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Ora la finanza si sposta a Oriente

Non solo nel commercio, nella manifattura e nei servizi: i paesi emergenti avranno un ruolo sempre più importante anche nella finanza internazionale. Complice la crisi, il baricentro si sposta da Occidente a Oriente in un processo forse non uniforme e probabilmente lento, ma irreversibile. Che avrà effetti importanti sulla politica di regolamentazione finanziaria a livello mondiale, a partire dalla questione della rappresentanza delle nuove potenze economiche nelle istituzioni internazionali.

 

Da lungo tempo, l’’ascesa delle economie emergenti nel commercio e nella manifattura, così come in un numero crescente di servizi, è considerata come una caratteristica distintiva del periodo storico in cui viviamo. Fino a poco tempo fa, tuttavia, era opinione diffusa che la finanza internazionale fosse immune da questa tendenza: la parte prevalente delle attività finanziarie, delle società finanziarie, dei centri finanziari e delle autorità di regolamentazione finanziaria rimaneva concentrata nel Nord Atlantico. Il centro di gravità economico del mondo poteva anche spostarsi, quello finanziario sembrava però restare saldamente ancorato nell’’Occidente. Si trattava di un’’illusione che sta rapidamente svanendo.

UN PRIMATO IN CRISI

La crisi ha avuto un potente effetto di accelerazione in questa situazione, anche se crepe nel dominio finanziario occidentale erano già apparse prima del suo inizio. Dai primi mesi del 2009, le istituzioni finanziarie dei paesi emergenti pesano sistematicamente di più di quelle di Stati Uniti ed Europa tra le “Top 100” mondiali per capitalizzazione di mercato, ma le banche cinesi dominano i ranking mondiali fin dalla fine del 2007. La loro posizione relativa si è rafforzata mentre quella delle loro omologhe occidentali veniva minata dalle turbolenze di mercato e dal de-leveraging. Allo stesso modo, centri finanziari non occidentali come Hong Kong e Singapore stanno scalando le posizioni nelle classifiche, i fondi sovrani hanno fatto sentire il loro impatto sui mercati globali e sempre più le economie emergenti producono non solo enormi risparmi, ma anche attività finanziarie di investimento.
E non si tratta solo di numeri, la crisi ha intaccato la superiorità dei modelli occidentali. Non solo sono cadute nella polvere icone come Merrill Lynch o Citibank, ma anche le istituzioni finanziarie più influenti del mondo, come la Federal Reserve e la Exchange Commission degli Stati Uniti o la Financial Services Authority del Regno Unito, hanno dovuto ammettere di aver commesso importanti errori di giudizio. Al contrario, le autorità di supervisione di Cina, India e Brasile, a lungo derise come sottosviluppate, hanno saputo prevenire con successo le turbolenze finanziarie interne applicando strumenti “micro-prudenziali” (come i limiti ai rapporti prestito-valore). Le economie emergenti non sentono nessuna responsabilità per la crisi, anche se ne hanno sofferto. E parallelamente anche l’’autorità morale dell’’Occidente è scesa a un punto altrettanto basso.

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REGOLE E SOSPETTI RECIPROCI

I mutamenti avranno inevitabili effetti sulla politica di regolamentazione finanziaria. L’’accordo Basilea 3 sulla capitalizzazione, annunciato questo mese, potrebbe essere l’’ultimo importante atto di regolamentazione finanziaria internazionale la cui negoziazione ha avuto luogo principalmente (se non esclusivamente) tra paesi sviluppati. Lo scorso anno, i più importanti paesi emergenti sono entrati a far parte di varie istituzioni finanziarie compreso il Comitato di Basilea e il Financial Stability Board: una parallela trasformazione del metodo di lavoro di queste istituzioni è solo questione di tempo.
La “de-occidentalizzazione” della finanza globale non è un processo meccanico o uniforme. Alcune valutazioni di mercato delle imprese dei paesi emergenti, in particolare quelle delle banche di proprietà pubblica, possono essere eccessive. Alcuni attori in ascesa, Cina inclusa, sono riluttanti a inserirsi nel dibattito mondiale. Molti di questi paesi hanno solo un numero ristretto di funzionari qualificati, cosa che limita la loro capacità di esercitare un’influenza globale. I loro livelli di sviluppo finanziario spesso restano bassi. Alcuni di loro potrebbero dover affrontare gravi instabilità finanziarie nei prossimi anni. Anche le loro società finanziarie più strutturate hanno limiti di capacità e per un certo periodo potrebbero decidere di focalizzarsi sul mercato interno in rapida espansione invece di espandersi a livello globale. Ma nessuno di questi fattori riuscirà a fermare la tendenza generale.
Che sia in atto una grande trasformazione è evidente per molti, ma non per tutti: alcuni attori occidentali, forse soprattutto in Europa, sono ancora nella fase di negazione del problema. Allo stesso modo, alcuni attori emergenti sono rapidi nel vedere le opportunità, ma non le nuove responsabilità che ne derivano. La velocità dei cambiamenti genera ansia e sfiducia. Nello stesso momento in cui procedono al ridisegno della regolamentazione dei loro sistemi finanziari in conseguenza della crisi, i paesi sviluppati hanno il timore che i “nuovi arrivati” mettano in atto una concorrenza sleale basata sul “dumping regolamentare”. In modo simmetrico, alcuni paesi emergenti sospettano che la ri-regolamentazione promossa dagli occidentali finisca per rivelarsi un modo per congelare l’arena competitiva da parte di istituzioni e centri finanziari più consolidati e impedire così l’ascesa di nuovi protagonisti. Alcuni paesi sviluppati possono passare velocemente da un atteggiamento paternalistico alla tentazione di rifugiarsi nel protezionismo finanziario. Saranno necessari molti sforzi e velocità di adattamento, da parte di tutti, per superare le prevenzioni.
L’esistenza di un rischio sistemico implica che le dinamiche competitive internazionali della finanza siano diverse da quelle di altre attività, perché la regolamentazione vi gioca un ruolo fondamentale. Ma come già avvenuto in altre industrie, il riequilibrio del panorama globale con l’ascesa degli attori emergenti non equivale per gli occidentali a una condanna all’irrilevanza. Molte istituzioni finanziarie consolidate possono ripartire da un know-how di base costruito negli anni e dalle capacità di organizzazione e di innovazione per mantenere il proprio vantaggio comparato e procedere con successo a uno sviluppo su scala globale. È necessario però che i politici riconoscano sinceramente l’irreversibile cambiamento nella geografia finanziaria globale.
Un mutamento simbolico e di grande visibilità come spostare in Asia la sede di una delle istituzioni di Bretton Woods potrebbe contribuire ad accelerare l’evoluzione della rappresentanza collettiva. Al contrario, si può essere certi che gli occidentali che continueranno ad affidarsi a quelli che considerano diritti di eredità saranno i prossimi perdenti nel gioco della finanza globale.

