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L’INFORMATICA DOPO LA CRISI

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono svolgere un ruolo centrale nell’uscita dalla crisi. Il settore attraversa però un momento particolarmente negativo nel nostro paese. E si invoca maggiore spesa pubblica. Che è utile solo se ha come obiettivo primario la crescita complessiva del mercato, qualitativa oltre che quantitativa. In particolare, l’intervento pubblico può accelerare la maturazione complessiva del mondo dell’offerta, a patto che utilizzi misure veloci, certe, affidabili nei tempi e nell’entità.

Adesso che la crisi sembra uscire dalla fase più critica, il dibattito sull’exit strategy si fa più stringente e anche il tema dell’Ict, Information and Communication Technology, ritrova un ruolo centrale.

UNA CRISI QUALITATIVA

Indubbiamente, all’interno della crisi generale del sistema economico, l’Ict vive un momento alquanto negativo con un calo che ha colpito il mondo delle telecomunicazioni (-2,5 per cento nel primo semestre 2009, dati Aitech-Assinform) e in modo ancora più sentito quello dell’informatica (addirittura -9 per cento, sempre nello stesso periodo). Peraltro, la crisi del mercato italiano dell’It (informatica) non è solo quantitativa, con il calo della domanda, scarso utilizzo delle infrastrutture e prezzi unitari sempre più bassi, ma anche e soprattutto qualitativa: sistemi informatici nelle imprese e negli enti pubblici troppo spesso assimilati a beni di largo consumo, valutati solo in base alle loro caratteristiche di costo; servizi pubblici e privati spesso incompleti, frammentati e poco efficienti; scarsa capacità di progettazione e di innovazione nelle imprese del settore; ricerca nelle università e nei centri di ricerca privati e pubblici che è troppo spesso marginale e senza un peso internazionale.
Per contrastare questa crisi, spesso si invoca maggiore spesa pubblica. A condizioni di contesto invariate, una crescita della spesa rischia di essere solo una scorciatoia per avere nuove risorse, eludere i problemi di scarsa competitività delle imprese private, sostenere in modo artificioso un mercato che da solo annasperebbe in preda ad asfissia di idee e di capacità propositiva. In realtà, l’intervento pubblico è importante e utile, ma solo se si pone come obiettivo primario la crescita complessiva del mercato, cioè sia della domanda che dell’offerta, da un punto di vista qualitativo e non solo quantitativo.

LA DOMANDA

Per quanto riguarda la domanda di prodotti e servizi Ict, è vitale che le pubbliche amministrazioni sviluppino processi di acquisizione e gestione (procurement) più maturi e moderni. In questi anni, la domanda pubblica si è appiattita su una generica richiesta di riduzione dei costi che ha depresso il mercato, abbassando la qualità complessiva dei servizi e dei prodotti acquisiti. Ciò ha comportato una compressione insostenibile delle tariffe e di conseguenza delle retribuzioni dei nostri giovani che in numero sempre maggiore o snobbano gli studi informatici oppure emigrano andando a lavorare all’estero. È la beffa di un paese che investe risorse pubbliche per formare giovani che vanno ad arricchire il capitale umano di aziende straniere.
Ma soprattutto, la domanda pubblica ha mancato di progettualità e di sistematicità. Si è acquistato Ict in modo scoordinato e frammentario, moltiplicando in alcuni casi gli investimenti e senza una visione strategica convincente. Per esempio, è stato sviluppato un numero molto elevato di portali che dovrebbero offrire servizi evoluti ai cittadini. Molti di questi, in realtà, si limitano a fornire informazioni di carattere generale, restando scarsamente integrati tra loro e con i sistemi informativi veri e propri delle amministrazioni. Ma l’aspetto più critico è l’incapacità di riconoscere che su Internet non ha senso replicare la struttura degli uffici tradizionali distribuiti sul territorio (si pensi per esempio agli uffici del lavoro). Su Internet, i servizi possono essere messi a fattor comune e offerti attraverso un unico sistema/sito. Purtroppo, la ricerca dell’autonomia e della responsabilizzazione delle singole amministrazioni, in mancanza di una capacità progettuale delle stesse e di un governo unitario dei processi di acquisizione, si è tradotta in una spesa frastagliata e inconcludente, non di rado sostenuta dagli interessi delle imprese di informatica locali, alla ricerca di commesse pubbliche che potessero venire in soccorso ai loro bilanci traballanti. Ciò che invece appare sempre più necessario al paese è invece una progettazione unitaria che alimenti e guidi una convincente e efficiente esecuzione distribuita.
Non serve inoltre che le amministrazioni si lancino in “grandi progetti” che troppo spesso si risolvono nel finanziare le idee proposte dalle imprese Ict, indipendentemente dalla loro reale efficacia e rilevanza per l’utenza finale. È necessario passare dai grandi progetti al procurement strategico: non è il mondo dell’offerta che deve proporre progetti, quanto quello della domanda che deve richiedere soluzioni per i propri problemi, siano essi, per esempio, nel campo dei trasporti o della sanità o della sicurezza. Abbiamo bisogno di una committenza forte che abbia come obiettivo primario quello di risolvere problemi e non solo di comprare prodotti o servizi. Ciò richiede progettualità, modelli di finanziamento innovativi, valutazione complessiva dei costi di gestione e aggiornamento della soluzione a regime, e non solo dell’investimento iniziale.

