L’obiettivo principale degli accordi di Pomigliano e Mirafiori è la governabilità degli impianti. La Fiat vuole garanzie prima di effettuare gli investimenti, nella convinzione che il sistema di relazioni industriali italiano non sia adeguato alla gestione di grandi impianti. Ma la sfida competitiva per il nostro paese si gioca in buona parte proprio sulla capacità di aumentare il numero di organizzazioni complesse e di grandi dimensioni. Sarebbe ora di mettere mano a una riforma organica del diritto del lavoro che affronti insieme la flessibilità interna ed esterna.
La stile ruvido, diretto e spigoloso di Sergio Marchionne ha spinto all’estremo i tic tipici del dibattito pubblico italiano. Il governo non fa niente, ma, invece di negarlo come accade sempre, rivendica con orgoglio l’inerzia. Il Pd si divide, ma stavolta lo fa anche l’Idv. I sindacati litigano, ma oltre che fra confederazioni anche all’interno delle stesse. Anche la Confindustria ne esce con l’immagine ammaccata e appare oggi un po’ più demodé.
LA QUESTIONE DELLA GOVERNABILITÀ DEGLI IMPIANTI
Cosa c’è di così dirompente negli accordi di Pomigliano e Mirafiori? Francamente, la lettura degli accordi non suggerisce niente di epocale, come spiega Marco Esposito su noiseFromAmerika. Un operaio Fiat appare comunque più garantito e meglio pagato della stragrande maggioranza dei colleghi che lavorano in imprese medio-piccole. In particolare, l’innovazione contrattuale è modesta a Mirafiori, probabilmente perché quell’impianto ha bisogno di interventi organizzativi meno radicali di quello di Pomigliano. Gli aspetti che hanno maggiormente alimentato la polemica hanno per lo più un forte carattere simbolico.
L’obiettivo principale di questi accordi è quella enunciata da Marchionne alla trasmissione di Fabio Fazio: la governabilità degli impianti. L’espressione può suonare fastidiosa, ma è un obiettivo imprenditoriale del tutto legittimo, per non dire obbligatorio. L’amministratore delegato di Fiat vuole garantirsi la capacità modificare il grado di utilizzo degli impianti secondo le necessità della domanda. Gli accordi prevedono un ampio spettro di possibilità di turnazione e fino a 120 ore di straordinario a discrezione dell’impresa. In questo modo, cambi nel grado di utilizzo non richiederanno estenuanti trattative sindacali.
L’altro aspetto importante è il divieto di scioperi che rendano inesigibili le clausole contrattuali. In pratica, se l’azienda richiede una giornata di lavoro straordinario un sabato, i sindacati non possono proclamare uno sciopero proprio in quel sabato. La norma è il logico complemento della flessibilità di utilizzo: se i sindacati potessero proclamare scioperi in turni o giornate di lavoro non gradite, nei fatti si tornerebbe a un sistema in cui la flessibilità si ottiene solo con l’approvazione caso per caso dei sindacati stessi. Il punto cruciale è che la Fiat vuole garanzie contrattuali prima di effettuare gli investimenti. Come già argomentato su questo sito, una volta fatto l’investimento la forza contrattuale dell’azienda diminuisce e quella dei sindacati aumenta. Il problema è che il contratto nazionale non fornisce queste garanzie a meno che tutti i sindacati non siano d’accordo: un’organizzazione non firmataria può comunque proclamare scioperi a cui qualunque lavoratore può aderire. Ecco il perché dell’utilizzo dello stratagemma giuridico di uscire da Confindustria, e quindi dal contratto nazionale, e di garantire la rappresentanza solo ai sindacati firmatari, che sono automaticamente vincolati alle clausole del contratto. L’esclusione della Fiom dalle fabbriche è chiaramente una brutta pagina nella storia delle relazioni industriali. D’altra parte, un sistema di rappresentanza che garantisce a chiunque il diritto di veto mette a rischio la governabilità. Da qui l’esigenza di riformarlo, chiesta a gran voce da più parti, in modo da garantire esigenze di rappresentanza da una parte e di governabilità dall’altra.
PICCOLA ITALIA
L’Italia soffre di bassa crescita della produttività. È opinione diffusa che parte del problema sia riconducibile alla scarsa presenza di grandi imprese nel nostro paese. La dimensione media delle aziende italiane è meno della metà di quelle tedesche, che in effetti stanno intercettando la ripresa e la domanda estera molto meglio delle nostre. Da tempo ci si interroga sulle ragioni del nanismo delle imprese italiane, senza che si sia arrivati a risposte conclusive. Marchionne offre una possibile spiegazione: il sistema di relazioni industriali non è adeguato alla gestione di grandi impianti. L’idea si estende quindi al di là del caso Fiat e riguarda tutto il sistema industriale. Nelle piccole e medie imprese a controllo famigliare si sopperisce all’inefficacia del contesto giuridico col rapporto diretto fra "padrone" e dipendenti. Ma questo meccanismo non funziona in grandi imprese, per le quali le norme contrattuali sono l’unico strumento per gestire i rapporti di lavoro e che quindi soffrono di uno svantaggio competitivo se le norme sono inefficienti. Anche se è presto per dire se questa ipotesi sia corretta, e quanto conti nello spiegare le difficoltà delle grandi imprese in Italia, vale la pena prenderla seriamente in considerazione. La sfida competitiva per il nostro paese si gioca in buona parte sulla sua capacità di mantenere e possibilmente aumentare il numero di organizzazioni complesse e di grandi dimensioni. Non si vive solo di piccole e medie imprese a controllo familiare.Negli ultimi dieci anni il dibattito sia di policy sia accademico si è concentrato sulla flessibilità "esterna", cioè sulla possibilità o meno di licenziare. Battaglie feroci sono state fatte pro e contro l’articolo 18. Il risultato è stato un mercato del lavoro duale in cui la flessibilità esterna viene scaricata interamente sui giovani, attraverso l’utilizzo massiccio dei contratti a termine. Del tutto trascurato è stato invece il tema della flessibilità "interna", che riguarda l’utilizzo della forza lavoro da parte dell’impresa. Le vicende di Pomigliano e Mirafiori, nelle quali il tema dei licenziamenti è stato completamente assente e tutto il dibattito si è concentrato sulla flessibilità interna, ha colto molti impreparati. Sarebbe ora di mettere mano a una riforma organica del diritto del lavoro che affronti congiuntamente la flessibilità interna ed esterna. Si potrebbero creare spazi di "scambi" fra le due tipologie per trovare accordi che aumentino l’efficienza complessiva del sistema, magari aumentando il grado di tutela complessivo dei lavoratori. Personalmente, ritengo il problema del precariato e dei bassi salari (dovuti a bassa produttività) molto più seri della diminuzione delle pause da quaranta a trenta minuti o di clausole che vietano scioperi che rendano gli accordi negoziali inesigibili. Il senatore Pietro Ichino da tempo porta avanti questo progetto. Sarebbe una riforma importante per rilanciare la competitività del paese. Purtroppo, sia la debolezza del governo che le posizioni del ministro Sacconi rendono facile prevedere che questa riforma non si farà.
