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I DANNI COLLATERALI DI UN REFERENDUM

In nome dell’acqua pubblica, uno dei quesiti referendari propone l’abrogazione di un intero articolo di legge (il 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112, più volte modificato). Inutile dire che (contrariamente a quanto vogliono farci credere i pasdaran del referendum) quell’articolo di legge non ha nulla a che fare con la proprietà della “risorsa acqua”, ma solo con le modalità di gestione del servizio idrico. È invece utile sottolineare che il 23 bis (come viene familiarmente chiamato dagli addetti ai lavori) riguarda anche altri servizi pubblici locali, tra cui i trasporti. L’eventuale abrogazione del 23 bis, dunque, riporterebbe il trasporto locale alle norme vigenti prima del giugno 2008. Qualcuno potrebbe fare spallucce e dire “poco male: dopotutto, il 23 bis non innovava granché”. Certo, il 23 bis non era la rivoluzione che alcuni speravano (e altri temevano); ma rispetto alla normativa precedente qualche pregio l’aveva. Vale la pena ricordare che – abrogato il 23 bis – tornerebbero a valere esclusivamente le norme del pasticciato e reticente Regolamento europeo CE/1370/2007 e dell’ormai lontano D.Lgs. 422 del 1997, nelle parti migliori purtroppo superato proprio dal Regolamento europeo. Non fosse altro, il 23 bis dice almeno con chiarezza che la modalità ordinaria di affidamento dei servizi è “la procedura competitiva ad evidenza pubblica” e pone una serie di vincoli agli affidamenti “in house”, cui invece il citato Regolamento comunitario lascia più o meno libero corso. Dunque, se il 23 bis verrà abrogato con il referendum del 12 giugno, liberi tutti di ricorrere al “fatto in casa”.
Chissà come è contento il sindaco di Roma Alemanno del regalo che gli vogliono confezionare le vestali dell’acqua pubblica! Proprio nei giorni scorsi, in previsione di un esito abrogativo del referendum, il leader capitolino ha stretto accordi con i sindacati per confermare ad libitum il regime “in house” del trasporto pubblico romano (il fascino del “casereccio” a Roma è irresistibile) e ha poi accettato le dimissioni di quell’amministratore delegato che, nella bufera dei mesi scorsi, era stato nominato alla guida dell’Atac per riportare un po’ di ordine e di moralità in azienda. Purtroppo, il regalo non sarà solo per Alemanno: infatti è ormai esplicita e dichiarata la volontà di buona parte degli amministratori locali di non fare gare per diminuire il costo dei servizi locali, anche in caso di sprechi vistosi o gestioni dissennate: sono certi che le loro imprese non potranno fallire e che i contribuenti (e gli utenti) alla fine saranno chiamati a pagare. Sono anche convinti, evidentemente, che perderanno meno consensi così facendo piuttosto che ottenendo gestioni più sane e meno costose. Anche solo per dare loro finalmente torto, sarebbe bello che il quesito referendario venisse sonoramente bocciato.

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24 commenti

  1. g. crosasso

    Non è vero che il problema sia l’affidamento in house, tanto che la direttiva europea infatti lo consente, il problema, come sempre in Italia, è la verifica dell’efficacia e della qualità del servizio. E’ quindi demagogico "sperare" come fanno Boitani e Ponti che il referendum fallisca per vedere funzionare i servizi di trasporto. Perchè anche sui servizi ai privati il problema continua ad essere il controllo della qualità degli stessi. Inviterei gli autori a smettere i panni dei difensori ad oltranza della privatizzazione dei servizi pubblici e a ipotizzare invece la soluzione al problema: il controllo dell’efficacia e della qualità dei servizi sia pubblici sia privati, non l’affidamento! Ve ne saremmo lieti. PS anche il servizio energetico giapponese dato ai privati (gestione centrali nucleari) non mi sembra sia garanzia di efficienza, qualità e trasparenza!