L’OFFERTA

Per quanto concerne l’offerta, cioè il mondo delle imprese che offrono servizi e prodotti Ict, il mercato italiano è caratterizzato da diversi problemi, tra i quali tre appaiono particolarmente critici: un alto numero di imprese, nella stragrande maggioranza dei casi di dimensioni minime; una loro scarsa apertura internazionale; livelli salariali mediamente inferiori a quelli degli altri paesi europei. In questo contesto, la crescita qualitativa della domanda avrebbe già un benefico effetto di traino. È peraltro indubbio che l’intervento pubblico può accelerare significativamente la maturazione complessiva del mondo dell’offerta. In particolare, sono auspicabili misure veloci, certe, affidabili nei tempi e nella loro entità. Non è pensabile riproporre strumenti lenti, incerti, obsoleti. Ne proponiamo quattro:

1. Uno strumento efficace di promozione della ricerca e dell’innovazione nelle imprese è il credito automatico di imposta. È uno strumento che garantisce certezza dei tempi e delle risorse, finanzia le imprese che investono in ricerca, promuove una collaborazione tra imprese e centri di ricerca o università, centrata sulla domanda di innovazione e che quindi premia le istituzioni di eccellenza. Se è vero che il bilancio dello Stato non può essere appesantito da ulteriori uscite, non vi è dubbio che si potrebbe introdurre il credito per la ricerca eliminando altre forme di sovvenzione e intervento disperso, che spesso sono finiscono per essere solo uno sterile finanziamento a pioggia.

2. Le imprese devono crescere dimensionalmente. Servono strumenti che premino le operazioni difusione e acquisizione, tipicamente agendo sulla leva fiscale e ricercando il sostegno del private equity.

3. È necessario promuovere la ricerca di imprese e università, predisponendo fondi e programmi che abbiano un ragionevole respiro temporale. A volte si vedono programmi schizofrenici che vogliono fare ricerca, ma richiedono al tempo stesso applicazione nel breve periodo dei risultati così ottenuti. La ricerca, quella vera, ha tempi difficilmente prevedibili. Spesso sembra non produca risultati visibili: in realtà, quanto meno produce una crescita delle competenze e del capitale umano.

4. È necessario dare un vero slancio, coraggioso e lungimirante alle iniziative di venture capital per lo sviluppo di imprese innovative nel settore dell’Ict.

Un paese avanzato non può accontentarsi di riusare la conoscenza, i prodotti, le tecnologie sviluppate all’estero. Deve avere la capacità di valorizzare e sviluppare il proprio capitale umano, le proprie competenze, le realtà di valore presenti sul territorio. Non è soltanto una azione necessaria per garantire un vero sviluppo e non solo un timido scimmiottamento di quanto avviene all’estero. È anche una elemento di vera meritocrazia e rispetto dei cittadini e delle istituzioni, e di seria responsabilità nei confronti del paese e delle sue prospettive di sviluppo.

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UN COMMENTO DI BRUNO JAFORTE ALL’ARTICOLO DI BERIA E RAMELLA – LA REPLICA DEGLI AUTORI

  1. Elio Gullo

    Solo un breve commento provocatorio su un punto specifico del pregevole intervento di De Michelis/Fuggetta, quello relativo a “progettazione unitaria che alimenti e guidi una convincente e efficiente esecuzione distribuita”. Immagino sia uno slogan (pensare globalmente e agire localmente et similia). Che la domanda pubblica sia scarsa per dimensione e, ancor più, per qualità, siamo d’accordo. Che le competenze in materia siano scarse, pure. Però non vedo come una PA con limitate capacità progettuali potrebbe viceversa trasformarsi in una buona PA realizzatrice, purchè altri – quelli bravi, magari riuniti in una nuova autority – facciano per bene i progetti unitari. Abbiamo fatto SPC ma ci siamo fermati presto. Se per progetti unitari intendete qualcosa di simile al Federal Enterprise Architecture degli USA o al Business Transformation Enablement Program canadese, allora sono un pò di più d’accordo con la vostra proposta. Ma resta il fatto che con la nostra organizzazione amministrativo-istituzionale vedo difficile al “progettista unico” porre condizioni a giganti quali Agenzia delle entrate, Giustizia o Inps. Il problema della qualità della committenza è Il Problema.