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Luigi Zoppoli
Al di là della focalizzazione mediatica e strumentale del problema sulla figura di Marchionne, il problema è assolutamente nazionale e riguarda tutta l’economia. D’altro canto la miopia e/o la strumentale malafede è più orientata a mantenere rendite di posizione ideologiche e sindacali che escludono di guardare a quanto accade fuori confine. Il contratto Opel con i suoi lavoratori è solo l’ultimo esempio del settore auto. Quanto al ministro Sacconi, è troppo impegnato a meditare sul vitalismo economico legato al sondino per l’alimentazione nasogastrica.
Claudio Resentini
Governabilità degli impianti? Modificazione del grado di utilizzo degli impianti secondo le necessità della domanda? Sembrerebbe una trattativa tra i robot delle fabbriche e i clienti delle concessionarie. Se invece sostituite alla parola "impianti" la parola "lavoratori" ed alla parola "domanda" la parola "management" otterrete la soluzione. Gli impianti funzionano solo con i lavoratori che li rendono produttivi e i manager FIAT intendono disporre della forza lavoro come meglio aggrada loro senza dover contrattare alcunchè. E’ questo un obiettivo legittimo e addirittura obbligatorio? Non credo. Sull’inesigibilità delle clausole contrattuali, sul vulnus recato al diritto di sciopero, sull’inalienabilità di un diritto costituzionale da parte di un contratto aziendale, magari qualcuno più esperto di me sulle questioni giuridiche può dire qualcosa, prima che la questione venga posta da qualche magistrato alla Corte Costituzionale. Quanto al cercare di attribuire le responsabilità delle scarse tutele di alcune categorie di lavoratori ai lavoratori più tutelati è un giochetto vecchio (divide et impera) e un po’ meschino.
Adriano
Marchionne vuole rendere possibile la vita alla grande impresa in Italia. Senza grande impresa c’è pochissimo spazio per innovazione, cioè per investimenti significativi in ricerca e sviluppo. E senza innovazione c’è solo la strada del declino, che abbiamo già abbondantemente imboccato. Marchionne ha affrontato la prima e più grave causa del nanismo italiano: il sindacato. Ma in quale grande paese abbiamo tante sigle sindacali, ognuna con grande potere di veto su tutto? Come si può gestire una realtà complessa in queste condizioni? La seconda causa del nanismo è il fisco e mi aspetto che, risolta la prima causa, Marchionne affronti anche questa. E credo che prima o poi lo farà, o almeno lo spero. Quello che mi stupisce è che con tanti partiti, sindacati e associazioni di categoria nessuno la dica tutta: il nanismo italiano è un’arma di difesa da sindacati e fisco bizantino.
Giancarlo
A me pare davvero poco convincente questa analisi: essendo vero che il nodo della questione è il governo degli impianti, perchè allora inasprire le relazioni sindacali fino a questo punto, e spostare pressochè interamente il potere decisionale interno a favore dell’azienda? Ciò crea una ragione in più di conflitto. Leggendo il contratto, questo trasferimento di potere è il punto che si evince più nettamente. Fra l’altro sorprendono le misure atte a "prevenire il conflitto": nel senso che la storia industriale, italiana ed europea, ha sempre "vissuto" su quel conflitto. C’è poi una seconda ragione di perplessità. Se "Il Pil dellItalia cresce poco perché il boom dellexport non crea abbastanza fatturato per le piccole imprese terziste che oggi sono meno competitive di un tempo" (Daveri più sopra), che senso ha inasprire le relazioni sindacali intorno alla questione produttività/costo del lavoro, la cui incidenza sul costo finale (ho letto intorno al 7%), è di molto inferiore a molte altre?
