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LA PARTITA È SOLO ALL’INIZIO

La caduta di Geronzi non significa un rinnovamento del capitalismo italiano perché i nuovi attori non hanno proposto un disegno alternativo, ma hanno semplicemente costruito nuovi intrecci che si sono avviluppati intorno a quelli vecchi. La novità invece è la sempre più attiva partecipazione dei fondi internazionali alle assemblee. Si profila dunque uno scontro duplice: da un lato quello fra protagonisti vecchi e nuovi del nostro capitalismo di relazioni e dall’altro quello fra la via italiana alla governance dei grandi gruppi e le prassi dei mercati internazionali.

 

 

Sull’’asse Mediobanca-Generali si reggono da sempre gli equilibri del capitalismo privato italiano, il cui difetto principale, è notoriamente quello di essere avviluppato in una rete di rapporti di partecipazioni e di relazioni fra vari soggetti, che esprimono interessi diversi, quindi spesso in conflitto con gli obiettivi strategici dell’’impresa e dei manager che la dirigono.

INTRECCI PERICOLOSI

Mediobanca è retta da un patto di sindacato che controlla oltre il 44 per cento delle azioni e a cui partecipano, fra gli altri, Unicredit (principale azionista), Mediolanum (dunque la galassia che fa capo al presidente del Consiglio), Fondiaria (Ligresti), Fininvest (vedi sopra alla voce Berlusconi) e Generali; quest’ultima non solo è concorrente di Fondiaria, ma è anche azionista di Mediobanca che partecipa al suo controllo, nella più classica delle partecipazioni incrociate.
L’’azionariato di Generali è più disperso, ma il controllo è da sempre saldamente nelle mani di Mediobanca che detiene il 13,5 per cento del capitale, seguita da Banca d’Italia (altro socio storico con il 4,5 per cento) e da soci eterogenei fra loro con il 2 per cento: il gruppo Caltagirone, Blackrock (un investitore istituzionale), Kellner (assicuratore ceco presente in consiglio e protagonista delle vicende degli ultimi mesi), Effeti (espressione di finanziarie venete e della fondazione Crt).
E la partecipazione incrociata di cui si è detto si porta dietro anche un bell’’incrocio di amministratori: tanto per essere sicuri che nulla sfugga al controllo di piazzetta Cuccia, ben tre soggetti ricoprono cariche nel consiglio e nel comitato esecutivo di entrambe le società: Alberto Nagel, Francesco Saverio Vinci e Vincent Bolloré.
Vi è venuto il mal di testa a tentare di seguire questo intreccio di interessi? Consolatevi pensando che è una mappa molto sommaria di un arcipelago più frastagliato della Micronesia ed assai più pericoloso per i naviganti. Gli ottimisti possono dire che questo intreccio è comunque diverso da quello di qualche anno fa e che dunque qualcosa si muove anche nelle stanze del capitalismo italiano. Ma proprio qui sta il punto: i nuovi attori (dai Caltagirone ai Della Valle, allo stesso Berlusconi ammesso che ormai si possa ancora distinguere fra l’’uomo d’affari e il politico) non hanno proposto un disegno nuovo e alternativo, ma hanno semplicemente costruito nuove galassie e nuovi intrecci che si sono avviluppati intorno a quelli vecchi, rendendoli sempre più inestricabili. Ovviamente, quando una poltrona vacillava si sono affrettati, come nel caso di Cesare Geronzi, a dare la spinta decisiva e a occuparla il più rapidamente possibile. Cambiano le facce (per non citare le parti che riposano sulle poltrone medesime) ma la logica è sempre la stessa. L’’unico vero risultato è che non lo sentiamo più definire “salotto buono”, perché dopo tutto quello che è emerso negli ultimi venti anni su tanti protagonisti di quegli intrecci (dai torbidi rapporti con la politica, alla corruzione di giudici, ai dissesti che hanno comportato costi pesanti per gli azionisti delle banche, quindi anche per i piccoli risparmiatori) si temeva la querela dei mobilieri brianzoli.
A questo punto è chiaro perché la caduta di Geronzi non può essere considerata come una vittoria della corporate governance e tanto meno del nuovo che avanza. Certo, gli amministratori indipendenti hanno fatto con coscienza il loro dovere nel momento in cui si sono trovati ad essere l’’ago della bilancia nella controversia scoppiata fra gli azionisti e innescata da Diego Della Valle, che è parte integrante della galassia in questione, visto che è socio storico e consigliere di amministrazione di Rcs, dunque del Corriere della Sera, altro crocevia storico degli intrecci fra industria e finanza, proprio in un settore così delicato come la stampa.
Va ancora ricordato che nel consiglio di Generali siedono consiglieri nominati dalla lista di minoranza (alternativa quindi a quella proposta da Mediobanca), che sono indipendenti veri, perché i requisiti del codice di autodisciplina italiana sono così elastici che la patente di indipendenza non si può negare a nessuno (Giolitti dixit) come una croce di cavaliere o un sigaro toscano. Tanto che nel consiglio di Mediobanca sono definiti come tali Fabrizio Palenzona (che oltre a essere vicepresidente del maggiore azionista è stato indicato dalle cronache come uno dei più attivi nelle convulse vicende che hanno portato alle dimissioni di Geronzi) e Tarak Ben Ammar, di cui non viene taciuta neppure ai piccini la vicinanza agli interessi di Berlusconi, cioè di un altro importante azionista, che comunque è rappresentato in consiglio anche dalla figlia Marina. Insomma, gli indipendenti di minoranza in Mediobanca non ci sono proprio, così non si corrono rischi.
E che dire dell’’esito della vicenda? Mediobanca ha immediatamente trovato la soluzione per il dopo-Geronzi e ha designato Gabriele Galateri, che fu già presidente di piazzetta Cuccia e che ha prontamente lasciato la carica di presidente di Telecom, cioè di una società che non è ancora uscita dai tre traumi successivi dei cambi di proprietà avvenuti dal 1999 al 2007, che hanno lasciato soprattutto una montagna di debiti. Perché anche Telecom è una società in cui Mediobanca esercita un peso fondamentale da ormai dieci anni, prima come alleato di Marco Tronchetti Provera, poi come regista della difficile e travagliata transizione alla presidenza di Guido Rossi e all’ingresso degli spagnoli di Teléfonica.

