Il ricorso al protezionismo era una delle possibili conseguenze negative della crisi. Denunciato non solo dagli economisti, ma temuto anche dall’Omc, che ha avviato un monitoraggio degli interventi restrittivi del commercio approvati dai diversi paesi. Oggi i dati sembrano indicare che il numero delle misure protezionistiche messe in atto è limitato ed è in ogni caso in diminuzione. Ma l’innalzamento di barriere commerciali potrebbe tornare d’attualità, soprattutto se la disoccupazione dovesse continuare a crescere.

Una delle più temute conseguenze economiche della crisi internazionale è il possibile ricorso dei governi al protezionismo commerciale in risposta alla recessione. Fin dall’inizio della crisi, molti economisti hanno messo in guardia sui possibili danni generati da guerre commerciali del tipo di quelle attuate durante la grande depressione degli anni Trenta. (1) L’Organizzazione mondiale del commercio ha cominciato a produrre un rapporto che monitora le politiche commerciali dei paesi del G20 ed è stato creato un sito indipendente, il Global Trade Alert, che raccoglie dati sulle misure protezionistiche attuate da tutti i paesi. Questa intensa attività di allarme e monitoraggio ha un preciso fondamento: chiunque abbia analizzato l’impatto dell’escalation delle tariffe commerciali negli anni Trenta non ha potuto non attribuirle un ruolo importante nella trasformazione della recessione nella “grande depressione”.

L’ALLARME CONTINUA

Tutto questo attivismo potrebbe essere stato efficace nel tenere sotto controllo le tentazioni protezionistiche a livello internazionale. Un libro pubblicato dalla Banca Mondiale e dal Cepr quest’estate nota che nonostante diversi paesi abbiano adottato misure restrittive del commercio, la temuta corsa all’innalzamento delle barriere commerciali finora è stata scongiurata. (2) Nonostante ciò, i campanelli d’allarme anti-protezionisti non si sono affatto spenti tanto che l’ultimo rapporto del Gta sostiene che “il treno protezionista non ha per nulla perso velocità”. (3)
Secondo i dati del rapporto, tra novembre 2008 e settembre 2009 sono state messe in atto dai diversi stati ben 192 misure protezionistiche. Ancorché lontano dal livello di restrizioni commerciali imposto durante gli anni Trenta, il rapporto legge nei dati una tendenza protezionista particolarmente preoccupante.

UNA NUOVA LETTURA DEI DATI

Tuttavia un’analisi più approfondita degli stessi dati conduce a conclusioni meno pessimiste. Un primo problema è che non esistono dati sistematici sulle misure protezioniste prima della crisi. Quindi non sappiamo se le 192 misure discriminatorie o i 15 paesi che hanno aumentato le tariffe tra novembre 2008 e settembre 2009 rappresentano un numero insolitamente alto. In realtà, gli unici dati sistematici che permettono un confronto pre- e post-crisi mostrano come le iniziative anti-dumping promosse dai paesi del G20, interpretabili come misure non tariffarie restrittive del commercio, non siano aumentate nei primi sette mesi del 2009 rispetto allo stesso periodo del 2008. (4) Inoltre, diversi paesi hanno anche attuato misure che liberalizzano anziché restringere il commercio, riducendo così il livello netto di aumento del protezionismo.
L’analisi mensile delle misure protezioniste e liberalizzatrici raccolte dal Gta a partire da novembre 2008 suggerisce che “il treno protezionista”, se mai è davvero esistito durante questa crisi, ha in realtà perso parte della sua velocità. Come mostra la figura 1, il numero di misure restrittive del commercio approvate dagli stati è in rapida e costante diminuzione, così come il numero dei diversi paesi che le mettono in atto. Mentre nel maggio scorso ventuno paesi hanno approvato misure protezioniste, a ottobre solo otto l’hanno fatto. Dall’altra parte, il numero di misure che liberalizzano il commercio non è cambiato molto, a parte un picco tra giugno e luglio.
In parte, la ragione della diminuzione della tendenza protezionistica è che molte delle misure discriminatorie attuate sono state salvataggi di compagnie, specialmente nel settore finanziario. Il ricorso a tali misure è diminuito per il gran numero di società vittime della crisi e per l’aumento della pressione sulle finanze pubbliche. Ma il trend riguarda anche altre misure protezioniste, a partire dalla più tradizionale: l’aumento delle tariffe doganali. Il numero di aumenti tariffari è stato molto simile a quello delle riduzioni. 

