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Più immigrati più crimine? Dipende dalla politica

I risultati di una indagine sul Regno Unito mostrano che la presenza di immigrati non necessariamente si trasforma in un aumento dei tassi di criminalità. Anzi. Se agli stranieri viene lasciata la libertà di entrare e uscire dal paese ospitante, lavorare in regola e scegliere i mercati del lavoro locali in cui inserirsi, non si registrano effetti negativi dal punto di vista della criminalità. Quando la politica migratoria preclude loro queste possibilità, possono finire per scegliere attività criminose per far fronte alle necessità di sostentamento.

 

Il rapporto tra immigrazione e criminalità è uno dei temi caldi e ricorrenti del dibattito politico italiano. L’’evidenza empirica di cui disponiamo per il caso italiano non conferma l’’esistenza di una chiara relazione causale tra presenza di immigrati nell’’area e tassi di criminalità. (1) Eppure, per molti politici e commentatori la relazione è scontata. (2).

MIGRANTI NEL REGNO UNITO

Proviamo ad abbandonare l’’idea che gli immigrati abbiano, per qualche misterioso motivo, una maggiore propensione dei nativi a commettere crimini. Come economisti, assumiamo invece che gli immigrati rispondano agli incentivi nelle loro scelte di partecipazione ad attività criminali piuttosto che ad attività legali. (3) Esattamente come farebbe qualsiasi cittadino dei paesi ospitanti. Se gli incentivi sono importanti, allora la politica migratoria – – in quanto capace di modificarli -– diviene cruciale nell’’analisi della relazione tra immigrazione e criminalità. (4)
In una nostra recente analisi studiamo due diverse ondate migratorie che hanno interessato la Gran Bretagna nel corso degli ultimi quindici anni. (5) La prima composta da richiedenti asilo e la seconda dai cittadini dei nuovi Stati membri (Nsm) dell’’Unione Europea dopo l’’allargamento del 2004.
Un consistente flusso di richiedenti asilo è arrivato nel Regno Unito a fine anni Novanta e nei primi anni Duemila, con una media di circa 70mila domande all’’anno tra il 1997 e il 2002. (6) I cittadini dei nuovi stati membri, invece, hanno fatto registrare a partire dal 2004 una media di circa 150-200mila ingressi all’’anno, e nel giro di quattro anni sono arrivati a rappresentare circa l’’1,3 per cento della forza lavoro inglese, partendo da una percentuale prossima allo zero. I due gruppi sono chiaramente diversi per il diverso processo di selezione che li ha condotti nel Regno Unito. Le scelte di politica migratoria di questo paese, però, hanno introdotto ulteriori elementi di differenza. Mentre i cittadini dei Nsm hanno goduto di immediata libertà di circolazione e di accesso al mercato del lavoro britannico, i richiedenti asilo sono stati soggetti a maggiori restrizioni. (7) Innanzitutto, non è permesso loro lavorare (regolarmente) nei primi sei (successivamente estesi a dodici) mesi dalla presentazione della domanda di asilo. Durante i mesi di attesa, il governo inglese fornisce loro un sussidio, che è pari a circa la metà di quello di disoccupazione. Inoltre, i richiedenti asilo hanno diritto a ricevere un alloggio gratuito dal governo, ma, nel caso vogliano esercitare questo diritto, non possono scegliere la località di residenza. Dal 1999, con l’’Immigration and Asylum Act, il governo britannico ha introdotto una politica di “dispersione” dei richiedenti asilo verso aree del Regno Unito non abitualmente interessate dai flussi migratori. Dal punto di vista dell’’analisi empirica, questa politica offre un interessante “esperimento naturale” che permette di identificare l’’effetto causale della presenza di immigrati sui tassi di criminalità nell’’area. La stima di questo effetto, infatti, è generalmente limitata dal fatto che gli immigrati possono scegliere dove risiedere. Ad esempio, se si collocano in aree in espansione economica, si potrebbe osservare che un più elevato numero di immigrati è associato a minori tassi di criminalità. Ma la riduzione nel crimine sarebbe probabilmente da attribuirsi alla crescita economica dell’’area, piuttosto che a un effetto “benefico” degli immigrati. L’’opposto sarebbe vero se, invece, gli immigrati scegliessero aree in declino perché, ad esempio, i prezzi delle case sono più accessibili.
I nostri risultati mostrano chiaramente che per nessuno dei due flussi migratori considerati si è registrato un aumento dei crimini violenti. Per gli immigrati dei Nsm, non si osserva alcun effetto neppure sui crimini contro la proprietà, anche controllando per i problemi introdotti dalla selezione degli stranieri in particolari aree di residenza. Un aumento dei crimini con “motivazione economica”, invece, si è verificato nelle aree dove sono stati “dispersi” i richiedenti asilo. L’’effetto si trova soltanto quando si considerano quelli di sesso maschile (circa il 55 per cento del totale), nonostante l’’allocazione nelle diverse aree sia omogenea per uomini e donne. Nessun effetto si osserva per i richiedenti asilo che rinunciano all’’alloggio gratuito e possono quindi scegliere dove risiedere. La dimensione dell’’effetto è contenuta: l’’aumento di un punto percentuale dei richiedenti asilo “dispersi” causerebbe un aumento dello 0,7 per cento dei crimini contro la proprietà. Dato che i richiedenti asilo rappresentavano in media lo 0,1 per cento della popolazione, alla loro presenza può essere ricondotto un aumento dei crimini contro la proprietà che rappresenta circa il 2 per cento del loro valore medio nel periodo considerato.

