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Ricette sbagliate: più spesa in Germania

Sono in molti ad accusare la Germania per la sua politica fiscale prudente, che finirebbe per aggravare la crisi. La cui soluzione sarebbe invece in un’espansione della spesa pubblica tedesca. Ma si tratta di una ricetta sbagliata, frutto di un keynesianismo datato. E’ un’illusione credere che un 5 per cento sul Pil di deficit di bilancio in Germania basti per risolvere i problemi di crescita dell’Europa. Che dipendono piuttosto dalle rigidità sul lato dell’offerta, soprattutto nei paesi oggi più in difficoltà.

 

In Europa trova molti consensi la seguente spiegazione dei mali europei. Dopo lo shock della riunificazione, la Germania ha cercato di rafforzare la sua competitività in vari modi. La ricetta si è rivelata di grande successo, trasformando il “malato d’’Europa” in una economia fortemente competitiva. Ma da questa politica sarebbe conseguito uno squilibrio con il resto d’’Europa perché il surplus di parte corrente della Germania trova il suo rovescio, tra l’’altro, nei deficit di parte corrente dei paesi dell’’Europa meridionale e in particolare di Spagna, Portogallo e Grecia.
La situazione non ha suscitato particolari preoccupazioni (o almeno non erano in molti a lamentarsene) fino alla crisi finanziaria. Ora però la recessione e i pacchetti di stimolo hanno fatto crescere disavanzi e debiti pubblici in tutta Europa, e in particolare nella parte più vulnerabile dell’’Eurozona, l’’Europa del Sud.  Di conseguenza praticamente tutti concordano sul fatto che i paesi del Sud Europa (e l’’Irlanda) non abbiano altra alternativa che l’’adozione di una forte austerità fiscale, qualunque ne sia il costo.
Ma ciò significa che nella situazione attuale questi stessi paesi sono colpiti da due shock negativi sulla domanda
–         la politica deflazionistica della Germania
–         e la loro stessa austerità fiscale.
Secondo l’’opinione in voga, questo impone alla Germania una doppia responsabilità: dovrebbe ridurre il suo vantaggio competitivo e stimolare i consumi in quanto è l’’unica possibile fonte di domanda in Europa.
Nel brevissimo periodo, entrambi gli obiettivi possono (e debbono) essere raggiunti, secondo l’’opinione comune, attraverso l’’unico strumento che i politici tedeschi hanno a disposizione: una politica fiscale espansiva, forse accompagnata da una dose di inflazione.

UN PUNTO DI VISTA SBAGLIATO

Si tratta di un punto di vista sostenuto da molti economisti e commentatori in Europa. È anche il punto di vista ufficioso dell’’amministrazione americana espresso nella lettera privata inviata dal segretario al Tesoro ai colleghi del G20 nell’’ultimo vertice.
Noi invece riteniamo che diagnosi e cura proposta siano sbagliate. Ovviamente, la bilancia dei pagamenti correnti a livello mondiale è sempre in pareggio, quindi il surplus tedesco deve apparire altrove come deficit. Ma è colpa della Germania se è diventata più competitiva? Ed è ragionevole chiedere alla Germania di sopportare il peso di un paese come la Spagna che ha fondato la sua crescita economica degli ultimi quindici anni sull’’edilizia, il settore per definizione non-competitivo? Oppure quello di un paese come la Grecia, che fissa l’’età della pensione a 53 anni, falsifica i bilanci e così via? Inoltre, la politica fiscale tedesca non è stata particolarmente restrittiva, i suoi miglioramenti di competitività derivano da altri fattori, come le riforme del mercato del lavoro, certo limitate e timide, ma pur sempre riforme.

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ANCHE LA CURA È SBAGLIATA E INATTUABILE