Antonino
Quello che dà fastidio è il modo con cui chi abitualmente scrive tratta argomenti importanti come le condizioni degli operai con una superficialità e una supponenza che ha dell’incredibile. Negli anni ’80 la fiat di Cesare Romiti vinse la sua battaglia e ci trovammo con l’esternalizzazione di molte parti di automobili fatte dalle fabbrichette che giravano e girano intorno alla fabbrica, l’indotto=nanismo. Oggi ci si lamenta di questo. La fiat di Sergio Marchionne ha annunciato il piano "Fabbrica Italia" e a tutt’oggi nessuno conosce il contenuto di questo contenitore, che viene svuotato e riempito a seconda delle circostanze. A Giugno erano gli operai cattivi di Pomigliano d’Arco da punire perchè non producevano e allora si è imposto un testo da approvare a scatola chiusa. Adesso si sono inventati a Mirafiori la produzione della jeep Chrysler da vendere anche negli Stati Uniti, previo peggioramento delle condizioni di lavoro senza un euro di aumento per gli operai. Senza ricerca e sviluppo, senza innovazioni, senza investimenti rispettosi della sostenibilità ambientale dove pensa di andare, almeno qui in Italia, la Fiat.
Roberto C.
La storia sindacale recente ha dimostrato che i sindacati (tutti, anche la FIOM) non stanno abusando del diritto di sciopero. La FIOM firmerebbe gli accordi di Mirafiori e di Pomigliano se fossero rimosse poche clausole discriminatorie e anticostituzionali. Rimarrebbe a Marchionne un accordo che consente turnazione e straordinari secondo le sue esigenze. L’impressione è che si stia organizzando una crociata contro gli ultimi "rossi". Dopo aver eliminato i comunisti dal Parlamento, li si vuole far fuori anche nel sindacato. Intanto ci vanno di mezzo i lavoratori e le loro famiglie che, comunque vada a finire questa storia, avranno assistito all’ennesimo passo indietro nella storia dei loro diritti. L’Italia torna nel XX secolo mentre la Germania guarda avanti, aumentando stipendi e garanzie.
Alberto Ferrari
Il punto centrale sul piano Fiat di Marchionne lo ha detto molto bene lunedì su la Repubblica Ulrich Beck, considerato uno dei massimi sociologi viventi: Più si tagliano i diritti, più si riduce lidentificazione del dipendente con il datore di lavoro. E, in ultimo, si deprimono produttività e creatività, le uniche armi sensate che ci restano per competere con i paesi emergenti. Il piano Marchionne a mio avviso dice una cosa: Marchionne sa che il Toyotismo ha bisogno di avere, per essere realizzato, una catena di comando – dai vertici fino al caposquadra – capace di coinvolgere e motivare i lavoratori. Ma è proprio quello che manca nella Fiat, con una cultura aziendale interna più abituata e adatta a comandare che non a motivare. Questo sembra aver capito Marchionne ed allora sta cercando di ripiegare sulla vecchia organizzazione Fordista-taylorista. Ma come dice Beck: è questo che serve oggi ad una fabbrica che vuole tornare competitiva?
Salvatore Zito
Se si vuole affrontare il problema senza demagogia occorre misurare questa "produttività", come la misuriamo ? In termini di "oppure"? Se la misuriamo nel primo modo occorre trovare un altra fabbrica che produca le 500 per fare un paragone. Se la misuriamo nel secondo modo la Fiat deve cambiare il contratto dei propri dirigenti e non dei propri operai.
Cambria G.
Sacrosante dal punto di vista imprenditoriale le richieste di Marchionne pre-investimento. Quel che disturba però è che il recupero di efficienza stia tutto sulle spalle dei minus habens e cioè dei lavoratori, nulla invece chiedendosi al sistema paese e quindi al governo. E però fra cose tangibili (come le infrastrutture) e intangibili (defiscalizzazioni, aiuti alle famiglie) ce ne sarebbero di cose sulle quali impegnare anche il governo (che sta bellamente alla finestra).
pietro ancona
Un sistema di regole pensate per non dare alcuna possibilità al lavoratore di sfuggire al livello di sfruttamento a cui l’azienda ritiene di doverlo sottoporre oltre che essere anticostituzionale è anche deleterio per gli obiettivi che la stessa azienda si propone. Fomenta odio e disaffezione. La azienda non nasce soltanto per fare dividendi per gli azionisti e fare guadagnare enormi buste di euro dal suo amministratore delegato. Dove è scritto che i guadagni di persone che investono nel capitale dell’azienda si debbano ottenere attraverso la schiavizzazione e la infelicità dei lavoratori dipendenti? Investire un milione di euro nella Fiat per guadagnarci non è moralmente paragonabile a chi vi spende la vita dentro per farla funzionare. L’azionista deve essere rispettoso del lavoratore,. La Fiat non appartiene soltanto agli azionisti: moralmente è proprietà di tutti coloro che vi passano dentro la vita. Pietro Ancona
Antonio
Parlando di Pomigliano e Mirafiori la domanda finale è. "tu lo firmeresti l’accordo?" Beh il presupposto logico sarebbe quello di averlo letto. Sulla riorganizzazione tutte le sigle potevano giungere ad un accordo. I punti dolenti sono le conseguenze del livello di assenza per malattia e la clausola di responsabilità (quella relativa agli scioperi). Mi vorrei occupare di quest’ultima. Si parla di governabilità: è logico che chi investe pretende la governabilità aziendale e che i patti siano rispettati ma sulla questione sciopero bisogna essere onesti. Nel testo si afferma che tuttel parti dell’accordo sono inscindibili e dunque le conseguenze negative per i sindacati (permessi ridotti e non più trattenute sulla busta paga per gli iscritti) sarebbero legittime se le OO.SS pongono in essere iniziative contro gli impegni presi (e fin qui ci potrebbe stare) ma anche se pongono in essere comportamenti tali da rendere inesigibili le condizioni stabilite dal presente contratto. Giuridicamente, chiedo all’autore dell’articolo: questo da a Marchionne tale potere punitivo solo se si proclama lo scipoero il sabato lavorativo? O il potere è ben più ampio?
