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Quegli equivoci sull’acqua

La socialità di un servizio pubblico non ha molto a che vedere con la sua produzione. Ma a parità di risorse e di tariffe, meno la produzione è efficiente, meno servizi si possono fornire ai cittadini. Il referendum per l’acqua è un esempio della confusione tra i due concetti. La produzione in condizioni di monopolio, pubblico o privato, tende a essere inefficiente, mentre le gare periodiche di affidamento sono perfettamente compatibili con il massimo di socialità e favoriscono l’efficienza. Quello che davvero manca nella riforma è una Authority indipendente per il settore.

 

La raccolta di firme per il referendum “contro la privatizzazione dell’acqua”, forte di 1.400.000 adesioni e di slogan del tipo “l’’acqua è di tutti”, “stop alla privatizzazione dei servizi sociali” e anche un articolo di Vandana Shiva, di analogo contenuto, sembrano purtroppo frutto di un grave confusione di concetti economici e di obiettivi politici. (1)
Proviamo a vedere come si può argomentare questa drastica affermazione.

PRODUZIONE EFFICIENTE E SOCIALITÀ

La socialità di un servizio pubblico (trasporti, acqua potabile, servizi postali, elettricità eccetera) dipende da quanti servizi si vogliono produrre e per chi li si vuole produrre: una distribuzione universale, o limitata ad alcuni gruppi sociali e così via. Ma dipende soprattutto dalle quali tariffe alle quali li si vogliono vendere. Potrebbe trattarsi di tariffe che coprono interamente i costi, o al limite opposto, se si attribuisce grande valore sociale a un servizio, anche a tariffe nulle (un servizio gratuito), o tariffe differenziate per categorie socioeconomiche o localizzative degli utenti. Si tratta di scelte politiche comunque legittime, che implicano appunto la scelta tra priorità diverse, in contesti in cui le risorse pubbliche siano scarse. La legittima diversità può discendere anche dal fatto che realtà locali diverse possono avere problemi, e quindi priorità, diverse.
La produzione dei servizi pubblici non ha quasi nessun nesso con la socialità. Dipende invece fortemente da come tali servizi sono prodotti: si possono ottenere con sprechi, tecniche antiquate, con assunzioni clientelari. Oppure in modo efficiente, con il minimo di risorse a parità di quantità e qualità del prodotto che si vuole erogare ai cittadini, indipendentemente dalle tariffe che si intende far pagare, purché il produttore abbia le risorse finanziarie necessarie a effettuare il livello efficiente degli investimenti. Risorse che possono arrivare dai ricavi tariffari, ma anche da espliciti e trasparenti sussidi pubblici.
Socialità e produzione inefficiente sono due cose non solo diversissime, ma in realtà addirittura in contraddizione: meno la produzione è efficiente, meno servizi si possono fornire ai cittadini, a parità di risorse e di tariffe. Per esempio, se i trasporti pubblici italiani fossero prodotti con livelli di efficienza simili a quelli francesi o inglesi, in molti contesti il servizio, a parità di risorse pubbliche, potrebbe essere del tutto gratuito (se così si volesse).
Ora, la produzione in condizioni di monopolio, pubblico o privato, tende a essere inefficiente, e ciò per ragioni “naturali” (a parte le infrazioni penali….): non vi sono pressioni reali all’’efficienza e prevalgono le rendite, se i gestori sono privati, o altre distorsioni se sono pubblici (soprattutto meccanismi di “voto di scambio” o negligenza nel far pagare le tariffe per ragioni di consenso, o la scarsa attenzione ai costi delle forniture: la casistica è davvero vasta).
Le gare periodiche di affidamento sono perfettamente compatibili, volendo, con il massimo di socialità (si possono fare gare anche per servizi gratuiti), e incentivano l’’efficienza della produzione: la gara seleziona, a ogni tornata, l’’impresa pubblica o privata che chiede meno fondi pubblici o offre minori tariffe o maggiori servizi agli utenti, secondo la natura del bando che ogni amministrazione deciderà. Se poi le amministrazioni pubbliche sono loro stesse inefficienti o corrotte, si provi a immaginare quali risultati conseguiranno con la produzione diretta dei servizi, in cui di fatto non c’’è nessun controllo “terzo”. La competizione per l’’affidamento, poi, “crea poliziotti aggiuntivi”: sono i concorrenti stessi, che saranno molto attenti a verificare che non vi siano stati brogli che possano danneggiarli.
Infine, con le gare la situazione nel peggiore dei casi rimane identica a quella attuale: vincerà l’“’incumbent”, il che vorrà dire che il produttore attuale è sufficientemente efficiente. Si può solo migliorare.

