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Un fondo in affitto

La legge di stabilità mette la parola fine al fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione. E nello stesso tempo la bozza di decreto legislativo sulla fiscalità municipale introduce la cedolare secca sugli affitti con un’aliquota del 20 per cento. Che determinerà una consistente perdita di gettito senza benefici tangibili per le famiglie in difficoltà a pagare un canone di mercato. Non sarebbe meglio allora utilizzare una somma pari al guadagno che deriva ai proprietari dal nuovo sistema di tassazione per rifinanziare il fondo?

 

Questa che sembra essere la fase terminale del ciclo politico del berlusconismo si chiude con due propositi non certo positivi per le famiglie che vivono in affitto. La bozza di decreto legislativo di attuazione del federalismo sulla fiscalità municipale, che introduce la cedolare secca sugli affitti con un’aliquota del 20 per cento, elimina ogni incentivo, per i proprietari degli alloggi, a ricorrere ai cosiddetti canoni concordati (più bassi di quelli di mercato) introdotti dalla legge 431/1998 di disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili a uso abitativo. (1) E la legge di stabilità suona come un requiem per un altro degli strumenti istituiti dalla legge 431: il fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, più noto come fondo sociale per l’affitto.

UN FONDO AL TRAMONTO

Il fondo sociale per l’affitto fu istituito con l’articolo 11 della legge 431/1998 con lo scopo di erogare contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione dovuti ai proprietari degli immobili da affittuari con bassi redditi. L’integrazione monetaria avrebbe dovuto permettere di portare l’incidenza del canone sul reddito a non più del 14 per cento per i nuclei familiari con un reddito annuo imponibile complessivo non superiore a due pensioni minime Inps (in totale quasi 12mila euro) e del 24 per cento per i nuclei con un reddito non superiore a quello determinato dalle Regioni per concorre all’assegnazione di un alloggio popolare.
L’obiettivo non è mai stato raggiunto. Malgrado gli apporti dei bilanci regionali e, in molte regioni, di quelli dei comuni, la consistenza annuale dello stanziamento complessivo è sempre stata insufficiente per erogare agli aventi diritto i contributi spettanti. L’importo medio erogato si è via via ridotto nel tempo in conseguenza della dinamica crescente del numero di beneficiari e di quella fortemente decrescente degli stanziamenti statali (riportati nella tabella 1). Non esiste una rilevazione che restituisca un quadro complessivo della gestione del fondo, ma le analisi sui dati disponibili in alcune Regioni non lasciano dubbi. In Piemonte le domande accolte sono passate da circa 20mila nel 1999 a circa 35mila nel 2007, con un salto del fabbisogno da 30 a 74 milioni di euro circa; in Emilia-Romagna le 20mila domande del 2000, cui corrispondeva un fabbisogno di 40 milioni di euro, sono lievitate a oltre 54mila nel 2009 con una esigenza finanziaria di 133 milioni di euro.
Ora la legge di stabilità decreta di fatto la fine del fondo, riducendo del 69 per cento gli stanziamenti della legge finanziaria 2010 per il 2011 e 2012, portandoli da 109 a 33 milioni di euro circa. Addirittura, lo stanziamento per il 2013 è di poco più di 14 milioni. Cifre irrisorie, inferiori al fabbisogno di una media Regione.

Tabella 1. Stanziamenti statali (in euro) del fondo

Esercizio finanziario  Stanziamento
1999 388.778.277
2000 361.519.829
2001 335.696.984
2002 249.181.336
2003 246.496.000
2004 248.248.333
2005 230.143.000
2006 320.660.000
2007 210.990.000
2008 205.568.967
2009 181.101.060
2010 143.826.000
2011 109.446.000
legge stabilità: 33.550.000
2012 109.446.000
legge stabilità: 33.940.000
2013 legge stabilità: 14.313.000
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UN PARADOSSO DEI “CONSERVATORI”

Paradossalmente, la sostanziale fine di questo strumento viene decretata da un governo di centrodestra, che  almeno nelle intenzioni e dichiarazioni, ispira la sua azione ai principi del libero mercato. Il fondo non interferisce nella determinazione dei canoni. Interviene quando il gioco ha già prodotto i suoi effetti, per aiutare a rendere solvibili famiglie per le quali i canoni di mercato sono troppo elevati.
Evidentemente, i liberisti nostrani hanno dimenticato gli insegnamenti dei maestri del non intervento dello Stato. Per esempio, dimenticano quello del maestro dei Chicago boys il quale, ritenendo l’utilizzo di danaro pubblico per sovvenzionare la costruzione di case per le persone a basso reddito nient’altro se non una forma di assistenza, si chiedeva: “[gli stanziamenti] non sarebbero impiegati più efficientemente se si dessero sovvenzioni in danaro invece che in natura? Certamente le famiglie assistite preferirebbero ottenere un certa somma in danaro piuttosto che sotto forma di alloggio”. (2)