Arrigo
I sindacati fuori confine? Vogliamo parlare dei sindacati francesi e quelli tedeschi? Vogliamo parlare del welfare in paesi come Francia, Olanda e Germania rispetto al non-welfare italiano? Vogliamo parlare dei blocchi e scioperi nazionali di settimane che ci sono stati in Francia per leggi che in Italia sono la norma da anni…
P. Magotti
Mi sento di dire grazie a Marchionne per la battaglia che sta portando avanti. Ne trarremo tutti dei benefici, sta facendo una riforma epocale (per l’Italia) pur non essendo un ministro. Complimenti.
Carlo Caleffi
Quello della produttività e dei contratti è un falso problema per mascherare il crollo delle vendite o la mancanza di nuovi modelli o il disastro del nuovo piano industriale che non è certo un problema di produttività o degli operai. Ultimo rammarico è vedere Marchionne che non essendo residente è sempre pronto a criticare tutti…
stefano
Mi sembra che il punto fondamentale sia se il conflitto abbia ancora spazio nel mondo della produzione, o se si debba puntare ad una società utopica un po’ alla Charles Fourier, che sembra per alcuni tratti un ispiratore di Sergio Marchionne (che ha un aformazione filosofica). Nel primo caso non può esservi compatibilità con gli accordi di Pomigliano e di Mirafiori. Essi non hanno lo scopo, come sostengono Schivardi ed Ichino, di rendere utilizzabile a pieno regime gli impianti a seconda delle necessità del momento: chiunque conosco appena il mondo del lavoro sa benissimo che lo straordinario non è solamente una pratica consueta dell’operaio industriale, ma anche una sua richiesta pressante. Logico che vi sia, da parte del Sindacato, la richiesta di contrattarlo: al di la del gioco di potere, vi è comunque la necessità, sentita anche dalla parte imprenditoriale, di assicurare che un controllo sull’erogazione dell’attività flessibile. Ciò era sicuramente vero nel fordismo (ed anche nel toyotismo, da qualcuno evocato), e si renderà necessaria anche nell’attuale fase: infatti si è voluto che alcuni sindacati entrassero nell’accordo, proprio per garantirne la governabilità. La Fiom invece non aderisce a questo schema, per varie ragioni, che, al di la della coloritura ideologica, sono legate soprattutto al rischio di perdita della leadership del conflitto. Torniamo quindi al punto di partenza: il conflitto. Ringrazio dell’ospitalità e mi scuso per la lunghezza dell’intervento.
Alessandro Colizzi
Nella presentazione chiara e sufficientemente oggettiva/concreta da convenire, manca tuttavia un’incognita, che vale non solo per il caso Fiat, ma per il sistema impresa italiano in generale: la ricerca. Tutto qui? Ebbene si: in un contesto globale con economie emergenti grazie alla quasi totale assenza di tutela dei diritti e dei salari comparabile a quelli occodentali, è solo investendo sull surplus derivante dall’intelligenza che i paesi occidentali possono ancora avere un margine. Non basta correggere la governabilità degli impianti o aumentare la produttività dei lavoratori. Btw: nella mia personale esperienza fuori dall’Italia posso dire che la tanto vantata produttività americana è un semplice mito… Analogo discorso poi si potrebbe estendere alla categoria dei colletti bianchi: vorrei davvero valutare oggettivamente il rendimento/ora di ciascun manager.
Federico Pani
A mio modo di vedere l’accordo di Mirafiori ha due facce: una è quella buona, composta dal cambio delle pause e dalle norme sull’assenteismo. Ci sono poi, invece, una serie di norme che hanno non l’intento di migliorare l’organizzazione industriale, bensì di neutralizzare il potere dei sindacati,specie di quello più fastidioso, e di intimidire i lavoratori. Sì, formalmente la Fiat si è mossa entro i parametri legislativi, ma non permettere a un sindacato maggiormente rappresentativo di avere una rappresentanza, e minacciare (perché di questo si tratta) di non raccogliere più i contributi tramite le ritenute dallo stipendio e di azzerare i permessi sindacali è solo un modo per eliminare letteralmente anche il potere di quei sindacati che, pure in questa occasione, si sono dimostrati non proprio interessati ai diritti dei lavoratori. Dire che la clausola di responsabilità è la conseguenza logica dell’intero piano, poiché non permetterebbe di scioperare il sabato, è un modo per ridurre la questione a termini trascurabili,mentre invece non è così. C’è dietro un disegno ben preciso, che è quello che il governo desidera da tempo, ma non ha la forza di portare avanti in Parlamento.
Simone P
Secondo me il problema fondamentale è il contesto. In Germania lo spazio per la flessibilità esterna – il precariato – non ha lo spazio che ha in Italia e la produttività vola. Dal punto di vista dei lavoratori: quelli già impiegati sono meno protetti di quelli italiani ma si garantisce la creazione di nuova occupazione a tempo indeterminato. Questo costringe le imprese a investire e a innovare (abbassare i costi) perché non possono licenziare i dipendenti a piacimento. In Italia la flessibilità interna non esiste ma il precariato è diffuso. In questo modo le imprese non investono quindi non innovano, mentre assumono forza lavoro meno produttiva che possono cacciare a piacimento. Marchionne promuove la flessibilità interna ma il governo non fa nulla per eliminare il precariato e il messaggio inevitabile è che alla fine pagano solo i lavoratori.