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LA VOCE DEI FONDI

Tutto questo dimostra che i giochi sono tutt’altro che conclusi. Sia in Generali che in Telecom ci sono problemi strategici e strutturali da risolvere e non si vede proprio perché l’uscita di scena di Geronzi sia sufficiente a riportare concordia in un azionariato così composito. Anche perché chi crede che un uomo come il finanziere romano si rassegni a una dorata pensione sui colli laziali, non ha capito molto né del personaggio né dei costumi nazionali. Ma soprattutto, una novità sta prepotentemente avanzando sulla scena: la sempre più attiva partecipazione dei fondi internazionali alle assemblee, che ha già provocato qualche sorpresa nell’’assemblea di Telecom, dove la maggioranza si è rivelata molto più esigua degli anni passati, tanto da determinare l’’estromissione della lista che fa capo ai Fossati, che detengono un cospicuo pacchetto azionario.
I fondi italiani sono infatti troppo piccoli per avere quote consistenti, ma in Generali, in Mediobanca e in Telecom, ormai una quota rilevante è detenuta da investitori internazionali che vogliono far sentire la loro voce e che non sono affatto disposti a considerare intoccabile il potere espresso da azionisti che alla fine controllano solo una minoranza del capitale. Non devono essere visti come angeli salvatori, perché spesso le loro decisioni sono troppo improntate ai profitti di breve periodo, ma certo sono mossi da logiche completamente diverse. Lo scontro che si sta profilando è quindi duplice: da un lato quello fra protagonisti vecchi e nuovi del nostro capitalismo di relazioni e dall’’altro quello fra la via italiana (che poi è via Filodrammatici) alla governance dei grandi gruppi e le prassi dei mercati internazionali. Insomma, la partita è tutt’’altro che finita, anzi è appena cominciata. Prenotatevi un posto per l’’assemblea Mediobanca di quest’’autunno: è molto probabile che sarà uno spettacolo più appassionante di un derby.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. Stefano Bandiera

    Storicamente l’Italia si è sempre distinta per una patologica arretratezza dei mercati finanziari. Nei sistemi più maturi in questo ambito tale sviluppo viene ed è stato raggiunto anche grazie alla partecipazione dei piccoli risparmiatori: figurarsi quale sia l’importanza di questi ultimi nel "capitalismo senza capitali" italiano. Ebbene l’alone oscuro che circonda il governo societario è una delle cause di questo deficit italiano: come è possibile richiedere al sig. investitorequalunque di rischiare (volutamente non dico "investire") risparmi di una vita in aziende caratterizzate da una corporate governance quantomeno grigia? C’è da chiedersi cosa abbia compreso il piccolo risparmiatore degli eventi che hanno interessato il maggior gruppo assicurativo italiano; al più può ricavarne un quadro indecifrabile fatto di intrecci di amicizie, vecchi rancori, politica, vendette, palazzi, dal quale starne il più lontano possibile. Ammesso che vi sia effettivamente qualcosa di altro, si intende.

  2. Marcello

    Beh, almeno mi auguro che il suo siluramento sia un primo passo verso un pensionamento in una galera romana. Non ci spero molto, ma è un primo passo.

  3. maria di falco

    Ma la partita è cominiciata! L’uscita di scena di geronzi, condannato tra l’altro per usura, mi riempie di gioia! A proposito cosa c’entra l’usura con il sistema capitalistico? L’usura, la bancarotta e altre quisquilie di questo tipo mi ricordano più un intreccio mafioso economico, che un sistema capitalistico. Comunque, cosa possiamo fare noi, piccoli risprmiatori e soprattutto gli intellettuali (giornalisti economici ed economisti)? Informazioni e analisi economiche più comprensibili sarebbero gradite! Informazioni alla "Beppe Grillo" per intendercir!! Ricordiamo che questo signore, anche se spesso sopra le righe, è stato premiato da un magazine britannico perchè aveva previsto con largo anticipo il crac Parmalat. Le analisi economico-finanziarie possono essere alla portata di tutti (superato il mal di testa iniziale!) se compresili da tutti, come l’articolo del prof. Onado. Altro punto è l’intreccio o meglio il conflitto d’interessi tra politica ed economia. Vorrei chiedere al prof. Onado che ne è di una legge del 1957 richiamata tante volte dal compianto prof. Sylos Labini che impediva ai possessori di giornali di scendere in politica. E’ la prima cosa in agenda per il nuovo governo.

  4. bob

    Esce Geronzi entra Galateri. Perdonatemi la novità dove è? Geronzi messo da parte dopo la sortita del maggiordomo di Montezemolo, tale Diego della Valle? Solita commediola all’italiana!

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