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Diritto fallimentare: ritorno all’età della pietra

Il diritto fallimentare assolve alla fondamentale funzione di liquidare le imprese inefficienti e salvare quelle in crisi che abbiano ancora un valore. La legge italiana è stata riformata fra il 2005 e il 2007 e comincia adesso a funzionare. Erano forse utili alcuni ritocchi per favorire le ristrutturazioni, e con la manovra economica di maggio il governo ha tentato di farli. Il risultato, però, è difficile da credere, perché produce l’effetto opposto a quello voluto. Dobbiamo sperare che il Parlamento corregga il disastro prodotto.

Il diritto fallimentare assolve alla importantissima funzione di liquidare le imprese inefficienti e salvare le imprese che, pur essendo in crisi finanziaria, possano ancora produrre ricchezza. Ciò rimette in circolazione risorse immobilizzate, con beneficio per i creditori, i lavoratori e l’’economia in genere, e non di rado con beneficio anche per gli azionisti. Un sistema economico efficiente non può permettersi di non avere un diritto fallimentare all’’altezza.

RITOCCHI PER UNA RIFORMA CHE FUNZIONAVA

L’’Italia ha fatto grandi passi negli ultimi anni. Dal 2004 in poi, sulla spinta del caso Parmalat, ha attuato una serie di riforme che, ancorché imperfette, hanno proiettato il suo diritto fallimentare nel XXI secolo, dal XIX nel quale incredibilmente ancora si trovava impantanato.
Le novità introdotte dalla legge, che richiedono sempre un profondo cambio di mentalità nei giudici e nei professionisti, stavano finalmente cominciando a funzionare in questi ultimi mesi. Abbiamo avuto i primi casi di società quotate che hanno fatto ricorso alla nostra procedura di ristrutturazione, il concordato preventivo. Anche le piccole imprese hanno potuto fruire delle novità della legge.

Mancava solo qualche ritocco. In particolare, parevano utili, nella crisi che attanaglia l’’Italia:

(a)           un incentivo agli accordi (privati) di salvataggio, anche prevedendo che chi tenta di salvare in buona fede un’’impresa in crisi non può poi, se il tentativo fallisce, essere condannato per reati fallimentari (come la bancarotta semplice o la cosiddetta “bancarotta preferenziale”);
(b)           una serie di aggiustamenti alla procedura di concordato preventivo, storicamente nata con fini di liquidazione, per farla operare efficientemente in situazioni di continuità aziendale.

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Il governo, con il decreto legge sulla manovra economica, ha pensato bene di intervenire anche sul diritto fallimentare, per favorire le ristrutturazioni aziendali. (1) Inaspettatamente, però, questo intervento “di taratura” ha avuto la modernità dell’uomo di Neanderthal.

STRUMENTO ESSENZIALE IN UN PAESE MODERNO

Chrysler ha fatto domanda di procedura di ristrutturazione (“Chapter 11”) il 30 aprile 2009. Cinque giorni dopo ha ottenuto dal giudice fallimentare di New York l’autorizzazione a un finanziamento di 4,1 miliardi di dollari (“debtor-in-possession financing”), finalizzato a consentirle di tenere aperti gli stabilimenti. Lo stesso fanno moltissime imprese in vari paesi del mondo, per la semplice ragione che, se un’’azienda in crisi ha un valore da conservare, deve continuare a pagare i fornitori e i dipendenti. Per questo, chi finanzia un’’impresa in procedura nell’’interesse dei suoi creditori ha diritto di essere comunque pagato per primo.
In Italia tutto ciò, fino alla fine di maggio 2010, era possibile. Con la manovra economica è invece stato previsto che chi dà un finanziamento a un debitore in concordato ha garanzia di rimborso prioritario solo se il concordato verrà omologato, e dunque solo se si verifica una condizione che si realizzerà, forse, alla fine della procedura, dopo molti mesi. (2) Grazie alla nuova legge, il finanziamento alle imprese in concordato diverrà più difficile, perché nessuno presterà denaro confidando di riottenerlo solo se il piano avrà successo.
È forse possibile una lettura alternativa delle nuove norme, che – seppur con difficoltà faccia salvo il principio precedente (quello dei paesi moderni). Ma ognuno sa che, se la legge è incerta, i finanziatori scappano.
In più, nella manovra economica non vi è alcuna agevolazione per il concordato preventivo con continuità aziendale, dal quale dipende la sopravvivenza di tante imprese che cercano di superare la crisi, e nessuna esenzione penale. Davvero un bel risultato.