Domenico Fanelli
L’autore dice: "L’altro aspetto importante è il divieto di scioperi…se i sindacati potessero proclamare scioperi in turni o giornate di lavoro non gradite, nei fatti si tornerebbe a un sistema in cui la flessibilità si ottiene solo con l’approvazione caso per caso dei sindacati stessi". La domanda che mi viene spontanea è: quale è la frequenza con cui i sindacati hanno nel passato effettuato uno sciopero nelle giornate in cui la Fiat aveva bisogno di aumentare il grado di utilizzo dei propri impianti? Se non conosciamo questa frequenza, il ragionamento fatto dall’autore sarebbe del tutto teorico e privo di fondamento. L’autore dice: "La Fiat vuole garanzie contrattuali prima di effettuare gli investimenti". Allora la domanda che mi sorge spontanea è: la Fiat offre una garanzia contrattuale di effettuare gli investimenti? Perchè se la Fiat non offrisse questa garanzia (non solo verbale) di effettuare gli investimenti promessi, allora la necessità da parte della Fiat di avere delle garanzie da parte dei lavoratori sarebbe unilaterale, asimmetrica, ingiusta.
Enrico Azzaro
Senza ripetere le tante cose dette e ridette sul coraggio di Marchionne nello spingere verso nuove relazioni sindacali in cambio di investimenti, bisogna aggiungere quanto non emerge in questo bailamme. Se non vi sono investimenti nel settore automobilistico, e in Italia le auto le fa la Fiat, tutta la filiera muore. Si tratta di centinaia di migliaia di persone e famiglie che vivono del loro lavoro. Quindi non importa se l’investimento piaccia o meno: è l’unico che dia respiro ad una economia comatosa. Tutto il resto è demagogia pura. E alla Cgil e alla Fiom bisogna ricordare che scoprono sempre in ritardo il valore di certe cose, come lo statuto dei lavoratori, la scala mobile, l’accordo del 23 luglio. Purtroppo lasciano a terra i danni della divisione sindacale.
ANNA T.
Se potessi parlare con Marchionne lo ringrazierei per averci così duramente ma pragmaticamente riportati alla realtà. Ho letto l’accordo e rimpiango di non aver avuto un A.D. così determinato nei miei ultimi 10 anni da manager industriale. Apprezzo in modo particolare il passaggio sull’assenteismo, che tutela le situazioni di reale bisogno superando il periodo di comporto, ma è inflessibile con le micro-malattie che precedono e seguono le festività. Ho trattato con dirigenti sindacali CGIL per diversi anni contestando assenteismi del 25%, ma il mio A.D. non se la sentì di finire sui giornali, di essere insultato, di affrontare campagne denigratorie pertanto non prese mai posizioni rigide. L’azienda sopravvive, ma lo scopo di un’impresa non è quello di creare benessere per gli stakeholders?
giovanni capelli
Mi pare che l’argomento che Schivardi usa per giustificare la proposta Marchionne sia la chiave per interpretare l’ispirazione che regge l’intero progetto e l’ideologia dei nostri economisti. Si dice: la linea marchionne è legittima perchè comunque gli operai Fiat sono i più garantiti in termini di diritti. In base a questo ragionamento, che evidentemente considera i diritti come privilegi, questi andrebbero azzerati in toto perchè fino a quando qualcuno ne avrà si troverà ad essere privilegiato rispetto ad altri, l’uguaglianza si trova solo al livello zero delle prerogative.
Giancarlo Fichera
Marchionne ha tre lauree ma sembra non conosca bene il diritto del lavoro italiano: appena farà scattare la cosiddetta clausola di responsabilità, qualunque giudice del lavoro cui volesse ricorrere un operaio lo condannerebbe per comportamento antisindacale. Ma la Fiat non ha nessuno studente di giurisprudenza ai primi anni che gli spieghi questi concetti?
Andrea
Condivido il tono e le proposte di Schivardi. Aggiungo però che avere un diritto del lavoro condiviso da tutti i lavoratori (cosa non vera oggi) significherebbe, come conseguenza, avere altri diritti sociali condivisi, quali sanità (pubblica), previdenza (pubblica), fisco (pagato da tutti e quindi "pubblico" e non "privato", cioè basato su un’evasione personalizzata come oggi). Il punto è che avendo accettato di avere in Italia circa 9 milioni di precari e/o lavoratori senza diritti (quelli di Mirafiori li hanno) si sono smontate le basi sociali per avere "diritti" prima di Marchionne, che peraltro vuole "regole". Sinteticamente la "fabbrica Italia" è troppo flessibile e senza "organizzazione", perchè il suo popolo ha accettato di avere il 25% di evasione (reddito flessibile) e il 30% di lavoratori senza diritti (flessibili, ma inesistenti per la società). Riducendo la scala: nessuna grande o media azienda ha tassi di flessibilità nel fatturato e di ricambio nella forza lavoro di queste dimensioni, perchè sarebbe "aleatoria" per definizione e nei fatti, cioè sarebbe ingovernabile. Per un nuovo diritto del lavoro bisogna, a mio parere, insieme cambiare il paradigma culturale.
javier m. aceituno,mba (u. of chicago)
Dear Prof. Schivardi, Your comments re. "… il sistema di relazioni industriali italiano non sia adeguato alla gestione di grandi impianti." are valid but at the end of the day, whether large or small the root of all is the culture/values. I have worked in both small and large companies in Italy and am very familiar with small/medium/large German companies and the difference between Italian and Germanic companies is one of attitude/mentality/culture, etc., of the "padrone". THE issue in Italy is substantially one of disunity. Italy is a low trust country and it has been documented how low trust countries always underperform. Italy lacks no intellectual capital, just a sense of the "common good".