A livello normativo, se in questo momento i mercati temono soprattutto il debito pubblico, non si capisce perché quegli stessi mercati dovrebbero accogliere con favore un incremento nell’’offerta di debito da parte del paese che vedono come l’’ultimo baluardo della disciplina fiscale e monetaria, quando in questo momento quello che più temono è proprio il debito pubblico. Il pericolo maggiore e più immediato oggi sono i timori dei mercati legati all’’eccesso di debito in Europa: come un aumento del debito tedesco possa aiutare a mitigare queste paure, non ci è chiaro.
Tanto più che l’’effetto immediato di un aumento dell’’offerta di debito sarebbe solo indirettamente e parzialmente compensato dalla crescita di altri paesi: una espansione fiscale di dimensioni realistiche in Germania non potrebbe comunque risollevare l’’Europa dalla sua crisi e stimolare significativamente la crescita. Affermare una simile ipotesi significa credere in moltiplicatori della spesa pubblica di dimensioni irragionevolmente ampie.
La teoria, e in parte l’’evidenza empirica, confermano invece l’’idea che il moltiplicatore sia piccolo se non addirittura negativo, anche se ammettiamo che su questo punto c’’è molta incertezza. Ma moltiplicatori fiscali keynesiani di ampie dimensioni, come quelli così popolari negli anni Sessanta, oggi sono difficili da difendere sia sul piano teorico che su quello empirico. E se questo è vero per i moltiplicatori interni, quelli internazionali sono ancora più piccoli.

LA CURA È POLITICAMENTE IMPROPONIBIBILE

L’’idea che la Germania debba farsi carico dell’’Europa e internalizzare tutte le esternalità positive che ne possono derivare (assumendo che ne esistano) è una sfida al realismo politico. Chiedere a un governo di far propri gli interessi di un piccolo e lontano paese significa cacciarsi in un vicolo cieco politico, specialmente in tempi di crisi finanziaria.
Chi sostiene questa sorta di altruismo ammanta spesso i suoi argomenti nel velo del “così facendo, la Germania rafforzerebbe il suo interesse di lungo periodo”. Forse, ma non è per niente chiaro perché l’’interesse di lungo periodo della Germania debba comprendere il salvataggio della Grecia o della Spagna. E anche se così fosse, ciò richiederebbe una lungimiranza che nessun governo eletto in genere ha, che sia tedesco o di un altro paese. Sentire i leader dell’’Europa meridionale che accusano i leader tedeschi di miopia è un po’’ paradossale!
Il vincolo alla crescita dell’’Europa non è la politica fiscale della Germania. Sono le rigidità sul lato dell’’offerta che imbrigliano le economie nazionali europee, e in particolare quelle dei paesi dell’Europa del Sud. Fossilizzarsi sul lato della domanda è semplicemente sbagliato,– una sorta di keynesianismo datato ed eccessivamente semplificato. Forse, le riforme sul lato dell’’offerta sono impossibili, ma non prendiamoci in giro illudendoci che un deficit di bilancio tedesco del 5 per cento invece che del 3 per cento sul Pil sia sufficiente per portare l’’Europa fuori da una situazione difficile.

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Discussioni accademiche

26 commenti

  1. Marco

    Fa piacere sentire queste due voci.

  2. alberto ferrari

    Da non economista pongo una domanda banale: la Germania ha aumentato nel 2008 la sua esportazione verso i paesi europei dal 24 al 27%. Per esportare anche in Grecia e sostenere così i prodotti tedeschi, lo Stato tedesco fa comperare dalle proprie banche il debito greco, anche perchè i tedeschi, per una politica interna un po’ restrittiva, non spendono molto e comperano così anche pochi prodotti greci. Come risolvere il problema? 1) Lasciare andare in default la Grecia e penalizzare così le proprie esportazioni (autosuicidio); 2) continuare a comperare debito greco sapendo che è carta quasi straccia; 3) consentre ai propri cittadini di spendere un po’ di più in cose non proprio essenziali come parte dei prodotti greci? Ovviamente io non ho la risposta, ma solo la domanda.

  3. Roberto Boschi

    Condivido con gli autori che non si può chiedere a un Paese di farsi carico dei problemi degli altri che "non hanno fatto pulizia in casa propria", però, quando c’era da "prendere il buono" la Germania lo ha fatto, eccome se l’ha fatto! La creazione dell’Euro ha dato la spinta decisiva a risolvere i problemi dell’unificazione delle due Germanie, scaricando su un mercato comune di 200 milioni di abitanti aggiuntivi le proprie merci, ora più competitive grazie al cambio fisso. Forse, se i tedeschi vogliono che la pacchia, per le loro industrie, continui, qualche elemento sui consumi interni potrebbero provare a mettercelo, o no? Chiedo ai due autori, che leggo sempre con grande interesse, nonostante la loro "preconcetta" avversione a tutto ciò che sa di keynesiano, perchè di questa parte della medaglia non c’è traccia nell’articolo. Grazie.

