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Troppi azzardi (morali) nella giustizia civile *

La gestione di una causa civile costa allo Stato circa 500 euro contro un incasso dell’8,7 per cento delle spese sostenute pari a una media di 43 euro. È per questo che il ricorso alla giustizia civile si è trasformato spesso in un abuso e ha causato l’ingolfamento dei tribunali, sommersi ogni anno da oltre 5 milioni di nuove procedure. E, di conseguenza, l’insostenibile lunghezza dei processi civili in Italia. Per risolvere la situazione basterebbe introdurre la certezza assoluta, all’inizio del processo, che chi perde, e non la collettività, paga il conto. E forse al ministero servirebbe un manager.

La gestione di una causa civile costa allo Stato circa 500 euro, tra stipendi dei giudici, staff e strutture, contro un incasso, tramite il contributo unificato di 43 euro, pari a solo l’8,7 per cento delle spese sostenute (la media europea è del 25,9 per cento). Il rimanente 91,3 per cento, che corrisponde a qualche miliardo, è quindi a carico della collettività. Sono gli scarni dati raccolti in Italia sulle “entrate” del servizio giustizia civile disponibili dalRapporto 2010 del Cepej (The European Commision for the Efficency of Justice).
Uno dei grandi problemi della gestione della giustizia civile è la completa assenza di un budget in “entrata” per ciascun tribunale insieme a una corretta contabilità di gestione, controllo e imputazione dei costi. Più che dispending review occorre una buona dose di accountability: non si può gestire ciò che non si può misurare.

L’ABUSO DI GIUSTIZIA CIVILE

È oramai opinione concorde, anche dai vertici della magistratura e del Csm, che la principale causa dell’insostenibile durata dei processi civili in Italia deriva dall’ingolfamento dei tribunali, sommersi ogni anno da oltre 5 milioni di nuove procedure. Invece, il numero di giudici per abitanti, la loro produttività e il budget allocato per i tribunali di circa 4 miliardi e 200 milioni di euro sono superiori alla media europea. In una catena di cause ed effetti, l’esercizio dei propri diritti è divenuto, per buona parte, un sistematico abuso del servizio giustizia civile che ha prodotto un carico di lavoro insostenibile per i giudici, generando scarsità di risorse di mezzi e di personale, che a sua volta ha allungato la durata dei processi avendo come effetto ultimo una barriera all’accesso a una giustizia tempestiva, costi per cittadini e imprese valutati in un punto di Pil, restrizione dell’accesso al credito e mancata attrattività degli investimenti esteri. A completare il quadro, vi è un ulteriore effetto spesso poco considerato: il drenaggio di magistrati, personale e mezzi che potrebbero essere utilizzati più efficacemente nel settore penale per la lotta alla criminalità. Circa due terzi del budget per i tribunali è infatti dedicato alla giustizia civile.
Come scoraggiare l’abuso del ricorso al tribunale, con i drammatici effetti a cascata descritti, al fine di salvaguardare coloro che realmente devono tutelare i propri diritti? La capacità produttiva dei tribunali civili italiani, calcolata nella possibilità di produrre delle sentenze nei tempi delle medie europee, è di circa di 2 milioni di sopravvenienze all’anno, circa il 40 per cento dell’attuale carico di lavoro. Ovviamente, senza calcolare il fabbisogno straordinario che occorrerebbe per smaltire l’arretrato. Dato che la capacità produttiva non può essere aumentata sia per questione di budget sia perché è perfettamente allineata con la media europea, per rendere un efficiente servizio ai cittadini e alle imprese occorre scovare ed eliminare tutte le cause pretestuose che danneggiano coloro che hanno veramente bisogno di ricorrere al magistrato. È come se un ospedale con 400 posti letto dovesse ricoverare mille pazienti, senza distinguere tra i malati immaginari e perfettamente guaribili a casa da quelli che hanno veramente bisogno del ricovero. Le conseguenze sono facilmente immaginabili.