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AUTHORITY NECESSARIA

Il referendum per l’’acqua citato all’’inizio è un esempio tragico in cui è stata confusa la socialità con l’’efficienza. Se un’’amministrazione locale non vuol non far pagare il servizio idrico, è sempre libera di farlo: vuol dire che potrà erogare meno trasporti pubblici e altro. Sulla confusione si potrebbe sorvolare, se non fosse promossa con tanto entusiasmo da soggetti evidentemente in buona fede e animati da istanze lodevoli, per cui sembra necessario evitare in tutti i modi che si perdano in pericolosi slogan e luoghi comuni, di sapore vagamente populistico.
Tuttavia, due cose non sembrano condivisibili nella riforma attuale: la prima è l’’incentivo alla costituzione di società miste, che secondo la cultura anglosassone non sono foriere di sviluppi positivi, se non sono strettamente limitate nel tempo. In secondo luogo, sembra grave la mancanza di un’’autorità di regolazione indipendente per il settore, che garantisca gli utenti dal perpetuarsi del monopolio, fortemente voluto, si badi, anche dalle amministrazioni locali, contro gli interessi degli utenti o dei contribuenti in caso di servizi sussidiati. Il sindaco di Milano, per esempio, si è immediatamente dichiarata contraria alle gare per l’’acqua.
Si sono levate in verità timide voci in favore della sua costituzione. Vedremo, ma c’’è da essere scettici perché l’’attuale governo non sembra amare particolarmente le autorità indipendenti.

(1)L’’articolo di Vandana Shiva è stato pubblicato in prima pagina su “La Repubblica” del 19 agosto 2010.

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La risposta ai commenti

35 commenti

  1. Paolo Quattrone

    L’affermazione che non vi sia nessun nesso tra la socialita’ di un servizio e le sue forme di produzione e’ tanto forte quanto vera soltanto in astratte teorie economiche neo-classiche. Cosi’ come non e’ vero che monopolio sia indice di inefficienza e privato di efficienza. Basta fare una differenza tra quanto succede ‘in pratica’ in Paesi come il Regno Unito o la Spagna e cio´che si voleva raggiungere in teoria. I trasporti nel Regno Unito, ad esempio, hanno raggiunto costi socialmente difficilmente sostenibili e con livelli di efficienza molto discutibili. Lo stesso succede con la privatizzazione della telefonia in Spagna e la relativa scedenza del servizio offerto da operatori privati (tutti nessuno escluso). Ci si dimentica che alcuni servizi sono utilities (una volta lo erano anche le banche che assicuravano il risparmio) e che la logica da shareholders’ value nulla ha a che fare con questa utilita’ sociale del servizio, perche’ per definizione, agisce nell’interesse degli azionisti. Che poi perseguendo questo interesse si assicuri anche quello del pubblico e’ tutto da dimostrare in pratica. A me sembra una favola teorica neoclassica.

  2. Giacomo Nervegna

    In linea di principio mi trovo d’accordo con lo spirito dell’articolo, soprattutto circa la necessità di distinguere tra efficienza della produzione e socialità di un servizio. Tra l’altro, ritengo che evitare che 1/3 dell’acqua in circolazione non venga erogata a causa dell’inadeguatezza delle infrastrutture sia in sè una questione sociale. Quello che mi domando è quanto costi realmente la "privatizzazione" dell’acqua. Quanto costa un’Autorità indipendente ad hoc? Quanto costa redigere il contenuto appropriato delle gare? Sarebbe interessante un’analisi costi benefici al riguardo, in modo da poter "mettere sulla bilancia" in modo chiaro e rigoroso le due soluzioni. GN

  3. Marco

    Immagino che il prof. Ponti conosca bene l’esperienza delle privatizzazioni autostradali italiane: nessun investimento, tariffe più alte, autorità costosa e priva di efficacia, privato ben remunerato per non fare niente. Credo si chiamino "monopoli naturali" e il privato è ben contento di metterci sopra le mani. Vorrei soffermarmi sul concetto di "cattura del regolatore" che avviene quando il soggetto controllante è in posizione subalterna (per dimensioni, potere, ricchezza) rispetto al controllato; in che modo il professore pensa che questa fantomatica autorità che dovrebbe nascere potrà farsi rispettare da multinazionali come Veolia, tanto per citare la più famosa? E quale sarebbe il compito di questa "authority" se non, per proseguire il parallelo con le autostrade, bloccare qualche aumento come flebile segno di esistenza? Regards

  4. Giancarlo

    Sono d’accordo su quasi tutto l’articolo di Ponti, salvo due cose. La prima sulla buona fede del movimento referendario, il cui slogan "l’acqua non si vende" ha in realtà l’obiettivo di diffondere l’idea irresponsabile che l’acqua non si paga. Inoltre, è stata alimentata ad arte la confusione fra "acqua" e "servizi idrici": se la prima è una risorsa comune (difficilmente escludibile, ma rivale), i secondi sono invece un complesso di infrastrutture e servizi industriali per rendere l’acqua un bene accessibile e, aspetto solitamente dimenticato, per depurarla dopo gli usi. Se i referendum venissero approvati, si tornerebbe in Italia ad una frammentazione territoriale e industriale tale da rendere impossibile la gestione efficiente dell’acqua. La seconda obiezione riguarda le società miste, che in presenza di una buona regolazione, possono aiutare il settore ad acquisire capacità industriali, finanziarie e tecnologiche, oggi ancora piuttosto arretrate.

