante non avesse legami precedenti con il Pan, il partito di governo. Evidentemente, agli occhi del presidente Calderon, il curriculum del ministro, che ha un PhD della University of Chicago ed è poi diventato Deputy Managing Director del Fmi, compensa la mancanza di credenziali partitiche. E si potrebbero fare molti altri esempi.
Se il Messico ha la sua “tequila techocracy”, è ipotizzabile per l’Italia una “spaghetti technocracy”? Non ci faremmo grande affidamento. I Miguel, cioè i talenti, non sembrano mancare sia fuori che dentro l’Italia, almeno a giudicare dalle posizioni che ricoprono in ranking internazionali. Ciò che manca sono i Felipe, i politici interessati a cooptare i Miguel. E i pochi Felipe che ci sono, non possono far molto per via di una serie di condizioni pre-esistenti.

(1) Merlo, Antonio M., Galasso, Vincenzo, Landi, Massimiliano e Mattozzi, Andrea, “The Labor Market of ItalianPoliticians”. Second Version (May 1, 2009). PIER Working Paper No. 09-024. Disponibile su Ssrn: http://ssrn.com/abstract=1432457.
(2) Il fatto è realmente accaduto. Ho solo cambiato i nomi per proteggere la privacy dei protagonisti.
(3) Sull’entità dello stipendio americano ho fatto un’ipotesi ragionata, ma lascio un margine di errore di 25mila dollari per eccesso o per difetto.

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24 commenti

  1. antonio gesualdi

    Ogni tanto si ripete, chissà perché particolarmente in Sud America, l’idea di una classe di tecnocrati, chissà perché di gente che ha fatto i test nelle università americane, in grado di governare al meglio. E chissà perché si propone la stessa soluzione per l’Italia. Milioni di morti nel mondo per affermare la democrazia, ovvero di governi rappresentativi della volontà popolare, (si chiama democrazia rappresentativa) evidentemente sfugge a queste belle anime della tecnocrazia. Si vergognino gli econimisti per i danni che stanno facendo e si vergognino coloro che pensano che i partiti siano solo combricole di fedelissimi (magari come quelli che partecipano a certe iniziative di ricercatori e professori universitari di un unico stampo politico) e di incompetenti.

  2. Leo

    L’elite delle business schools americane non rappresenta una casta? Ma perfavore!! Rappresentare come esempio da seguire un paese con disuguaglianze e ingiustizie spaventose, largamente sottosviluppato, sottoposto ad una dittatura travestita da democrazia, con intere aree in balia del narcotraffico e della repressione militare: state scherzando? Quello che descrivete nell’articolo è, puramente e semplicemente, la progressiva sottomissione di un paese con grandi tradizioni democratiche all’ideologia neoliberista e agli interessi stranieri. Nulla di cui andare fieri.

  3. Ajna

    C’è da dire che purtroppo in Italia continua a prevalere l’idea di un dottorato (non PhD) mirato esclusivamente a chi si voglia immolare alla carriera accademica e chi vuol fare anche attività consulenziali o comunque extra-accademiche viene visto come meno motivato o meno capace (a me a dire il vero parrebbe il contrario, ma vabbè), a prescindere dal poco pragmatico curriculum studiorum che viene offerto nella maggior parte dei corsi.

  4. teo

    Se non ricordo male i dati statistici, il Messico ha un’economia molto "strana" basata su esportazioni al 70% v/USA. In qualche modo quindi il "gigante" latino americano è un vassallo dello zio Sam, e forse l’inserimento di tanti dottorandi "americani" non è sgradito a Wshington. Comunque, condivido lo spirito dell’articolo. Osservo, inoltre, che non solo la casta non si apre, ma che qualche anno fa (governo Berlusconi appena insediato nel 2001) la Lega (toh!.. sempre loro) aveva offerto un contributo politico, come al solito molto colorito, contro la tecnocrazia di Bruxelles. Non c’è più nessuna speranza. Io ho due figli piccoli, impegnerò ogni risorsa per farli studiare ed imparare le lingue, poi li spedirò all’estero. Hasta la vista.