Dunia Astrologo
Interessante la sua analisi. Credo però che vada aggiunto qualche elemento relativo a come la flessibilità interna, che M vuole ottenere con una prova di forza evidente, si coniughi con una capacità gestionale (conduzione di relazioni interne nel rispetto delle persone che lavorano in fabbrica) e con la capacità di riorganizzare la produzione per renderla più efficiente. Il programma WCM ha certamente portato a un po’ di razionalizzazione e a una riduzione di costi di produzione ma molta strada sembra ancora da fare. Il punto è che la razionalizzazione dei processi lavorativi deve essere coniugata alla capacità di governare il lavoro. Solo con un corretto rapporto con le tanto decantate (anche da Fiat) Risorse Umane (coinvolgendole, ascoltandole, rendendole partecipi dei successi come delle difficoltà dell’azienda) si possono impedire danni od ostacoli a una corretta produttività e ottenere un innalzamento di competitività negli stabilimenti Fiat. Dubito che con relazioni industriali così gestite si riesca a raggiungere tale obiettivo. D.A.
P. Cozzi
Le due affermazioni chiave di Marchionne sono: la necessità di adottare a Mirafiori e Pomigliano condizioni di lavoro analoghe a quelle esistenti in altri Paesi europei e in USA e la promessa di investimenti per 20 miliardi in euro nellauto in Italia. Quanto alla prima questione nessuno finora ha pubblicato un confronto fra la condizioni di lavoro previste dalle nuove regole a Mirafiori e Pomigliano e quelle degli altri Paesi: turni, orari, ritmi, pause. Marchionne forse avrà ragione a dire che la condizioni sono quelle degli altri Paesi, perché non lo dimostra dati alla mano? Landini forse avrà ragione, a negarlo, perché non lo dimostra dati alla mano ? Sulla seconda questione, noto che gli investimenti previsti a Mirafiori sono di un miliardo e quelli a Pomigliano di 800 milioni. Mancano circa 18 miliardi per arrivare ai 20 promessi., 18 miliardi tra Vasto e Cassino ? Ho sentito dire che i 20 miliardi sono da intendersi a lungo termine. Ma anche in economia, a lungo termine saremo tutti morti, come diceva Keynes, o per non essere menagramo, dico modestamente, saranno tutti in pensione, Marchionne, Landini e gli operai Fiat.
Michele Venco
La mancanza di senso civico, cultura e valori condivisi, per uno straniero, è il difetto principale (e macroscopico) del sistema Italia: noi facciamo fatica a riconoscerla, tanto siamo immersi nella stessa. Questo spiega perchè, nonostante in Germania i lavoratori del settore auto percepiscano stipendi più alti dei colleghi italiani ed abbiano sostanzialmente gli stessi diritti, le case automobilistiche tedesche siamo molto più competitive e profittevoli della FIAT. L’alta produttività (e la garanzia dello sfruttamento ottimale delle linee di produzione) ha un’alto valore per i bilanci delle aziende, ma è anche una garanzia per tutti i lavoratori (e perciò diventa un valore e un obiettivo condiviso). L’Italia, a livello industriale, è rimasta competitiva finchè ogni tanto poteva svalutare, la Germania non ha mai svalutato e si è concentrata sullo sviluppo e la ricerca e i risultati sono facili da vedere. E le svalutazioni, come la creazione del mostruoso debito pubblico, ha portato vantaggi a tutti nell’immediato, lasciando il fardello alle prossime generazioni.
Massimo, operaio in una piccola impresa
Penso che i lavoratori della Fiat siano dei lavoratori privilegiati rispetto a tutti gli altri, che lavorano nelle medie e piccole imprese e che non si sognano nemmeno lontanamente di avere i diritti che hanno loro: scioperi, pause lavorative, straordinari sempre pagati (per i quali vengono avvertiti con giorni di anticipo). E non vengano a dirci che il loro lavoro (poverini!) è usurante: gli altri lavori da operai (con meno diritti di loro) forse non lo sono? Sembra che lavorino solo loro. Andasse a lavorare in una piccola impresa chi ha votato il no.
michele
Marchionne , per aver promesso ("promesso") un miliardo di euro di investimenti in Fiat è stato osannato come il salvatore di Torino, del Piemonte, dell’industria italiana. Siamo ridicoli, e lo dimostra quel che ha fatto (fatto, non "promesso") nel 2009 il consiglio di sorveglianza del gruppo Volkswagen: ha approvato un nuovo piano triennale di investimenti da 25,8 miliardi di euro, dei quali 19,9 miliardi destinata al miglioramento degli stabilimenti produttivi, soprattutto quelli tedeschi; più quasi 5 miliardi per gli stabilimenti collocati all’estero (India e Russia) e la joint venture con la Cina. Il tutto senza osanna, ricatti, e referendum, ma come ordinaria, normale e lungimirante gestione d’impresa. Cito da Quattroruote: "L’industria automobilistica mondiale", ha spiegato il presidente Martin Winterkorn, "si troverà ad affrontare sfide economiche e tecnologiche sempre più importanti. Il nostro gruppo risponderà con una strategia a lungo termine molto articolata e si concentrerà su modelli sempre più rispettosi dell’ambiente, su tecnologie innovative e sulla realizzazione di nuovi impianti".
Cosetta
non credo che il nanismo delle imprese italiane sia legato al modello di relazioni industriali. Credo sia legato alla scarsità di persone che abbiano, tutte insieme, cultura scientifica e tecnica, spirito imprenditoriale, capacità di cogliere il nuovo, rettitudine morale, intelligenza politica, senso di responsabilità personale. Il nanismo è nella gente. Poi si riflette anche nelle relazioni fra la gente, ovviamente. Per questo Marchionne può credersi Dio, essendo un po’ sopra la media.
