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DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

 

Fonte: Istat, forze lavoro mensili. Dati destagionalizzati

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UN POPOLO DI SANTI

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LA RICERCA PERDUTA*

13 commenti

  1. Luigi Ingrosso

    Questo grafico è la perfetta sintesi del fallimento delle politiche del lavoro in Italia: meno occupazione giovanile = meno formazione professionale = meno futuro. Urge una nuova riforma del mercato del lavoro. SUBITO!

  2. Stefano Arturo Priolo

    Il grafico é eloquente. Parla e racconta una storia abbastanza preoccupante che, peraltro, chi vive al sud come me, anche se gira l’Italia, ha imparato a conoscere dalla realtà "in diretta". Proprio in questi giorni, presso la sede del Consiglio regionale della Calabria, a Reggio Calabria, si é tenuta una manifestazione, organizzata dalla Regione e dalla Provincia di Reggio, che ha avuito come finalità quella di indirizzare, orientare al lavoro i giovani. I pullmans hanno fatto l’andirivieni per tre giorni consecutivi, a dimostrazione di quanta sia la domanda di lavoro. Iniziativa meritoria, ma la risposta (l’orientamento) riguarda poco opportunità di vivere nella propria terra. Essa, dunque, può solo provare ad aiutare ad emigrare. A 150 anni dalla nascita dello Stato italiano, sotto il profilo del lavoro non é cambiato molto. Una volta si emigrava con "la valigia di cartone legata con lo spago" e ad emiograre erano i padri; ora, é cambiato il corredo, per fortuna (il PC o l’iPAD), e ad emigrare sono giovani diplomati e laureati – un esercito che, invano attende dai Governi una risposta. Ma lavoro e investimenti restano al Nord, non si muovono.

  3. Guido Meak

    Signori, è anni che ci diciamo le stesse cose eppure nulla cambia. Quindi in pratica, al di là di scrivere dei bellissimi e condivisibili articoli, di commentarli e di andare in TV (pochi) a cercare di fare informazione, cosa altro possiamo fare? Come mai ad esempio quel 30% di giovani disoccupati non va davanti a Montecitorio con i forconi e infilza nel sedere tutti quei signori e signore che ne escono? Come mai non succede?

  4. Massimiliano Tognetti

    Il fallimento della classe politica italiana (sinistra, centro, destra) e dei ‘suoi’ imprenditori non può non essere evidenziata da questo grafico. Bisogna dare nuove priorità alla vita politica ed imprenditoriale di questo paese: un’etica del lavoro e della politica ormai scomparsa nelle azioni dei politici e degli imprenditori. I primi sono al proprio servizio invece che a quello dei cittadini; i secondi mettono il guadagno al di sopra di tutto, anche della legalità (assecondati in questo da una classe politica che non brilla certo per il rispetto delle leggi…). Servono azioni dal basso per poter combattere questa caduta che è sempre più libera!

  5. giancarlo c

    Sarebbe interessante sapere questo quasi 30% di che cosa è principalmente composto: per esempio, la quota di giovani meridionali sotto i 24 anni (e secondo me oggi giorno quasi nessuno cerca seriamente un lavoro sotto i 24…) che risultano jobseekers ma non ricercano attivamente e/o non vogliono trasferirsi al centronord e/o lavorano in nero è elevatissima. Onestamente mi preoccuperei più della disoccupazione in altre fasce di età e di altre questioni collegate quali: mismatch tra skills richieste e offerte; scarsa redistribuzione degli incrementi di produttività registrati negli ultimi due decenni; pregiudizio culturale (o, meglio sarebbe dire, razziale??) nei confronti della società meridionale (che limita gli investimenti); numero troppo elevato e dimensione conseguentemente troppo piccola delle imprese italiane. Soluzioni? "Ammazzare" un po’ di piccolissime imprese (far sì che le migliori si mangino le altre) + sgravi fiscali al sud su lavoro e capitale + programmazione centralizzata della formazione universitaria e preferenza per un’effettiva preparazione tecnica. Tutto sommato si tratta della ricetta Prodi del 2006.

  6. DDPP

    Ho più volte letto nei giorni scorsi che in Italia sono stati creati milioni (2 – 3 -4?) di posti di lavoro occupati da cittadini stranieri. In genere questi stranieri sono giovani o molto giovani. A mio parere sarebbe opportuno chiedersi: a) Il grafico riguarda solo cittadini italiani o comprende tutti gli iscritti alle liste di disoccupazione? b) I giovani cittadini italiani cercano un lavoro, un "buon" lavoro o un posto di lavoro?

  7. Bruno Stucchi

    Anche perché è praticamente illeggibile (troppo piccolo). Al più si vede una lenta crescita per la prima metà della scala dei tempi, che però sembra attenuarsi nella seconda metà. Qualcosa di più significativo?

  8. roberto fiacchi

    Il problema è talmente importante e preoccupante che non può essere liquidato semplicisticamente. Di una cosa sono convinto: come in passato i lavoratori hanno dovuto lottare duramente ed i sindacati sono stati determinanti per l’acquisizione dei fondamentali diritti, ora ci si trova di fronte ad analoghi aspetti, aggravati dallla mondializzazione che rende le lotte territoriali meno incisive. Certamente la divisione dei sindacati aggrava le difficoltà. Penso altresì che i sindacati che si accontentano di "pseudoregalini" da parte di chi vuole portare indietro le lancette dell’orologio delle conquiste dei lavoratori commettano errori imperdonabili. Spero che la CGL riesca a farsi valere e CISL con UIL rinsaviscano per fermare la deriva e riportare nel lavoro il rispetto per la dignità della persona; ciò è importante anche per un cambiamento complessivo della politica in Italia.