UN TIMORE DEI “PROGRESSISTI”

Il fondo per l’affitto non ha mai suscitato troppo entusiasmo neanche nelle forze politiche della sinistra e del centrosinistra. Per constatarlo è sufficiente leggere il capitolo “casa” dei loro programmi elettorali per le elezioni politiche del 2008, tutti facenti perno sull’affitto, ma senza citare il fondo.
Il distacco è, verosimilmente, giustificato dal timore che la sovvenzione monetaria agli inquilini possa trasformarsi non in un alleggerimento, bensì in un aumento dei canoni. E si cita a sostegno di questo timore ciò che succede in altri paesi, come la Francia. (3)
Ma le differenza tra i due paesi sono notevoli. In Francia lo stanziamento statale del programma denominato Apl (Aides personnalisée au logement), che offre un aiuto al pagamento dei canoni (o in alternativa delle rate dei mutui) è stato nel solo 2008 di 6.572 milioni di euro, contro i 3.122 milioni con cui lo Stato italiano ha finanziato il suo fondo nei dodici anni che vanno dalla sua istituzione, nel 1999, al 2010. (4)
A rendere ancora più diverse le due situazioni è il fatto che in Francia l’inquilino può calcolare on line, prima ancora di aver scelto l’abitazione da prendere in affitto, il contributo pubblico spettante in base alle caratteristiche dell’alloggio (tipo, canone, localizzazione) e familiari (reddito, composizione); il contributo viene erogato al proprietario dell’abitazione, che ne conosce quindi l’ammontare. In Italia solo dopo avere partecipato a un bando pubblico, l’inquilino sa se e per quale importo riceverà il contributo. L’ammontare sul quale l’inquilino potrà contare dipende in misura del tutto trascurabile dalla sua condizione, dipende invece quasi esclusivamente dalle risorse stanziate e dal numero dei beneficiari tra i quali devono essere ripartite. Ferma restando la condizione economico-sociale dell’inquilino, il contributo erogato può quindi variare enormemente da un anno all’altro, o addirittura può non essere più erogato del tutto, come di fatto avverrà a partire dal prossimo anno.
E se in Francia l’aiuto pubblico al pagamento degli affitti può stimolare una crescita della domanda di servizi abitativi che con una offerta rigida può effettivamente tradursi in un aumento dei canoni, almeno nel breve periodo, in Italia questo effetto non solo non è documentato da evidenze empiriche, ma sembrano anche mancare le condizioni affinché possa prodursi.

UN TRADE OFF CEDOLARE-FONDO?

Il costo fiscale dell’introduzione della cedolare secca si aggira sul miliardo di euro all’anno. Per colmare la differenza ci si affida al gettito aggiuntivo che dovrebbe accompagnare la tassazione dei canoni che ora sfuggono al fisco. Ma andrebbero forniti elementi volti a suffragare le percentuali di emersione adottate dalla relazione tecnica ai fini della stima di gettito, al fine di poterne valutare il grado di effettiva realizzabilità. (5)

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Tabella 2. Effetti fiscali dell’introduzione della cedolare secca. Valori in milioni di euro

Competenza 2011 2012 2013 2014
(A) Minori entrate 3.635 3.718 3.801 4.053
(B) Gettito cedolare secca da unità abitative attualmente locate 2.666 2.719 2.770 2.770
(C) Perdita di gettito (B)-(A) -969 -999 -1.031 -1.283
(D) Gettito cedolare secca aggiuntivo (effetto emersione) 440 740 1.037 1.037
(E) Effetto netto (C)+(D) -529 -259 6 -246

