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Note su un accordo singolare

La cosa che più colpisce dell’’accordo di Pomigliano è già evidente nelle righe che precedono il testo. Si dichiara che ciò che di seguito viene definita “ipotesi di accordo” altro non è che un  “documento conclusivo” presentato dalla Fiat l’’8 giugno 2010, a cui si aggiunge un punto 16, per nulla irrilevante. Il testo consiste in realtà in una dichiarazione unilaterale della azienda, travestita poi da accordo negoziale. Un caso davvero unico. E’’ difficile infatti rintracciare una qualche natura “contrattuale” del documento. Esso assomiglia piuttosto a un regolamento aziendale, sottoscritto per accettazione.
Si tratta di un regolamento duro: 24 ore di produzione continua, 18 turni settimanali, compreso il sabato notte, lavoro straordinario per almeno 80 ore direttamente esigibile dall’’azienda, riduzione delle pause di lavoro. Qualcuno si ricorda di quel magnifico racconto di Calvino sugli “amori difficili”, in cui si narra della situazione di quei due coniugi che non si incontravano mai, perché una addetta al turno di giorno e l’’altro al turno di notte? E poi ci raccontano la favola del postfordismo!
Fin qui si può dire che siamo di fronte a una disciplina severa delle condizioni di lavoro. Necessaria per garantire l’’investimento aziendale, la ri-localizzazione  (a proposito, chissà cosa ne dicono in Polonia , che pure è un paese della Unione Europea?), l’’occupazione, specie in un’’area critica come quella campana. Farne un modello delle relazioni industriali per il futuro mi pare non solo improprio, ma deprimente. Per salvaguardare la loro occupazione i lavoratori accetteranno probabilmente questo regolamento votando in maggioranza sì al referendum del 22 giugno, di cui è davvero difficile dire che si tratti di una libera e democratica espressione di voto. Ma una cosa sono i sacrifici su materie disponibili, di origine contrattuale. Altra cosa sono le rinunce a discipline inderogabili di legge.
Questo problema si pone, in particolare, su due temi: i trattamenti economici di malattia e la clausola di tregua.

LE MISURE CONTRO L’ASSENTEISMO

In tema di trattamento economico di malattia si prevede che “nel caso in cui la percentuale sia significativamente superiore alla media l’’azienda non corrisponda i trattamenti economici contrattualmente dovuti”. E’ noto che il cosiddetto periodo di carenza (il mancato pagamento dei primi tre giorni di malattia per gli operai) fu superato dai contratti nazionali di lavoro dei primi anni Settanta, quando il trattamento degli operai fu parificato a quello degli impiegati. Nel caso siamo di fronte a una deroga da parte del contratto aziendale alla normativa prevista dal contratto nazionale di lavoro
Il punto critico qui non sta nella violazione di disposizioni di legge, quanto piuttosto nella lesione di principi elementari di uguaglianza e di ragionevolezza. Infatti per colpa dell’’abuso (eventuale) di qualcuno si spara nel mucchio. Il vero ammalato è equiparato all’’assenteista o, come ha osservato l’’amministratore delegato della Fiat, all’’appassionato di calcio. Non a caso si prevede poi la costituzione di una commissione paritetica “per esaminare i casi di particolare criticità a cui non applicare quanto previsto”.