  2. Juan Carlos De Martin

    Pasdaran? Vestali? Penso che le parole abbiano un peso e che termini simili non siano consoni allo stile della voce.info.

  3. Damiano

    Non conoscevo questa parola e allora ho cercato su Wikipedia che mi da questa definizione: Il Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, meglio noto con l’espressione Guardiani della rivoluzione o, dal persiano, Pasdaran, è un corpo militare istituito in Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979. I pasdaran sono massimamente fedeli al Capo Supremo (detto anche Capo spirituale), il Grande ayatollah Khomeini. Al loro interno esistono, poi, delle milizie volontarie organizzate militarmente dette basiji, in cui si arruolano i più giovani….. Non capisco cosa centri con il tema in discussione, evidentemente è ancora da coltivare la capacità di confrontarsi con idee diverse dalle nostre senza appiccicare inutili etichette a chi non la pensa come noi. Penso che un cittadino responsabile vada a votare ai referendum e sceglie Si oppure No. Penso che lo stesso cittadino possa controllare i propri amministratori locali e anche qui, quando è ora, scegliere se riconfermarli o mandarli a casa. Esistono molti esempi virtuosi di gestione in house, in primis in materia di acqua, perchè non ne parlate? O è più comodo continuare il giochino del "Dagli al pubblico"?

  4. paolo baretta

    Trovo difficile condividere quanto scritto da Boitani e Ponti, ma obietto inparticolare la foga terminologica dell’intervento: si potrebbe, credo, sostenere le ragioni di una posizione senza forzatamente definire i sostenitori dell’opinione diversa "pasdaran" e "vestali"; e si potrebbe augurare un risultato del referendum senza augurarsi che gli avversari siano "sonoramente" bocciati, ma solo, nel caso, sconfitti. Spiace, ma questo di Boitani e Ponti pare così un intervento da pasdaran; lo stile conta (e lavoce.info solitamente quest’assunto lo sposa).

  5. Luciano Galbiati

    Il termine "liberalizzazione" assume, specialmente a sinistra, significati decisamente impropri. Quasi una nuova declinazione del concetto di "giustizia sociale" (con molti ripensamenti,per la verità). In realtà è un monumentale malinteso. La definizione più adatta di tale termine è la seguente: "deregolamentazione dei mercati e privatizzazione dei servizi pubblici". Mi domando quali mirabolanti benefici abbiano tratto lavoratori e consumatori dalla "liberalizzazione" della luce, del gas, delle assicurazioni, deli’acqua (dove operante), del welfare, ma soprattutto del mercato del lavoro. Nel migliore dei casi si è semplicemente trasformato un ente pubblico in Spa; nel peggiore si è trasferito un monopolio (o una posizione di rendita) dal pubblico ai privati. Per quanto riguarda il mercato del lavoro la "deregolamentazione" si è rivelata fallimentare (a danno del lavoratori). Gli elettori chiedono (da tempo) alla politica azioni finalizzate al governo della globalizzazione e alla ri-regolazione dei mercati. Superare la fascinazione intellettuale esercitata (per troppi anni) da iper-liberismo e consumerismo estremista credo sia già un bel risultato, per tutti.

  6. Bellavita

    I due quesiti sull’acqua non creano degli obblighi, li levano. Un legislatore distratto, frettoloso o complice ha imposto ai comuni l’obbligo di privatizzare entro il 2011 il 40% delle società di pubbici servizi, quindi causa affollamento sul mercato, svenderle. Un altro dello stesso tipo ha imposto l’obbligo di mettere in tariffa un utile del 7%, un regalo enorme, di questi tempi, per un servizio in regime di monopolio. Se passa il referendum ogni comune sarà libero di fare come gli pare: vendere, non vendere, fissare la tariffa. Io avrei preferito un referendum che abolisse l’obbligo di trasformare le municipalizzate in spa. Il che comporta un trasferimento di risorse dai comuni allo stato, sotto forma di imposte e mancate "bollette regalo". per Torino, 70 mil. di euro all’anno. Ma vedo, invece dei conti, la trita polemica sul pubblico inefficiente. E il privato ladro, come nel caso Telecom, no? E lo stato che garantisce controlli complici? E’ possibile che il pubblico usi troppo personale, ma è anche probabile che il privato ne usi poco: Gli interventi sui guasti devono essere immediati, per questo ci deve essere sempre una squadretta che gioca a carte…

