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INDIETRO TUTTA

Ieri il Ministro Bossi ha annunciato che i partiti della maggioranza prenderanno il controllo delle banche. Pare che i loro elettori glielo chiedano. In realtà è una vecchia ossessione della Lega. Bossi comunque mette il dito su un punto importante: le fondazioni bancarie sono oggi del tutto auto-referenziali. I loro vertici sono spesso l’ultimo baluardo dei vecchi partiti, un pezzo della Prima Repubblica che è ancora con noi. Chi rappresentano? Quali sono i loro obiettivi? Sono domande legittime. Le fondazioni influenzano, come azionisti, le scelte dei vertici e le strategie delle loro banche da una parte e spendono la loro quota di profitti per attività sociali. Il loro potere è dunque notevole ma a fronte di esso non si capisce a chi rispondano del proprio operato dei vertici delle fondazioni. Le convulsioni di questi giorni all’interno della Compagnia di San Paolo lo dimostrano in tutta evidenza. Bossi, in modo populista, dice essenzialmente: i politici hanno almeno ricevuto i voti dei cittadini. Dunque ad essi devono rispondere i vertici delle banche. Ma come utilizzerebbero i partiti il loro potere? Facile. Come facevano i partiti della prima Repubblica: per favorire imprenditori e società a loro amici e sfavorire quelli nemici. Per far deviare le banche dal perseguire l’obiettivo di profitto a favore di fini sociali non meglio identificati. Come del resto farà la nascitura Banca del Mezzogiorno. Insomma, questo è il sigillo finale, quello che chiude la breve stagione italiana delle privatizzazioni. Indietro tutta, senza pudore, verso il controllo politico del mercato del credito. Le banche, non solo quelle italiane, hanno dato una pessima prova di sé negli ultimi anni. I salvataggi fatti con i soldi dei contribuenti hanno giustamente posto il problema di definire un miglior sistema di controllo dell’attività bancaria. Ma la risposta non è certo una maggiore presenza dei partiti nella vita delle banche. Dalla politica ci si dovrebbe aspettare la lungimiranza di fare un passo avanti, mettendo mano al nodo delle fondazioni e salvaguardando al contempo l’indipendenza delle politiche del credito dall’ingerenza dei partiti. E anche le fondazioni potrebbero beneficiare da un maggior distacco dalle banche, dato che in ogni caso i dividendi che esse pagheranno nei prossimi anni saranno presumibilmente ridotti.  Ma questo è chiedere troppo ai nostri politici. Perché il vincitore delle elezioni dovrebbe rovesciare il tavolo quando è il suo turno di mangiare?

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GAS: E CHI TUTELA IL CONSUMATORE?

  1. claudio giusti

    Ma per stare nel consiglio d’amministrazione di una banca o di una fondazione non è più indispensabile essere alfabeti?

  2. bellavita

    Fa sì che nella seconda repubblica i banchieri siano diventati inamovobili, anche quando combinano disastri. La nomina politica aveva svantaggi, ma quando uno la combinava troppo grossa veniva sostituito, e comunque c’era una rotazione, perchè cambiava il partito di riferimento o cambiavano gli equilibri nel partito del nominato. Durate come quella di Geronzi, di Bazoli o di Salza nella prima repubblica non esistevano: a 30 anni di carica non era mai arrivato nessuno.

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