Lo spettro delle frequenze radio è un bene di proprietà pubblica. Quando arriva nelle mani di operatori che sanno come utilizzarlo, si ottengono benefici collettivi per i cittadini, risparmi per le tasche dei consumatori e incassi per lo Stato. Non in Italia. Come mostra anche l’ultimo esempio delle reti digitali riservate da Agcom a emittenti regionali. Se solo un terzo di quello spettro venisse usato per la telefonia mobile, il governo potrebbe incassare circa 4 miliardi di euro. Gli ostacoli alla tv via cavo, concorrente agguerrito per la banda larga.
Pochi giorni fa il governo ha dato il via libera alla manovra finanziaria per il prossimo triennio. È particolarmente pesante (24-25 miliardi di euro), ma necessaria a causa dell’alto debito pubblico che il nostro paese ha sulle spalle.
La manovra riguarda molte componenti del settore pubblico: dal congelamento degli stipendi per i dipendenti della Pa, alla chiusura di enti definiti inutili, al blocco del turn over, all’introduzione di nuovi pedaggi autostradali e così via. È possibile recuperare altre risorse per abbattere il nostro debito o evitare tagli eccessivi? Sembrerebbe difficile, ma una possibilità c’è e viene da una risorsa molto particolare: lo spettro delle frequenze radio, un bene di proprietà pubblica oggi concesso (quasi) gratuitamente a usi privati. Lo spettro ha un elevato valore e potrebbe altresì dare un impulso alla crescita della nostra economia.
LO SPETTRO DELLE OPPORTUNITÀ
È ormai un decennio che il nostro paese ha una crescita tra le più basse in Europa. Per dare un impulso alla crescita economica bisogna creare valore, offrire opportunità e possibilità di sperimentare e lanciare nuove idee e servizi. Un piccolo esempio per tutti. Un imprenditore nella zona est di Londra si è aggiudicato, dopo un’apposita gara pubblica effettuata nel maggio 2006, alcune frequenze in un’area ristretta della città per offrire un servizio destinato a utenti prevalentemente bengalesi. La società, denominata MCom, ha avuto successo e ha deciso in seguito di espandersi acquistando ulteriori blocchi di frequenze e cominciando a impensierire i giganti delle telecomunicazioni inglesi. Come è possibile promuovere esperienze di questo tipo? Come è possibile, soprattutto in un momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo, creare nuove opportunità di mercato? Una soluzione è fare in modo che risorse importanti, come lo spettro, arrivino a servizi che la collettività richiede, ritiene utili e per le quali è pertanto disposta a pagare.
La transizione dalla tecnologia analogica a quella digitale della televisione terrestre costringe tutti i cittadini a cambiare decoder e antenne, ma consente di moltiplicare per sei il numero di programmi. Tutti i paesi del mondo utilizzano la moltiplicazione di risorse per mettere all’asta le frequenze liberate e destinarle alle telecomunicazioni mobili (banda larga mobile). La razionalizzazione dello spettro ha due effetti positivi (da qui il nome di dividendo digitale): uno per le casse statali che incassano il ricavato dell’asta e l’altro per il mercato che assegna fattori di produzione strategici (le frequenze) allo sviluppo di una nuova economia della rete.
Un recente studio di Thomas Hazlett e Roberto Munoz mostra che l’allocazione dello spettro ai servizi mobili in Gran Bretagna ha generato un beneficio sociale pari a circa 40 miliardi di euro, che si aggiungono ai 34 miliardi ottenuti dalla vendita dei diritti su 140 Mhz di spettro. (1) Negli Stati Uniti gli autori mostrano che l’allocazione alla telefonia mobile di circa 60 MHz di spettro porta a un aumento del benessere collettivo quantificabile in 8,8 miliardi di euro annui, grazie alla riduzione dei prezzi dei servizi mobili di circa l’8 per cento all’anno. Insomma, quando si riesce a fare pervenire lo spettro nelle mani di operatori che sanno come utilizzarlo, si ottengono benefici collettivi per i cittadini, risparmi per le tasche dei consumatori e in diversi casi incassi per lo Stato.
UN TESORETTO REGALATO
Tutti i paesi del mondo lo fanno o lo faranno, ma non l’Italia. Nel nostro paese le frequenze televisive sono state progressivamente occupate dalle emittenti nazionali e locali in modo caotico e incontrollato. Alcune sono state prese abusivamente, altre sono state vendute e comperate senza che il venditore le avesse mai acquistate dallo Stato e in assenza di un Catasto delle frequenze (realizzato solo nel 2007). Il canone d’uso, per chi lo paga, è pari all’1 per cento del fatturato. Molti però non pagano nulla, anzi ricevono finanziamenti per il solo fatto di trasmettere qualcosa su frequenze pubbliche.