  7. luigi del monte

    il ministro Fitto in un intervista dopo l’approvazione della suddetta legge aveva promesso che ci sarebbe stata una norma che istituiva una sorta di authority con poteri sanzionatori in modo che la privatizzazione risultasse efficace. Non so che fine abbia fatto la proposta… credo comunque, come il precedente commentatore, che il problema sia il controllo del privato e la programmazione che deve rimanere pubblica. Poi perchè gli acquedotti milanese che sono gestiti bene devono andare ai privati? Tante socetà private che gestiscono l’acqua nel sud fanno acqua da tutte le parti perchè gli amministratori non sono capace a scegliere e a sanzionare gli errori. Se un comune non è capace di gestire un servizio (acqua, rifiuti, trasporti) sarà mai capace di sanzionare il privato?

  8. Franco REFERENDO

    Diventa allarmante l’impegno diretto (da parte della maggioranza governativa) e…indiretto (da parte della critica politica,come nel caso dell’articolo commentato) nell’affossare l’interesse a partecipare ai referenda, anche a quelli che dovranno pur essere votati al di là di eventuale pronuncia della Corte di Cassazione aull’ultroneità di quello termonucleare. La cosa che più non mi piace è che non si tiene in alcun conto l’obbligo del legislatore di regolare il vuoto lasciato dalla norma abrogata e questo la dice lunga sulla radicalizzazione dello scontro poltico, che evidentemente troverebbe una sua vera ragione d’essere nel solo referendum contro il legittimo impedimento. Non sarà forse che gli intelletti …regolatori postabrogazione non si risveglino lmprovvisamente e sapientemente una volta che i sondaggi dicessero che il popolo italiano andrà ln massa al referendum principalmente se non soltanto per abolire il legittimo impedimento?

  9. Massimo Sabbatini

    Il senso del referendum per la difesa dell’acqua pubblica va ben oltre gli articoli di legge che si vogliono abrogare. E’ il solo modo che i cittadini hanno per dire ai governanti che esistono dei beni pubblici che devono essere tenuti fuori dalle logiche del profitto. I pasdaran del liberismo non vogliono capire che il pubblico è il modo più democratico ed economico di gestire i servizi. Eppure il ragionamento è così semplice: ogni servizio pubblico ha un costo in beni (p. es. nel caso dell’acqua captazione, trasporto, depurazione, manutenzione impianti; nel caso del trasporto pubblico acquisto di mezzi, manutenzione, pezzi di ricambio, carburante; etc.) e in retribuzione del personale; il suo scopo è fornire un servizio alla cittadinanza. Non appena diventa privato, il suo scopo cambia: diventa garantire un profitto a qualcuno, il dividendo agli azionisti e i superstipendi ai manager, amministratori e amici. Nei casi in cui il servizio pubblico lascia a desiderare è proprio perché lo gestiscono "privatamente", cfr. Alemanno&friends. Se fosse veramente pubblico, cioè controllato da noi cittadini, sarebbe ben più efficiente ed economico.

