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IL PASSAPORTO DI EUROLANDIA*

I criteri per l’ingresso nell’area euro sono stati fissati negli anni Novanta, quando l’Unione Europea aveva dodici membri. Niente è cambiato in fatto di regole quando gli stati sono arrivati a ventisette. Ora è sopraggiunta la crisi e ripensare i parametri è diventato indispensabile. Si possono mantenere gli attuali quattro indicatori, rendendo però più sensati i requisiti numerici. Ad esempio, legandoli alla media dell’area e non ai tre paesi più virtuosi. Stabilità e credibilità della moneta unica non sarebbero in pericolo. Anzi, aumenterebbe la fiducia.

 

In generale, le regole sono utili. (…) Ma se non hanno senso, se la posta in gioco è più alta e tutti ne sono consapevoli, che cosa dobbiamo fare delle regole in vigore? La risposta è semplice: vanno cambiate.

I CRITERI PER L’INGRESSO NELL’EURO

Il dibattito sulle regole per l’ingresso nell’area euro era vivace anche ben prima della crisi, nella situazione attuale però molte cose sono cambiate. C’è chi sostiene che si dovrebbero eliminare tutte le regole e che tutti i paesi che ne fanno richiesta dovrebbero essere immediatamente ammessi all’area euro. Altri rispondono che le regole sono importanti, contribuiscono alla stabilità e credibilità dell’euro e sono parte integrante delTrattato di Maastricht, praticamente impossibile da cambiare.
I criteri per l’ingresso nell’area euro sono stati fissati nei primianni Novanta, quando non esisteva ancora un’area euro e l’Unione Europea aveva 12 membri. Un dibattito intenso ne aveva preceduto il disegno e il risultato finale è stato un compromesso tra economia, politica e semplicità. Ora l’area euro esiste e i membri dell’Unione Europea sono 27, ma le regole sono sempre le stesse. Ề facile dimostrare che mantenerle invariate in una Unione allargata viola il principio di uguale trattamento: i nuovi paesi che chiedono di entrare nell’euro devono rispettare criteri più rigidi perché due dei parametri sono riferiti “all’andamento nei tre più virtuosi stati membri dell’Unione Europea in termini di stabilità dei prezzi”. (…) Il Trattato non specifica come individuare i “tre più virtuosi”, che nella pratica sono stati identificati come i tre paesi europei con i più bassi tassi non negativi di inflazione.
Prima della crisi, anch’io ero dell’idea che non fosse necessaria una revisione del Trattato, sia per le difficoltà di una modifica sia perché i principi dietro questi criteri apparivano sensati, anche considerando le caratteristiche specifiche dei nuovi paesi membri. Chiedevo solo un cambiamento sull’interpretazione del criterio legato all’inflazione. Proprio in conseguenza della scorretta interpretazione, nel 2006 è stata rifiutata la richiesta di ammissione all’euro dellaLituania, sulla base del tasso di inflazione in Svezia e Polonia, due paesi con tassi di cambio flessibili, la cui inflazione può essere stata influenzata da shock temporanei dei tassi di cambio. E tuttavia, fino a oggi, quattro nuovi stati membri sono comunque riusciti a entrare nell’area. Il caso della Slovacchia se non ha violato la lettera del Trattato, certo ne ha violato lo spirito, perché il tasso di cambio si è apprezzato del 25 per cento nei due anni del periodo di avvicinamento all’euro, un andamento che non sembra proprio rispecchiare una stabilità del tasso di cambio. Ciononostante, la decisione di permettere l’ingresso della Slovacchia nell’euro è stata giusta. Alcuni stati sono entrati nell’euro senza rispettare formalmente tutti i parametri e ora sono ben contenti della loro fortuna perché l’euro si è dimostrato un importante fattore di protezione nel corso della crisi. Tra i paesi non membri, quelli con politiche inappropriate hanno sofferto di più e i vincoli finanziari esterni imposti dalla crisi possono rappresentare un’ottima opportunità per realizzare le più che necessarie, ma sempre rimandate, riforme strutturali.

RIPENSARE I PARAMETRI

Ora la crisi, che già ci ha imposto molte riflessioni, dovrebbe portarci a ripensare anche i criteri di ammissione all’euro perché le asimmetrie e le questioni in gioco sono importanti.
asimmetriaè evidente: una volta entrato nell’euro, un paese può praticamente fare quel che vuole. In linea di principio, il Patto di stabilità e crescita limita il raggio d’azione dei governi, ma non poi così tanto, come dimostrano molti esempi prima e specialmente durante la crisi. Deficit e debito lievitano nei paesi dell’area euro. Invece, gli stati che desiderano entrare in quell’area devono sottostare a misure estremamente dure e dolorose per esservi ammessi in un futuro più o meno prossimo.
Si potrebbe d’altra parte sostenere che i paesi che chiedono l’ammissione all’euro dovrebbero seguire le stesse politiche dei quattro nuovi stati membri già ammessi. Ma la posta in gioco è molto più seria. Per esempio, le stime indicano che il Pil dei tre paesi baltici cadrà di circa il 20 per cento in due anni. L’integrazione finanziaria con l’Europa, una politica favorita sia da Bruxelles che da Francoforte, ha contribuito moltissimo sia alla loro precedente crescita sia ai problemi di oggi. Il fallimento nel mantenere stabili rispetto all’euro i tassi di cambio nelBaltico non solo avrebbe conseguenze ancora peggiori sulla popolazione di quei paesi, ma potrebbe minare anche la fiducia nei nostri valori comuni europei e introdurre una nuova divisione all’interno dell’Europa.