  5. Alessandro Morini

    E’ sempre spiacevole leggere interventi di cui si condivide l’impostazione ma, rispetto ai quali, si dissente sull’elaborazione. In buona arte il dissenso deriva dalla modesta esperienza concreta che i commentatori evidenziano quando anlizzano temi quali quelli della gestione del servizio idrico integrato (SII). Anziutto si tende a disconoscere che la gestione del SII non si risolve nella sola erogazione di acqua potabile ma in una vera e propria filiera industriale che procede dalla captazione fino alla depurazione: il primo rilievo riguarda, dunque, il fatto che la regolazione deve intervenire su tutta la filiera e non su parte di essa – come accade in Italia – ove, ad esempio non è oggetto di alcuna regola la vendita di acqua all’ingrosso. Il secondo punto rilevante riguarda il rapporto tra efficienza e regime tariffario. Fino ad oggi le gare per l’affidamento della gestione del SII non hanno mai avuto ad oggetto la teriffa che costituisce una variabile esterna all’offerta visto che è regolata autonomamente. Il paradosso tariffario italiano riguarda il Metodo Di Pietro che premia il gestore inefficiente.

  6. f.zadra

    Ciò che l’utente teme è un aumento del costo dell’acqua, specialmente nei grandi centri, dove, come ben noto, ci sono moltissime perdite di acqua, dovute allo stato disastroso della rete secondaria di distribuzione; ci sono poi, specialmente in alcune zone del Paese, furti di notevoli quantità di acqua. I Comuni attualmente, nella generalità dei casi, praticano tariffe molto basse, perchè lasciano tranquillamente che un buon terzo dell’acqua si perda nel terreno. Il ripristino degli acquedotti per ridurre le perdite a percentuali accettabili (15% circa) ha un grosso costo, che ,in caso di ‘privatizzazione’ (e quindi di presumibile ripristino) si ripercuoterà sui costi a carico degli utenti. Questo è il problema, di soluzione non semplice in un periodo in cui i costi di tutti i servizi pubblici principali (elettricità, gas, trasporti, sanità, etc) sono in progressivo aumento. f.z.

  7. alberto ferrari

    L’articolo presuppone che tutti quelli che dissentono dal libero mercato siano dei cogl… Devo arguire che anche il premio Nobel Elinor Ostrom lo sia. Che lo sia anche il Sindaco di Parigi e di tanti altri che dopo aver sperimentato la gestione privata dell’acqua stanno tornando alla sua gestione pubblica. Il nostro non tiene conto che il "buyon imprenditore" non esiste e che il buon imprenditore tende a fare prima di tutto il suo interesse e che il mercato tende ad essere virtuoso quando è in espansione, mentre quando è in contrazione i diversi attori tendono a fare cartello; inoltre sull’acqua bisognerebbe fare una politica di investimenti (come separare la rete per uso potabile da quella per altri usi domestici) che tenda a ridurne l’uso essendo un bene per la vita non sostituibile. Ma quale imprenditore punterebbe sul vendere meno anzicchè sul vendere di più? La mediazione si potrebbe trovare a questo livello: gestione pubblica quando l’utilizzatore finale è il singolo cittadino (uso finale privato) e gestione privata quando l’acqua è utilizzata come fattore produttivo intermedio, dove sì il costo spingerebbe a gestioni risparmiose.

  8. Stefano

    Quindi se ho capito bene, il modo perfetto per provvedere un bene pubblico è un appalto a ditte private. In questo modo corruzione e sprechi sono impossibili, dato che i concorrenti vigilano. Mi meraviglio che nessuno ci abbia pensato prima, magari per costruire strade, o gli stadi in occasione dei Mondiali, o la ricostruzione dopo i terremoti.

  9. Luigi Calabrone

    Completamente d’accordo con l’autore. Ma siamo in un paese in cui l’elite dominante – tra cui quella, numerosa e vociante, dei professori e degli insegnanti, come si può vedere anche dalle cronache di oggi – coltiva fraudolentemente ed urla sulle piazze il concetto che un servizio pubblico – la scuola, la distribuzione dell’acqua – debba essere gestito, in regime di monopolio, da dipendenti pubblici. Fino a che questo pregiudizio (che fa molto comodo agli attuali addetti) dominerà la pubblica opinione, ci sarà da apettarsi poco anche nel campo dell’acqua.