  9. SAVINO

    Dal grafico emerge in modo palese un aspetto fondativo non solo dell’economia, ma del vivere quotidiano: non è più il tempo dei 50-60-70enni, dal tenore attuale di vita fin troppo comodo. Bisogna abbandonare l’ingordigia ipermaterialista di queste generazioni, tutte propense a carriera e danaro, capaci, per tali fini, di lavorare fino a 12-13 ore al dì, non curandosi di tanta gente più giovane e più brava a spasso ( e preferendo mantenerla, creando il fenomeno dei bamboccioni). Bisogna abbandonare, inoltre, la tendenza al giovanilismo di queste persone e farle capire che l’età, quella si che è una brutta bestia che non ci restituisce nessuno. Insomma, ritorni il classico buon padre di famiglia, che dia l’esempio ai figli del fatto che con lo studio, l’impegno, il sudore si possono ottenere i risultati sperati.

  10. Bruno Martino

    Che la disoccupazione giovanile sia un problema è un fatto. Un’analisi approfondita del grafico, conoscendone la composizione per zone geografiche, titolo di studio, reddito della famiglia di provenienza, etc, etc, consente una discussione più approfondita ma non un consenso unanime sulla soluzione. La verità è che si vive in media di più, di prospettive di crescita del Pil ce ne sono di meno, e quindi di lavoro, la politica concentra la propria attenzione sulla parte del corpo elettorale più corposa (gli over 40), i giovani sono sempre più disillusi e non fanno progetti, non fanno figli, non c’è ricambio. E’ un circolo vizioso da cui si deve uscire. Eppure chiediamoci quanti accettano soluzioni efficaci ma dure, quanti padri rinuncerebbero a favore dei figli? come si parla di "riforme"/tagli per liberare risorse da una generazione ad un’altra chi a parole era favorevole poi protesta sentitamente. Nè gli slogan lavorare meno, lavorare tutti risolve il problema. Propositi molti, soluzione difficile, appunto!

  11. Roberto Valli

    La situazione dell’occupazione giovanile mi sembra la conseguenza della fine del ciclo espansivo del terziario. Pubblico impiego, scuola, sanità, enti locali, credito e finanza, informatica e telecomunicazioni, marketing e reti di vendita, tutti i settori che, a partire dalla fine degli anni ’70 hanno sostituito l’industria come assorbitori massivi di risorse umane con media e alta scolarizzazione (cioè i giovani del baby-boom postbellico), sono oggi in ristrutturazione e ridimensionamento. La ricerca di personale qualificato si è molto ristretta a nicchie settoriali o al lavoro atipico e sottopagato (call-centers e simili). Inoltre la struttura produttiva centrata su piccole e medie aziende richiede più che altro figure operaio-artigianali difficilmente mappabili sulla preparazione e aspettative del giovane italiano medio. Occorrerebbe un profondo ripensamento dello schema tradizionale scuola-lavoro, sia in termini di tempi che di contenuti e di incentivi : che senso ha oggi stare sui banchi di scuola per venti anni prima di accorgersi che il pezzo di carta, acquisito più o meno a buon mercato, non apre più alcuna porta?

  12. BOLLI PASQUALE

    La disoccupazione giovanile è evidente, ma la soluzione non è difficile,ma semplice: i giovani devono essere protagonisti del loro futuro,non solo nelle loro scelte di vita,ma anche nella politica del Paese; oggi sono assenti ed il loro futuro è nelle mani di protagonisti politici non più né attuali,nè adeguati,nè altruisti. La politca,interpretando il detto " chi fà per sè fà per tre", ha già ampiamente tolto ai giovani e, quindi alle future generazioni, tutto quanto era possibile togliere. Il contesto economico mondiale e nazionale che, già non favorisce l’inserimento dei giovani nei settori produttivi: per spietata concorrenzialità dei paesi emergenti, per mercato interno al palo, per volute diseguaglianze sulle imposizioni fiscali e per favoritismi a compari,amici e parenti, è aggravato da un debito finanziario dello Stato che è già, da tempo, nella condizione patologica del fallimento. I nostri governanti, per non danneggiare se stessi, ignorano le riforme strutturali. Perché non riformano la politica i cui costi e privilegi non sono più sopportati dal popolo e per eccessi e per morale? La soluzione, quindi, è facile e semplice ma non si vuole, perché non fa comodo!

  13. domenico43

    Ho segnalato a tutti i possibili uffic i(Ag.Entrate,Inps,garante del contribuente,ecc.) questa ulteriore mannaia sulla testa dei giovani disoccupati e da nessuno ho avuto una coerente risposta in merito.(Quanti stipendi inutilmente erogati a chi non fa il lavoro a cui è preposto). I giovani più fortunati da alcuni anni riescono a lavorare con contratti trimestrali e non a tempo indeterminato ed ogni anno presentano domanda di disoccupazione con requisiti ridotti. Orbene la relativa indennità viene corrisposta nell’anno successivo dall’Inps e certificata nel CUD di quell’anno per cui si vanno a sommare su un unico anno anche i redditi dell’anno precedente. La conseguenza è che a volte risulta che si sia lavorato per esempio per 460 giorni in un anno, ma si ha diritto alla detrazione per 365, con perdita delle detrazioni e per effetto dell’imponibile artatamente maggiorato si pagano più tasse di quanto dovuto se si attribuissero i redditi agli effettivi anni di riferimento, o almeno soggettarli a tassazione separata. L’esperto Tremonti conosce solo i metodi per non far pagare i ricchi e in sostituzione far pagare i poveri. Che Robin Hood?

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