IL PARLAMENTO CORREGGA, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI

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Un’’importante società, sottoposta a concordato preventivo e con ottime probabilità di uscirne ristrutturata, giorni fa aveva finalmente trovato un finanziamento. I potenziali finanziatori sono ora scappati.
Il Parlamento, chiamato a convertire il decreto legge, può correggere queste norme, il cui effetto perverso si deve ritenere dovuto a imperizia, visto che lo scopo dichiarato era quello di aiutare le ristrutturazioni.
Se poi con l’’occasione il Parlamento vorrà aiutare le imprese in crisi con qualche ritocco migliorativo, ciò sarebbe davvero bello e utile al paese. Per ora, tuttavia, come in una partita che si credeva di vincere agevolmente e in cui ci si trova invece sotto di 2 a 0, ci accontenteremmo di un pareggio.

(1) Dl 31 maggio 2010, n. 78, “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”.
(2)L’’articolo 48 del Dl 78/2010 introduce nella legge fallimentare (Rd 267/21942) un articolo secondo cui sono prededucibili (cioè hanno priorità rispetto a tutti gli altri creditori, in caso di insuccesso del piano) “i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’articolo 160 o dall’accordo di ristrutturazione e purché il concordato preventivo o l’accordo siano omologati”.

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  1. Giampietro Castano

    Concordo pienamente con i rilievi di Lorenzo Stanghellini. Mi occupo presso il MiSE di crisi d’impresa e quotidianamente ho a che fare con aziende che tentano di superare le difficoltà soprattutto di natura finanziaria; spesso hanno prodotto e mercato, ma un indebitamento che non consente la prosecuzione della attività. La norma introdotta con la manovra é oggettivamente poco comprensibile. Sembra scritta da un talebano che odia le imprese.

  2. massimiliano ratti

    Condivido integralmente l’intervento dell’avv. Prof. Stanghellini. Il problema di fondo è legato al fatto che spesso le modifiche sono approssimative e decontestualizzate. Concordo che i ritocchi avrebbero potuto essere molto più mirati ed essenziali [ad esempio non è affrontata la problematica della falcidia dei crediti erariali, l’ammissibilità del concordato di gruppo ed altro più rilevante]. Il subordinare, poi, il rimborso del finanziamento all’omologa è deleterio. Saluti MR

  3. Marco

    "Un’importante società, sottoposta a concordato preventivo e con ottime probabilità di uscirne ristrutturata, giorni fa aveva finalmente trovato un finanziamento. I potenziali finanziatori sono ora scappati." Mi perdoni ma non comprendo: se aveva ottime probabilità di uscirne ristrutturata ed i finanziatori si sono tirati indietro perchè il problema sarebbe della legge? Dovremmo tendere ad una legge, legge-Alitalia la chiamerei, per cui i debiti li paga la collettività e la polpa se la spartiscono i "finanziatori"? In questo modo, è certo, di capitali ne arriverebbero tanti e le imprese verrebbero "salvate"… Inoltre "ottime probabilità" secondo chi? E quanto vale questo ottimo? L’ 85%? Il 95%? 60%? L’intero impianto dell’articolo sembra ignorare la cruda realtà, ovvero che non falliscono le imprese inefficenti, falliscono quelle "più inefficienti" del mucchio. Un allegro gioco al massacro chiamato economia di mercato. Cordiali saluti P.S. Quando si comincerà a pensare che il problema è nel sistema economico che abbiamo adottato invece che nel sistema giuridico preposto a tutelarlo forse si arriverà a qualche soluzione che migliori davvero la vita delle persone.

  4. Alessandro Bernardini

    Il decreto legge interviene su concordati preventivi – male come scrive lucidamente il prof. Stanghellini e – mi sembra meglio – sugli accordi di ristrutturazione ex 182bis: finanza ponte pre accordo e post accordo, protezione dalle azioni esecutive e cautelari anche durante la trattativa prima del deposito, oltre alla protezione gia’ presente dalle eventuali azioni revocatorie (per quanto depotenziate dal riformato art. 67). Dubbi sulla transazione fiscale, con il nuovo reato in caso di non veritiera valutazione degli elementi attivi o passivi ma soprattutto risulta sempre piu’ privo di attrattiva il piano di risanamento attestato e "riservato" ex art 67. Solo la protezione – peraltro eventuale – da revocatorie (ancora… depotenziate, rispetto alla precedente legge).

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