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QUANDO INTERVIENE LA POLITICA

I risultati per il Regno Unito mostrano che la presenza di immigrati non necessariamente risulta in aumento dei tassi di criminalità. Anzi. Se agli immigrati viene lasciata la libertà di entrare e uscire dal paese ospitante, di lavorare in regola e di utilizzare le proprie reti di relazioni per cercare lavoro e scegliere i mercati del lavoro locali in cui inserirsi (immigrati dai Nsm), non si registrano effetti negativi dal punto di vista della criminalità. Quando, invece, la politica migratoria interviene e preclude loro queste possibilità (richiedenti asilo “dispersi”), gli immigrati possono finire per scegliere attività criminose per far fronte alle loro necessità di sostentamento. Nel caso del Regno Unito, le restrizioni alla possibiltà di lavorare e la politica di “dispersione” sono state concepite con l’’obbiettivo di rendere il paese meno attraente per i potenziali profughi che fossero arrivati in futuro. L’’impatto sul crimine è chiaramente un effetto collaterale di questa politica. È una lezione importante anche per l’’Italia. Se “lasciati liberi di lavorare” – – come direbbe il nostro presidente del Consiglio -– gli immigrati sono una grande risorsa, quando invece si vuole rendere la loro vita insensatamente difficile (con restrizioni all’’ingresso, alla durata della loro permanenza, al rinnovo dei permessi di soggiorno, eccetera) si corre il rischio di convincere almeno parte di loro, che l’’opzione criminale può essere più allettante di un inserimento lavorativo regolare reso troppo complicato dalla legislazione vigente.

(1)Si veda l’’analisi di Bianchi M., Buonanno P.  & Pinotti P., 2008. “Do immigrants cause crime?,” Pse Working Papers 2008-05, Pse;
(2)Si vedano, ad esempio, le recenti dichiarazioni a riguardo del sindaco di Milano, Letizia Moratti:
(3)Si vedano: Becker, G. (1968) “Crime and Punishment: An Economic Approach”, Journal of Political Economy, 76, 175-209; Ehrlich, I. (1973) “Participation in Illegitimate Activities: A Theoretical and Empirical Investigation”, Journal of Political Economy, 81, 521-63.
(4)Evidenza a supporto dell’’importanza del ruolo svolto dalla politica migratoria viene dall’’analisi di Mastrobuoni G. e Pinotti P. (“Migration Restrictions and Criminal Behavior: Evidence from a Natural Experiment “ (2010), nella quale si mostra come l’’ottenimento dello status legale riduca sensibilmente il tasso di recidiva degli immigrati interessati dal provvedimento.
(5)Bell B.,  Machin S. e Fasani F. (2010) “Crime and Immigration: Evidence from Large Immigrant Waves in the UK”, CReAM DP 12/10:
(6)Nello stesso periodo l’’Italia riceveva una media di 15mila domande all’’anno.
(7)Il Regno Unito, insieme a Irlanda e Svezia, decise di aprire immediatamente il proprio mercato del lavoro ai cittadini dei Nsm, senza adottare alcun periodo di transizione. L’’unica limitazione è consistita nell’’obbligo di dover segnalare la propria presenza iscrivendosi a un apposito registro (Working Registration Scheme).