Fonte: http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/FI0418.htm

I sostenitori si attendono dalla tassa piatta sugli affitti una riduzione dei canoni, a seguito di un incremento dell’offerta di alloggi in locazione stimolato dall’accresciuto rendimento dell’investimento. Ma il nuovo sistema è conveniente per i proprietari solo se i canoni restano invariati. Tuttavia, supponiamo pure che i locatori siano così generosi da trasformare in riduzione dei canoni l’intero risparmio fiscale di cui beneficiano con la cedolare secca. Le famiglie che hanno diritto ai contributi trarrebbero comunque un vantaggio maggiore se fosse assegnata al fondo una dotazione equivalente al guadagno che deriva dall’introduzione dal nuovo sistema di tassazione per i proprietari che oggi pagano l’Irpef sui ricavi dell’affitto.
Se si dotasse il fondo di un miliardo di euro all’anno, potrebbe essere erogato un contributo di 2.500 euro a ognuno dei circa 400mila suoi beneficiari. (6) 200 euro al mese circa costituiscono un quinto di un canone di 1.000 euro, un quarto di uno di 800 euro e un terzo di uno di 600. La percentuale di abbattimento del 20 per cento verrebbe sfiorata, e dai soli proprietari collocati negli scaglioni di reddito più elevati ai fini Irpef, se tutto il risparmio fiscale da cedolare fosse destinato a riduzione del canone, come si può osservare dalla tabella 3.

Tabella 3. Percentuale della quale il proprietario di un’abitazione potrebbe ridurre un canone lordo a seguito dell’introduzione della cedolare secca continuando a percepire lo stesso canone al netto della tassazione, per regime di canone e classi di reddito dei proprietari

Classi di reddito Percentuale imposizione Regime canone
Libero Concordato
da 0 a 15.000 0,23 0,7 -7,0
da 15.000,01 a 28.000 0,27 4,9 -4,0
da 28.000,01 a 55.000 0,38 16,6 4,1
da 55.000,01 a 75.000 0,41 19,8 6,4
oltre 75.000 0,43 21,9 7,9

Ma allora non varrebbe la pena di rivendicare uno scambio tra cedolare secca e fondo affitto? Ne avrebbero da guadagnare alcune centinaia di migliaia di famiglie che pagano canoni di mercato, purtroppo non alla portata delle loro tasche.

(1) https://www.lavoce.info/articoli/-fisco/pagina1001922.html
(2) M. Friedman, Capitalismo e libertà, Edizioni studio Tesi, Pordenone, 1987, p. 240.
(3) Vedi G. Fack, “Pourquoi les ménages à bas revenus paient-ils des loyers de plus en plus élevés?”, in Économie et statistique, n. 381-382, 2005; A. Laferrère-D. le Blanc, Comment les aides au logement affectent-elles les loyers? Économie et statistique, n. 351, 2002.
(4) http://www.statistiques.equipement.gouv.fr/rubrique.php3?id_rubrique=541
(5) Camera dei deputati, Ufficio studi http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/FI0418.htm
(6) La quantificazione del numero dei beneficiari del fondo è frutto di una stima di fonte sindacale.

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Vittime di mitridatizzazione

  1. AM

    Negli intendimenti del Fisco la cedolare secca ( si sottolinea che la cedolare secca colpisce i canoni e non i redditi netti della proprietà immobiliare) doveva servire a fare emergere affitti oggi in nero e quindi non comportare una consistente perdita di gettito. Personalmente sono scettico su questi effetti, ma penso che la soluzione peggiore sia quella di aumentare l’aliquota al fine di alimentare il fondo come proposto dall’ Autore.

  2. Mario Del Chicca

    Vorrei solo chiedere all’illustre autore dell’articolo (forse un professore universitario di economia?), visto che è così contrario alla cedolare secca sugli affitti abitativi, per quali motivi ritiene giusto pagare fino al 43 % sui redditi da locazione. Forse che le rendite finanziarie sono tassate di più? Senza tenere conto che dietro una casa in affitto c’è sempre del lavoro da fare, bisogna essere aggiornati sulla normativa in continuo cambiamento, bisogna effettuare della manutenzione, ecc.. Ma lo sa il signor Lungarella quanto è la redditività di un immobile dato in locazione?

  3. AM

    Le cedolari secche non colpiscono i redditi netti, ma i redditi lordi, talora solo virtuali: es. i canoni previsti dal contratto registrato e non pagato dall’affittuario. Trovo anche improprio perun economista parlare di "rendite finanziarie" anzichè di "redditi finanziari". Le rendite infatti per essere tali prevedono l’assenza di costi, anche in termini figurativi (tempo dedicato), e soprattutto l’assenza di rischi. Andiamolo a chiedere a tanti piccoli risparmiatori colpiti dai default Argentina, Parmalat, ecc. che hanno perso i loro risparmi e che non sono neppure autorizzati a compensare queste perdite con le cedole che incassano dalle obbligazioni. Chiamandoli rentiers si unisce l’insulto alla beffa.