  5. Dalmas

    Mi dispiace ma dissento. Un MBA ad Harvard (o in qualunque altra "prestigiosa" università Americana, ma direi anche Europea) non è sinonimo di lungimiranza e/o superiore intelligenza. Basta dire che Mr. George W. Bush ha un Bachelor ad Yale ed un MBA ad Harvard (vedere wikipedia, qui: http://en.wikipedia.org/wiki/George_W_Bush). E non lo definirei esattamente un "personaggio brillante". Mi risulta che più di un amricano lo consideri oggi come il peggior presidente della storia americana. Poi certamente il problema posto è più che concreto, purtroppo. Ma, è mia opinione che la colpa è in gran parte da attribuire agli italiani, che accettano e talvolta auspicano tale classe politica, can la speranza di avere in cambio il classico "piatto di lenticchie". In sintesi: ogni Nazione ha il Governo che si merita.

  6. Francesco Mendini

    Per correttezza andrebbe detto che l’economia messicana è ancora in una fase difficile e che il NAFTA non sembra aver dato grandi risultati, se non per gli USA (Cfr. J. Stiglitz, La Globalizzazione che funziona, 2006).

  7. Antonio Bravo

    Il problema è proprio la "competenza" che, quando esiste, non viene riconosciuta. Perchè non si rendono obbligatori modelli di valutazione per ogni settore economico (pubblico e privato), anche "importandoli" da altri Paesi, previ opportuni adattamenti? La ricerca delle best practices esistenti è solo una delle modalità possibili. Se non si coglie l’occasione dell’attuale crisi economico-finanziaria per rimodellare il sistema esistente, fra pochi anni ci vedremo superare da molti Paesi che stanno investendo molto in formazione e innovazione. Sono questi i fattori chiave che consentiranno non solo di superare la crisi, ma aiuteranno a porre le basi di un nuovo modo di produrre e consumare, con maggiore attenzione alle fonti rinnovabili.

  8. federico

    D’accordissimo, in Italia ciò non accade ed è parimenti vero che una situazione similare sarebbe auspicabile; si potrebbe però obiettare che la situazione economico-politica del Messico non è delle migliori e quindi che non sia da prendere come esempio; detto ciò, come si può replicare a tale argomento?

  9. alberto ferrari

    Francamente la tesi sostenuta nell’articolo non mi convince. Il tecnocrate non è un PC nel quale inserisci dei dati (ma anche la scelta dei dati da inserire è già "una scelta") e ottieni la soluzione. Il tecnocrate ha una sua cultura, una sua idea di società, una sua "ideologia". Sicuramente non era Keynes ad influenzare Bush, padre e figlio. E infatti i guai si vedono. Ne è Dasgupta ad influenzare il FMI e la sua politica di intransigente mercatismo verso i paesi poveri. Capisco che il Parlamento italiano contiene troppi "stupidi" e cortigiani. Tuttavia credo che debba essere ancora "la Politica" a dirigere un paese. Se poi è una politica stupida il problema va spostato sugli elettori e sulla cultura (scuola, televisione, mas media, ecc.) che li forma.

  10. Roberto Dante

    Il Messico senza dubbio investe sulla classe intellettuale, visto che da anni cercano di attrarre scienziati ed intellettuali preparati da tutto il mondo. Io stesso sono stato professore per otto anni in un’università messicana e ci tornerei volentieri dopo il deludentissimo ritorno in Italia. Il Messico è un paese misconosciuto in Italia anche da chi l’ha visitato, erroneamente incluso nell’America del Sud o tra i paesi del terzo mondo. Nessuno sa che nella Nuova Spagna (odierno Messico) c’erano università, istituti delle belle arti e ospedali prima che Yale fosse minimamente concepita da una mente anglosassone e che attualmente la Università Nazionale Autonoma del Messico secondo le classifiche del Times è la migliore università di iberoamerica (cioè America Latina e penisola iberica) e di gran lunga migliore di tutte le università italiane checcè possano dire i nostri tronfi baroni. Nonostante indubbi successi economici ottenuti dai tecnocrati bisogna però segnalare il loro falllimento sociale che ha portato il Paese in totale balia della violenza e della criminalità organizzata, la distruzione della classe media che ha eleminato qualsiasi coesione sociale. C’è bisogno in Messico di politici, di uomini morali, e non solo di tecnocrati. Il Messico comunque ha più possibilità dell’Italia sia in sviluppo sia in campo intellettuale. Vorrei menzionare un’altra grande intellettuale politologa messicana che lavora all’ITAM: Denisse Dresser.

