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UN MECCANISMO ANTI-CRISI PER L’EURO *

Il Patto di stabilità e crescita stabilisce che nessun paese membro possa avere un deficit superiore al 3 per cento del Pil, né possa avere un debito pubblico superiore al 60 per cento del Pil. Si tratta però di regole mai applicate seriamente. E la crisi ha fatto il resto. Ricorrere agli Eurobond sarebbe un nuovo grosso sbaglio. Meglio invece un nuovo meccanismo anti-crisi a tre fasi: il Meccanismo europeo di stabilità.

 

Quando i padri dell’euro concepirono la moneta comune, vollero creare un ambiente che l’aiutasse a diventare una valuta riconosciuta come solida a livello internazionale. Secondo il Patto di Stabilità e crescita, nessun paese dovrebbe avere un deficit superiore al 3 per cento del Pil, né un debito pubblico superiore al 60 per cento del Pil. In più, per sottolineare la determinazione con cui l’obiettivo andava perseguito, fu inserita una clausola di “no-bailout” (Official Journal of European Union 1997). Con tutte queste tutele, che cosa poteva andare storto?

COSA NON HA FUNZIONATO

Purtroppo, quando le regole non vengono applicate con sufficiente serietà diventano poco credibili, e ci sono molte cose che possono andare male. Fino al 2010 ci sono stati ben 97 casi in cui il deficit ha superato il 3 per cento (vedi la figura 1). I due terzi di queste infrazioni non erano giustificate da una recessione interna sufficientemente importante, l’unica condizione nella quale si sarebbe potuta tollerare una simile evenienza, dunque le sanzioni avrebbero potuto e dovuto essere applicate. (1) Ma non è mai accaduto: gli stati membri sono stati veloci a “reinterpretare e ridefinire” il Patto, fino alla sua scomparsa. I debiti e i deficit sono cresciuti incontrastati, aiutati dalla convergenza dei tassi d’interessi, spinta dall’euro, in tutti i paesi membri.

Figura 1 – Stati membri con deficit in eccesso

 

Figura 2 Tasso di interesse dei Titoli di stato a 10 anni

 

La crisi finanziaria globale, comunque, ha interrotto la compiacenza dei mercati, che si sono dimostrati poco clementi. Quando i rating di alcuni paesi dell’Eurozona hanno iniziato a scendere verso lettere dell’alfabeto più basse, i mercati hanno preso nota e hanno iniziato a richiedere premi maggiori per i prestiti, mettendo così bruscamente fine a una stagione di leggerezze, ma aprendone una di crisi per l’euro.

