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La cancellazione del debito? Un placebo

Dopo quindici anni, i risultati del programma per la riduzione del debito dei paesi poveri sono deludenti. In particolare, non sembra aver prodotto alcun effetto positivo sul tasso di crescita del Pil, né un boom degli investimenti. Semplicemente perché spesso il debito estero non è la causa della povertà, che va ricercata invece nella fragilità delle istituzioni. E intanto cresce l’importanza del debito domestico. Meglio sarebbe se istituzioni internazionali e paesi donatori aiutassero i paesi debitori nello sviluppo di una prudente gestione macroeconomica, soprattutto fiscale.

 

A quindici anni dall’introduzione della principale iniziativa di riduzione del debito estero per i paesi poveri e altamente indebitati (Hipc) da parte del Fondo monetario internazionale, della Banca Mondiale e dei paesi donatori, i risultati sono piuttosto deludenti. Il programma può definirsi un “placebo”: certamente non ha fatto male, ma è dubbio che abbia sortito qualche effetto di lungo periodo. In ogni caso, la riduzione del debito non può essere vista come la soluzione per eliminare la povertà o raggiungere gli obiettivi del millennio.

QUANTO CONTA IL DEBITO DOMESTICO

Le diverse iniziative di cancellazione del debito sono costate fino a ora circa 120 miliardi di dollari, ottenendo una drastica riduzione dell’indebitamento estero (figura 1). Il risultato, a prima vista un segnale del grande successo dello sforzo internazionale, nasconde delle criticità che meritano notevole attenzione, per evitare che i paesi più poveri raggiungano nuovamente nei prossimi anni un livello non sostenibile di debito pubblico totale sia interno che estero e rimangano intrappolati in una spirale perversa di scarsa crescita e alto debito.
La prima questione che merita di essere affrontata è quella del debito domestico. (1) Il crescente ricorso al finanziamento sul mercato dei capitali interno è una conseguenza inattesa ma prevedibile dell’iniziativa Hipc: dati i limiti imposti dal programma per finanziarsi sul mercato internazionale dei capitali e gli strutturali deficit fiscali, molti paesi non hanno avuto altra scelta che emettere obbligazioni sul mercato interno, in questo incoraggiati anche da Banca Mondiale e Fondo Monetario. Con l’elevata volatilità, le instabili politiche economiche e le deboli istituzioni che caratterizzano la gran parte dei paesi Hipc, il debito domestico è particolarmente costoso e rischia di spiazzare gli investimenti e la spesa sociale, limitando, almeno parzialmente, i progressi ottenuti con la riduzione del debito estero. Inoltre, la spesa per interessi sul debito domestico, di molto maggiore rispetto a quella sui prestiti esteri concessi a tassi agevolati, mette a repentaglio la sostenibilità del debito pubblico. Dal 1991 al 2008, la quota del debito domestico sul debito pubblico totale nei paesi Hipc è aumentata dall’11 al 37 per cento e, elemento più importante, la spesa per interessi sul debito interno, che nel 2005 ha assorbito in media il 2,5 per cento del Pil, pesa sul bilancio pubblico molto di più del servizio del debito estero, concesso a tassi fortemente agevolati (figura 2). (2)
Un secondo aspetto che merita attenzione è il legame tra debito e crescita, necessario sia per garantire la riduzione delle povertà che per raggiungere la sostenibilità del debito pubblico totale nel lungo periodo, entrambi obiettivi dell’iniziativa Hipc. Una valutazione diretta dell’impatto della riduzione del debito estero nei paesi poveri non evidenzia la presenza di alcun effetto positivo sul tasso di crescita del Pil, né di un boom degli investimenti. Soltanto in quattro dei ventitré paesi interessati dalla Multilateral Debt Relief Initiative del 2006 si osserva un’accelerazione della crescita economica negli anni successivi alla riduzione del debito rispetto al quinquennio precedente. Gli scarsi risultati ottenuti sino a ora possono essere spiegati dal fatto che in molti paesi l’elevato debito estero non è necessariamente il principale vincolo alla crescita economica. Infatti, il forte indebitamento ha effetti negativi sulla crescita della produttività e del reddito solo in paesi che attuano politiche economiche prudenti e che hanno buone istituzioni. Al contrario, laddove le politiche sono instabili e il contesto istituzionale è debole, sono questi fattori la causa principale della scarsa crescita, non il debito, che ne è solo una conseguenza.
La crescente importanza del debito domestico, con i suoi effetti di crowding out degli investimenti e sulla sostenibilità futura del debito pubblico, e il ruolo fondamentale delle istituzioni nel determinare l’efficacia della riduzione del debito sulla crescita economica impongono la necessità di rivedere le politiche di cancellazione del debito secondo una linea che segua un approccio di “diagnostica della crescita“. (3) La riduzione del debito deve essere country-specific e rivolta esclusivamente a quei paesi per i quali il debito pubblico è un vincolo reale agli investimenti e allo sviluppo. Inoltre, le istituzioni internazionali e la società civile dovrebbero passare dal paradigma basato sullo stock di debito estero a un nuovo approccio fondato sul debito pubblico totale e sulla valutazione degli effetti che anche i flussi di spesa per interessi hanno sulle economie dei paesi Hipc.