  4. Stefano Cardini

    Vorrei segnalare, se non è già stato fatto, un punto di vista diametralmente opposto a quello espresso da Alesina e Perotti, ma suppongo non meno autorevole. Basta navigare su questo sito. Sarebbe interessante vedere discussa in modo approfondito la posizione espressa nella lettera dagli economisti de Lavoce.info.

  5. Riccardo Colombo

    Non sono un esperto di economia ma cerco di seguire il dibattito in corso per chiarimi le idee. Ritengo che l’intervento di Alesina e di Perotti non aiutano in questo senso, in quanto sono ricchi di enunciati, dati per vero, ma non dimostrati. Innanzitutto nessuno chiede alla Germania di aumentare la spesa pubblica, ma si riflette sul fatto che una politica tutta rivolta alle esportazioni, di cui mi sembra il 40% rivolto agli altri paesi europei, non aiuta la coesione all’interno dell’Unione Europea. Non esiste solo la spesa pubblica, ma ci sono anche le politiche fiscali, le relazioni industriali, le politiche industriali ecc. Vorrei ricordare che le politiche mercantilistiche hanno condotto al primo conflitto mondiale. Dire, poi, che la spesa pubblica ha un moltiplicatore piccolo se non negativo mi sembra che sia un affermazione non dimostrata come quella di chi pensa che un aumento della spesa pubblica porti con sé, per forza, una crescita significativa della domanda.

  6. giuseppealfano

    L’articolo non convince per il pregiudizio antiKeynesiano. Questo filone economico iperliberista, al quale la sinistra europea è stata sollecitata ad aderire, porterà prima o poi a una nuova guerra mondiale o a rivoluzioni diffuse un pò ovunque nel mondo. Dopo tutto Marx non è morto come dicono!

  7. Pasquale Cascella

    E’ proprio vero: l’offerta crea la propria domanda. Aspettiamo che il Dio mercato faccia il suo lavoro invisibile: tutto ritornerà in equilibrio. La crisi passerà quando si attueranno quei meccanismi di selezione naturale per cui spariranno gli operatori che non sono degni di stare sul mercato. Speriamo che ciò avvenga senza traumi sociali, anche per chi, come i tedeschi e chi come loro, in generale non soffrono per questa crisi. Anzi trovano un’opportunità per affermare alcuni dogmi (Marchionne e i santoni sono abbastanza esperti).

  8. Andrea G

    Ma come si fa a dire che la politica economica della Germania non è deflazionistica? Una manovra di 80 miliardi di euro fino al 2014 come dovrebbe essere recepita dal mercato? Penso che misure di questo genere non facciano altro che rafforzare le aspettative degli speculatori e li giustifichino nel loro assalto alla diligenza. Quanto poi all’inefficacia dei moltiplicatori c’è da rimanere stupiti da queste tesi, a parte che gli stessi autori riconoscono la difficoltà di calcolarne l’entità e l’impatto. In un panorama internazionale dominato dalla irrazionalità e da aspettative negative, quello che più conta non sono tanto i fondamentali reali delle economie quanto per l’appunto le aspettative stesse e gli annunci dei governi. La Germania poi fa male a pensare solo a se stessa per la semplice ragione che non è nel suo interesse: se Grecia e altri falliscono e l’euro affonda (cosa impossibile) la Germania stessa, e non solo, seguirebbe la loro sorte. Infine, per le critiche al keynesismo, magari saltasse fuori un altro Keynes, si sente proprio la necessità di una faro che indichi rotte originali più che la solita minestra riscaldata da ormai quarant’anni.

  9. Agostino De Zulian

    Sostengo da tempo che fu necessaria la II Guerra mondiale e non le teorie di Keynes a riportare crescita e occupazione stabile dopo la crisi del 1929. L’attuale crisi, generata dalla "corsa al mattone" che ha trascinato con sé nel corso degli anni, in crescita, il livello dei prezzi di mercato rendendo nel contempo povera molta gente, dal mio punto di vista si debba combatterla con una politica deflazionistica e disincentivante rivolta soprattutto proprio verso il mattone al fine di liberare risorse per investimenti e sviluppo in altri settori. Oggi a livello della nostra patria Italia ritengo che se, detto solo a livello economico-figurativo, l’On. Bersani "buttasse a mare" il suo sigaro e le idee di Keynes allora si potrebbe dimostrare che ora l’On. Tremonti non ha nulla, "è nudo". Solo con queste linee "figurative" di pensiero, ritengo si potrebbe invertire le tendenze della decrescita dell’Italia dall’ultimo biennio e distaccarsi dalla misera crescita italiana dell’ultimo trentennio accompagnata solo dal crescente debito pubblico.