  10. Carlo Ferraris

    Sono del parere che occorra distinguere il consumo di acqua per consumi vitali (acqua potabile o per usi alimentari o igienico-sanitari) dal consumo destinato alla produzione (irrigazione di terreni agricoli, usi industriali). Nel primo caso, sia privata o pubblica la gestione, andrebbe assicurata (gratis o a tariffa sociale) una quantità minima giornaliera per persona (30/40 litri?). Nel secondo caso, l’acqua non deve essere considerata un cosiddetto "bene comune", ma una risorsa limitata e soggetta alle leggi del mercato. Comunque concordo sull’opportunità di un’Autority.

  11. Daniele Borioli

    Caro Professore, trovo le argomentazioni da lei esposte molto convincenti. Penso, al tempo stesso, che la "confusione in buona fede" dei referendari, possa anche spiegarsi con il timore (di questi tempi non proprio campato per aria) che chi dovrebbe fare l’arbitro nelle procedure di affidamento ai privati della produzione del servizio, più che all’efficienza guardi ad altri meno nobili scopi. Più in generale, sul tema liberalizzazione dei servizi pubblici, mi pare che una grande mano alle resistenze tardo monopolitiche la diano, più ancora delle incrostazioni ideologiche di alcune parti politiche, un attitudine di certo capitalismo italiano, più incline a ritagliarsi rendite di posizione negli interstizi del rapporto con i poteri pubblici, magari calate nella forma di privatizzazioni a regola lasca, che non a competere sul mercato.

  12. Flavio Bisson

    Finalmente un commento serio e oggettivo sul problema dell’acqua che si discosta dalle grida di destra e di sinistra sul tema che assomigliano al chiasso dei tifosi del Bar Sport, come è ormai abitudine in Italia nelle discussioni di qualunque tema di interesse pubblico. Mi pare evidente che la gestione pubblica della distribuzione dell’acqua potabile, nell’attuale situazione politica, non farebbe che spostare i vantaggi da una mano all’altra della casta al potere. Sottoscrivo in pieno Cordialmente F. Bisson

  13. Edoardo Croci

    Chiarissimo. Non c’è nulla da aggiungere. Solo da evidenziare che la diffidenza e i pregiudizi nei confronti del mercato hanno radici profonde e toccano ahimè molte persone in buona fede.

  14. Angelo Carbone

    Nessuna authority, ma anzi una vera bella class action all’americana con danno punitivo, poi un contratto di appalto che imponga pochi punti fermi senza deroghe su di essi: nessun aumento di tariffe oltre l’inflazione, ma un aumento su opere di ammodernamento e efficienza del sistema in base ai quali stabilire aumenti programmati o penali nel caso che non vengano effettuate tali opere con revoca della concessione per opere di ammodernamento concordate ogni tot anni che non vengano effettuate. Una concessione in questo caso anche di 99 anni che con la class action (seria) tutela ente locale proprietario e cittadini. Purtroppo siamo in Italia e quindi per i soliti motivi questo non avverrà mai nostro malgrado.

  15. Luca Saini

    Concordo pienamente sulla distinzione fra utilità sociale ed modalità di erogazione di un servizio. Se è vero che non deve porsi un nesso causa effetto deterministico fra i due, non concordo nella affermazione che invece fra i due non ci sia un nesso. Nel caso specifico del servizio di erogazione dell’acqua forse sarebbe utile definire quale sia il grado di utilità sociale, capire cosa implica l’erogazione di questo servizio e poi individuare quale possa esserne la migliore modalità di erogazione. E magari poi farne un paragone con la norme di legge attualmente in vigore per capire quante giustificate siano le ragioni di chi chiede l’abrogazione di alcune di esse. Credo che nessuno possa negare il fatto che la disponibilità e il diritto di consumo dell’acqua in ogni famiglia sia da annoverare fra i servizi essenziali e primari. Così come il fatto che l’acqua sia una risorsa pubblica da salvaguardare. Inoltre andrebbe ben precisato che il servizio di erogazione dell’acqua comprende la sua captazione, la potabilizzazione, la distribuzione, la raccolta dei reflui e la loro depurazione.

  16. Marco Catellacci

    Alcune questioni rilevanti sono state omesse: – l’esperienza italiana (Latina, Arezzo, tanto per citarne due) mostra come alla privatizzazione si sia sempre affiancato un peggioramento indiscutibile del servizio; – un monopolio naturale non è detto che sia meno efficiente di un mercato di concorrenza perfetta, basta farlo funzionare; – la ricetta "privatizzazione dell’acqua" è intrinsecamente errata, se un sistema attuale ha delle (evidenti) lacune, perché invece di agire su queste con meccanismi mirati si butta via l’intero sistema, comprese le sue eccellenze? E’ come se per curare un braccio rotto si decidesse di amputare l’arto. Considerando questi punti la raccolta firme diventa sacrosanta.