Zorry Kid
Lavoro in un servizio per l’impiego e queste cose le vivo nella loro concretezza ogni giorno. Non perdiamoci in analisi fintamente razionali, perchè è sempre più importante l’implicito che l’esplicito: quello che vuole M è quello che vogliono tutti i padroni, cioè fare tutto ciò che vogliono con gli operai. Sarà vero quel che dice Schivardi sul "carattere simbolico" dell’accordo, ma è proprio questo il punto: qualunque padroncino ora si sentirà autorizzato a sfruttare di più gli operai e lo farà. Come al solito gli economisti si ostinano a guardare il dito invece che la luna e a spie.garci poi, secondo la nota battuta, perchè le loro previsioni non si sono avverate
Musto Amaido
Il nocciolo della questione, alla luce di quanto avvenuto negli ultimi mesi, è stata la presa di coscienza di tutti, sindacati compresi, di quanto il nostro sistema di relazioni industriali sia inadeguato, poichè immutato da circa 40 anni. Oggi l’intero comparto industriale Italiano si trova di fronte ad un fatto inequivocabile, i nostri diretti concorrenti, sono in tal senso molto più evoluti dell’intero sistema Italia: non a caso la Svezia vanta in tal senso rinnovi contrattuali annuali, con condizioni economiche e normative altamente flessibili, dove esistono solo tre grandi confederazioni e dove da circa ben 30 anni non si proclama uno sciopero generale e dove guarda a caso le retribuzioni salariali sono tra le più alte in Europa. Sicuramente i sindacati presenti in paesi quali Germania, Svezia e altri hanno condotto queste discussioni e apportato cambiamenti importanti e fondamentali nel loro sistema di relazioni industriali in tempi non sospetti, creando difatti condizioni di migliore favore alle politiche industriali. Ad oggi non abbiamo più tempo per riflettere e la sfida è quella di correre ai ripari.
mazzotta gianfranco
Credo che la precarietà non sia un sintomo della produttività in negativo ma uno stravolgimento della riforma del diritto al lavoro, dove gli imprenditori pur di mantenere lo stesso utile hanno sacrificato la produzione con la qualità e la sicurezza. Inoltre l’utilizzo di personale interinale o sotto "caporale" non dà un valore aggiunto alla produzione dell’azienda (flessibilità) bensì un arretramento delle condizioni e modalità di lavoro rispetto a quando c’erano scuole per l’avviamento al lavoro.
Carletto
Il mondo delle automotive ha avuto negli anni ’80, ’90 e prima parte del ’00, un periodo d’oro dove il sistema economico e l’offerta si son incontrati ed è stato amore; ora i numeri dicono il contrario. L’amore è finito, il sistema ecomomico è al collasso e l’offerta è 10 volte la domanda. I numeri esibiti da Marchionne sono scritti sulla sabbia e 260.000 veicoli da produrre a Mirafiori è una favola a cui i maturi non possono e non devono credere. I numeri sono tutti lì da vedere ed ad occhi esperti dicono tutto il contrario di quello che vuol far credere Marchionne, Fiat, Confindustria e il nostro silente Governo. Il settore automotive conoscerà, e ne ha già preso atto, una forte riduzione delle vendite e di conseguenza degli occupati che perdurerà un minimo di 5/6 anni ancora. Questa è la verità che nessuno ha avuto il coraggio di dire. Non è una medicina per il settore affamare e demotivare gli operai con contratti capestro.
Lorenzo La
Il problema principale della Fiat è di una banalità incredibile: è un gruppo produttore di automobili che vende poche auto! Il management della Fiat (unico al mondo tra le società automobilistiche) sta adottando una politica di investimenti prossimi allo zero, giustificandola con la ciclicità del mercato e l’attesa di una ripresa che sta diventando come Godot…Nel frattempo la Fiat vende meno automobili e perde quote di mercato a discapito dei concorrenti, però i giornali incensano il management "innovatore" del gruppo. Fiat campa da anni grazie riproponendo al mercato rifacimenti di auto d’una volta (nuova Punto, nuova Panda…) e scivolando su ogni nuovo modello (Multipla, Stilo,..). Nel frattempo sopravvive raccogliendo soldi una volta grazie ad una put con General Motors, poi quotando un pezzo d’azienda (Fiat Industrial), domani magari creeando un "polo del lusso" attorno alla Ferrari e quotando anche quello. Il management di Fiat ha dimostrato finora ottime competenze nella strutturazioni di operazioni finanziarie complesse e scarsa conoscenza del mercato automobilistico. Purtroppo Fiat non porà campare solo di piani industriali ad uso delle tv…
Valter
La vostra analisi è quanto meno di parte, non analizza in profondità il contratto, da la colpa della crisi prima agli operai e poi della dimensione dell’ impresa. Partendo dall’ ultimo punto la colpa e della classe imprenditoriale italiana ( fiat in testa) in germania (ma anche in Francia e USi) nei 2 anni passati si è lavorato per nuovi prodotti e per completare la gamma di prodotti, in Italia si è preferito mettere tutti in cassa integrazione , arrivando all’ appuntamento con la ripresa con prodotti vecchi e non all’ altezza e sopratutto senza avere una gamma completa ( la vettura più grande della fiat è la bravo). per quanto riguarda il contratto, le ore di straordinario sono 200, i lavoratori e i sindacati ( svalutati a cani da guardia della Fiat) non hanno alcun controllo sul reale andamento dell’ azienda e quindi sulla quota variabile dello stipendio, taglio delle ore di ferie ( sopratutto per chi ha più anzianità), mancato pagamento dei primi giorni di maòlattia ( chi controlla che le percentuali di assenteismo siano quelle reali?), recupero dei fermi produttivi nelle ore di riposo gratuitamente ( anche se la colpa è dell’ azienda) turni da 10 ore e mensa in forse.
gabriella
In questi ultimi giorni si è fatto un gran parlare di questa vicenda. Io non sono tra i detrattori dell’accordo ma piuttosto tra coloro che ne intravvedono le potenzialità. Ruvidezze a parte (ma d’altro canto, in questi ultimi tempi ci dovremmo essere abituati) a me il vero nodo della questione non pare la lesione dei diritti professionali o umani (che da più parti viene sventagliata con orrore) ma il fatto che Marchionne non abbia esposto la sua linea su dove ed in che modo fare gli investimenti tanto agognati elemento, questo, che a me personalmente fa sorgere una punta di curiosità e, se fossi un po’ malevola, anche di perplessità.