  11. Piero Volpiano

    Vi sono alcuni aspetti, in relazione alla situazione del nostro paese ed in relazione agli assetti politici in senso più ampio, che possono evidenziare elementi critici all’esperienza di governo messicana. Nel nostro paese esiste un elettorato che, in misura significativamente maggioritaria, preferisce effettuare le proprie scelte elettorali orientandosi su singole persone piuttosto che sulla valutazione delle competenze di un gruppo dirigente. Trovo che questa situazione consenta alla persona, che assume il compito di governo, di poter operare ricercando quasi esclusivamente il consenso elettorale prescindendo da quelli che sarebbero invece interventi oggettivamente necessari per garantire efficacia al funzionamento dello stato. Per altro la nascita di una tecnocrazia potrebbe portare ad alcuni limiti al funzionamento in senso sostanzialmente democratico di uno stato. Credo che sarebbe già importante se nel nostro paese si potesse arrivare a creare, all’interno dei partiti, dei percorsi di carriera fondati sulle competenze.

  12. mdamore

    Concordo in linea di principio con l’autore: la selezione della classe dirigente, sia per ragioni di efficienza che di equitá, deve realizzarsi secondo un rigido criterio meritocratico. Tuttavia, in senso stretto il confronto tra Italia e Messico non mi convince tanto. Un dato per tutti che contrasta con la visione ottimistica dell’articolo sul Messico é la corruzione, la bassa accountability del sistema politico e il rent-seeking dilagante nella pubblica amministrazione (il Messico é abbastanza indietro nell’indicatore CPI). Oltretutto, molte delle stesse riforme strutturali presentate come successo dei tecnocrati messicani con PhD, sono state introdotte da altri paesi sprovvisti di tecnocrati di Harvard ma che hanno avuto la stessa spinta del IMF che il Messico ha ricevuto durante e dopo la crisi degli anni 90. Detto questo, considererei la nascita anche una sola coppia di Felipe e Miguel un grande successo, un enorme successo per un sistema politico ridicolo come il nostro.

  13. Alessandro Puzielli

    Non mi convince l’equivalenza che ho messo in oggetto. Se guardo l’economia dalla seconda metà del XX secolo ad oggi mi pare che la stagflazione sia stata la conseguenza delel politiche filo-keynesiane dei vari tecnocrati, la crisi attuale (come la Grande Depressione) il frutto della politica monetaria espansionista della FED. L’economia non è il frutto dell’azione di tecnocrati illuminati ma la conseguenza inintenzionale di migliaia di agenti con conoscenza limitata che intergiscono tra di loro. Piuttosto il problema in Italia è il gioco della "guerriglia e dell’amnistia mirata", per cui chi governa ha continui freni per minore forza rispetto ad avversari più piccoli, ma con meno lacci.

  14. Fabrizio

    Se non ricordo male (mi pare che lo lo stesso Krugman lo confermi in uno dei suoi ultimi libri) le riforme messe in atto dal governo messicano prima della crisi Tequila del 94-95 furono condotte da una classe dirigente per larga parte formatasi negli USA e ortodossa ai principi economici prevalenti negli States.

  15. paolo carminani

    L’articolo è fuorviante nel riportare i fatti (quali riforme meritorie? Quali progressi sociali ed economici del paese?) e debole negli argomenti (più tecnocrati uguale più sviluppo?). La notizia di oggi in Messico è che il PIL cala del 10% su base annua; negli ultimi 20 anni di supposta "tecnocrazia" milioni di messicani sono dovuti emigrare dalle campagne alla megalopoli di Città del Messico e negli USA come clandestini. La classe media è stata stritolata dalla corruzione, il NAFTA benficia solo gli USA e i maquiladores, lo spoil system è feroce e controllato da un pugno di famiglie che dominano il paese, le narcomafie messicane dilagono, sostituendosi a quelle colombiane. I partiti sono in mano a clan e gli stati federali ai caciques. Riforme meritorie? Guardatevi l’indice di Gini. E’ vero, una casta di super ricchi manda i propri rampolli a Harvard e MIT, e i militari vanno a scuola a West Point. Ma il titolo di studio gringo non e’ che un costoso status symbol. Se si vuole criticare la classe politica italiana, forse è meglio guardare altrove…

