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A un passo dal disastro

Il primo errore è stato il salvataggio della Grecia, per poi proseguire in un crescendo che ha finito per portare l’eurozona sull’orlo del disastro. I leader europei sperano di arginare la situazione rafforzando il Patto di stabilità o imponendo un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano. Entrambi richiedono un nuovo Trattato e dunque una ratifica da parte di cittadini europei, poco propensi a concederla in questo momento. E allora l’unica possibile soluzione è il ripristino della clausola del “no-bailout”: a imporre la disciplina fiscale ci penseranno i mercati.

 

È impressionante vedere i politici europei che dopo aver preso una strada sbagliata all’inizio di quest’anno, perseverano nel sommare errore a errore. Tutto è iniziato con la decisione di non abbandonare la Grecia a se stessa. Per aver proseguito su questa logica, l’eurozona si trova ora sull’orlo di una disastro di proporzioni storiche.

L’INIZIO DEL DISASTRO

Gli storici ci diranno se “salvare la Grecia” sia stato una sincera dimostrazione di solidarietà o un volgare tentativo dei governi di Francia e Germania di evitare un altro giro di salvataggi di banche finanziato dai contribuenti. In ogni caso, è in quel momento che il disastro ha avuto inizio. Prima si è detto alla Grecia di non ricorrere al Fondo monetario internazionale perché i governi amici europei l’avrebbero aiutata con un generoso prestito di 10 o 20 miliardi di euro. In parte la promessa era volta a impressionare i mercati finanziari perché allentassero la pressione dell’assedio al governo greco. I mercati si sono messi a ridere. La somma stanziata era per la verità ridicola e la promessa un incoraggiamento per un attacco ancora più forte, per ottenere maggiori profitti. La somma è stata via via aumentata finché alla Grecia è stato detto di rivolgersi all’Fmi, ma non da sola. Un’operazione congiunta di soccorso Fondo monetario-Unione Europea ha messo sul piatto 110 miliardi di euro e sono stati raccolti nuovi fondi per niente meno che 750 miliardi, in modo da impressionare davvero i mercati. Peggio ancora, la Banca centrale europea è stata “invitata” ad acquistare debito pubblico, contravvenendo alla sua spesso enunciata politica, secondo la quale mai lo avrebbe fatto. In un colpo solo, la clausola del “no-bailout” è stata cancellata e la Bce ha perso una parte importante della sua credibilità. La ragione? Evitare a tutti i costi un contagio sul debito pubblico di altri paesi e precludere ogni minaccia di bancarotta degli Stati.
Ed eccoci qui: il contagio si fa strada e la ristrutturazione dei debiti è solo questione di tempo. Il fallimento è quasi completo e le risposte politiche diventano sempre peggiori. La Bce sembra ora pronta a elevare massicciamente il suo programma di monetizzazione del debito. Non si tratta ancora di una minaccia diretta alla stabilità dei prezzi grazie al cammino dolorosamente lento della ripresa economica, ma la Bce ha perso ogni diritto di dare lezioni ai governi sul tema fondamentale del rispetto della disciplina fiscale. I mercati saranno felici di questa mossa per qualche ora o per qualche giorno e poi si concentreranno su ulteriori attacchi ad ancora altri debiti pubblici.
Sembra che le autorità politiche, Bce inclusa, decidano le loro mosse di volta in volta: non si accorgono che il loro impegno a salvare tutti i debiti pubblici alimenta la speculazione sui mercati? Sono tantissimi i soldi che si possono fare, per esempio si può avere un ritorno del 10 per cento l’anno su titoli garantiti denominati in euro. Naturalmente, lo spread riflette la convinzione del mercato che i politici alla fine dovranno arrendersi perché il debito pubblico totale dell’area euro ammonta a circa 7.700 miliardi di euro. Ma con la Bce ora apparentemente pronta ad acquistare qualsiasi cosa di cui il mercato voglia liberarsi, la scommessa è relativamente sicura, anzi irresistibile.