Figura 1: Numero di misure commerciali implementate e numero di paesi che le hanno implementate

Fonte: Elaborazione dell’autore su dati del Global Trade Alert

Con le dovute cautele, i dati sembrano confermare che la crisi non ha innescato la spirale protezionistica che molti temevano. L’analisi suggerisce che il rischio di eventuali “guerre commerciali” era più alto nella prima parte dell’anno di quanto non sia oggi. L’uso circoscritto di misure protezioniste ha probabilmente aiutato a limitare gli effetti negativi della crisi sull’economia globale.

PERCHÉ NON C’È STATO PROTEZIONISMO

Possiamo dunque tornare a essere ottimisti sulle prospettive della politica commerciale internazionale? La risposta dipende dall’evoluzione del rapporto tra l’incentivo a proteggere la propria economia durante la recessione e i fattori che lo contrastano e che hanno finora evitato il ricorso al protezionismo, al contrario di ciò che successe durante la grande depressione. Sono essenzialmente fattori di tre tipi. Il primo riguarda la disponibilità di politiche alternative da parte dei governi, i quali possono contare oggi su una serie di strumeti più efficaci delle barriere doganali per proteggere la propria forza lavoro durante una crisi, in particolare la politica monetaria e fiscale. L’espansione monetaria e i sussidi di disoccupazione sono due esempi di strumenti che gli stati non avevano a disposizione negli anni Trenta. (5)
In secondo luogo, in seguito alla disintegrazione del modello di produzione verticale, la produzione dipende oggi dalleimportazioni più di quanto non fosse venti anni fa. E come dimostrato da Gene Grossman e Elhanan Helpman, ciò aumenta la potenziale perdita netta di reddito causata dalle barriere alle importazioni, riducendo gli incentivi dei governi a imporle. (6)
Infine, il moltiplicarsi di accordi commerciali a livello bilaterale, regionale e multilaterale ha generato vere e proprie barriere legali al protezionismo. In particolare l’Omc sembra avere svolto un ruolo di ostacolo istituzionale al protezionismo, anche grazie al rafforzamento del proprio sistema di monitoraggio durante la crisi.
L’evolversi della recessione ha eroso la possibilità dei governi di utilizzare le politiche fiscali e monetarie, mentre non ha (ancora) intaccato gli altri fattori anti-protezionisti. Tuttavia, se l’intensità della crisi continuasse a diminuire e la ripresa economica venisse confermata nel 2010, è plausibile che il timido trend protezionista di quest’anno continui la sua discesa e alla fine la politica commerciale non sarà stata una vittima di questa crisi. È però ancora troppo presto per abbassare la guardia anti-protezionista. Questa opzione di politica commerciale potrebbe infatti riemergere se la disoccupazione continuasse ad aumentare e con essa la richiesta di protezione da parte dei lavoratori. Specialmente in un momento in cui i governi hanno esaurito altre munizioni.

(1) Si veda ad esempio Richard Baldwin e Simon J. Evenett, “The crisis and protectionism: Steps world leaders should take”, VoxEu.org, 4 dicembre 2008, e Elisa Gamberoni e Ricard Newfarmer, “Trade protection: Incipient but worrisome trends”, VoxEu.org, 4 marzo 2009.
(2) Simon J. Evenett, Bernard M. Hoekman e Olivier Cattaneo, “The Fateful Allure of Protectionism: Taking stock for the G8”, 2009, Cepr-World Bank e-book.
(3) Simon J. Evenett, “Broken Promises: a G20 Summit Report by Global Trade Alert” 2009, London, Cepr. Il rapporto è stato ripreso da alcune delle maggiori testate economiche internazionali, quali il Financial Times, l’Economist, il Wall Street Journal.
(4) Secondo i dati dell’Omc a un totale di 86 iniziative anti-dumping nel periodo gennaio-luglio 2009 corrispondono 93 iniziative nello stesso periodo del 2008.
(5) Ad esempio Barry Eichengreen e Douglas Irwin in “The slide to Protectionism in the Great Depression: Who succumbed and why?”, mostrano come i paesi che appartenevano al gold standard, e che quindi non potevano utilizzare la leva monetaria, sono quelli che adottarono le politiche più protezionistiche durante la grande depressione.
(6) Gene Grossman e Elhanan Helpman, “Protection for Sale”, 1994, American Economic Review.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Come accendere la luce nell'Africa subsahariana
Leggi anche:  Il gatto e la volpe alla conquista del mercato energetico