  10. Giuseppe Palermo

    Finalmente qualcuno avverte che il refendum non riguarda l’acqua ma tutti i pubblici servizi. Ma se il reg. CE1370/2007 è in effetti reticente e pasticciato, lo stesso non può dirsi dal complesso della normativa e della giurisprudenza comunitarie, recepite e ben riassunte dalla nostra Corte Costituzionale (sent. 439/2008): o gare di evidenza pubblica o, in casi circoscritti, gestione inhouse. Solo che gran parte delle multiservizi ora esistenti non rispondono affatto ai criteri del “controllo analogo”. L’inhouse all’italiana, cioè, è già fuorilegge. Ma è materialmente possibile regolarizzare queste situazioni nella direzione a cui obbliga l’abolizione del 23bis (ritorno alle municipalizzate e alle aziende speciali)? Ve l’immaginate p. es. il comune di Roma che si ricompra il 49% dell’Acea? Un brutto pasticcio e un vicolo cieco, che aiuterà solo gli speculatori e i monopolisti.

  11. Simone

    Complimenti agli autori per aver scritto in poche righe la semplice realtà dei fatti in uno tsunami di demagogia. Fantastico sarebbe stato vedere anche una noticina con riportato semplicemente il testo dell’articolo ma rassegnamoci.
    Egregi Autori, vincere la sfida concorrenziale nella palude del semipubblico in Italia è quasi impossibile, perchè non esiste una reale forza di progesso nella società e nella politica.

  12. Individualismo collettivo

    Beh, fatto il referendum si può sempre fare una legge che lo supera o no? Immagino che pensiate che chi legge il vostro sito abbia qualche informazione di come funziona la cosa pubblica,perciò che questo articolo sia una presa per i fondelli dei vostri lettori. Niente di più facile prendano la parte riguardante i traporti e la riapprovino in parlamento. Vi sembra così difficile?

  13. gianmario nava

    Ho firmato per il referendum e ci sono ottimi motivi per bocciare quella legge ma ho anche chiesto pubblicamente al presidente della azienda pubblica dell’acquedotto di Torino quale fosse il modello di gestione pubblica vincente da esportare e imporre dove la altrettanto pubblica gestione ha fallito non ho avuto risposta evidentemente non hanno un "modello" e non basta dire "bene pubblico"! C’è un mantra liberista e uno pubblicista non mi interessano mi interessa invece smontare le pastette di alemanno e quelle del gruppo che governa l’acqua a torino (sempre i soliti, da trent’anni, con società miste, dove non si capisce il confine tra politica e gestione e non si sa se si può fare di meglio o no) e che il primo faccia buchi nell’acque e il secondo utili e qualità poco mi importa, l’impressione è che "bene comune" non coincida con "gestione politica" risentirsi per i toni dell’interlocutore è un segno di grande debolezza e le domande rimangono sul tavolo: è vero o no che il referendum avrà effetti collaterali non positivi? e nel caso, il gioco vale la candela? Ci sono contromisure efficaci da mettere in campo? Cordialità

  14. Marco Fracasso

    Non bisogna farne una questione ideologica, la gestione (in questo caso) delle risorse idriche puo’ – privata come pubblica – essere gestita bene come male. Alla fin fine si tratterebbe di un caso di outsourcing, dai una parte del tuo lavoro in gestione a qualcuno che lo sa fare meglio. Quello che l’amministrazione deve fare diventa
    1) un contratto solido con tariffe chiari
    2) livelli di servizio adeguati e
    3) monitorare il rispetto degli accordi.
    Se fai tutto bene non vedo perche’ i costi debbano aumentare, soprattutto in un paese dove notoriamente la gestione pubblica e’ inefficiente (e corrotta).

  15. Marco Panzieri

    …non è necessaria la gara ad evidenza pubblica per privatizzare un gestore già quotato in borsa. Infatti nel Decreto Ronchi (Decreto Legge n.135 del 25 Settembre 2009) all’Articolo 15 lettara d) si legge che si PUO’, ma non si deve usare una procedura ad evidenza pubblica – basta che le quote siano cedute con collocamento privato presso investitori “qualificati” (come, dove, da chi, quali criteri? Mistero!) e operatori industriali; un tale noto come Caltariccone deve molto a questo articolo. …e non tutti sanno che esistono molte elementi (evidenze) che mostrano l’inefficacia e l’inefficienza della privatizzazione dell’acqua – per la popolazione -. Efficaci ed efficienti per i ricchi, molto peggio per i più. Dove trovo le prove? Al Psiru. Cercate, cercate.