Non solo, all’Agcom, che ha recentemente pianificato tredici reti digitali in ogni regione per le emittenti locali, queste ultime hanno risposto di avere diritto (gratuito) a tutte le frequenze non utilizzate dall’emittenza nazionale. Si tratta di una richiesta che ha solo l’obiettivo di occupare una risorsa pubblica preziosa, nella speranza di venderla in futuro agli operatori di telecomunicazioni. E ha tutte le caratteristiche di una soluzione loose-loose: da un lato, infatti, provoca un aumento dell’interferenza e una riduzione della qualità delle immagini per tutti, dall’altro rende impossibile la generazione di un dividendo digitale per fornire servizi televisivi che in qualche caso contribuiscono al pluralismo ma che, molto più spesso, ritrasmettono lo stesso programma in modo differito o si occupano di televendite. Quale è il valore sociale di questi servizi? Scarso, per non dire nullo.
Eppure queste frequenze rappresentano un vero tesoretto che non farebbe male alle tasche del nostro paese. Nella valutazione ci è di aiuto l’asta che si è conclusa a maggio in Germania per le stesse frequenze. (2) La Germania ha incassato 4,4 miliardi di euro, la maggior parte dalla vendita di 60 MHz (cinque blocchi da 2*5MHz) di spettro, in precedenza televisivo, ad alcuni operatori telefonici che hanno offerto di più. Tenendo conto della differenza tra popolazione e superficie dell’Italia e della Germania, una valutazione (molto) prudente suggerisce un valore di 40 milioni di euro per MHz in Italia. E dunque, lo spettro riservato dall’Autorità (e regalato) alle emittenti nazionali e locali vale circa 12 miliardi di euro. Se, come ha fatto la Germania e faranno anche molti altri paesi dell’Unione Europea, Francia e Gran Bretagna per esempio, solo un terzo di questo spettro venisse usato per la telefonia mobile, il governo potrebbe incassare valori intorno a 4 miliardi di euro. Che non ci sembra poco dato il momento che il nostro paese sta passando.
L’ennesima opportunità per fare un’operazione utile l’abbiamo avuta e persa. Come ricordato anche dall’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, il governo invece sembra più interessato a rallentare lentrata di Sky nella televisione digitale, che quantomeno avrebbe l’effetto di aumentare la scarsa concorrenza che c’è nel settore. (3)
Ad aggravare la situazione si osservi che l’Italia, insieme alla Grecia, ha un altro primato: siamo gli unici paesi che hanno di fatto impedito l’entrata della tv via cavo, che poi si è dimostrata un concorrente agguerrito per la banda larga in tutto il mondo, visto che può offrire contemporaneamente anche servizi di telefonia a banda larga in aggiunta a quelli televisivi. Per proteggere e congelare la struttura del mercato televisivo abbiamo così fatto scelte che hanno influenzato, in peggio, una larghissima fetta del mondo delle comunicazioni elettroniche. E continuiamo a farle.
(1) Hazlett T. e R. Munoz (2009), A welfare analysis of spectrum allocation policies, RAND Journal of Economics, 40(3), 424-454.
(2) http://www2.bundesnetzagentur.de/frequenzversteigerung2010/ergebnisse.html
(3) Il tesoro sprecato delle frequenze, Il Sole 24Ore, 23 maggio 2010.
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Fabio Buonanno
Ripensando ai due Ministeri delle Comunicazioni e della Difesa che detengono la fetta maggiore della torta, non posso che paragonarli ad un caveau di una banca, contenente una ricchezza di cui nemmeno loro (forse) conoscono il valore.
Marco
Buona analisi, non certo inedita. Quel che non capisco è il candido stupore di fronte ad un Presidente del Consiglio che non vuole danneggiare economicamente l’azienda di famiglia. Se è stato eletto il lupo per fare la guardia al pollaio cos’altro ci si poteva aspettare? Saluti
maria di falco
Grazie per l’articolo, importante e coraggioso, specialmente in un paese dove parlare di frequenze TV sembra quasi incorrere nel reato di lesa maestà! L’etere è un bene pubblico e occorrerebbe ribadirlo e sottolinearlo con forza più spesso, specialmente da chi governa il paese! Ma forse l’espressione "conflitto d’interessi" può aiutare a comprendere la situazione italiana! Se in altri paesi i beni pubblici, tra cui l’etere, e le spese pubbliche costituiscono il volano dell’economia, in Italia gran parte di ciò che è pubblico costituisce il volano della criminalità organizzata o l’arricchimento di pochi. Incassare quattro miliardi di euro sarebbe molto positivo per lo Stato: si potrebbero fare tante cose per i giovani, per la scuola, ecc. Altro che invalidi! Nell’attesa di una riforma del sistema di concessione delle frequenze (a questo proposito, vi volevo far riflettere sul fatto che l’ultimo governo Prodi cadde poco prima che in Commissione Comunicazione venisse discusso il progetto Gentiloni!) non si potrebbe da più parti (Confindustria, Università, economisti e giornalisti) affrontare e ribadire più volte che un canone pari all’1% è ridicolo e che va aumentato da subito?
