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Cucina italiana, cuoco straniero

La quota di lavoratori con cittadinanza extra-europea nella ristorazione sale costantemente da circa dieci anni. Se dal punto di vista contrattuale non sembrano esserci differenze importanti, i salari di ingresso indicano possibili discriminazioni.

Uno sguardo in cucina

Al termine di una cena al ristorante a molti sarà capitato di gettare uno sguardo incuriosito all’interno della cucina per sbirciare il dietro le quinte della ristorazione nell’epoca di MasterChef e degli altri talent show a tema. Dentro quelle cucine però negli ultimi anni si è consumato un grande cambiamento. Non tanto dal punto di vista culinario, ma da quello del mercato del lavoro: l’aumento significativo di lavoratori con cittadinanza extra-europea.

I numeri delle Comunicazioni obbligatorie forniti dal ministero del Lavoro e rielaborati per questo articolo consentono di comprendere l’ordine di grandezza del fenomeno. La figura 1 mostra come si è evoluta nel tempo la percentuale di assunzioni di lavoratori con cittadinanza extra-europea per diverse professioni nel mondo della ristorazione.

Prendiamo per esempio gli addetti alla cucina, quelle figure che svolgono attività di supporto lavando le stoviglie, mantenendo pulite le attrezzature, predisponendo gli ingredienti. Nel 2014, il 41 per cento delle assunzioni in questa categoria riguardava lavoratori con cittadinanza extra-europea, mentre nel 2023 la percentuale è salita fino al 58 per cento, con una forte accelerazione negli anni post-Covid. Discorso simile vale per i cuochi: qui la percentuale è salita dal 23 al 34 per cento nello stesso intervallo di tempo. La crescita è stata invece più contenuta per quelle mansioni che prevedono un contatto diretto con la clientela, ovvero camerieri (dal 13 al 17 per cento) e baristi (dal 9 al 10 per cento).

Differenze nelle forme contrattuali

Per quanto riguarda le caratteristiche dei contratti di lavoro, il ricorso a quelli collettivi nazionali risulta omogeneo tra i due gruppi di individui: infatti i Ccnl Turismo-Confcommercio, Alberghi-Confcommercio e Turismo-Confesercenti sono utilizzati in oltre tre quarti delle assunzioni dal 2021 in poi, sia per chi ha cittadinanza italiana sia per chi ha cittadinanza extra-europea. Anche la percentuale di contratti non coperti da alcun Ccnl è molto simile in entrambi i gruppi, intorno al 2,5 per cento.

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Una differenza invece emerge nella tipologia di contratti utilizzati. Come si vede nella figura 2, i lavoratori con cittadinanza extra-europea vengono assunti più di frequente con contratti di lavoro a tempo indeterminato rispetto ai loro omologhi con cittadinanza italiana: 24 per cento contro 11 per cento nel caso dei cuochi, 9 per cento contro 3 per cento in quello dei camerieri, 21 per cento contro 11 per cento per i baristi e 9 per cento contro 7 per cento per gli addetti alla cucina.

Tra i lavoratori con cittadinanza extra-europea con contratto a tempo determinato è anche più frequente la conversione a tempo indeterminato: avviene nel 7 per cento dei casi, rispetto al 4 per cento dei colleghi con cittadinanza italiana. Differenze nel senso opposto emergono invece nella durata dei contratti: i lavoratori con cittadinanza italiana godono di accordi a tempo indeterminato in media più lunghi dei loro omologhi con cittadinanza extra-europea (587 giorni rispetto a 503), mentre hanno contratti a tempo determinato più brevi (99 contro 120).