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LA CLAUSOLA INFRANTA

Non doveva accadere e il disastro incombente non fa parte del progetto originale dell’area euro. La clausola del “no-bailout” era pensata proprio perché fosse chiaro che ogni governo avrebbe affrontato, da solo, le conseguenze dell’indisciplina fiscale. Infrangendo questo elemento centrale della costruzione europea, i politici hanno aperto la strada a una crisi che potrebbe essere letale. La loro speranza è di riuscire a correggere la situazione rafforzando il Patto di stabilità e imponendo un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano (Sdrm), che renda possibili e gestibili default parziali. Il meccanismo Sdrm è una buona idea, ma non può essere imposto a un paese sovrano. Dieci anni fa, l’Fmi ha tentato di delinearne uno simile, che avrebbe dovuto essere attivato quando un paese avesse richiesto un aiuto di emergenza, una estensione dei suoi strumenti di condizionalità. Il piano attuale difeso dalla Germania, apparentemente con il consenso della Francia, prevede che una qualche istituzione europea, ancora da definire, imponga l’adozione di un Sdrm a uno Stato membro dell’area euro che si trovi in difficoltà. Ciò implica un notevole trasferimento di sovranità, quindi richiede un nuovo Trattato, ratificato da tutti gli Stati membri. Chiedete agli irlandesi se voterebbero a favore. Il progetto è condannato in partenza, così come lo è, per la stessa ragione, ogni serio rafforzamento del Patto di stabilità. Quando il piano affonderà, come è quasi certo, l’area euro avrà effettivamente perso ogni strumento per imporre la disciplina fiscale ai suoi membri. Si può sperare che i politici abbiano già preparato un piano B, ma considerato come finora sono apparsi profondamente confusi, rischiamo di rimanere ancora una volta amaramente delusi.
Cosa accadrà allora? L’unione monetaria non riuscirà a garantire la stabilità dei prezzi. Alcuni paesi ne trarranno la conclusione che non è questo che vogliono e vorranno riprendere il controllo della loro politica monetaria. Una possibilità che avevo ritenuto fosse al di là dei peggiori scenari perché pensavo che i politici fossero dotati di buon senso. Oppure i politici riacquisteranno la ragione e riconosceranno di aver profondamente sbagliato.
Si sostiene che la soluzione è una politica fiscale comune: è un’ipotesi destinata a piacere a chi, come me, è a favore di un’Europa federale, ma si tratta solo di uno slogan superficiale. Quali poteri di spesa e di tassazione sono pronti a trasferire a “Bruxelles” i cittadini europei, che pure dovranno essere consultati sul tema? Un’unione monetaria di grande successo potrebbe incoraggiarli a chiedere maggiore integrazione, ma più l’area euro è nello scompiglio, più si assottigliano i ranghi dei federalisti. Allo stesso modo, l’idea di emettere strumenti di debito pubblico collettivamente garantiti è accattivante, ma è anche fuorviante se la disciplina fiscale non è garantita. L’unico passo possibile è dunque ristabilire la clausola del “no-bailout”. Dobbiamo riconoscere che la disciplina fiscale non può essere imposta ai governi sovrani cosicché quella disciplina dovrà essere ottenuta con rigide regole di bilancio a livello nazionale. È brutale, e forse talvolta inefficiente, ma i politici hanno dimostrato in modo spettacolare che non è possibile aver fiducia nella loro capacità di giudizio quando si trovano ad affrontare situazioni difficili.

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14 commenti

  1. Rossano Zanin

    La visione catastrofica di questo illustre economista svizzero, che può essere in alcune parti condivisa, ha, secondo me un sottile sentore di antieuropismo, dovuto forse alla sua visione svizzera dei problemi finanziari? Mi sembra in ogni caso pronto ad armare la mano del boia che taglierà (speriamo proprio di no) la testa all’Europa.

  2. guido

    Trovo contraddittorio affermare che "Sono tantissimi i soldi che si possono fare, per esempio si può avere un ritorno del 10 per cento l’anno su titoli garantiti denominati in euro. " e proseguire subito dopo con "lo spread riflette la convinzione del mercato che i politici alla fine dovranno arrendersi perché il debito pubblico totale dell’area euro ammonta a circa 7.700 miliardi di euro." Oh, insomma! lo spread, anche nel caso irlandese fra l’altro molto inferiore al 10% meno il tasso del bund, è la valutazione di mercato del rischio di no-bail out, è ritenuto un rischio modesto e offre un guadagno modesto a tutti quelli che lo vogliono correre, anche a C.Wyplosz. se fosse certo che ci fossero dei default, nessuno a nessun prezzo adesso comprerebbe titoli di stato. Meno sicumera, quindi, su giochi facili della speculazione. Non vengono in mente alcune conseguenze collaterali della soluzione proposta a suo tempo dall’autore? dove sarebbero in nostri tassi se la grecia avesse ristrutturato? Quanto costerebbe adesso il servizio del nostro debito?