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LA CLAUSOLA DI TREGUA

La questione più rilevante riguarda il tema del vincolo per i singoli della c.d. “clausola di responsabilità”, che più tecnicamente si definisce come “clausola di tregua”, di cui al punto 14. Tale clausola prevede robuste sanzioni a carico dei sindacati stipulanti in caso di “mancato rispetto degli impegni assunti”, ovvero di “comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate”, in termini di revoca dei contributi e dei permessi sindacali a vario titolo. Tale clausola, tipica della parte obbligatoria del contratto collettivo, nella logica del testo in esame, è del tutto legittima. Il punto critico consiste nella pretesa di trasformare questi obblighi a carico dei sindacati stipulanti in vincoli sul piano dei rapporti individuali di lavoro. Ciò è quanto viene stabilito dal punto 15 del testo, rubricato “clausole integrative del contratto individuale di lavoro”. Ritengo che tale clausola sia illegittima, per molte ragioni, e che essa non potrà essere sanata  neppure dall’’eventuale esito plebiscitario del sì nel referendum “coatto” del 22 giugno.
La prima ragione sta nel fatto che la dottrina giuslavorista italiana, non a caso, ha sempre distinto nei contratti collettivi una parte obbligatoria e una parte normativa. La prima riguarda gli impegni tra gli stipulanti, la seconda la regolazione dei rapporti individuali di lavoro. Questa costruzione classica (basti pensare a Gino Giugni e a Giorgio Ghezzi) va considerata intangibile, perché in sostanza costituzionalizzata: dal primo comma dell’’Art. 39 Cost., si badi, ancora prima che dall’’art. 40 Cost. Solo separando i due termini (impegni scambiati tra stipulanti-regolazione dei contratti individuali di lavoro), si resta infatti coerenti con il contenuto volutamente complesso che i costituenti hanno assegnato al primo comma dell’’art. 39 Cost. dove si dice che “l’’organizzazione sindacale è libera”. Con questa affermazione i costituenti hanno voluto garantire al tempo stesso la libertà sindacale positiva (diritto di iscriversi a un sindacato) e la libertà sindacale negativa (diritto di non iscriversi), introducendo così un antidoto verso la regressione a forme di corporativismo autoritario della rappresentanza sindacale. Perciò la pretesa di trasferire sui rapporti individuali di lavoro gli obblighi che i soggetti collettivi stipulano tra loro è incostituzionale in sé. Questa tendenza di stampo nettamente illiberale va contrastata.
Si aggiunga che la clausola in oggetto specifica che a seguito di questa innaturale ibridazione tra parte obbligatoria e parte normativa del contratto collettivo andrebbe definita come infrazione disciplinare, fino al licenziamento, “la violazione da parte del singolo lavoratore”.
Gli stipulanti si sono resi conto della enormità di quanto andavano sottoscrivendo. Infatti nella stesura finale del testo è stato aggiunto un punto 16, che non compariva nel “documento conclusivo” della Fiat, in cui si attribuiscono varie funzioni compensative a una “commissione paritetica di conciliazione”. Verrebbe da dire che la toppa è peggiore del buco, è una sorta di excusatio non petita.
La clausola in oggetto è dunque sicuramente illegittima. Proviamo a spiegarlo con una simulazione. Immaginiamo che tra qualche anno alla Fiat di Pomigliano  un gruppo di lavoratori decida di fare uno sciopero spontaneo contro i ritmi eccessivi di lavoro. Secondo il testo in esame quei lavoratori sarebbero passibili di provvedimenti disciplinari fino al licenziamento. Questo non è possibile, finché la Costituzione repubblicana resterà in vigore. Infatti l’’art 40 Cost., per il quale “il diritto di sciopero si esercita nell’’ambito delle leggi che lo regolano” è stato interpretato (uno per tutti: Piero Calamandrei) nel senso che lo sciopero è un diritto individuale ad esercizio collettivo. Nessuna legge, e tanto meno un contratto, può abrogare il diritto di sciopero in capo ai singoli lavoratori. La legge può limitare solo le modalità di esercizio dello sciopero, come è avvenuto nel settore dei servizi pubblici essenziali, appunto con una legge.
Per parafrasare, in un contesto del tutto diverso, una celebre formula di Federico Mancini, si può concludere dicendo che “la contrattazione può molto, ma non tutto”. Certo non è possibile che con un regolamento aziendale, travestito da contratto collettivo, si cambi la Costituzione.