    • La redazione

      In realtà già oggi le PA realizzano, fanno gare, installano e usano sistemi informatici. Spesso, lo fanno in modo totalmente autonomo e indipendente. La nostra richiesta di avere una progettazione e visione unitaria serve proprio a bilanciare questo atteggiamento delle amministrazioni.
      Certamente, in ogni caso serve potenziare la capacità di governo dell’iT nelle pubbliche amministrazioni. E certamente serve un ente di governo centrale tecnicamente e istituzionalmente autorevole, e abilitato ad intervenire in modo diretto e efficace in questi processi.

  2. Riccardo Colombo

    L’articolo dice giustamente come la Pubblica Amministrazione debba acquisire una maggiore capacità di valutazione e gestione dei prodotti informatici, in una logica di vita intera del prodotto. A questo riguardo vorrei proporre: a) favorire le soluzioni ASP così da ridurre la frammentazione e fare economie di scala; b) considerare nelle gare anche criteri legati all’innovazione e allo sviluppo di capacità nazionali di offerta; c) investire per rafforzare le competenze interne di carattere informatico così da avere validi interlocutori verso i fornitori. L’articolo sottolinea poi l’importanza dell’innovazione (acquisizione di autonomia?) dal lato dell’offerta. Vorrei fare le seguenti proposte: a) favorire spin-off e nuove imprese, mediante supporti nella fase di start-up; b) favorire le comunità tra sviluppatori ; c) creare un osservatorio tecnologico da parte del mondo universitario; d) aiutare la creazione di reti internazionali di fornitura così da sfruttare i vantaggi competitivi delle diverse nazioni.

  3. Antonio Aghilar

    Sulla compressione delle tariffe vorrei portare la mia testimonianza diretta: ho lavorato nella Business Intelligence in una azienda IT (quotata in borsa) per circa 2 anni, con un contratto a progetto (ho una laurea in economia e un master in matematica applicata), poi è arrivata la crisi e vabbé (anzi, va male). Nei 2 anni in cui ho fatto il consulente però, in rarissimi casi mi è capito di svolgere compiti che richiedessero competenze davvero elevate e credo che questo sia la causa principale della compressione delle tariffe. Al di là della concorrenza insomma, il più delle volte il lavoro del consulente è “di basso livello” ed esiste una notevole sottoutilizzazione di competenze, un pò per la scarsità degli investimenti e molto per scarsa preparazione dei committenti. Da questo punto di vista, dubito che basti una maggiore spesa pubblica nel settore (che certo gioverebbe). Esiste infatti, in Italia, un rilevante problema di “disallineamento” tra le competenze di larga parte dei dirigenti e del middle management, (formato da gente che spesso è ben oltre la cinquantina) e le competenze dei giovani…Insomma magari è banale, ma la Gerontocrazia è un grosso problema per l’IT…

    • La redazione

      Se le tariffe professionali sono basse, la colpa non può essere solo di una delle due parti (ad es.: i clienti ignoranti). Infatti tariffe basse in modo generalizato riflettono generalmente servizi a basso valore, e questo signfica una combinazione di una domanda vaga e poco esigente, ma anche un’offerta incapace di dare valore o, magari, di rendere visibile questo valore. Per questo motivo, nel nostro discorso, che è relativo ai servizi ICT, noi enfatizziamo la necessità di andare oltre le commodities che oggi generalmente vengono installate presso le aziende clienti, per diventare capaci di sviluppare sistemi che concorrono a determinare un valore aggiunto e/o un vantaggio competitivo. Insomma, è comprensibile il lamento per la bassa qualità della domanda, ma il problema di innalzarla è anche un problema dell’offerta, in particolare di quella che si lamenta delle tariffe basse.

  4. Luigi Bertuzzi

    Sto per compiere 70 anni e sono ancora convinto che sarebbe educativo raccontarla; anzi, sarebbe educativo "tentare di raccontarla", non tanto come "storia da leggere passivamente", quanto come "storia da ri-vivere", concatenando una serie di esperienze e seguendone l’evoluzione. Una specie di "ricorso della storia", in cui si percepiscano un’interfaccia (che ho iniziato a chiamare W2WAI) e un processo (che ho iniziato a chiamare ProlocoWT), assumendo l’identità di Chiarofiume (una specie di anti-Negroponte) e usando Preposterous, Amplify, FriendFeed e Blogspot. Ma che fatica, ragazzi della X e Y Generation!

  5. Paolo

    Vorrei sottolineare un aspetto da non sottovalutare: la pessima formazione in materie informatiche dei dirigenti sia nel pubblico che nel privato. Si è puntato molto sulla laurea in Informatica ma è evidente che i laureati vengono lasciati a casa e le aziende puntano piuttosto su diplomati come forza lavoro premiando un’infarinatura di conoscenze puramente commerciali che risolvono (male) l’emergenza della giornata piuttosto che capacità di progettazione e livelli di conoscenza più profondi in un’ottica lungimirante. Detto in altri termini è diffusa l’opinione che l’informatico non deve studiare ma che basta saper fare una stampa unione o personalizzare il css di joomla per essere tale. Firmato: un Laureato in Informatica disoccupato da 5 anni.

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