Ci aspettavamo un tempo di cuccagna
poi ci si è messa la speculazione,
ma più colpevol fu il gran magna magna
e chi ha irrorato il fior dell’evasione.
Ora, con gli occhi dei mercati addosso,
dobbiam mostrare quanto virtuosi
diventeremo riducendo all’osso
pubblici conti, ahimé, troppo costosi.
Grave il momento, qui si fa la storia:
vanno ingoiati tagli impopolari!
Addio promesse, addio sogni di gloria,
addio contratti con elettori ignari.
C’è di conforto apprendere ogni giorno
che siam tra quelli che son meglio messi,
più dei paesi che ci stan d’intorno;
ma non sarà che un po’ ci credon fessi?
Un altro slogan viene proclamato
per favorir la buona digestione
delle misure che hanno propinato:
libera impresa in libera nazione!.
Chissà l’effetto che farà il proclama
su imprenditori ch’io vidi partire,
se li farà tornare in settimana,
se fermerà dei giovani il migrare.
Siamo ormai a giugno, è stagion di tasse.
Mentre ogni cassa pubblica già langue:
Stringersi a corte, renitenti masse,
andate in banca a dare un po’ di sangue!.
Ma di cucir le tasche i più hanno in mente
per la paura che invadenti mani
abbiano a entrarvi un po’ subdolamente:
dicon giammai quest’oggi, ma domani?
Sono in pensione e sento amareggiato,
dei verdi anni il canto e la mancanza;
quell’entusiasmo giovanile è andato,
intorno a me tremonta la speranza.
Ma tu, o Italia, resti un bel Paese
cui regna Silvio col sorriso a festa,
cui tiene Giulio, tagliator di spese,
che ama potar degli enti la foresta.
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