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17 commenti

  1. Luigi Calabrone

    Eleganti le argomentazioni giuridiche qui esposte. Ma ho concluso che siamo a Bisanzio, se, per consentire un investimento proficuo a Pomigliano, Italia, occorre violare la legge e la Costituzione. Meglio non violare la legge e lasciare che la nuova Panda la costruiscano in Polonia, dove hanno il buon senso, che in Italia è stato sostituito dal Diritto. Se qualche anno fa la Fiat aveva le stesse dimensioni della Volkswagen, ed oggi non ne raggiunge la metà, vuol dire che in questo paese in cui la legislazione del lavoro è così ben fatta, purtroppo non si possono gestire (tra l’altro) la fabbriche di automobili. Infatti, l’Italia è in coda ai paesi che attraggono investimenti esteri. Vorrà dire che a Pomigliano continueranno a gestire le attività tradizionali, che riescono benissimo e non creano nessun problema, come ben documentato da Saviano nel suo libro. In Italia – come già rilevato in questo sito – vale il principio: "pereat mundus, fiat jus". Il Diritto non è al servizio dell’uomo, ma viceversa. Poi la realtà va per conto suo, e lo Stato non è in grado di garantire l’ordine pubblico in almeno quattro regioni. Intanto i fini giuristi insegnano il Diritto romano ai Cinesi.

  2. carlo turco

    Nonostante l’autorevolezza indiscussa degli autori citati mi riesce difficile riconoscere la fondatezza di un diritto di sciopero come diritto individuale. All’estremo questo potrebbe voler dire che io decido di mettermi in sciopero da solo senza che l’azienda possa far altro che non corrispondermi la retribuzione, o che possano di tanto in tanto costituirsi sigle sindacali transitorie e di comodo che abbiano titolo a indire scioperi di pochi lavoratori. L’interpretazione della Costituzione non può essere qualcosa di cui chiunque possa dichiararsi legittimo interprete forzando l’interpretazione fuori di qualsiasi contesto. E, d’altra parte, sussiste sempre la questione della mancata attuazione della Costituzione per quel che riguarda le rappresentanze sindacali.

  3. mr

    Complimenti all’autore: nota chiarissima, condivido parola per parola. Detto questo, siamo comunque nei guai e lo sono soprattutto gli operai di Pomigliano. A proposito: ma Pomigliano non era stata ristrutturata poco tempo fa – come altri impianti del gruppo Fiat – per diventare una fabbrica modello secondo l’approccio del WCM-World Class Manufactoring? Secondo la filosofia del WCM l’eccellenza, la produttività e la qualità totale dovrebbero venire da una maggiore con-partecipazione e responsabilità di tutti i livelli aziendali e non da regolamenti "capestro" per gli operai: sembra che li si voglia prendere al laccio del ricatto occupazionale. Ci stiamo avviando a situazioni pre-sindacali? Sono molto preoccupato…

  4. Disperato

    Come sempre, hanno tutti ragione. La logica (e la scienza da cui promana) di Mariucci è ineccepibile, così come il commento di segno opposto di un lettore. Quindi? Quindi la soluzione sarebbe che dove ci sono leggi "vecchie" si cambiano, siano esse costituzionali, ordinarie, attuative ecc… per disegnare un nuovo quadro nel quale poter agire modi del lavoro moderni e competitivi. Nessun imprenditore sano di mente vorrebbe investire in uno stabilimento come è il GBVico di oggi, ma nessun imprenditore sano di mente dovrebbe trovarsi nella condizione di superare le leggi per poterlo fare. Per farlo serve ovviamente la Politica: dov’è?

  5. Ermanno Tarozzi

    Condivido le osservazioni di Luigi Mariucci. Mi pongo un quesito: perchè affidare solo alla costruzione delle auto lo sviluppo del Paese? Perchè non favorire altri settori? Ermanno Tarozzi

  6. piero carlucci

    ..nel coro stonato, quasi unanime, una voce autorevole che si distingue. Era impressionante notare l’incapacità dei più di leggere l’enormità di quanto proposto da Marchionne, pur in un contesto così complesso e contradditorio quale quello di Pomigliano. Ivi incluso Pietro Ichino che tanti importanti contributi ha dato e continua a dare al dibattitto.

  7. Michele

    Tra le tante cose non fatte negli ultimi 10 anni bisognerà aggiungere anche la mancata regolamentazione del diritto di sciopero (nel settore privato) e della rappresentanza sindacale che possano coniugare una vera democrazia sindacale e le esigenze di produttività aziendale. Temo che la supplenza privata in questa materia non dia buoni risultati.