  4. Francesco Burco

    La cedolare secca è la resa nei confronti di chi avendo un sacco di capitali (di solito ereditati), invece di investirli in un’attività produttiva, cerca una rendita, e ti ricatta perchè può lasciare i suoi soldi immobilizzati negli immobili o nei terreni, mentre si rivalutano, sottraendo spazi e case al mercato in emergenza abitativa e sociale. Le colpe ovviamente sono ben distribuite, a partire dalla nostra mania per la proprietà. Naturalmente in controluce il solito conflitto generazionale. La proprietà è in mano alla immarcescibile generazione Gianni Morandi o dintorni. Gli sfruttati sono i soliti under 40. Il paradosso è che il patrimonio immobiliare è pure conservato da schifo, almeno qui a Roma. Il problema peraltro si lega con altri, quali l’indegno ritardo infrastrutturale delle nostre città soprattutto a danno delle periferie e di uno sviluppo urbano sostenibile. Tirando le somme abbiamo un costo abitativo enormemente più alto di quanto necessario per gestire un’offerta abitativa adeguata. Gli attivi degli immobili che vediamo sono solo la fotografia del sangue cavato ai giovani e la rendita di chi non fa nulla di produttivo nella vita.

  5. Filippo Cirinesi

    Il problema reale è che cambia la finalità del fondo che doveva inizialmente agevolare gli inquilini che non potevano usufruire dell’edilizia residenziale pubblica ed erano in difficoltà con il mercato privato. Così si sposta il contributo dal soggetto svantaggiato (l’inquilino a basso reddito) verso il proprietario, soggetto forte della contrattazione immobiliare. In ogni caso è il mercato che finanzia il guadagno ai proprietari immobiliari (siano essi grandi o piccoli). Consentire il taglio fiscale a danno del pur piccolo contribuito verso gli inquilini meno abbienti mi sa che aggiunge al danno anche la beffa

  6. Carlo Turco

    Penso che tutta la questione sarebbe da rivedere di sana pianta. Magari guardando a esperienze di altri paesi – penso all’Olanda, in particolare – dove hanno funzionato egregiamente. Ma il problema principale, in Italia, a mio parere, rimane un altro (anche se è sempre quello): l’evasione. come aiutare cittadini a basso reddito, quando è comprovato che spesso i sia pur pochi aiuti così concessi (vedi esperienze ISES) non di rado finiscono nelle mani di cittadini il cui "basso reddito" è tale soltanto perché, ad esempio, non vengono dichiarati cespiti finanziari? E in quanto alla "cedolare secca" sugli affitti: ma perché mai si dovrebbe presumere che essa faccia emergere gli affitti "in nero" (parziali o totali che siano)? Gli strumenti per farli "emergere", oggi, ci sono: basterebbe incrociare i dati affluenti alle questure (norme antiterrorismo), con quelli relativi alla tassazione sui rifiuti, alle forniture di servizi acqua, luce, gas, e magari con qualche controllo mirato a campione su tante case sfitte, in affitto temporaneo o addirittura in comodato d’uso. Ma chi li usa?!

  7. marco51

    Solo parlare di creare un fondo per integrare chi non puo’ pagarsi un affitto mi sembra ormai parlare di una cosa che non esiste nella economia moderna , abbiamo creato una montagna di debito per finanziare inefficienze e lassismo, caro professore il 20% di tasse va applicato ad ogni reddito , dipendente autonomo finanziario e di impresa, solo dopo con le tasse raccolte si vede cosa ci si puo’ permetere di finanziare, o preferisce le selvagge svalutazioni della lira di una volta per tirare avanti?

  8. Luigi Calabrone

    Se fossimo in un paese serio, da decenni sarebbe emerso come scandaloso il fatto che il sistema giuridico-economico vigente in Italia ha minimizzato il contratto di affitto per uso abitativo, così che gli italiani sono diventati un popolo di proprietari, sempre più immobili (gli italiani). Il patrimonio di abitazioni è mal gestito e serve principalmente come bene rifugio per i proprietari, che, sulla carta, risultano tra i più ricchi di Europa. Solo sulla carta, perché dall’eccesso di immobili, male utlizzati, originano costi non produttivi e rovina del territorio, sprechi a danno del paese. Si sarebbe fatto un piano di medio e lungo periodo affinché aumentasse l’offerta di abitazioni in affitto, tutelando i proprietari, soprattutto garantendo loro che le abitazioni locate (locate anche per periodi brevi) tornassero a loro disposizione a fine affitto o in caso di morosità. Invece si continua con palliativi, come la "cedolare secca" (che, tra l’altro, non entrerà in vigore nel 2011). Come si fa, ancora oggi, ad affermare che il proprietario sia un "soggetto forte", quando, in realtà è un soggetto marginale, malvisto dall’ordinamento, taglieggiato dal fisco?

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