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PROGRAMMI DA RIVEDERE

Per evitare il riaccumularsi di ingestibili stock di debito pubblico, le istituzioni internazionali e i paesi donatori devono perciò porre un’attenzione primaria alle politiche di stimolo alla crescita e assistere i paesi debitori nello sviluppo di una prudente gestione macroeconomica, soprattutto fiscale. Appare dunque necessario rivedere il debt sustainability framework: l’attuale analisi di sostenibilità è basata su soglie di debito piuttosto elevate e non è perciò in grado di essere di supporto ai paesi il cui indebitamento è ora ben al di sotto di tali soglie. E tra gli elementi principali che l’Fmi e la Banca Mondiale dovrebbero prendere in considerazione nell’opera di revisione vanno citati una maggiore attenzione all’elaborazione di soglie anti-cicliche e country-specific per il deficit di bilancio, lo sviluppo di proiezioni più realistiche sia sul tasso di crescita del Pil che delle esportazioni, l’inclusione del debito interno e un peso maggiore attribuito ai flussi oltre che agli stock di debito. (4)
Inoltre, il ruolo che i fondi avvoltoio stanno esercitando sulla gestione del debito estero in molti paesi Hipc, il crescente ricorso al credito commerciale e ai prestiti non agevolati da parte di molti paesi poveri, oltre che al finanziamento domestico, richiedono politiche di prestito responsabili da parte della comunità internazionale. Il rischio da fronteggiare è che in un futuro non troppo lontano, esauritasi la fragile fase di crescita che sta coinvolgendo molti paesi africani e che si basa spesso su fenomeni non strutturali (la presenza cinese, la domanda di prodotti minerari, l’andamento dei prezzi delle materie prime), possibili fughe di capitali o shock esogeni negativi rendano la spesa per il servizio del debito insostenibile, rallentando lo sviluppo economico e la lotta alla povertà.
Assicurare la cancellazione del debito a paesi con buone politiche e solide istituzioni in un contesto in cui i criteri di eleggibilità siano quantificabili, realistici e pubblici ex-ante sarebbe non solo economicamente efficiente – massimizzando i benefici della riduzione del debito in un periodo in cui le risorse destinate allo sviluppo sono decrescenti – ma fornirebbe anche i giusti incentivi a migliorare le istituzioni e le politiche macroeconomiche. Infine, il supporto della comunità internazionale negli altri paesi Hipc dovrebbe essere fortemente orientato a promuovere una migliore governance sia con riforme istituzionali che con una lotta determinata alla corruzione.

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Figura 1: Debito estero nei paesi HIPC

Elaborazione su dati pubblicati nel Global Development Finance e nei World Development Indicators. Dove possibile, il campione di riferimento è costituito dai 40 paesi Hipc.

Figura 2: Il peso crescente del debito domestico

Elaborazione (medie non ponderate) su dati pubblicati negli IMF country reports e su dati pubblicati da autorità nazionali. Data la scarsa disponibilità di dati ufficiali, i paesi inclusi sono: Bolivia, Burundi, Ethiopia, The Gambia, Ghana, Guyana, Honduras, Madagascar, Malawi, Rwanda, Sierra Leone, Tanzania, Uganda, e Zambia.

 

(1) Per approfondimenti si veda M. Arnone e A. F. Presbitero, Debt Relief Initiatives – Policy Design and Outcomes, (Foreword by Nancy Birdsall, Preface by Ugo Panizza and Afterword by Aart Kraay), Global Finance Series, Farnham: Ashgate.
(2) Si veda anche A.F. Presbitero, External debt relief but increasing domestic debt, VoxEU.org, 19 Nov. 2010.
(3) R. Hausmann, D. Rodrik e A. Velasco, Growth Diagnostics, manoscritto, Kennedy School of Government, Harvard University, 2005.
(4) Una critica piuttosto diffusa all’analisi di sostenibilità del debito è che questa si basa su previsioni sul tasso di crescita di Pil ed esportazioni che ex post si rivelano eccessivamente ottimistiche.

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Vittime di mitridatizzazione

  1. Felice Di Maro

    Io non credo che sarà mai possibile cancellare nè il debito pubblico di qualsivoglia paese e nè quello delle famiglie, denominato domestico. Però è da dire che gli autori hanno, e ovviamente con questo articolo hanno messo in evidenza quello dei paesi poveri, offerto quanto un percorso alternativo. Scrivono che sarebbe meglio se le "istituzioni internazionali e paesi donatori aiutassero i paesi debitori nello sviluppo di una prudente gestione macroeconomica, soprattutto fiscale". Purtroppo è da dire che se avverrà in pratica una svolta di livello, questa comunque dovrà fare i conti anche con i debiti delle famiglie. Ma il debito domestico è o no un problema mondiale? L’econmia internazionale se ne frega di questa situazione. Ma quando la domanda interna si ridurrà per mancanza di liquidità allora, Marco Arnone, e Andrea Filippo Presbitero, Autori dell’Articolo, dovranno spiegare come dovrà essere sia la gestione macroeconomica e sia quale "soprattutto fiscale" che propongono se nell’insieme il Pil pro-capite diminuisce e il reddito diminuisce di valore e di potere di acquisto.

  2. bellavita

    In sudamerica non c’è stato bisogno di grandi cancellazioni, a parte il default argentino. Forse è bastato fare a meno dei governi più o meno golpisti, nati per dar retta alle ossessioni anticomuniste degli USA, che mettevano al primo posto la spesa per le armi e l’addestramento di polizia e forze armate, e al secondo l’arricchimento personale. Se fosse possibile avere governi meno inquinati in Congo e Nigeria decollerebbero anche loro. Quello che è certo è che tutto il terzo mondo sta diventando ferocemente antiamericano: non mi stupirei di una maggioranza dell’80% alle Nazioni Unite per chiedere di lasciare New York…

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