  10. Luigi Spaventa

    Va bene: non si deve chiedere alla Germania di fare una politica fiscale espansiva. Ne segue anche che va approvata una politica restrittiva, in vista di un quasi pareggio del bilancio, trattandosi di un paese con un avanzo corrente (rispetto al suo Pil) quasi pari a quello della Cina? Perché di ciò si discute.

  11. Giovanni

    Invece di una stretta alla spesa pubblica che determina una contrazione della domanda interna sarebbe forse opportuno un aumento graduale dei tassi di interesse in modo da rafforzare la moneta unica e redistribuire ricchezza in termini di maggiore potere d’acquisto sul lato della domanda e nello stesso tempo "smorzare" la speculazione sui titoli obbligazionari dei Paesi dell’UE.

  12. mirco

    Io sono convinto che la vera riforma sia non solo una vera integrazione economica europea attarverso un unico governo dell’economia, del fisco e della emissione di eurobond, ma anche un vero rafforzamento dello stato sociale europeo e della coesione sociale attarverso la massima efficienza del funzionamento della cosa pubblica. In sostanza: le destre europee devono smetterla di tentare la distruzione e la compressione dei diritti sociali e convincersi che il futuro dell’europa non è nella sola liberalizzazione dei capitali senza regole, mentre le sinistre europee devono capire che la spesa pubblica non significa spepero di danaro ma efficienza del servizio pubblico.

  13. PDC

    Sottoscrivo la tesi principale ed aggiungo: visto che complessivamente l’Eurozona ha un deficit e non un surplus nel suo commercio estero, in che senso diminuire la competitività della Germania potrebbe essere una buona idea? La visione secondo la quale i problemi dell’Eurozona nascono dall’indebolimento reciproco causato dall’esistenza stessa dell’Eurozona, e vanno risolti indebolendo ulteriormente chi fa meglio laddove fa meglio, piace moltissimo nell’area UK-US… chissà perché?

  14. Jan Ullrich

    Concordo con il fatto che la soluzione per tutti i mali dell’Europa non possa e non debba provenire dalla politica fiscale tedesca. Nel breve termine, però, è innegabile che uno stimolo fiscale di Berlino potrebbe alleviare le sofferenze, appesantite dalla crisi, di alcuni paesi europei, in attesa di riscrivere le norme in tema di responsabilità di bilancio degli Stati e default a livello europeo che eviterebbero una seconda Grecia o un’eventuale Spagna. A più lungo termine, concordo che l’obiettivo principale sia quello di riformare e modernizzare le strutture produttive di tutte le economie europee. Per questo, un coordinamento delle politiche fiscali sarebbe necessario, cosa alla quale nemmeno Berlino potrebbe sottrarsi.

  15. Riccardo Fabiani

    Non capisco perche’ ci si debba concentrare esclusivamente su un lato del problema; mi pare che gli autori cadano nello stesso errore. Se per quanto riguarda i global imbalances si dice che la Cina deve ridurre il tasso di risparmio e aumentare la domanda interna; se si dice che i global imbalances sono stati uno delle ragioni della recente crisi e sono insostenibili sul lungo periodo; perche’ allora nell’eurozona ci si dovrebbe solo concentrare sulla competitivita’ dei PIIGS e non anche sull’insostenibile politica economica tedesca? Perche’ un deficit di bilancia dei pagamenti attorno al 4-5% del PIL e’ insostenibile e un surplus equivalente no? E’ chiaro che la soluzione passa per piu’ cooperazione economica internazionale (e all’interno dell’eurozona), oltre che per le ricette deflazionistiche e di rilancio della competitivita’ dei paesi indebitati. Altrimenti riproponiamo una logica beggar-thy-neighbour che ci portera’ ad ulteriori squilibri nel lungo periodo, oltre a limitare le opzioni di politica economica (perche’ il sottinteso e’ che nel lungo periodo ci sono solo scelte obbligate…).