Flavio Favilli
Nei giorni scorsi in India sono state vendute le frequenze 3G per la telefonia mobile di terza generazione per 14,6 miliardi di dollari (cfr. Ma.Mas. sul Sole 24 ore del 25 maggio 2010) che permetterà al governo indiano una riduzione della manovra per contenere il deficit del 6,8% del pil. Capisco le differenze del mercato indiano stante anche una popolazione 10 volte superiore a quella di Francia, Germania e Italia, ma come mai per le frequenze 3G lItalia ha incassato dallasta del febbraio 2008 solo 136 milioni di che secondo le dichiarazioni del ministro Gentiloni era stato il risultato più brillante a fronte dei 125 milioni di della Francia (cfr Carmine Fotina sul Sole 24 ore del 29 febbraio 2008) e dei soli 60 milioni di della Germania (Cfr Telefonino.net Redazione del 29 febbraio 2008)?
Paolo Bossi
I motivi (politici) di questo spreco sembrano chiari. Mi vergogno sempre di più di questo Paese (e delle scelte politiche della maggioranza dei suoi abitanti)!
sandro
La mancata realizzazione della tv via cavo è stata una scelta scellerata soprattutto per l’impatto delle trasmissioni via etere sulla salute dei cittadini. Trasmissioni analogiche su alte potenze in antenna, piuttosto che le attuali trasmissioni digitali a basse frequenze, sono sicuramente meno preferibili di una rete via cavo, schermata da interferenze e da emissioni elettromagnetiche, che proteggerebbe al contempo la salute degli italiani e la qualità del segnale audiovisivo.
Augusto Preta
Ieri sera guardavo Bersani parlare di NGN e banda larga nel confronto con Tremonti, mentre nei giorni scorsi sentivo Gentiloni porre al centro, come fate voi, il tema del valore economico delle frequenze come risorsa dello Stato in un momento così grave di crisi per le finanze pubbliche. Condividendo il vostro punto di vista, mi domando "pacatamente" come diceva qualcuno quale punto di vista esprima realmente l’opposizione.
giancarlo c
Pensare che il "sistema" attualmente al governo possa valorizzare il settore televisivo e delle telecomunicazioni è un po’ come credere che un branco di iene lasci volontariamente il suo territorio di caccia: per loro vuol dire alimento e sopravvivenza. Non dimenticatevi che, proprio la settimana scorsa, l’attuale vertice massimo della PA italiana ha affermato che la sua occupazione è fabbricare consenso.
Fabio Buonanno
Il Consiglio dellAutorità per le garanzie nelle comunicazioni, presieduto da Corrado Calabrò, relatori i Commissari Stefano Mannoni e Michele Lauria, ha approvato il 4 giugno 2010 allunanimità il Piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive (PNAF) per il digitale terrestre.
Bruno Stucchi
Per adesso, nel campo di canali televisivi, c’è più offerta che domanda.
Antonio Aghilar
Ad assistere ai temi del dibattito politico degli ultimi 15 anni, una delle cose che maggiormente infonde sconcerto è la totale assenza di uno straccio di politica economica che vada al di là di astrusi meccanismi di prelievi o di deprimenti strategie di risparmio tagliando quella che si suppone essere "spesa improduttiva" (da buon Keynesiano però ho sempre serie difficoltà a qualificare come del tutto improduttiva la spesa per uno stipendio, dato magari ad un disoccupato: ma tant’è..). E tuttavia però, guai a pensare che ciò sia solo il frutto di una casta politica incapace. Infatti, a mano a mano che gli anni passano, senza che le riforme strutturali tanto urlate si materializzino sul serio, emerge invece una precisa strategia, una strategia che è figlia della più ovvia e razionale delle motivazioni politiche: il Conflitto d’Interessi dell’Impero Berlusconiano. Quanto ci costa? I 12 miliardi delle mancate cessioni a concorrenti potenziali delle frequenze radio soltanto? E le tariffe folli delle assicurazioni? Quanto costa al Paese il conflitto d’interessi di chi governa nel mercato assicurativo? E in quello bancario?…