SCELTE POSSIBILI

Le opzioni che abbiamo a disposizione non sono molte. Una è lasciare le cose come stanno e sperare in bene. Non è certo la soluzione migliore. C’è una contraddizionetra i giganteschi prestiti concessi dall’Europa e da altre istituzioni per sostenere i tentativi della Lettonia di stabilizzare il tasso di cambio con l’euro e il rifiuto prendere in considerazione qualsiasi prospettiva di ingresso nell’area euro per la stessa Lettonia opposto dai funzionari europei.
E’ una combinazione che acuisce l’agonia del paese e alla fine può non riuscire a salvare il tasso, con il rischio di una nuova Argentina.
Una scelta migliore sarebbe utilizzare la pur molto limitata flessibilità del Trattato per ampliare le prospettive di ingresso nell’area euro, con il temporaneo supporto della Bce. La Banca centrale europea ha offerto swap a Danimarca e Svezia, dovrebbe offrirli anche agli stati membri che non appartengono all’area euro. Accetta titoli eleggibili per il rifinanziamento in tre valute – dollaro, sterlina, yen – purché il titolo sia emesso all’interno dell’area euro, ma dovrebbe accettare anche titoli di alta qualità emessi ovunque all’interno dell’Unione e in qualsiasi valuta dell’Unione. La Bce dovrebbe permettere anche alle banche commerciali degli stati membri al di fuori dell’area euro l’accesso ai suoi strumenti di rifinanziamento: ciò potrebbe rimpiazzare il mal funzionante mercato monetario dell’area euro per queste banche. Al di là dell’aiuto diretto, queste misure aumenterebbero la credibilità, con tutto quel che ne consegue. (1)
Le altre scelte possibili richiedono modifiche al Trattato.
Alcuni hanno suggerito un “big bang”, un’espansione dell’area euro che introduca la moneta europea in tutti gli Stati membrisenza alcuna condizione. Benché la proposta abbia qualche merito, bisogna considerare alcune specifiche caratteristiche-paese. Per esempio, sarebbe la soluzione migliore per i paesi baltici, se lo si fa a un adeguato tasso di cambio e lo si accompagna con un equo accordo sulla distribuzione dei costi tra tutti i responsabili (e sono molti) degli oltraggiosi boom creditizio e immobiliare in questi paesi. Tuttavia, in paesi con tassi di cambio flessibili la situazione è meno chiara. Inoltre, questa opzione implicherebbe un completo abbandono delle politiche precedenti e dunque la probabilità di ottenere l’appoggio di tutta l’Unione è scarsa.
La soluzione più realistica è rendere sensate le regole per l’ingresso nell’area euro.