  17. Paolo Rocca

    Purtroppo in Italia le privatizzazioni (parziali) di servizi pubblici finora non hanno dato esiti particolarmente felici: telefonia, autostrade, energia elettrica, gas, ecc. poiché a un monopolio pubblico spesso si è sostituito un monopolio privato, che ancora meno è controllabile. Gli eventuali vantaggi di efficienza sono poco avvertibili dagli utenti. In più la concorrenza si esplica solo nelle gare, sapendo bene come la stessa può essere elusa con cartelli di fatto, consorzi, asimmetrie di vario tipo, senza pensare a casi da codice penale. Se non è l’utente a poter scegliere il fornitore, in situazione di confrontabilità delle offerte, la concorrenza rimane un po’ sulla carta, in barba a qualsiasi autorità indipendente. Nel caso dell’acqua c’è un problema in più: si tratta di una risorsa scarsa e da tutelare: se il "produttore" è privato tenderà a vendere il più possibile per massimizzare i suoi ricavi e i suoi utili, mentre si dovrebbe indurre i consumatori a un uso razionale della risorsa, al di là del suo prezzo: difficile pensare che un imprenditore privato possa essere protagonista di questo tipo di iniziativa.

  18. Quentin

    Premesso che, per quanto riguarda il bene acqua, gli sprechi siano evidenti e sotto gli occhi di tutti, mi pare abbastanza azzardato affermare, soprattutto in un Paese come l’Italia, che un privato in quanto tale e quindi non soggetto a vincoli di tipo elettivo possa in assoluto fare meglio di un soggetto pubblico. Dopo la recente crisi, i cui effetti sono tuttora percepibili nonostante le "alte sfere" ci dicano il contrario, siamo ancora convinti che lasciando fare tutto al Libero Mercato "magicamente" le cose si risolvano per il meglio? Cerchiamo di essere obiettivi, i privati fanno e faranno giustamente i loro interessi, i quali per ovvie ragioni non coincidono con quelli della popolazione che usufruisce del servizio acqua. Al privato infatti, con questo sistema di gare pubbliche, non interesserebbe sistemare le perdite e le falle del sistema, ma piuttosto guadagnare e fare quanto più profitto possibile per gli anni della sua gestione. L’unica soluzione al "problema acqua" resta quella pubblica attuale, modificata in modo da far pagare di più agli spreconi e premiare invece coloro che non sprecano questo bene prezioso e indispensabile.

  19. Lorena

    Perfettamente condivisibile la proposta di istituzione di una Authority a patto che questa venga formata da tecnici e professionisti competenti in materia (e non dai soliti noti di nomina meramente politica); lavorando in un ufficio acquisti come consulente tecnico so bene che la differenza di risultato è data da come viene istituito il capitolato di gara e dal fatto che vi sia qualcuno che controlli costantemente l’operato della ditta aggiudicataria (e che applichi le penali!). Il problema oggi non è tanto il confronto tra privato e pubblico (che comunque da garanzie di tutela maggiore per ora) ma di definire regole certe su quali debbano essere le manutenzioni, gli investimenti e i servizi che devono essere garantiti agli utenti.

  20. claudio cerri

    Concordo sostanzialmente con l’analisi dell’autore, ma non sono così d’accordo con la conclusione che il referendum sia inutile. La mancanza di un meccanismo di "regolazione" e "controllo" rende una privatizzazione esposta al rischio di assoluta inefficienza, come insegnano anche esperienze di "esternalizzazione/terziarizzazione/outsourcing" nel mondo del privato : la mancanza di capacità e di competenze forti per pilotare l’affidamento, e poi il controllo nel tempo di qualità e prezzi, conduce a risultati negativi. Nell’area pubblica poi inefficienza nell’erogazione di un servizio sociale come l’acqua può divenire una vera ingiustizia . Quindi la costituzione di una "authority " indipendente, con la attuazione di meccanismi di benchmarking certificati, deve essere a mio avviso una condizione necessaria (e forse non sufficiente) per gestire un trasferimento a privati. Penso che il referendum, pur con motivazioni confuse come dice l’autore, possa essere utile per modificare una legge che, così com’è, sembra ad alto rischio per gli utenti.

  21. Francesco Gatti

    Grazie per l’interessante spunto. La questione acqua è delicata, non semplificabile. Conciliare gente ed ambiente è la base delle scelte. Senza ideologismi e con la massima partecipazione possibile. Senza partecipazione, si viaggia zoppi. L’acqua è pubblica, come le reti e le scelte sul da farsi (contenuti dei piani d’Ambito). Dove ci sono stati errori, l’errore è stato della programmazione della politica. Ma sono molti i luoghi dove le cose sono andate bene. Per le tariffe. Dove mancano fondi per coprire i costi di acquedotti, fognature e depuratori, mancano qualsiasi sia il gestore. Ci sono alcune aree, soprattutto dove non c’è ancora il SII, nelle quali quota parte del costo dell’acqua è pagato con la tassazione ordinaria o con ripianamenti dei debiti da parte degli enti. Spese nascoste all’utente. Se la tariffa coprisse manutenzioni ed investimenti, si libererebbero risorse utili a diventare sostegno per chi ne ha bisogno. E’ anche percorribile la quota gratuita giornaliera, da far pagare ai consumi elevati. Non si potrebbe, inoltre, più dire "niente tubi, non ci sono i soldi" perchè il settore sarà autonomo. Lavoro e ambiente. Ne abbiamo bisogno.