Kayser Sose
a) Non esiste un problema di produttività. Di auto se ne producono già troppe. b) Si potrebbe pensare che riducendo i costi migliorino gli utili e le vendite. Ma il calo della Fiat è molto superiore a quello medio del mercato. c) Il mercato vuole qualità e la Fiat propone prezzi più bassi sulla pelle degli operai. Industrialmente è un suicidio perchè la qualità scenderà ancora e la Fiat si metterà in concorrenza con le auto cinesi, ma con prezzi più alti. d) Sarebbe stato sensato caso mai puntare su una qualità superiore, per mettersi in concorrenza con le auto tedesche, quelle che vendono di più in Italia. Il che voleva dire trattare meglio gli operai, non massacrarli come fa Marchionne. e) La governabilità degli impianti è facile prevedere che peggiorerà, con metà del personale che ha già detto No e l’altra metà a cui il Sì è stato estorto.
armando centeleghe
Ma la competizione aziendale nella globalizzazione si misura sul costo del lavoro? Tre considerazioni Prima considerazione: Sono stupito dalla enfasi eccessiva che viene riposta da una parte considerevole del mondo imprenditoriale (Fiat, Confindustria e altre organizzazioni imprenditoriali, parte della stampa) sul costo del lavoro e sulla produttivita che vengono spesso considerati quali elementi isolati dei risultati aziendali mentre nella mia esperienza professionale li ho sempre considerati in rapporto al valore aggiunto, ovvero, al risultato complessivo del processo organizzativo aziendale (per capirci il VA è uguale alla differenza tra ricavi vendita e costi esterni di acquisizione delle risorse). Credo sia piu opportuno osservare, quindi, nel tempo il valore del costo del lavoro relativamente allandamento del valore aggiunto (anche per Fiat sintende). Se poi si considera che il costo aziendale del lavoro pare non raggiunga neanche il 10% del totale dei costi mi chiedo veramente se questa non sia una battaglia di principi per regolare i conti con una parte del sindacato.
pasquino
Sono tornato indietro di pochi anni e ho constatato che si stava meglio quando si stava peggio. Anche quando tutto sembrava crollare si stava meglio. Naturalmente parlo delle famiglie operaie. La colpa di ogni disgrazia finanziaria è stata sempre attribuita a loro. Così hanno eliminato la scala mobile, la liquidazione, le spese mediche gratuite poi, in compenso, hanno reso precario il lavoro di molti, hanno spostato i termini delle pensioni di tutti e infine ora modificano, partendo dalla ditta più rappresentativa, i diritti acquisiti abbassandoli a quelli cinesi. E non gioiscano i piccoli dicendo che per loro è già così: poi staranno peggio anche loro. A fronte di tutto questo i politici si sono creati il loro sultanato e i ricchi si sono aggregati a loro, sorreggendolo.
Mauro Pucci
A mio modesto parere il dott. Marchionne dovrebbe guardare meglio nelle "alte sfere" della sua azienda. Perchè e lì il vero problema. Govenare gli impianti? Sono gli operai a dover "governare" gli impianti? O sono i manager pagati profumatamente che non sanno fare il loro mestiere? Io credo che il problema non sia tanto quello di lavorare di più ma di "lavorare meglio". E per lavorare meglio servono investimenti tecnologici all’avanguardia e capacità di gestione degli stessi. Paradossalmente vorrei dire che alla FIAT non conviene intensificare i ritmi produttivi ma abbassarli: per lavorare meglio e per aumentare in modo significativo la qualità del prodotto. Alla FIAT serve la "valorizzazione" delle risorse umane e non l’umiliazione. Alla Fiat serve creatività e professionalità diffusa e non un succube e acritico appiattimento allo status quo. Direi che Marchionne vincendo questa battagllia corre il rischio di perdere la guerra.
Rodolfo Vialba
Non condivido chi afferma che Marchionne abbia vinto perché, in realtà, hanno vinto coloro che hanno sottoscritto laccordo e, visti i risultati, non credo sia ancora possibile sostenere, come ha fatto la Fiom prima e dopo le votazioni, che il referendum si sarebbe svolto in un clima intimidatorio tale che non avrebbe consentito la libera espressione della volontà dei lavoratori. Il risultato ottenuto dai fautori del no allaccordo (46,95%) è la miglior conferma della strumentalità della tesi del ricatto. La Fiom, che ha perso, vuole accreditare la tesi che la sconfitta riguarda i sostenitori del si avendo ottenuto un risultato molto inferiore alle loro attese, non certo i fautori del no che hanno ottenuto molti più consensi rispetto al numero dei loro iscritti e sostenere così la richiesta (irricevibile per chi ha vinto) di annullare quanto avvenuto e riaprire la trattativa con la Fiat. Qualora poi nella Fiom dovesse prevalere la tesi di chi vuole chiamare in causa la magistratura la domanda che si porrebbe sarebbe questa: a che serve il sindacato se la soluzione dei problemi è demandata alla magistratura e non agli strumenti propri dell’iniziativa sindacale?