La Commissione Europea ha pubblicato la prima edizione dell’indice di competitività regionale. Fra le migliori non compare nessuna regione italiana. A frenare quelle storicamente considerate più competitive sono i fattori che descrivono la qualità delle istituzioni, così come percepita dai cittadini, e l’efficacia del sistema educativo di base. Mercato del lavoro e livello di sofisticazione e innovazione del sistema produttivo rivelano un’elevata eterogeneità tra regioni del Nord e del Sud. L’Italia nel suo complesso si situa al sedicesimo posto su ventisette stati membri.
La Commissione Europea ha appena pubblicato la prima edizione dell’indice di competitività regionale, Rci. Ispirato al Global Competitiveness Index del World Economic Forum (Wef), l’indice cattura, in undici pilastri e quasi settanta variabili, la competitività delle regioni europee a quello che gli statistici chiamano il livello Nuts 2. Per l’Italia corrisponde alle nostre regioni, in totale ventuno unità geografiche, visto che le province autonome di Trento e Bolzano sono considerate separatamente. Complessivamente, sono state analizzate 268 regioni appartenenti alla Comunità Casella di testo: Figura 1. Le componenti dell’indice regionale di competitività Europea.
I PILASTRI DELL’INDICE
Il concetto di competitività si è evoluto in tempi recenti. Inizialmente concepito e disegnato per la valutazione delle imprese, è stato in seguito esteso alla riuscita dei paesi, come accade con l’indice del Wef e in altri descritti nel rapporto della Commissione. L’indice regionale si situa a un livello intermedio e tenta di rispondere a importanti domande, quali ad esempio se sia maggiore la varietà all’interno dei paesi o quella fra paesi, quale sia il livello di eterogeneità delle regioni europee e quali siano i fattori che determinano queste differenziazioni. La filosofia dominante del rapporto è la necessità di misurare un certo fenomeno per poterlo comprendere e controllare, secondo l’insegnamento di Lord Kelvin: if you can not measure it, you can not improve it.
I dati utilizzati provengono per la maggior parte da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, ma anche dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), in particolare per quanto riguarda l’efficacia del sistema educativo di base (Pisa) e i brevetti. Altre variabili provengono dalla Banca Mondiale (Indicatori di Governance Globale, il Doing Business Index).
Gli undici pilastri sono mostrati in figura 1. Si va dai pilastri che descrivono i fattori di base di un’economia, a quelli che caratterizzano livelli più avanzati di sviluppo economico, come quelli legati alla capacità innovativa e al livello tecnologico della regione. Per ragioni di comparabilità, la pesatura di ciascun gruppo di pilastri nel calcolo dell’indice finale avviene in maniera diversa per paesi a diverso stadio di sviluppo (medio, intermedio e alto). Il fine è quello di rendere ciascuna regione comparabile con quelli di differenti livelli di sviluppo. Il livello di sviluppo è assegnato in base al prodotto interno lordo.
LA POSIZIONE DELL’ITALIA
Come se la cava l’Italia? Chi si aspettasse di vedere almeno alcune ragioni italiane nel pacchetto delle migliori, rimarrebbe deluso (vedi figura 2).
Figura 2. Distribuzione geografica dell’indice regionale di competitività.
I valori dellindice Rci variano fra zero e cento, e le regioni italiane non vanno oltre la quarta banda di colore in figura 3, corrispondente a valori fra il 49.5 e il 66 (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Lazio e Liguria). Le regioni più in difficoltà si trovano nella seconda banda (16 33) e sono Molise, Basilicata, Calabria e Sardegna.
Figura 3. L’indice regionale di competitività: il caso italiano.
Ma cosa frena le regioni italiane storicamente considerate come le più competitive? Quali sono i fattori che incidono di più? Sicuramente i fattori che descrivono la qualità delle istituzioni, così come percepita dai cittadini, e l’efficacia del sistema educativo di base (fino alla scuola secondaria di primo livello), in termini di capacità acquisite dagli studenti. Altri pilastri, quelli che descrivono il mercato del lavoro e il livello di sofisticazione e innovazione del sistema produttivo, sono caratterizzati da un’elevata eterogeneità tra le regioni, con una separazione tra quelle del Nord e quelle del Sud.
Se poi conduciamo l’analisi per i singoli pilastri, troviamo spesso le regioni del Sud Italia nelle ultime posizioni rispetto a tutte le regioni europee. Le regioni meridionali ottengono un basso punteggio (inferiore al decimo percentile) in particolare nei pilastri che descrivono il livello distruzione e di apprendimento permanente della forza lavoro e l’efficienza del mercato del lavoro. Dall’altra parte, regioni come la Lombardia, il Lazio, Piemonte e l’Emilia-Romagna occupano posizioni d’eccellenza, superiori all’ottantesimo percentile, in aspetti relativi alla sofisticazione del sistema produttivo – come il livello di occupazione e creazione di valore aggiunto in settori high-tech e la presenza di distretti industriali.
La figura 4 mostra la relazione tra il prodotto interno lordo (anno di riferimento il 2007) e l’indice di competitività regionale, entrambi normalizzati rispetto ai valori minimi e massimi regionali europei. Nel complesso, i due indici mostrano una relazione positiva. È interessante segnalare alcune realtà: le province autonome di Trento e Bolzano o la Val d’Aosta mostrano un livello di competitività inferiore rispetto alle proprie potenzialità. La competitività di Val d’Aosta e provincia autonoma di Bolzano è particolarmente penalizzata dal pilastro che rispecchia il livello d’istruzione e d’apprendimento permanente della forza lavoro, mentre la provincia autonoma di Trento ottiene uno tra i punteggi più bassi nel pilastro che descrive il sistema infrastrutturale della regione.
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Alessandro La Spada
Ho forti dubbi sull’utilità di questo studio per scelte di qualche tipo. Le regioni del Nord svedese risultano più competitive di qualsiasi area italiana, interessante visto che sono quasi disabitate! Gli undici pilastri valutano astrattamente il prodotto dell’attività umana, in termini di infrastrutture, regole e know-how, prescindendo dalle caratteristiche dei territori (posizione geografica, attrattività turistica, clima, risorse naturali), che sono un potente fattore di competitività, e in cui le nostre regioni eccellono. Che l’Italia sia un sistema da rinnovare, lo sappiamo. Che questi studi da noi pagati pro-quota ci dicano cose interessanti sul nostro paese, è dubbio.
saverio soldi
Una cosa che non viene messa in luce dall’articolo è che per molti stati la regione più competitiva coincide con la regione della capitale. Inoltre, in generale, le capitali sono di per sé competitive. Non saprei dire se questo sia dovuto a vera competitività o semplicemente a un vizio metodologico. Probabilmente, se la metodologia delle future edizioni della ricerca rimarra’ invariata, se apparirà in Italia una macchietta blu scura, questa sarà nel Lazio, non in Lombardia.