  16. Marco Calgaro

    Cari pasdaran delle privatizzazioni liberalizzazioni, consiglierei a tutti voi di dedicarvi allo studio e all’attuazione di veri meccanismi di controllo dell’efficienza, qualità, economicità, trasparenza dei servizi di pubblica utilità prestati da pubblico e privato. Questo è l’unico vero modo per aiutare i cittadini fruitori. Quanto alle tariffe, sarebbe interessante sapere dove sia successo che alla privatizzazione di un servizio sia seguita una diminuzione del costo per l’utente.

  17. Giancarlo Corò

    Il dibattito sulla liberalizzazione dei servizi idrici impostato dai movimenti referendari ha giocato su un equivoco di fondo: solo la “gestione” pubblica diretta può assicurare una efficace tutela di una risorsa comune. L’equivoco, in realtà, è duplice. Da un lato l’art. 23bis non affronta il problema della tutela della risorsa acqua, ma solo degli affidamenti del servizio idrico. Attenzione: stiamo parlando di non più del 10% degli impieghi di acqua di un bacino idrico (solo questo viene intercettato da acquedotti), poiché il restante 90% è già oggi liberamente disponibile all’agricoltura, all’industria e ai prelievi autonomi da pozzi. Perché non è a questo 90% che si rivolge l’attenzione dei referendari? In secondo luogo, tutta l’attenzione è nella gestione, mai nessuno che ponga il problema della “regolazione e programmazione” del servizio: chi decide dove fare gli acquedotti, le fognature, i depuratori? Chi decide le compatibilità economiche e, dunque, le tariffe del servizio? Chi controlla che amministratori e manager (pubblici o privati), magari con il consenso dei sindacati, non approfittino della condizione di monopolio a spese degli utenti?

  18. Andrea Gilli

    Due brevi note:

    un anno fa, alla radio, sentii Mattei accusare una contro-parte a favore della privatizzazione dei servizi idrici in questi termini “lei non passerebbe un esame base di economia all’università”. Mi chiedo chi dunque sia aggressivo e insolente (e soprattutto rispettoso).

    Chissà perchè non ha rilanciato questa affermazione anche in questa sede.

  19. Franco

    Una domanda ad Ugo Mattei. Perchè non ci spiega la teoria di Coase sulle inefficienze prodotte dall’assenza dei diritti di proprietà? Dal punto di vista pratico-gestionale, come si differenziano i beni comuni dai beni pubblici? Decidono migliaia di cittadini (male informati) su ogni questione? Oppure anche per i beni comuni c’è bisogno di un ristretto numero di persone che li gestiscano; e come verrebbero scelti? Magari ha in serbo una teoria da premio Nobel per l’economia… Che il mondo accademico ancora non conosce…!

  20. Ugo Mattei

    A parte il solito tono aggressivo e insolente che si commenta da solo, Boitani e Ponti ribadiscono il mantra e confermano i limiti (ormai davvero imbarazzanti) della loro professione. In primo luogo, ignorano quanto tutti fuorché gli economisti neoliberisti sanno da oltre mezzo secolo: separare la proprietà dalla gestione, particolarmente in ambiti come i servizi pubblici, ma anche in via generale, è operazione strutturalmente impossibile e quindi fondamentalmente ideologica. Berle e Means hanno mostrato come il management (avido di profitti e benefici privati) sia il vero proprietario. Oggi la nozione giuridica di bene comune delegittima interamente anche sul piano teorico ogni operazione di riduttivismo positivistico: non ci basta che l’acqua sia pubblica. Deve essere governata come un bene comune! Inoltre i nostri irriducibili neoliberisti assumono una petizione di principio che non fa onore a una rivista avente qualche pretesa di scientificità. La “gara”, aprendo al privato, darebbe risultati più desiderabili della gestione in house! La gara per un monopolio naturale, in regime di asimmetria informativa grave, porta conseguenze disastrose per l’interesse pubblico.