  22. Fabrizia Fabbro

    Non entro nel merito del dibattito politico se, in generale, sia meglio la gestione pubblica o quella privata, ma, per quanto riguarda l’acqua, vorrei ricordare che lo Stato non può comunque esimersi da alcune obbligazioni a suo carico, anche se svantaggiose economicamente. Nel mese di luglio, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha adottato la Dichiarazione A/64/L.63 che riconosce l’accesso all’acqua potabile pulita, sicura, accessibile e disponibile un diritto umano essenziale per il pieno godimento della vita e degli altri diritti umani. Anche l’Italia ha votato a favore. Il Diritto Internazionale dei Diritti Umani pone a carico degli Stati degli obblighi fondamentali per assicurare il rispetto, la protezione e la realizzazione di ognuno di questi diritti e, in questo caso, per garantire la disponibilità, la qualità, l’accessibilità fisica ed economica, la non-discriminazione e l’accessibilità delle informazioni. Qualsiasi forma di gestione delle aziende municipalizzate non potrà mai ledere un diritto umano proclamato, anche se la sua tutela comporta delle antieconomicità per il mercato.

  23. Giovanni

    Condivisibili molte argomentazioni, altre meno fondate e un po’ naif. E’ noto, ad esempio, che le gare sono meno efficaci al crescere della specificità degli investimenti e della variabilità delle circostanze (Williamson docet). Nel trasporto locale si può ricorrere a gare frequenti, poiché gli asset sono facilmente reimpiegabili. Nel servizio idrico gli asset sono estremamente specifici e non reimpiegabili altrove. Ciò richiede affidamenti lunghi, il che espone le parti a variazioni nelle circostanze (ambientali, economiche, sociali) e quindi alla necessità di procedere ad "aggiustamenti" periodici del contratto. Da qui il fenomeno delle "rinegoziazioni" delle concessioni, diffuso specialmente nel settore idrico, che porta ad una riallocazione del surplus tra le parti, in violazione della "sacralità" dell’offerta di gara. A quel punto, l’impresa che vince la gara non è la più efficiente ma quella più brava a rinegoziare ex post. Una gara di questo tipo è un mero "concorso di bellezza". C’è un’ampia letteratura su questi aspetti, non ignoriamola!

  24. Sergio Marotta

    Caro prof. Ponti, non solo andrò a votare per i referendum ma voterò tre sì per i seguenti motivi. 1- La legislazione italiana in materia di servizi pubblici locali si basa sul falso presupposto che la UE non ammetta gestioni in economia o a mezzo di aziende pubbliche. Non è vero. La UE pretende solo che qualora si decida di esternalizzare si rispettino i principi della libera concorrenza. 2- Il decreto Ronchi non è che il colpo di coda di una smania di privatizzazione che ha un significato esclusivamente ideologico e che non tiene conto dei risultati effettivi delle privatizzazioni già effettuate (vd. ad es. gli studi di Florio sulle privatizzazioni inglesi). 3- La vera svolta nella legislazione sui servizi pubblici locali, specie in tempi di federalismo spinto, sarebbe quella di restituire agli enti locali la possibilità di scegliere se provvedere alla gestione diretta del servizio idrico o se esternalizzarla senza essere costretti dalla legge ad una esternazlizzazione forzata. Quanto all’Authority sarebbe solo un aggravio di costi senza riuscire ad assicurare né l’uso ottimale della risorsa né la chimerica concorrenza "per il mercato".

  25. Kim Taegon

    Non condivido l’affermazione secondo la quale gare periodiche di affidamento sono compatibili con socialità ed efficienza, questa definizione può andar bene per un libro di economia, ma non per la realtà in quanto la produzione in mano ai privati avrà come obiettivo primario il profitto e solo secondario ed accessorio la socialità e l’efficienza. Pertanto ritengo che il sistema migliore per garantire tali obiettivi continui ad essere un monopolio pubblico della produzione magari con un Autority con veri poteri e veramente indipendente con il compito di controllo e di correzione delle inefficienze.