  16. mario cancellieri

    L’articolo del professore è simpatico ma non riesco a capire bene cosa vuol dire forse che la classe politica italiana difetti di professionalità e tra coloro che ne fanno parte pochi sono quelli con studi in prestigiose università americane come se questo solo potesse certificare il buon esito di riforme e leggi tese al miglioramento del nostro tessuto produttivo, una repubblica dei filosofi post litteram, una sorta di governo tecnocratico che si chiuda in segrete stanze a pensare il bene del paese, mi sembra con franchezza un’idea infantile, pregherei inoltre di fare paragoni con democrazie occidentali evolute e industrializzate non con paesi del sudamerica che solo adesso grazie agli stringenti dettami del Washinton consesus e alle rigide regole liberali del FMI si stanno incamminando lungo un sentiero di crescita e di uscita da una endemica situazione di sottosviluppo e povertà, rinnovo saluti e lodi a tutta la redazione.

  17. robi

    Non mi convince l’impostazione americanista dell’articolo. Mi chiedo come sia cambiata la situazione delle gente in Messico. Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale sono piene di laureati nelle migliori università americane e quali risultati hanno prodotto nei paesi centro e sudamericani? In un paese così fortemente marcato dalla differenziazione sociale e culturale (intesa come presenza di tante diverse culture) può essere sufficiente la tecnologia economica nordamericana? I riferimenti agli stipendi nordamericani mi sembrano richiamare uno stereotipo diffuso, ma poco convincente. Certamente un problema storico dei paesi latinoamericani è quello di non aver mai avuto, se non in qualche caso recente, una classe dirigente responsabile e desiderosa di fare il bene di tutta la propria gente. Bene allora se arrivano giovani preparati, ma devono avere un amore sincero per il proprio paese. E l’Italia? Sono assolutamete d’accordo che la classe politica dovrebbe essere più competente, ma non confondiamo la competenza con il livello di istruzione. Spesso un laureato ha una specifica conoscenza settoriale, ma bisogna essere in grado di fare delle letture più ampie.

  18. Luciano

    Direi che con tutti i limiti del confronto, una classe politica piu’ capace in Italia e’ un dato molto auspicabile. Per quanto riguarda il confronto non guarderei allo stato del Messico e dell’Italia oggi, ma al percorso che e’ stato fatto negli ultimi 15 anni. La mia sensazione e’ che in Italia la situazione sia migliore, ma sia relativamente peggiore se ci guardiamo indietro. In altre parole: in Italia invece che andare avanti si va indietro.

  19. andrea forni

    La bonarda è un ottimo vino pavese (Lombardia-Italia, ancora). Due esempi la cui soluzione farebbe quasi un programma di partito e di governo: 1) la selezione dei politici, 2) la selezione dei tecnici. 1) i politici i partiti li formano e selezionano anche tra i 650 portaborse in nero, addetti dei parlamentari. Chi si forma così, senza contratti e senza regole, quale "cultura professionale nazionale ed internazionale" può farsi? E che esempio si da al paese? 2) I tecnici vengono selezionati dalle imprese, dalla p.a. e dalle università. Le imprese italiane sono note per essere "familiari e piccole", senza quadri e tecnici; non a caso le migliori performace negli ultimi anni sono state quelle delle "medie" che hanno nei loro organici qualche quadro e specialista. La p.a. ha schierato 400.000 precari, in gran parte laureati, con mansioni basse e non qualificate, che hanno occupato anche i posti di dirigente: difficile dimostrare che siano stati selezionati con cura professionale. Le università hanno perseverato, anche in una difficile situazione di crisi politica interna che "richiedeva competenza e etica", a usare metodi "familistici" nei concorsi. Però si può cambiare.

  20. Lucia Vergano

    Personalmente, non ritengo che un buon politico debba necessariamente essere un buon tecnico. Ciò che, a mio avviso, dovrebbe contraddistinguere un buon politico è una certa idea di societaà e dei principi fondamentali su cui si fonda. Certamente, possedere un curriculum studiorum di elevato livello giova all’esercizio della professione di politico, come e forse più di qualsiasi altra professione: un ampio bagaglio culturale favorisce lo sviluppo di capacitaà critiche indispensabili per analizzare e comprendere i complessi fenomeni che caratterizzano la società contemporanea. Tuttavia, nulla vieta che un buon politico, dotato di una propria, solida, concezione della società, si affidi a tecnici di elevato profilo per individuare le migliori politiche, economiche ma non solo, necessarie per conseguire gli obiettivi politici che si propone. Non conosco la realtà messicana a sufficienza per esprimere un parere in merito ma, per quanto riguarda la realtà italiana, credo che in questo momento si sconti pesantemente l’assenza di una classe dirigente in grado di proporre una idea di società e di circondarsi di tecnocrati di alto profilo.