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Due domande alle fondazioni azioniste di Unicredit

  1. mirco

    Il fatto che la finanza si sposti sempre più ad oriente e che la fiducia delle istituzioni finanziarie occidentali sia in forte calo potrebbe essere un vantaggio per il pianeta. Solo alle seguenti condizioni: che la nuova finanza si orienti a favorire uno sviluppo compatibile con le risorse ambientali del pianeta e che ostacoli il processo di imitazione dello sviluppo occidentale in atto nei paesi emergenti. Gli enormi problemi sociali del terzo mondo e dei paesi in via di sviluppo potrebbero far capire ai paesi emergenti che la via giusta non è imitare i sistemi finanziari occidentati che in fondo sono stati creati per favorire un sistema di sfuttamento delle risorse e delle materie prime dei paesi poveri. Se così stanno le cose l’occidente dovrà ripensare se stesso e utilizzare la ricchezza accumulata per una più oculata gestione dei propri stati e delle sue popolazioni. Il mondo sta proprio cambiando. Esiste anche una alternativa infausta: un’altra guerra mondiale.

  2. Roberto Marchesi - Dallas, Texas

    Io terrei innanzitutto separate le due cose: finanza e produzione. Chiaramente la finanza è una componente della produzione, ma svolge un ruolo positivo nel meccanismo delle economie solo se e’ al servizio di queste, invece come è ormai evidente a tutti il ruolo si e’ capovolto e la finanza pura, che è puramente speculativa, ha già preso abbondantemente il sopravvento. La cosa è diventata palese quando, come ho scritto anche in un mio recente articolo, le transazioni di borsa condotte dai supercomputers raggiungono e superano il 50% di tutte le transazioni. In questo modo le transazioni finanziarie diventano puro gioco d’azzardo e non hanno più nulla a che fare con le economie, salvo metterle in ginocchio come è accaduto recentemente. Altro che spostare le piazze finanziarie in oriente! Dobbiamo riportarle a svolgere correttamente la loro funzione e tenercele strette se non vogliamo diventare noi nei prossimi dieci anni il terzo mondo.

  3. Giovanni

    Il processo di creazione di vantaggi comparati determinati dal commercio internazionale ha comportato il trasferimento verso Paesi dell’Asia delle produzioni di merci a minore intensità di capitale equivalente a maggiore intensità di lavoro, mentre il vantaggio comparato nel settore della finanza rimarrà saldamente localizzato in Occidente, il tutto mediato dalla copertura degli scambi di beni effettuata dal dollaro USA e dalle tipologie di regolamentazione del sistema finanziario.

  4. AZ

    il vantaggio comparato nel settore della finanza rimarrà saldamente localizzato in Occidente? Per il settore farmaceutico mondiale siamo nel momento che vede la massimizzazione del trasferimento in asia delle lavorazioni ad alto contenuto tecnico-scientifico e della ricerca. Indipendentemente da quelli che saranno i risultati di lungo periodo (quelli di medio sono piuttosto miseri) e finché la bolla cinese, da molti diagnosticata, non scoppierà (ammesso che scoppi), la centralità asiatica non può che crescere, con una progressiva attrazione di funzioni e poteri su *tutti i fronti*. La crescente attività del fondo sovrano cinese non è che un piccolo aperitivo. Mai vista gente che dopo aver messo i soldi non chiede controllo.

  5. Fabio BIANCHI

    Finalmente leggo qualcosa di prospettico e di innovativo che fa luce sulle tendenze di medio-lungo periodo. Concordo in pieno con l’analisi: è in atto un riallocamento delle forze produttive e finanziarie su scala planetaria e tutto ciò ha un epicentro che si chiama Cina. Prendiamone atto e sfruttiamo questo cambiamento come opportunità. Fabio Bianchi

  6. bob

    Prendendo spunto dai commenti e riportando il tema sul nostro Paese credo che mai come in questi ultimi 20 anni ci sia stata disinformazione nel nostro Paese.Disinformazione agevolata da un livello di cultura a dir poco pauroso. Si vede un indiano lavorare come lavapiatti e si giudica una Nazione intera. Poi si "scopre" che 8 cinesi su 10 si laureano in Ingegneria. Rientro dall’estero da pochi giorni e ti rendi conto in che stato siamo messi. Il ns. Paese se non investe sulla cultura ( può sembrare banale) sarà un luogo dove qualcuno verrà a passare qualche giorno di vacanza, ma i camerieri saranno inevitabilmente Italiani!

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