  26. Armando Pasquali

    A proposito di socialità di un servizio pubblico: la Posta ha appaltato ai Corrieri Privati la consegna delle raccomandate. Consegna? Consegna delle cartoline nelle quali si sostiene che il destinatario della raccomandata al momento non era in casa – quando invece era ben presente – e invito ad andarsela a ritirare da sé. La gente va all’ufficio postale e protesta, ma non c’è nulla da fare. Il disservizio continuerà; in compenso, i bilanci dei Corrieri presenteranno pingui profitti, indice di efficenza, parolina magica che ormai giustifica ogni azione. Ma vogliamo dirla tutta? E’ ovvio che questi comportamenti scorretti sono portati avanti su base selettiva, non penso proprio che le zone centrali di Milano o certe lussuose aree residenziali ricevano lo stesso trattamento. Mi si può obiettare che è così da sempre: anche la scuola pubblica riserva le eccellenze all’alta borghesia, che riceveva, e riceve, un servizio di qualità sproporzionatamente superiore alle imposte versate. Vero. Ma nel mondo totalmente privatizzato che è il sogno di ogni economista sarà sempre più vero.

  27. Marino

    Proprio perché credo che il mercato concorrenziale sia un buon allocatore di risorse, non credo alla privatizzazione dell’acqua. A differenza dell’elettricità, della telefonia o della rete, è impossibile separare la rete idrica dalla fornitura di acqua, quindi non si può creare un mercato concorrenziale in cui ti scegli il provider. Le gare di appalto sono solo un sostituto del mercato, una volta effettuate il monopolio resta tale. Magari ci vorrebbe un sistema di costi standard (posare un km di acquedotto costa da x a y, depurare un metro cubo deve costare da x a y) e l’affidamento a gara competitiva dei lavori di ristrutturazione delle reti idriche con sanzioni pesanti a imprese e enti locali che sforano.

  28. Ricardo_D

    Professore, leggendo i commenti credo ci sia ancora molta confusione su quello che intendeva dire. Io concordo con lei, ma allo stesso tempo comprendo la difficoltà nell’accettare il paradigma della ricerca dell’efficienza. La realtà italiana è che policy e rules maker non hanno come scopo lo sviluppo della concorrenza, ma un bieco command&control, neppure illuminato. La logica anglosassone delle liberalizzazioni è ottimale, ma se si crede. Da noi – come in altri paesi mediterranei – è nell’evidenza dei fatti una partita persa, non siamo adatti. Il caso dell’acqua è ancora più delicato perchè la distinzione tra A. l’acqua come bene (l’accesso alla quale è un inalienabile diritto) e B. il servizio "di portarcela in casa", non è alla portata di tutti. Mettiamola così: se siamo contro l’introduzione di meccanismi di efficienza (compreso l’innalzamento delle tariffe) per la "gestione del tubo", allora chiudiamo i rubinetti e andiamo a prenderci l’acqua all’acquedotto (per la doccia, la cucina, la lavatrice,…) con dei comodi contenitori da portare sulla testa…

  29. Antonio Aghilar

    Ancora con questa storia? Ma dico: ma perchè insistere a farsi attrarre da suggestioni fallimentari? A parte il fatto che un Monopolio Naturale non diventa un mercato concorrenziale solo perchè si sceglie con una "gara" (posso partecipare?) il Gestore, si fanno questi discorsi totalmente astratti (tutti figli della "teoria dei mercati efficienti"), come se il prelievo fiscale non esistesse. Concordo in pieno (oltre che con tutti i testi di Scienza delle Finanze del Pianeta) con l’ultimo commento, quello di Marino: la gara è solo un "paliativo" per simulare una inesistente concorrenza nella fornitura di un Bene in regime di Monopolio Naturale. Paliatico per altro assai pessimo, se a vincere la gara fosse, che sò io, uno dei gruppo già produttori di Acque Minerali…(conflitto d’interessi: questo sconosciuto, in Italia). Saluti

  30. Magotti P.

    Eppure le sue parole sono state piuttosto chiare, mi sorprende che molti non abbiano colto il significato del suo articolo. Spero fosse solo la minoranza ideologicizzata che ha commentato. Vorrei inoltre far notare che il cibo, non è meno importante dell’acqua per la sopravvivenza, è chiaramente un bene primario di pari importanza, ma è prodotto e gestito da privati da sempre. E il suo mercato funziona piuttosto bene. La produzione pubblica dell’acqua fin’ora ha prodotto solamente un sistema idrico con perdite d’acqua per un costo di 2 miliardi di euro. Euro che potrebbero essere destinati a fini sociali ad esempio. Quanto meno mi sembra doveroso provare e testare se il produttore privato riesce a far meglio, se non ci riesce basta tornare indietro, ma finché non proviamo come si fa ad affermare il contrario?