  16. francesco

    Trovo la posizione di Alesina e Perotti viziata da una pregiudiziale anti-keynesiana che impedisce l’avvio di una discussione seria sui problemi che abbiamo di fronte. Suggerirei a lavoce.info di misurarsi approfonditamente con il documento http://www.letteradeglieconomisti.it di cui si è dato conto sul Sole 24 Ore, sui media e su altre testate nazionali. Cordialmente

  17. francesco scacciati

    Di datato ci sono solo le ricette neo-liberiste che hanno combinato una serie di disastri che sono davanti agli occhi di tutti. Senza l’intervento pubblico a quest’ora saremmo a -25% di PIL, come negli anni 30, quando non avevano da tirar fuori dal cassetto le ricette giuste. Per fortuna (loro, ma anche nostra) negli USA hanno cacciato tutti quelli che avevano sostenuto le meraviglie de "i mercati" sostituendoli con quelli che sanno cosa fare in recessione. Sarebbe ora lo si facesse anche in Europa.

  18. Marcello Battini

    Non amo aderire a priori ad una corrente di pensiero. Preferisco un atteggiamento più attento alla realtà, così come si presenta. Se la Germania ha condotto una politica di successo, non possiamo rimproverala per questo, al contrario dobbiamo studiare il caso e cercare di fare ancora meglio. Se la Germania ha un avanzo di bilancio, perchè non consentirle d’effettuare degli investimenti strutturali, opportunamente retribuiti, in altri paesi che mancano di soldi e di strutture? Quanto agli altri paesi europei, a cominciare dai piigs, dovrebbero spendere meno di quanto producono per cominciare a pagare i loro debiti. Non è una tragedia sociale. L’importante è tagliare gli sprechi, le speculazioni fondiarie e le spese improduttive che sono molte. C’è l’imbarazzo della scelta. Sfortuna vuole che iniziative del genere sono molto impopolari. Allora? La guerra che qualcuno paventa potrebbe essere meno lontana di quanto si pensi, ma non a causa di politiche economiche mercantiliste.

  19. Alessandro Sciamarelli

    Come lettore de lavoce.info e di ‘cose economiche’, stimo molto i due autori. Ritengo però, al pari di altri commenti, che il loro articolo contenga sì spunti condivisibili ma commetta anche il peccatuccio di un eccesso di ideologismo che non fa loro onore. Vero è che la competitività europea non è solo un problema di domanda, ma soprattutto di offerta (eccome, soprattutto in Italia). Benissimo. Vero è anche che ‘keynesianismo datato’ significa credere che un disavanzo di bilancio del 5% del Pil generi funzioni automaticamente da moltiplicatore miracoloso. Ma dire che la Germania debba e possa fare di più per stimolare la domanda interna e ‘trainare’ la ripresa, potendolo fare dato il suo surplus commerciale, non mi pare scandaloso. D’accordo, l’economia mondiale ha vissuto la peggiore recessione dal dopoguerra per via delle bolle immobiliari e finanziarie che hanno permesso ai vari US, UK, irlanda & co. di vivere al di sopra dei propri mezzi, mentre la Germania ha ‘virtuosamente’ seguito l’opposto. Ma anche il suo avanzo commerciale, in un momento simile, è uno ‘squilibrio’, dunque anch’essa può perseguire il suo aggiustamento. Con stima (PS Keynes era comunque immenso).

  20. Giuseppe Caffo

    Complimenti agli autori per l’analisi lucida realistica e piena di buon senso. La crisi attuale trova le radici in un eccessivo indebitamento: delle banche, delle famiglie, degli stati. Come descritto da Morya Longo in un pregevole articolo del 15-5-10 sul Sole24ore il debito totale dell’area euro è salito nel 2009 al 300% del PIL, circa 40 mila miliardi. Come si possa pensare di uscire dall’attuale drammatica situazione con nuovi debiti è per me un mistero. I governi europei di destra e di sinistra, oltre a quello giapponese, hanno ben capito che la priorità urgente e assoluta è ridurre l’insostenibile peso dei suddetti debiti. Quello USA attende per motivi di consenso le elezioni di novembre. Politiche keynesiane al punto in cui siamo sarebbero tragicamente disastrose.