  3. Cepu

    Aggiungerei che bisogna mettere un penale significativo e comune per chi trucca bilanci pubblici. E togliere le immunità per i reati fiscali/amministrativi. Se i politici e i loro furieri vanno avanti a colpi di falso, o prendono decisioni artistiche per coprire le proprie magagne, senza pagare con la propria libertà, non se ne esce.

  4. francesco scacciati

    Tasso di cambio euro dollaro di oggi 1,32. Il prof. Wyplosz vada a rileggersi cosa scrivevano gli economisti suoi colleghi quando l’euro, risalendo da 0,82, sfondò quota 1,30: "Supereuro"; "Ascesa inarrestabile"; "Euro troppo forte, esportazioni in difficoltà". etc. Ma non sono i mercati ad aver fissato, come sempre, il cambio di oggi? E allora com’è che l’euro a 1,30 nel 2004 era "super" e adesso a 1,32 è sull’orlo del disastro?

  5. Giancarlo Mazzone

    La clausola del "no-bailout" infranta dalla BCE viene parzialmente aggiustata da un passo che appare fermo, quello di coinvolgere i privati dal 2013 nelle eventuali perdite sulle emissioni di bond, come naturale responsabilità di ogni stato membro. L’U.E. procede purtroppo per passi, la speculazione può essere più veloce della U.E., ma se il Patto di Stabilità sostanzialmente regge, i governi dell’U.E.possono vincere la speculazione. Certo si può innescare un po’ d’inflazione, ma che dire allora dell’enorme debito USA e della volontà di quel Paese di creare inflazione? Nonostante la Germania oggi manifesti contro l’emissione di eurobond, questo potrebbe essere un’altro importante passo verso una maggiore unione dell’Europa. In questa luce il disastro un po’ si allontana.

  6. Francesco Molle

    Trovo assurdo che la BCE abbia infranto una clausola così importante come quella del "no-bailout", concordo con l’autore dell’articolo riguardo al fatto che sia una mossa dannosa, non solo a livello finanziario, ma anche per ciò che concerne la credibilità dell’Unione europea. Paradossalmente è come se la giustizia italiana anziche condannare Callisto Tanzi a 18 anni gli avesse dato una seconda chance da amministratore delegato, le pene per chi sbaglia devono essere esemplari altrimenti mancheranno sempre i giusti incentivi per rispettare le leggi. Avendo la certezza quasi matematica di poter essere salvati dall’Unione europea si va incontro al ben noto fenomeno del "Moral Hazard". L’unica politica corretta ed attuabile da parte dell’unione europea sarebbe quella di tutelare i cittadini medi in caso di "furbate" dei governi, ma salvare i governi, innescando così una bolla speculativa di proporzioni colossali è l’ultima cosa da fare.

  7. Nicola Dragoni

    Evidentemente Lehman Brothers non ha insegnato nulla o il ricordo ne é svanito come acqua al sole. Per non formulare altre parole e giudizi più severi anche se aderenti alle capacità dimostrate dall’autore dell’articolo..

  8. Pietro

    Per entrare nell’Euro abbiamo pagato un prezzo altissimo, il dimezzamento degli stipendi e pensioni, ancora oggi, dopo oltre 10 anni dall’introduzione di questa moneta, ancora non si riesce a sanare le ferite di questa rivoluzione. Uscirne, dopo tanti sacrifici, sarebbe altrettanto doloroso? Quale, quanto sarebbe il costo per il popolo visto che è sempre quello che paga per gli errori dei politici?