  8. sandro

    La Costituzione Europea riconosce di nuovo lo sciopero come diritto individuale ad esercizio collettivo, titolo IV, art. II-28-diritto di negoziazione e azioni collettive. Viene ribadito che è diritto dei lavoratori, oltrechè delle loro organizzazioni, in nessun altro punto è menzionata la parola "sciopero".

  9. luigi del monte

    L’autore dice che è un accordo duro dal punto di vista della manodopera operaia, giusto. Ma è la metalmeccanica! Mia madre, per esempio, lavora in una fabbrica che produce caschi e fa anche la notte, ha 80 ore di straordinario non pagato ma con i compensativi (in questo periodo non c’è nè bisogno, ma nel 2003 quando hanno reso obbligatorio l’uso del casco sui motocicli sì) cosa deve dire? Gli infermieri che fanno i turni anche di notte? Pensate al reparto di terapia intensiva. Pensate agli operai della siderurgia!

  10. paolo rosa

    La Fiat ha imposto il rispetto di due regole fondamentali in tema di malattia e di sciopero. Su tali principi una cultura sindacale miope ha agevolato storture e abusi. Non è un problema di destra o di sinistra ma di rispetto delle regole. Cosi’ come in materia di produttività si è privilegiata la ricaduta a pioggia violando il parametro tra corrispettività e produttività. Non è una stagione nera per il diritto sindacale che sta recuperando un ruolo determinante, Fiom a parte.

  11. maria carla

    Se la Fiat spinge tanto per tenersi Pomigliano (a queste condizioni) non è per "dare una mano all’ Italia". La produttività nel nostro Mezzogiorno è sempre più alta che in Polonia – per non parlare della Cina – dove gli operai tra l’ altro cominciano ad alzare la testa e chiedere maggiori garanzie. Qui invece siamo alla deriva: la crisi, la corruzione, l’ ingresso selvaggio di tanti extracomunitari bisognosi, un clima che da anni glorifica l’ "imprenditore" e colpevolizza il lavoratore dipendente sempre e comunque fannullone, prendono per la gola chiunque a stipendio fisso sia oberato da un affitto o da un mutuo. La politica c’è, eccome: il Presidente imprenditore ha creato le condizioni perchè questo scivolamento verso il basso avvenisse, ed ora chi lo ha sostenuto e lo sostiene (nei fatti, non guardiamo cosa scrivono i giornali, ad uso del popolo) raccoglie i frutti. Quando anche gli imprenditori piccoli, i piccoli commercianti , si risveglieranno dalla sbornia del "fare impresa" e si accorgeranno che i lavoratori dipendenti – che sono ancora tanti e che li fanno campare – hanno finito anche quei pochi risparmi accantonati negli anni, temo ci sarà da temere per la pace sociale.

  12. donata gottardi

    Bravo Gigi. Nulla di bizantino nella tua nota. Lo scandalo è mettere i lavoratori di fronte a quella che non è un’alternativa. E’ una responsabilità di tutte e tre le sigle di categoria e confederali. Si doveva e si deve discutere di contenuti, partendo dall’ABC di questo martoriato diritto. Responsabilità e cultura del lavoro non si costruisce così. Malattia e sciopero sono i due punti considerati più controversi del testo. Ma avete letto la parte che riguarda i congedi? Dono grazioso valido solo per i tempi di vacche grasse!

  13. Maddalena Cenni

    Carissimo Gigi, anche io ho riletto da poco gli "amori difficili", incontri al cambio turno, lui di notte, lei di giorno. Ma Calvino quando ha scritto? Tanti tanti anni fa. Temo che molti ancora pensino che funzioni così, che le richieste di Pomigliano siano una novità. Vivo da 30 anni in abruzzo vicino alla val di sangro, Sevel-fiat-ducato. Insegnavo,venivano le mamme a parlare coi prof: occhiaie, stanchezza, da 10 anni facevano non i turni, ma solo e sempre il turno di notte, tornavano, colazione, figli a scuola, letto, pranzo, faccende, pulmann per il turno di notte. Poi gli interinali, ragazze come zombi nelle notti in fabbrica, contratti week end per studenti, lavoro 24 ore su 24, straordinario. Oggi i giovani tutti a casa. Siamo sicuri che siano le interpretazioni giuridiche ineccepibili anche se opposte tue, di Ichino, dei sindacalisti a dare forza ai lavoratori? Dovremmo affidare ai giudici la soluzione delle controversie? Abbiamo studiato e insegnato che le leggi devono servire a proteggere i deboli, e tante ne sono state approvate negli anni 60-70, ma oggi comincio a pensare che quelle leggi hanno protetto "i deboli" perchè i deboli non erano deboli, ma forti nelle fabbriche e nella società.