  21. Roberto Arnaldo

    concordo con la critica alla teoria keynesiana, anche se a dire il vero, il problema principale é stata la sua applicazione sbagliata: visto che i politici, hanno preso a pretesto la teoria di Keynes per spendere piu’ di quello che si incassava incessantemente per tutti gli anni e questo ha portato alla creazione di un debito pubblico colossale, con relativo pagamento di circa 70 miliardi di interessi all’anno. In realtà la tesi keynesiana parlava di uso del deficit solo nei periodo di bassa domanda: questi deficit e debito, pero’, si sarebbero dovuti far rientrare negli anni subito seguenti di crescita, comportando quindi un debito nell’intero ciclo a zero e una compensazione tra i deficit nei momenti di crisi con avanzi nei momenti di crescita. Detto cio’, pero’, credo sarebbe comunque stato meglio sempre mantenere un pareggio di bilancio e rendere neutra la politica di bilancio dei vari stati, non applicando ricette keynesiane ai bilanci statali.

  22. paolo dl

    Non si capisce dove sia nascosto tutto questo potere d’acquisto capace di assorbire la produzione che secondo gli autori sarebbe possibile ottenere riducendo queste strozzatture che bloccano l’offerta. ah già, dimenticavo il dogma dell’offerta crea la sua domanda. come no, l’abbiamo appena visto in questi ultimi anni (per non parlare di quanto è avvenuto negli ultimi 200 anni). ma non era l’offerta di beni e servizi a creare domanda, semmai quella di credito a buon mercato. e si sa come è andata finire.

  23. Leo

    Vorrei solo ricordare a chi attacca Keynes e le applicazioni delle sue teorie che l’esplosione dei deficit e dei debiti occidentali è avvenuta durante gli anni 80 sotto la guida di ideologie economiche neoliberiste. E non, come si potrebbe supporre, negli anni 50 e 60 in cui anche le destre erano "soggiogate" al verbo keynesiano. Grazie a questi signori di Chicago il debito pubblico USA è triplicato (contiamo sino al giorno di inaugurazione di Obama) e il nostro e’ passato dal 50% al 120% del pil. Comunque il limite dell’articolo è che critica senza fare alcuna proposta, ma forse questo è un bene visti i risultati che i falsi liberisti hanno ottenuto con le loro pseudo religioni. Temo che nulla ripartirà senza un deciso sgonfiamento di alcuni prezzi interni, in primis quelli immobiliari, che tra l’altro tengono bloccate enormi quantità di capitale improduttivo. E con inflazione all’1% questa operazione sarà lunga e dolorosa. Se poi ci mettiamo il carattere recessivo delle manovre, avremo raggiunto l’invidiabile risultato di avere meno crescita e più deficit. La ripresa arriverà prima o poi, ma nonostante i nostri ottusi governanti, non certo grazie a loro.

  24. Carlo Pardini

    Trovo francamente offensivo per l’intelligenza di tutti che si levino critiche verso politiche espansive della domanda quando sono proprio le ricette liberiste la causa prima dell’attuale crisi. L’aspetto più irritante riguarda l’implicito ideologismo dei liberisti, i qualli volutamente ignorano il crescente squilibrio nelle capacità di spesa a favore delle classi più ricche, con conseguente contrazione della domanda a vantaggio del capitale e delle rendite improduttive.

  25. Tommaso

    Finalmente una voce sensata. Meno male che in Europa c’e’ la Germania che produce..

  26. Sergio Polini

    Ho il sospetto che Alesina e Perotti non seguano con attenzione i lavori delle istituzioni europee. La necessità di una maggiore domanda interna in Germania è stata espressamente sottolineata sia dalla Commissione Europea (ad esempio, Quarterly report on the euro area, 2010, vol. 9, n. 1), sia dai ministri finanziari europei: «But action is also needed in Member States that have accumulated large current-account surpluses. In these countries, policies should aim to identify and implement structural reforms that help in strengthening domestic demand». Secondo Alesina e Perotti l’Europa sarebbe governata da istituzioni affette da “keynesismo datato”? Se fosse una battuta potrebbe anche andare… Non basta. Nell’ottobre del 2010 un working paper a firma Berger e Nitsch (The Euro’s Effect on Trade Imbalances) ha detto chiaro – ragionando sui dati, non sulle ideologie – che la “imbalances” europee sono dovute a tassi di inflazione diversi, cioè alla deflazione tedesca. “Keynesista datato” anche l’IMF? Per favore…

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