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Un commento all’articolo di Iacopo Viciani “Aiuti da valutare”

10 commenti

  1. Luca T.

    Quella degli immigrati uguale delinquenti è una verità parziale, ma una verità. Chi non ha o non trova mezzi di sostentamento tende più facilmente a delinquere. Ma ciò è vero anche se si tratta dei nativi, nel caso gli italiani. Il punto è che per un pugno di voti, si alimenta la xenofobia e si finisce per creare psicosi nella gente. Per quel che mi riguarda, divido le persone in oneste e disoneste, prevedendo per le seconde le pene previste. Ma la politica italiana tende ad interpretare la legge per gli amici, mentre la applica ai nemici. Ciò è una palese violazione dei principi costituzionali italiani. Tuttavia, dato che gli italiani non la conoscono la Costituzione, e ne ignorano il contenuto degli articoli, a chi volete che importi?

  2. Marcello Graziano

    Sarebbe una buona cosa visitare il museo di Ellis Island (NY) sull’immigrazione: le trade unions dei primi del ‘900 avevano capito che l’immigrato non integrato era il vero pericolo, non l’immigrato per se. Non saranno stati grandi economisti, ma erano 110 anni avanti a noi tutti: corsi sui diritti, di lingua, di professionalizzazione, integrazione per i figli. In questo modo si creano i cittadini del domani, riconoscenti e aderenti al progetto sociale comune che è un paese.

  3. ALESSANDRA

    Credo che chiunque si senta vessato ingiustamente, impedito in ogni movimento, fatto oggetto di ogni malversazione… prima o poi è portato a delinquere…non solo gli extracomunitari.

  4. AM

    Il tasso di criminalità di una collettività dipende da una serie di fattori: primo fra tutti cosa si intende per crimine e secondariamente la percentuale dei crimini computati dalle statistiche rispetto a quelli commessi. I dati statistici poi non corrispondono alla percezione di un fenomeno da parte della gente. Dopo questa premessa si afferma che l’immigrazione può aumentare o diminuire il tasso di criminalità e ciò dipende in primis dalla qualità dell’immigrazione. Spesso si commette l’errore di considerare l’immigrazione solo sotto l’aspetto quantitativo ignorando quello qualitativo, che non è di minore importanza.

  5. matteo

    Condivido pienamente l’analisi tuttavia trovo normale che si cerchi di disincentivare (non entro nel giudizio del metodo) i flussi migratori dei paesi in via di sviluppo. Non sono un esperto, mi affido pertanto alla sola logica. Personalmente credo che i flussi migratori tra paesi sviluppati tendono a rimanere di per sé limitati mentre quelli provenienti dai paesi in via di sviluppo potrebbero diventare ingestibili. Perché? Perché i cittadini dei paesi in via di sviluppo sono piu incentivati a lasciare il loro paese (si é piu incentivati a tentar fortuna quando non si ha niente rispetto a quando si ha gia qualcosa). In altre parole, se l’Inghilterra aprisse completamente le sue frontiere, potrebbe realizzarsi un flusso migratorio di dimensioni tali da non poter esser piu assorbito/gestito. E’ piu’ in questa chiave che interpreto le decisioni sulle politiche migratorie adottate dall’Inghilterra. Sig. Fasani, lei cosa ne pansa? Crede veramente che liberare completamente i flussi migratori sia una soluzione praticabile? Se no, come fare allora?