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UNA SOLUZIONE ECONOMICA

La modifica del criterio delle tariffe degli avvocati, di fatto opportunatamente liberalizzate da diversi anni per favorire la concorrenza, non ha prodotto l’attesa diminuzione delle sopravvenienze e contrastato il fenomeno dell’abuso. La soluzione risiede altrove ed è prettamente economica e non giuridica.
Il ricorso “sempre e comunque” in tribunale sembra derivare da un fattore noto come moral hazard: le persone sono incentivate a comportamenti rischiosi quando vi è un’alta probabilità che i costi associati a un eventuale esito negativo ricadano sulla collettività. Lo Stato si fa pagare per l’erogazione del servizio giustizia solo dalla parte istante il cosiddetto “contributo unificato”, un forfeit calcolato sul valore dichiarato della causa, che non ha alcuna relazione con il tempo richiesto per l’erogazione del servizio. Questo sistema di pagamento ha stimolato moltissimo il moral hazard in quanto scarica sulla collettività il 90 per cento del costo del servizio con l’aggravio, anche in caso di perdita nel giudizio, della sistematica concessione da parte di molti giudici della compensazione delle spese, in violazione del principio della soccombenza. In ogni caso, se condannato alle spese ilsoccombente deve risarcire all’istante quanto anticipato con contributo unificato, ma nulla più è dovuto allo Stato.
Per arrestare i dannosi effetti prodotti dal moral hazard, occorrerebbe semplicemente introdurre la certezza assoluta, all’inizio del processo, che chi perde, e non la collettività, paga il conto: le spese effettivamente sostenute dallo Stato, calcolate in base alle ore impiegate dal giudice, più una quota fissa per la struttura, oltre al rimborso al vincitore delle spese processuali e legali eventualmente anticipate. Si tratterebbe di un “ticket” automatico in uscita, mentre il contributo unificato rappresenterebbe solo un acconto all’entrata. Basterebbe quindi applicare anche nel civile lo stesso sistema di addebito delle spese processuali utilizzato nel settore penale, il cui recupero, in caso di mancato pagamento, è affidato con successo a Equitalia Giustizia che iscrive a ruolo il credito. Al giudice sarebbe solo richiesta una puntuale motivazione delle eccezioni alla regola della soccombenza, eventualmente contenuta in una pronuncia separata da quella principale. Il tutto vigilato dalla Corte dei conti.
Parallelamente, come in Germania, occorre stimolare la diffusione dei contratti assicurativi di tutela legale tramite la loro obbligatorietà per alcune categorie o la detraibilità dei loro premi. In questo modo, se si vince o se si perde, i costi dell’avvocato e delle spese processuali sono coperte da una polizza assicurativa, il cui premio aumenterà se il soggetto ne approfitta. Gli abusi delle lite e delle resistenze temerarie in giudizio scomparirebbero dalla sera alla mattina e i giudici si potrebbero occupare con molta più efficienza della tutela dei diritti (veri) dei cittadini e delle imprese.
Sarebbe inoltre un grande atto di innovazione nominare un manager o un economista al posto vacante disottosegretario alla Giustizia. Accanto ai giuristi, qualche manager in più aumenterebbe l’efficienza del servizio della giustizia civile. In questo modo, forse anche in Italia si potrebbe un giorno leggere un documento simile al Business Plan 2012-2013 della Suprema Corte del Regno Unito. Poche pagine chiare di costi e ricavi piene di termini sconosciuti in Italia se associati a un tribunale come performance indicatorscorporate responsibilitiescustomer satisfactionaccountability e ovviamente spending review.

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*L’autore è un esperto di Alternative Dispute Resolution e ricopre un ruolo di responsabilità presso una delle principali società di Adr italiane

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  1. toroseduto

    Benissimo

  2. Toro seduto

    Conclusione: erra chi ritiene che il contenzioso civile sia alimentato esclusivamente dalla litigiosità, in quanto influiscono notevolmente anche le frequenti inefficienze del sistema giudiziario (come sopra illustrato). Una indagine obiettiva sulle condizioni di quest’ultimo deve necessariamente tener conto di ciò se non vuole risultare un esercizio puramente accademico e privo di contatto con la realtà.

  3. Toroseduto

    yPurtroppo è andato perduto quanto scritto dopo il “benissimo” del precedente intervento

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