  21. Dario Monti

    Leggo con molto interesse l’articolo di Persico ma penso che il problema politica italiana non sia una classe politica impreparata: per fare un esempio, di Andreotti se ne sono dette e scritte di tutti i colori, ma di certo non si può dire che la sua non sia una mente ben al di sopra della media. Ma allora, qual è il problema: io credo che alla base di tutto ci siano le logiche clientelari alla base della democrazia rappresentativa. Lo scambio è alla base del consenso: la ricerca del consenso presuppone logiche poco attente all’interesse generale e troppo inclini verso interessi di parte. Naturalmente un ruolo enorme giocano i mezzi di informazione, che possono muovere a proprio piacimento l’opinione pubblica. Ma è il sistema del consenso che premia logiche poco utili all’interesse generale, troppo spesso perdente rispetto a quello particolare. Il popolo italiano ama trovare a tutto questo un alibi, quello di una classe politica non all’altezza, salvo prestarsi sempre a questo tipo di logica. La domanda allora è: si può andare oltre la rappresentanza, muoversi verso nuove forme di democrazia che presuppongano una diversa ricerca del consenso?

  22. adriano de ambrosis

    In Spagna a Madrid, presso la Universidad CARLOS III, dove ho frequentato il Master in diritto dell’Unione Europea e, dove viene applicato il cosiddetto sistema di Bologna per il riconoscimento dei profili studiorum e accademici, ho avuto modo di vedere quale passione, volontà e dedizione hanno gli studenti "latino americani" e in modo particolare messicani. Laddove una volta conseguito il titolo di dottore questi ragazzi hanno l’obbligo di ritornare nella loro patria e lavorare presso le istituzioni universitarie dei loro Paesi per un certo numero di anni. Per inciso, io sono Sardo, ho potuto studiare all’estero grazie alle sovvenzioni del programma Master and back della Regione Sardegna voluto e promosso dall’allora Presidente Renato Soru del Centro sinistra.

  23. francesco petrarca

    Caro professor Persico, le rispondo con una domanda molto diretta: ma perché non propone all’intera redazione della voce di candiarsi e fare un partito politico?! Fatelo voi il partito no!? Siete voi che dovete combattere la casta, che sapete che cosa dovrebbe essere fatto. Mi perdoni la provocazione: e’ colpa delle persone come voi che l’italia va cosi’ male. Perché siete voi che dovreste mettervi d’accordo e comandare il paese. Dopotutto quello che in Italia manca non sono le persone con un livello alto di education–sono appena tornato da due anni di master in america e ne ho conosciute tantissime. Mancano "tecnorati" con la volonta’ di impegnarsi seriamente in politica con le capacità di leadership e creazione del consenso. O forse mi sbaglio: la verità alla fine è che nessun professore italiano con stipendio di 200 mila dollari all’anno e un contratto in una fancy ivy league sarebbe disposto a rinunciare a questo per la difficile e volatile strada della politica, per un paese senza speranza come l’italia.. Aspetto con ansia la sua candidatura. Un Diessino arrabbiato.

  24. Marco Pulici

    Quando vedo programmi di informazione quali Ballarò o Anno Zero ad esempio, mi rendo conto che gli interventi più equilibrati ed interessanti per i contenuti,sono quelli dei cosidetti tecnici che intervengono di solito in collegamento.D’altro canto sono spessissimo interrotti o addirittura zittiti dai politici presenti in studio.Questa cosa mi fa arrabbiare perché mi priva della possibilità di capire qualche cosa di piuù soprattutto su argomenti di natura economica. Mi sono sempre chiesto, in effetti, perché i conduttori non intervengono con maggior decisione in tali frangenti ma soprattutto perché i politici anziché attaccare con arroganza non si avvalgano invece della collaborazione di persone che ne sanno più di loro,al fine di risolvere i problemi veri del paese.

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