Differenze nei salari

Una variabile fondamentale da considerare è ovviamente quella del salario. I dati qui utilizzati mostrano il salario lordo mensile d’ingresso (cioè all’attivazione del contratto). A parità di fattori demografici (genere e età) e contrattuali (tipologia di contratto, tipologia di orario, regione di lavoro), nel periodo 2021-2023 i lavoratori con cittadinanza extra-europea hanno ricevuto in media un salario mensile lordo di ingresso inferiore di circa 58 euro rispetto ai loro omologhi con cittadinanza italiana. Il divario è più ampio per cuochi e camerieri (rispettivamente 77 e 56 euro) e più contenuto invece per baristi e addetti alla cucina (rispettivamente 41 e 40 euro). Si tratta di un divario salariale nell’ordine di grandezza del 5 per cento, non irrilevante quindi. E che negli ultimi dieci anni è peggiorato tra i camerieri (passando da 36 euro nel 2013 a 58 euro nel 2023), mentre è rimasto sostanzialmente stabile per le altre categorie.

Un settore che cambia

I dati qui presentati rappresentano solo una fotografia descrittiva ed è importante non correre a frettolose conclusioni. Alcuni elementi però sembrano emergere. In primo luogo, il settore della ristorazione è cambiato più velocemente di altri e probabilmente più velocemente di quanto il dibattito pubblico non abbia ancora compreso: la ristorazione e la cucina, elementi così ancorati alla tradizione nazionale nell’immaginario collettivo, sono in una buona parte affidati a lavoratori con cittadinanza extra-europea. Secondo: il settore della ristorazione soffre di una grande precarietà dal punto di vista contrattuale, che però non sembra ripercuotersi in maniera sostanzialmente diversa in base alla cittadinanza del lavoratore. Terzo: le differenze salariali evidenziate e la loro sostanziale stabilità potrebbero suggerire la presenza di discriminazione nelle retribuzioni.

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Il dibattito su una riforma della legge di cittadinanza sembra essere già alle spalle e la fine del periodo estivo spegne i riflettori sul mondo della ristorazione, ma i nostri numeri sono uno spunto utile per tenere d’occhio le dinamiche di questo specifico settore del mercato del lavoro italiano.

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  1. Mahmoud

    Non sono di certo in generale i datori di lavoro (sempre estremamente razionali quando ciò coinvolge i loro profitti) a discriminare intenzionalmente in base al passaporto detenuto da una persona regolarmente residente in Italia (quindi assumibile regolarmente), bensì semplicemente spesso accade che persone provenienti da mercati del lavoro dove gli stipendi sono una frazione di quelli europei, nonché da Paesi dove il costo della vita è più basso ed ancora vive almeno in parte la famiglia che mantengono, sono più propensi ad accettare salari più bassi. Competizione sul prezzo che per altro contribuisce fortemente alla generale stagnazione dei salari.

  2. Angelo

    Mi permetto: il settore della ristorazione è probabilmente il settore con la maggior percentuale di nero, sotto inquadramento (la gran parte delle persone assunte come “lavapiatti” sono in realtà i cuochi, i veri lavapiatti sono in nero), straordinari effettuati e non registrati, assunzioni per un numero irrisorio rispetto alle ore realmente lavorate, utilizzo di contratti di apprendistato per figure che non sono apprendisti e tutto quello che può venire in mente di non corretto in ambito lavorativo. Non è un caso che aumentino le percentuali di cittadini extra comunitari: sono quelli più facilmente ricattabili.

  3. Dani Geri

    la ristorazione in Italia, insieme ad altri settori del turismo sono da sempre l’esempio di nero, evasione fiscale e contributiva, sfruttamento e illegalità diffusa. Persino nei ristoranti stellati la situazione viene denunciata come non rosea. I giovani, per fortuna meno affamati della generazione precedente, non accettano più paghe da fame e quindi gli imprenditori illuminati devono ricorrere a manovalanza straniera più ricattabile. il turismo è uno di quei settori che politici incompetenti e cittadini ingenui pensano essere il nostro petrolio; la verità è che un paese che non riesce più ad investire e a competere con i paesi avanzati, si butta sull’economia da paese povero: ristorazione e affittacamere.

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