  21. Franco

    Evidentemente il prof. Mattei ignora completamente la differenza tra concorrenza "per" il mercato e concorrenza "nel" mercato e come si cerchi di "costruire" un qualcosa di simile alla concorrenza proprio nei casi di monopolio naturale dove concorrenza non può esserci. Come? cercando di costruirne i presupposti a monte (gara) invece che a valle!. C’è una letteratura "sterminata" sull’argomento, magari partendo dai lavori del prof. De Vincenti (giusto per citarne uno) dell’Università La Sapienza di Roma (così cambiamo anche Università in modo da non citare stessi filoni di studio). Nel frattempo può parlarci di cose forse a lui più congeniali (diritto) chiarendoci gli effetti del referendum anche alla luce della Sentenza della Corte costituzionale n. 325/2010!

  22. Raffaello Morelli

    Ugo Mattei, che in tema di aggressività ed insolenza non appare secondo a nessuno, pontifica nel segno di concetti comunitari vetero totalizzanti, secondo cui è indispensabile una proprietà omniassorbente e indivisibile che, autobattezzatasi incarnazione del bene comune, stabilisce da sola ogni forma di controllo su di sé e fa coincidere per definizione l’interesse dei cittadini con quello proprio. Negli scritti di Mattei il cittadino in carne ed ossa scompare per essere sostituito dalla collettività, ovviamente rappresentata dai pochi professionisti dell’avanguardia. Quando afferma "perché si scrive acqua ma si legge democrazia", Mattei fa come i prestigiatori di strada, che tentano il gioco delle tre carte con le parole, chiamando democrazia le bugie pronunciate per propagandare il referendum mistificatore ed ideologico sull’acqua pubblica. L’esperienza dei fatti ha già mostrato più volte a cosa porta infatuarsi delle ricette costruite a tavolino e senza esperimenti da questi sedicenti profeti del bene comune. Porta alla dittatura del potere incontrollato della classe dei capi. Quelli più uguali degli uguali.

  23. Walter Maggi

    Qualche "pasdaran" delle privatizzazioni a tutti i costi mi sa spiegare perchè dopo la privatizzazione di Autostrade spa in dieci anni il costo della tratta Milano Sud – Modena Nord è passato da 7.800 lire a 10,30€ (più del doppio), senza alcun sensibile miglioramento nei tempi di percorrenza e con i lavori della 4° corsia (fine promessa nel 2007) mai incominciati?

  24. Francesca Marzo

    Inizio con una puntualizzazione che mi ha illuminata riguardo alla posizione da prendere verso il referendum: l’acqua non è un bene pubblico, è un diritto. Se, secondo me, è ingiusto affidare a privati (per quanto in concorrenza siano, e sappiamo bene che il mercato non è affatto quello che i modelli degli economisti vogliono farci credere sia, in termini di concorrenza) la gestione di beni pubblici, è addirittura impensabile affidar loro un diritto! Quindi, risolvere il problema dell’inefficienza delle spl, cercando investitori privati che, poi, necessariamente mireranno al profitto vendendo qualcosa, per cui, tra l’altro, non avranno competitori, non può essere la soluzione né in termini di vantaggio economico per i consumatori (è un dato di fatto che ovunque si sia proceduti all’affidamento ai privati della gestione dell’acqua le tariffe sono aumentate di molto), né in termini di organizzazione di una società migliore. La soluzione è imparare a fare pressione come società civile affinché le spl forniscano il servizio migliore. E’ una strada più lunga più faticosa, ma a mio avviso l’unica percorribile. Come dire, Alemanno possiamo mandarlo via.

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