UNA NUOVA PROPOSTA

Nel nostro ultimo rapporto per l’European Economic Advisory Group del CESifo abbiamo sostenuto che, per controllare i paesi europei, non si dovesse tentare di aggirare il mercato ma, al contrario, farsi aiutare da esso. Pensiamo che per avere un sistema di governance economica efficace la forza del mercato possa essere d’aiuto nel generare l’aggiustamento dei necessari strumenti di controllo sui fenomeni di eccessivo prestito pubblico.
Questo sistema deve trovare il giusto equilibrio: da una parte c’è bisogno di un certo grado di protezione degli investitori che comprano titoli di stato e di supporto per i paesi in difficoltà, ma dall’altro bisogna fare attenzione a non trasformarlo in una copertura totale dai rischi per creditori e debitori.
Proponiamo un meccanismo anti-crisi a tre stadi basato sulle decisioni di dicembre 2010 e, in particolare l’istituzione di un Meccanismo europeo di stabilità (Esm, European Stability Mechanism) spiegando in dettaglio come tali decisioni dovrebbero essere messe in atto. (2)
Il nuovo meccanismo distingue tra mancanza di liquidità, rischio di insolvenza e insolvenza, concentrando l’attenzione sul secondo concetto, perché assume il ruolo di “spartiacque” utile a prevenire una piena insolvenza. (3)
●    Primo: se un paese non riesce a onorare i propri debiti, si supporrà che stia affrontando una semplice crisi di liquidità, ovvero una temporanea difficoltà dovuta a uno scetticismo del mercato che presto verrà superato. L’Esm interverrà facendo prestiti a breve termine, seniorrispetto al debito privato, per un massimo di due anni di seguito. Si tratta di un lasso di tempo sufficiente affinché il paese possa aumentare le tasse, tagliare le spese e convincere gli investitori privati che possono ricominciare a erogare prestiti.
●    Secondo: se le difficoltà di pagamento persistono anche dopo questo periodo, si supporrà che il paese si trovi in una situazione di rischio di insolvenza. Le clausole di azione collettiva, che devono far parte di tutti i contratti relativi alle emissioni di titoli pubblici, assicureranno a ciascun paese la possibilità di perseguire un approccio graduale per trovare un eventuale accordo con i propri creditori, discutendo con i detentori di titoli di una determinata scadenza senza che ciò consenta ai detentori degli altri titoli di fare altrettanto. (4) Il paese in questione potrà allora offrire ai detentori del proprio debito i cosiddetti titoli di rimpiazzo, garantiti dall’Esm fino all’80 per cento, a condizione che questi accettino un haircut calcolato sulla base dello sconto già prezzato dal mercato nei tre mesi precedenti, ma comunque di almeno il 20 per cento e non superiore al 50 per cento. (5) L’haircut farà sì che anche le banche e gli altri possessori di titoli pubblici sopporteranno parte del rischio dei propri investimenti. D’altra parte, il fatto che sia predeterminato nelle sue dimensioni aiuterà anche a stabilizzare i mercati. (6)
●    Terzo: se il paese non riuscisse neppure a vendere i titoli di rimpiazzo e avesse bisogno di ricorrere alle garanzie fornite dall’Esm, sarà dichiarata la piena insolvenza per l’intero debito pubblico. Si valuterà quindi una moratoria collettiva per tutti i debiti.
I titoli emessi con clausole di azione collettiva, finanziati da titoli di rimpiazzo parzialmente garantiti, darebbero ai paesi europei in difficoltà la possibilità di affrontare immediatamente i propri bisogni finanziari. Dal momento che questi titoli definiscono e limitano i rischi per gli investitori, forniscono lo strumento chiave per raccogliere denaro dal mercato senza dover ricorrere ai fondi dell’Esm.
Ad esempio, l’emissione di questi titoli permetterebbe a questi paesi il riacquisto del debito al valore di mercato scontato attuale, con l’obiettivo di ridurre significativamente il debito in rapporto al Pil.
Il requisito più importante per mantenere la disciplina di mercato è la sequenza e l’ammontare dei tagli e degli aiuti di stato in caso di rischio d’insolvenza. Prima che possa essere garantito l’aiuto finanziario sotto forma di titoli di rimpiazzo garantiti, i creditori devono offrire una parziale deroga delle loro richieste di rimborso. Solo con questa successione di eventi – accompagnata dalla definizione di un massimale di perdite per gli investitori – si può garantire che i creditori stiano attenti nel concedere prestiti, chiedendo un appropriato interesse come premio.
Gli interessi sono un meccanismo fondamentale per incentivare i paesi troppo indebitati a ridurre la loro domanda di credito.
In Europa non dovrà mai più essere istituito un meccanismo che elimini gli spread sui tassi d’interesse, come accadde nei primi anni dell’euro. In particolare, in nessuna circostanza si dovrà ricorrere agli Eurobond, come vorrebbero invece alcuni politici e opinionisti europei. Non possiamo che metterli in guardia sul fatto che l’emissione di titoli di questo tipo esacerberebbe i problemi che sono stati alla radice della crisi. Gli Eurobond non farebbero altro che incentivare ulteriormente i comportamenti opportunistici, sia da parte dei creditori che dei debitori. Essi infatti prevengono l’emergere di premi al rischio agendo come un’assicurazione a copertura completa contro l’insolvenza. Per questo motivo Otmar Issing, ex-capo economista della Bce, ha etichettato l’idea come “veramente grottesca”. Lo stesso si potrebbe dire per i programmi di riacquisto del debito finanziati dall’Esm, che sono molto simili agli Eurobond.
Dare il prezzo appropriato al rischio sovrano è un elemento essenziale per un mercato finanziario ben funzionante: induce debitori e creditori a mantenere i flussi di capitale all’interno di limiti ragionevoli e a essere prudenti nei prestiti. È un prerequisito fondamentale per correggere gli squilibri commerciali europei nel futuro.

* Questo articolo è basato su The EEAG Report on the European Economy, “A New Crisis Mechanism for the Euro Area”, CESifo, Munich 2011, pp. 71–96 (http://www.cesifo.org/eeag).I membri dell’EEAG hanno partecipato a titolo personale e non rappresentano il punto di vista delle organizzazioni delle quali fanno parte.

(1) Risoluzione del Consiglio europeo sul Patto di Stabilità e crescita (1997), pp. 1–2. Council Regulation (EC) No. 1467/97 of 7 July 1997, Article 2.
(2) Vedi Conclusioni del Consiglio europeo, EUCO 30/10, CO EUR 21, CONCL 5.
(3) Utilizziamo una proposta di Sinn e Carstensen (2010) “Ein Krisenmechanismus für die Eurozone”, ifo Schnelldienst, Special Issue, November, estesa in Sinn, H-W, T Buchen, and T Wollmershäuser (2010), Trade Imbalances: Causes, Consequences and Policy Measures, Statement for the G20, Palais-Royale Initiative, CESifo, Munich, December, forthcoming in CESifo Forum.
(4) In generale, le clausole di di azione collettiva possono essere inserite solo nelle nuove emissioni di titoli. Per questo, una percentuale che diminuisce col tempo dei titoli di mercato avrà status non-Cac.
(5) Per sconti inferiori sul valore di mercato, il meccanismo di crisi potrebbe non essere attivato in ogni caso.
(6) Per un titolo a dieci anni, un premio del 4,8 per cento su un tasso di mercato del 5 per cento sarebbe sufficiente a compensare una perdita complessiva del 60 per cento del suo valore nominale.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. Anonimo

    L’economia produttiva di mercato vive nella presenza di un dualismo che potrebbe essere definito come un principio di mercato secondo il quale ciò che è presente è ciò che dovrebbe essere nel futuro nella produzione di beni, che ha come risultato uno squilibrio di bilancio tale per cui si estende un fallimento del mercato stesso e, quindi, la necessità di un intervento pubblico tramite la politica economica. Quindi data la convergenza unitaria del mercato dell’U.E. sarebbe opportuna una politica di bilancio pubblica coordinata da parte dei Paesi membri non necessariamente con stessi obiettivi…

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