LA PROPOSTA

È forte la tentazione di abbandonare questo o quel parametro o di esprimere i criteri nei termini di indicatori più significativi. Ma la semplicità è un principio importante e un buon compromesso è mantenere gli attuali quattro indicatori, rendendo però sensati i requisiti numerici. La teoria economica non dà un’indicazione precisa su come determinare le grandezze, ma alcuni principi si possono elencare.
– Tutti i parametri dovrebbero riferirsi alla media dell’area euro, per almeno tre ragioni. Primo, i potenziali paesi aspiranti all’ingresso nell’euro sono strettamente integrati nell’area (e se non lo sono, dovrebbero esserlo) e dunque ciò che accade all’interno dell’area interessa molto chi ne è al di fuori. Secondo, ciò eliminerebbe la possibilità del tutto peculiare che paesi che non appartengono all’area o stati molto piccoli con cui il paese che fa richiesta di ingresso non ha alcun scambio commerciale possano influenzare i criteri. Terzo, renderebbe meno grave l’asimmetria tra la prodigalità fiscale non sanzionata dei paesi dell’area e la dolorosa austerità imposta a chi chiede di entrarvi.
– I parametri relativi a inflazione, tasso di interesse e pareggio di bilancio dovrebbero ammettere qualche deviazione dalla mediadell’area euro. Per esempio, il criterio sul pareggio di bilancio potrebbe essere la media dell’area euro meno 1,5 punti percentuali (tutto misurato come una percentuale del Pil) e quello sull’inflazione potrebbe essere il tasso di inflazione medio dell’area più 1,5 punti percentuali. I nuovi stati membri dell’Unione Europea hanno economie piccole e aperte caratterizzate da oscillazioni cicliche più grandi e necessitano dunque di un più ampio raggio di azione per politiche fiscali anticicliche. Inoltre, è più forte la necessità di investimenti del settore pubblico rispetto ai vecchi stati membri. Quanto all’inflazione, i nuovi stati membri hanno un più alto potenziale di crescita, che andrebbe riconosciuto e che implica una convergenza a livello dei prezzi di più lungo periodo. (2)
– Il requisito sul rapporto debito pubblico sul Pil, dovrebbe semplicemente prevedere che il rapporto non sia superiore alla media dell’area euro, a meno che non sia in calo e si avvicini alla media dell’area euro a un ritmo soddisfacente.
Un cambiamento di questo tipo non metterebbe in pericolo la stabilitàe la credibilità dell’area euro. Ci sarebbero ancora parametri da rispettare (solo, più sensati) per tenere a freno i paesi che fanno richiesta di ingresso. Inoltre, in tempi più favorevoli, i nuovi parametri sarebbero più rigidi. Per esempio, quando il deficit di bilancio fosse azzerato in media nell’area euro, il nuovo parametro richiederebbe giustamente una situazione di bilancio migliore anche agli aspiranti all’ingresso nell’euro. E in ogni caso, la quota di questi paesi sul totale dell’area euro sarebbe molto piccola e la loro inclusione sarebbe impercettibile negli aggregati dell’area.
Credo che non sarebbe neanche difficile ottenere il consenso dei 27 stati membri sulla proposta. E sarebbero a favore anche i paesi al di fuori dall’area. Gli stati all’interno dell’area si sentirebbero più tranquilli con regole più sensate. Hanno iniziato a indebolire il Patto di stabilità e crescita alcuni anni fa, quando creava loro problemi. Ora l’obiettivo non è indebolire i criteri per l’ingresso nell’euro, ma renderli più adeguati. Il cambiamento dovrebbe essere attentamente orchestrato e avviato dai paesi che sono già nell’area o dalle istituzioni europee, non da chi richiede l’ingresso. Ai paesi che aspirano all’ammissione all’euro si chiederebbe ancora uno sforzo notevole, ma la strada sarebbe meno dolorosa. Aumenterebbe la fiducia, agevolando l’arrivo di quei flussi di capitali privati – non soldi dei contribuenti occidentali – di cui quei paesi hanno disperatamente bisogno.

(1) L’eurizzazione unilaterale con il supporto esterno della Bce non è una soluzione del tutto priva di rischi, come mostra la non semplice uscita dalla dollarizzazione in Ecuador. Le politiche interne mantengono un ruolo cruciale.
(2) Si può discutere se la deviazione debba essere di 1,5 punti percentuali, simile all’attuale parametro, o qualche altro numero vicino.

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  1. Andrea Bertino

    I criteri per l’ingresso nell’area euro, a mio avviso, non dovrebbero essere esclusivamente economici: l’Itala ad esempio sta sbandando fortemente dal punto di vista della democrazia, nella quasi completa indifferenza del parlamento europeo dal quale dovremmo venire cacciati a calci domani mattina. La mafia è un problema europeo (i soldi sporchi provenienti dai loro traffici possono venire usati per infiltrare e corrompere l’economia degli altri paesi) ed un paese che dimostra di non saper garantire la certezza della pena ed una giustizia da paese civile non dovrebbe farne parte. Il livello di istruzione dei ragazzi che la scuola immette nel mercato del lavoro dovrebbe essere un altro critero per l’ingresso nell’area euro. Cosi come il livello di disoccupazione e povertà, sicurezza nel posto del lavoro, sanità, l’energia, ambiente, (praticamente tutti gli "argomenti" che potete trovare in questo sito) e poi anche l’economia, ma solo se inserita in questo contesto più ampio. E basta con questo cavolo di PIL che non dice niente al riguardo dell’utilità di quello che si è prodotto, come o a quali condizioni.

  2. mirco

    Credo che il problema visto e sentito dalla gente comune sia un altro. I cittadini sono impauriti e spaventati dall’unione monetaria senza percepirne i benefici. Fintanto che non vi sarà una vera unione politica che permetterà ai governi o al governo europeo di attuare anche politiche di spesa sociale e quindi politiche fiscali unitarie, ci troveremo sempre e solo con una gestione monetarista della BCE vi saranno asimmetrie nel mercato del lavoro e trasferimenti di manodopera a basso costo ad esempio tra Romania e Italia non permettendo ai sindacati di avere un potere contrattuale. Questa Europa non mi piace e non mi piace l’Europa solo dei banchieri e delle grandi corporazioni che lucrano sovraprofitti in base alle diverse condizioni dei mercati dei singoli paesi. Non è l’Europa dei cittadini e della democrazia voluta da Spinelli ecc. Tutto questo indipendentemente dal fatto che la Repubblica Ceca o l’Ungheria o altri possano o non possano entrare nell’euro secondo i vecchi parametri o no.

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