  14. alias

    Agli operai di Pomigliano, che si devono barcamenare tra arido realismo, e sentimento e princìpii (che però non li pagano), direi che il loro boss, quand’era presidente dell’Unione di Banche svizzere, almeno portò la lista degli americani con conti in Svizzera ad Obama, in cambio dell’o.k. all’ingresso di Fiat in Chrysler (a proposito, come gli sta andando?) C’è qualche idea in merito della nostra classe politica? qualche scudato fiscale potrebbe magari investire a Pomigliano, please? qualche ministro potrebbe dire qualcosa di sensato, magari non a sua insaputa, magari non velinato da Marcegaglia?

  15. Renza Bertuzzi

    Ringrazio anch’io Luigi Mariucci per aver chiarito i termini della questione soprattutto in relazione al diritto di sciopero, che Pietro Ichino aveva alquanto sportivamente liquidato. Quanto ai dubbi di chi paventa un "fare lavorativo" impedito dal Diritto, mi pare che- come scrive Ezio Mauro su " Repubblica" di oggi – " se si scambiano i diritti contro lavoro, salta la distinzione tra politica ed ecnonomia, cioè viene meno la sovranità democratica e istituzionale della politica". E coi tempi che corrono non pare davvero il caso….

  16. Francesco Masala

    Riporto un pezzo d’intervista di Marchionne il buono: …Dopo un discorso all’Unione Industriale di Torino nel quale lei ha sparato a palle incatenate sull’idea che il costo del lavoro possa essere la causa principale dei guai delle imprese, è diventato un’icona della sinistra bertinottiana e non solo: come spiega questa simpatia verso uno che si è sempre tenuto lontano dalla politica? "Mi sono limitato a dire quello che penso e che molti dovrebbero già sapere. E cioè che il costo del lavoro rappresenta il 7-8 per cento e dunque è inutile picchiare su chi sta alla linea di montaggio pensando di risolvere i problemi. Se avessi tagliato metà dei dipendenti, a parità di volumi, non avrei riportato Fiat Auto al pareggio. Quando si perdono 3 milioni di euro al giorno, come succedeva fino a due anni fa, e uno pensa che sia colpa degli operai vuol dire che ha saltato qualche ponte sulla sua strada. Questi sono metodi che forse possono andar bene nel sistema anglosassone, ma che da noi non funzionano"… da Repubblica di 4 anni fa mi sa che la butta in politica, adesso.

  17. Massimo Noli

    Ciò che colpisce di tutta questa vicenda è innanzitutto quello che è stato il metodo seguito: la ditta propone (o meglio impone) tutta una serie di ulteriori sacrifici (aumento delle ore di straordinario, riduzione del tempo delle pause, spostamento dell’ora di refezione a fine turno, limitazione del diritto di sciopero, ecc..) ai lavoratori con un testo non suscettibile di essere discusso, prendere o lasciare, senza dimostrarsi disponibile a discutere nel merito della questione con il sindacato, viene ovviamente da chiedersi come si possa parlare di accordo di Pomigliano. Nessun sindacalista avrebbe dovuto firmare quel testo. Come fa un sindacato che si dichiari tale, ad accettare questo metodo? Se si accetta che un’imprenditore importante come FIAT assuma un atteggiamento di questo tipo, imponendo un protocollo ai sindacati, senza sottoporlo ad una benchè minima analisi o valutazione preventiva – a questo punto siamo alla fine delle relazioni industriali e alla fine del sindacato.

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