  31. luigi saccavini

    La lettura dei commenti impressiona per la diffidenza radicata verso il mercato. Aprire la gestione di un servizio, facendolo svolgere ad azienda pubblica o privata locale, in base alla capacità competitiva espressa è efficienza; non dovrebbero esserci dubbi. Che in Italia gli appalti siano troppo spesso pilotati, che vi siano imprese private solo formali, emanazione di interessi sovrastanti riconducibili al potere A o B, lo si vede spesso. Questo però non deve frenarci in una scelta che va verso l’efficienza. L’esito sarà manchevole inizialmente, ma la direzione è quella giusta. All’inverso restiamo bloccati, ancorati a una gestione economica della cosa pubblica ingessata e costosissima, che già penalizza la nostra capacità competitiva su un mercato globale che lascia sempre meno spazi alla marginalità. Diventiamo, diventeremo più poveri. L’acqua è uno dei santuari minori della nostra inefficienza, ben altri abbiamo davanti; dobbiamo assolutamente svecchiare le nostre strutture e la nostra concezione del bene pubblico, ormai archeologica.

  32. Gianni

    L’approccio con cui è stato fatto l’intervento è certamente meritevole perchè come ogni problema di complessità appena al di sopra della elementarità, richiede di fare le dovute distinzioni tra i vari fattori in gioco. In questo caso vengono distinti due oggetti formalmente e sostanzialmente separati. La produzione e la socialità. A tal fine però mi piacerebbe anche sapere, quando si afferma che il regime di monopolio genera inefficienza, su quale base è fatta tale affermazione: si tratta di una verità di fatto (osservazione)? Di una verità "statistica"? Una verità dimostrata da qualche teoria economica? Altrimenti si rischia di dedurre da premesse non dimostrate, false conclusioni, ciò che i greci chiamavano paralogismi.

  33. luigi saccavini

    Semplicemente perché viene a mancare il riferimento del mercato che determina l’efficienza. L’ente monopolistico quando si trova ad affrontare costi imprevisti non è naturalmente portato a verificare la ricerca dell’efficienza, del minor costo, dell’innovazione; più semplice e naturale che aumenti il costo del servizio. Diventa un pachiderma che ingrossa e si muove pochissimo; non è spinto a rinnovarsi. Nel tempo il sovraccosto diventa una tassa impropria che pagano i cittadini, danneggia il sistema paese. Senza contare che, trattandosi di enti e società a controllo pubblico-politico, nel tempo si gonfia di dipendenti e dirigenti che da lì provengono; in secondo piano, i criteri di competenza e funzionalità. Viceversa, il mercato aperto ove possono confrontarsi aziende, pubbliche e private, genera il riferimento dell’efficienza, che si tramuta in minor costo (oltre a generare legittima marginalità per il gestore).

  34. Antonio Aghilar

    Vorrei, con questo intervento, lanciare una sfida chiara, aperta e cristallina a quanti insistono a tacciare di "furore ideologico" le argomentazioni di quanti, come me, (e siamo milioni, a volte con Laurea, Dottorati e Master in Economia) sono non solo scettici sul fatto che, in Italia, l’affidamento a società private degli acquedotti genererà vantaggi di qualche tipo per l’Utenza, ma anzi che ciò non sia mai avvenuto…nel Mondo. La verità e che la parola "efficiente", da sola, non vuol dire niente. Un’azienda che realizza utili maggiori di un’altra è più efficiente, ma quanto pagano i clienti? Insomma, in poche parole: dove sono i numeri, le prove, le evidenze empiriche, che l’affidamento a privati della gestione degli acquedotti generi vantaggi per gli utenti? Semplice: da nessuna parte, anzi. L’esperienza di "alcuni" paesi dimostra il contrario. Le argomentazioni (vi assicuro, ben lette) del Prof. Ponti (e di tutti gli altri) sono in fondo delle tautologie. Si dice: gli acquedotti gestiti dal pubblico sono dei colabrodi. Vero. Se li gestissero i privati, con gara, sarebbe tutto molto più efficiente. E le prove?

  35. mario

    Preciso che sono un ex dirigente di un’Azienda municipalizzata e posso parlare a ragion veduta sul tema della privatizzazione dei servizi pubblici locali. Però ho 71 anni e, quindi, non posso essere tacciato di corporativismo e neppure di «laudator temporis acti». I servizi pubblici a rete (elettricità, gas, acqua, teleriscaldamento, ecc.) costituiscono monopoli fisici e, pertanto, non ha alcun senso «liberalizzarli», perché non vi sarà mai alcuno che costruisca reti parallele: infatti non avrebbe mai un ritorno degli investimenti conseguenti alla loro realizzazione. Ergo, chiunque sia il concessionario (scelto con regolare gara ad evidenza pubblica) sarà, per il tempo della non breve concessione, un monopolista: se sarà un privato tenderà solo al profitto, magari lesinando sulla sicurezza degli impianti e dei lavoratori, per massimizzare il profitto stesso. Il segmento, peraltro marginale, della vendita (dell’acqua, del gas, dell’elettricità, ecc.) peraltro già in essere, è teoricamente concorrenziale, salvo possibili cartelli. Ma – sia ben chiaro – solo la vendita, non la gestione delle relative reti. Allora ben possono rimanere, per le reti, le società pubbliche <in house>.

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