  6. marco mantello

    Nel rapporto del ministero degli interni del 2007 le statistiche tese a configurare nessi fra tendenza a delinquere e stato di immigrato irregolare aggregano le mere denunce alle condanne penali (non è chiaro se definitive o meno). Mancano statistiche serie su crimini commessi a danno di immigrati. E’ meccanico desumere da indagini statistiche soluzioni politiche, sia se fatto da ‘destra’ per legittimare norme penali ad hoc, sia se fatto dai c.d. liberal, per sopravvalutare l’argomento in sé condivisibile del riconoscimento di uguali diritti per i lavoratori stranieri, peraltro sulla base dell’indimostrabile equazione fra "irregolarità" e "tendenza a delinquere". Facciamo attenzione a non fomentare un razzismo e un pregiudizio "razionalizzati" e sopratutto ridimensioniamo l’uso pur necessario di dati statistici per comprendere la realtà e valutarla (penso sempre al salto logico che si opera definendo ‘criminale’ una persona senza permesso di soggiorno denunciata per furto -e che fa statistica-, poi magari assolta con sentenza definitiva, o ai pregiudizi razziali che possono essere alla base di una denuncia penale, oltre a quella cosa che si chiama presunzione di innocenza).

  7. marco mantello

    Un’ulteriore precisazione, sempre con riferimento alla rigidità e alla inattendibilità delle indagini statistiche imperniate su nessi fra ‘status’ e ‘tendenza a delinquere’, ovvero al rapporto del ministero degli interni più volte discusso su questo sito, è la seguente: quanti immigrati in Italia, nell’arco di anni preso in considerazione dal rapporto, sono passati dalla condizione di regolarità alla condizione di irregolarità e viceversa? E come inciderebbe questo dato ‘incalcolabile’ sull’assunto altrettanto indimostrato della maggiore ‘tendenza a delinquere’ di un immigrato irregolare? Fino a poco tempo fa le colf, che si occupavano delle ‘nonnette’ di tanti politici italiani, sarebbero rientrate, statisticamente, nel novero delle potenziali criminali, in quanto irregolari… Curioso. Non ignoro che oggi, secondo statistiche a campione (basate sull’esiguo numero di 16.000 stranieri) si postula che la maggioranza dei ‘regolari’ avrebbe un impiego a tempo indeterminato, ma ci sarebbe anche un buon 35% con un lavoro a tempo determinato e un 9% di ‘lavoro autonomo’ da considerare, rispetto a quel 49% di stabili che si postula…

  8. said kharifi

    Spesso si tende ad individuare nel altro, la causa della proprio malessere. Oggettivamente vi sono due situazione paradossale, quella dei vincitore e quella dei vinti. I primi dispongono di una sicurezza terretoriale e materiale, e secondi ne sono alla ricerca.I primi tollerano la convivenza con i secondi, ma questi ultimi cercano la conquista;creando un clima di conflitto che genera insicurezza nei secondi. morale della storia, i secondi andavano bene finché c’era abbondanza, e I primi finché c’era bisogno. Il falso buonismo non porta da nessuna parte, genera solo persone allo sbando e senza schiena. Meglio poche regole, ma precise nell´applicazione. cosi si evita di creare illusione e danno alla propria comunitá e a quelli vi fanno ingresso, con notevoli risparmi di risorse. Ahimé, se il cane che si sta mordendo la coda sapesse che con quel suo gesto non avrebbe risolto nessun problema. Ma rimarebbe soltanto impegnato con essa!

  9. Tommaso

    C’è poi il fatto che in Italia lo status di "ciminale" e’ sottile e ambiguo. Stando alla criminalità economica, da noi si parla di evasione iva al 30%. Per molti italiani non rispettare le leggi è quasi una seconda natura. Certo, è un arte difficile, che richiede un lungo periodo di apprendimento. Una persona appena arrivata nel paese non può capire queste sottigliezze, e, quindi, è più facile che venga beccato dalla polizia.

  10. AM

    Ritornando sul tema della qualità dell’immigrazione, ho l’impressione che la qualità degli immigrati in Germania sia mediamente superiore a quella degli immigrati in Italia. Amici romeni confermano questa tesi con riferimento all’emigrazione dal loro paese. Se il fenomeno fosse provato sarebbe interessante indagarne le cause. Forse le pecore nere scelgono le mete di migrazione non guardando il benessere dei vari paesi, ma sono influenzate dall’immagine che di questi paesi hanno, soprattutto in termini di efficienza e di severità nella repressione del crimine.

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