  9. bonzer

    Va bene che col senno di poi è più facile dare giudizi, ma credo che non sia stata presa in una notte l’idea di far un’Europa unita e lo stesso il modo di governarla. Come si poteva pensare di imporre una moneta unica con un unica banca centrale, e allo stesso tempo decidere che ogni paese avesse il suo tasso di interesse? Come si poteva credere che paesi con strutture tanto diverse da quella tedesca potessero sopravvire con una politica adatta alla struttura germanica? E ancora come si poteva e si può sperare che un paese in recessione possa pagare un prestito pari o quasi al suo Pil dove noi europei abbiamo applicato un amorevole tasso al 5% quando anche il Fmi li ha imprestati a meno? Si sa che se il Pil è pari al debito il primo deve crescere a tassi superiori al secondo se lo si vuole ripagato. Passino pure i primi errori ma il terzo è del tutto ingiustificato. La Grecia doveva fallire. L’Euro si sarebbe svalutato in proporzione e le banche avrebbero retto il colpo, almeno credo. Ora come ora con Germania e Francia che pensano per loro (han detto no a eurobond entrambe se non sbaglio) cosa può far l’Europa come Unione?

  10. Antonino Tramontana

    Credo che i problemi dell’euro potrebbero essere stabilmente risolti se i Paesi dell’UE, anziché tentare di rafforzare gli inutili (e potenzialmnte dannosi) Patti di Stabilità, si decidessero finalmente ad applicare l’art. 119 del Trattato UE, che prevede l’adozione di una politica comune fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri e l’art. 121, il quale stabilisce che gli Stati membri considerano le loro politiche economiche una questione di interesse comune e le coordinano nell’ambito del Consiglio. Occorre poi che gli Stati manifestino maggior senso di responsabilità nei confronti dei propri sistemi bancari. Oggi in Europa non è più tollerabile che uno Stato garantisca la solvibilità del proprio sistema bancario e poi invochi l’aiuto comunitario quando si accorge di non poter far fronte ai propri impegni.

  11. michele

    Totalmente d’accordo con l’autore. Le motivazioni da lui illustrate, sottaciute da tutti i media. Sono eloquenti: è la stessa Europa, con i suoi organismi e meccanismi finanziari, che incentiva e premia la speculazione. Serpente che si morde la coda, insomma. Presto i nodi verranno al pettine: ma nessuno ha il coreggio di dirlo prima alla propira opnione pubblica. Forse così si spiega anche la riluttanza, in Italia, a prender in mano il governo del paese: non si vuol pagare il conto.

  12. Roberto Antonella

    Purtroppo l’Europa sarà destinata a finire. E’ chiaro come un’Europa governata in maniera corretta necessita di un ulteriore consistente possaggio di sovranità a livello comunitario ma nessuno è pronto. Basta vedere quello che succede in casa nostra o in Belgio, in Spagna, in Irlanda….figuriamoci se possiamo affidare la politica fiscale a Bruxelles. La storia si ripete e la fase europea comunitaria volge al termine.

  13. Stefano S.

    Questa è la dimostrazione che nulla può l’economia se non è supportata dalla politica. Il mondo e quindi l’Europa vive da lustri un eccesso di finanziarizzazione e la scelta di cominciare una effettiva unità europea dalla moneta senza avere una solida politica comune fiscale e quindi politica, sembra dimostrare che il sogno europeo è nato monco, orfano, asfittico. La politica con la P maiuscola si è presa così la rivincita sulla finanza. Dalla politica e dalla cultura comune nata da movimenti, da idee e da filosofie che nessun altro continente ha mai saputo far nascere si dovrà ricominciare un cammino di unità europea.

  14. Marcello Tava

    Strano: sembra che la panacea secondo Wyplosz debba essere il default seriale di tutti i paesi UE tranne la Germania. Se si fossero resi insolvibili i 70 miliardi di titoli greci che erano nelle casse delle banche tedesche al momento dell’intervento da 750 mld (10/05/10), la Germania avrebbe dovuto ripianare il debito emettendo a sua volta titoli, per evitare il blocco del sistema bancario che era appena uscito dal panico della crisi subprime. Poca roba, in confronto ai 1500 miliardi del debito pubblico tedesco. Il problema è che una volta appurato (dolorosamente) che un default in area euro è ammissibile, nessuno al mondo sarebbe più stato disposto a rifinanziare, nell’ordine: Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia, Belgio, Francia, eccetera. I tassi dei titoli di questi paesi sarebbero schizzati alle stelle, rendendo il loro rifinanziamento impossibile. Fine dell’euro. I paesi sovrani non sono soggetti flessibili come le piccole aziende e non gli si può applicare teorie evoluzionistiche attribuendo ai "mercati" il compito di sanarli.

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